Il bacio del Barbacane

0
1902

Chiudo gli occhi nella finalmente calda Varsavia d’agosto. Disteso sull’erba all’ombra delle mura del Barbacane. Wera mi ha lasciato qui per andare ad un colloquio di lavoro. Nel frattempo dovrei studiare gli appunti sulla storia di questa fortezza rinascimentale resa obsoleta dopo pochi anni dalla rapida evoluzione dell’artiglieria. Ma qui all’ombra si sta bene, c’è un filo d’aria fresca, gli appunti possono aspettare, tanto mica si muove da qui il Barbacane. Sento in lontananza le note della fisarmonica del solito musicista che suona all’angolo di ulica Freta. Una guida spiega in francese che nel 1500 circa un tale architetto italiano progettò il bastione. Ma come un tale architetto italiano? Manco la guida si è letta gli appunti? Era Giovanni Battista Veneziano! Mi sembra di vederlo nei suoi abiti rinascimentali che prende misure e studia i materiali. Intanto gli zoccoli dei cavalli picchiano i ciottoli trainando le carrozze con i turisti che attraversano il Barbacane per entrare nella città vecchia. Quella stessa città che Bernardo Bellotto dipinse e mostrò a Stanislaw Poniatowski durante le cene italiane che il re organizzava con cadenza settimanale. Ma ecco un’altra carrozza arrivare, questa volta nel senso opposto, viene verso il Barbacane. Chi ci sarà a bordo? Tricorno nero e mantello, è Casanova? La carrozza si ferma giusto dentro la torre del Barbacane. Il cocchiere borbotta qualcosa in direzione degli eleganti passeggeri. Tricorno e mantello lui, abito color malva lei. Secondo galateo scende prima il cavaliere e le offre il braccio. Poi si avviano a piedi seguendo il semicerchio di mura.

“Ehi devo stare attenta, sono con un italiano,” scherza maliziosamente la radiosa fanciulla.

“E perché mai di grazia? Io sono veneziano e nella nostra città conosciamo le buone maniere”, risponde l’elegante cavaliere.

“Si dice che gli italiani accorcino velocemente le distanze verso la donna e io sento già il Suo braccio che mi cinge”.

“Allora facciamo un gioco e Le mostrerò che avviene esattamente il contrario”, ribatte al volo il novello Casanova togliendo il braccio con cui stringeva la ragazza.

“Che gioco? Sono curiosa!”.

Lui la guarda con volto serio: “farò cinque domande, ad ogni risposta giusta arretrerò un passo allontanandomi da Lei, ad ogni risposta sbagliata, o mia cara dama, dovrà appoggiare una parte del Suo corpo sul mio”.

La ragazza è orgogliosa e non vuole mostrarsi né timorosa né poco di mondo: “Va bene, si dia inizio al gioco!”.

L’uomo si toglie il tricorno: “quanto profondo è questo fossato che gira intorno alle mura?”.

“Oh mio signore sappiate che da buona dama ho preferito altre arti alla matematica. Forse 10 metri?”

Il cavaliere sorridente: “In realtà 15 metri. Dovreste toccarmi con una parte del vostro corpo, ma se volete cambiamo gioco”.

La ragazza lo guarda fisso negli occhi, appoggia il piede destro sopra quello sinistro del suo sfidante e dice: “Non ho certo paura di un divertissment.”

Ed il cavaliere allora: “intuisco che il vostro vestito sia di seta, lungo quali rotte è arrivata a Varsavia la più pregiata delle stoffe?”

La ragazza senza alcuna esitazione: “viene sicuramente da mete esotiche che la mia età non mi consente ancora di conoscere anche se bramo di scoprirle al più presto”, mentre la mano destra si posa sul fianco sinistro del cavaliere.

“Per quale motivo le dame come voi stanno alla destra dei cavalieri?”.

La ragazza afferra con la mano sinistra il fianco del cavaliere e risponde: “Forse perché l’uomo può cingere meglio la dama!”

Il cavaliere sente che non è lui a condurre il gioco. “In realtà è perché alla sinistra portiamo la spada che in caso di bisogno deve poter essere sguainata senza impaccio”.

“E allora la quarta domanda?”, interviene la ragazza che con un piede su e uno giù necessita di ricomporre il suo equilibrio.

“Se avrò la fortuna di poter ancora passeggiare con vostra signoria La porterò al Parco Lazienki, il più bel parco della Sua Varsavia. Chi l’ha progettato?”

La ragazza stringe la presa con le mani ai fianchi del cavaliere e sale anche con il piede sinistro. Ora, a distanza ridotta, afferma: “Questa proprio non la so! Vorrei che Lei avesse la cortesia di portarmi lì al più presto al parco per spiegarmi la storia.”

È in questi momenti che si vede se un uomo è un vero cavaliere e così, pur godendo della vicinanza e assaporando un contatto ancora maggiore con questo fiore di donna, il gentiluomo le offre la domanda di salvezza: “Parlando delle buone maniere Le ho raccontato quanto noi veneziani siamo uomini di mondo e le conosciamo bene, per quello adesso mi dirà facilmente da quale città veniva Giovanni Battista che progettò questo vostro Barbacane.”

La ragazza scuote leggermente la testa e fa un intenso respiro. “Di certo le buone maniere non sono una qualità che deve avere chi progetta una costruzione militare che ci deve difendere dalla violenza degli invasori…quindi non era un Veneziano”.

Il delicato profumo che proveniva dal collo della ragazza inebriava il gentiluomo, mi sembra di sentirlo anch’io. La distanza si accorcia ci sono già più di quattro parti del corpo a toccarsi, ecco le labbra soffici come una rosa che sfiorano fino a toccarle quelle del cavaliere. È il bacio più prevedibile quanto inatteso che si potesse immaginare. Lo sento anch’io sulle mie labbra.

“Ah bravo così fai?” sento dire da una voce risentita. Non capisco. Nella mia mente il gentiluomo e la dama si stanno ancora baciando dolcemente. “Ma come ad occhi chiusi baci chiunque si avvicini?” Apro gli occhi di fianco a me c’è Wera. “Cosa dici? Che succede?” bofonchio. “Ti ho visto lì con sguardo gaudente, mi sono avvicinata, ho appoggiato il mio petto sul tuo, poi le labbra. E tu come niente fosse mi hai baciata!!! Come facevi a sapere che ero io? E se era un’altra?”

“Ma Wera! Ho riconosciuto il profumo, il tuo modo di appoggiarti, le tue labbra. Sono un veneziano gentiluomo avrei mai potuto negarti un bacio?”