Laureata alla Facoltà di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Varsavia, Katarzyna Jędrysik-Castellini, dal 2000 al 2016 ha vissuto in Italia con il marito Giovanni ed il figlio Dino, nato a Modena, per poi tornare in Polonia. I suoi dipinti, saturi di motivi italiani, sono esposti alla GaleriaArt.Pl di Varsavia.
Quali sono I tuoi primi ricordi legati all’Italia?
Gli odori, incredibili! Ho visitato spesso le mie zie ed i miei zii in Italia sin dalla tenera età. Rimanevo molto colpita dagli odori: il miscuglio dei profumi delle piante e del mare, l’aroma del caffè, dei “bomboloni”, del cibo, delle spezie e, naturalmente, il profumo del bucato lasciato ad asciugare, appeso ovunque.
Come sei diventata italiana?
Nel 1998 ero in vacanza in Italia. Sulla spiaggia di Sirolo, nelle Marche, in provincia di Ancona, un giovane italiano mi ha chiesto l’ora. È così che, banalmente, ho conosciuto Giovanni, il mio attuale marito. Si è scoperto che suo zio di Bologna, un chirurgo, in passato aveva operato mio zio, e che la cugina è la migliore amica di Cristina, la figlia di mia zia, che negli anni Cinquanta sposò un italiano e trovò lavoro all’università, alla facoltà delle lingue romanze. Ci siamo sposati a Falconara Marittima, la festa si è svolta nella cittadina costiera di Portonovo, con un menù ovviamente composto da pesce, crostacei e frutti di mare.
Com’erano gli inizi della vita italiana?
A causa del lavoro di mio marito, che è un finanziere, ci spostavamo spesso di sede. All’inizio vivevamo a Conegliano Veneto, in provincia di Treviso. Era l’ultimo anno dei miei studi all’Accademia di Belle Arti di Varsavia. Come oggetto della mia tesi di laurea ho proposto “Ritratto di una città italiana”; una rappresentazione sociologica e architettonica di Conegliano, con i suoi edifici, le sue architetture, le sue tradizioni e, soprattutto, i ritratti di persone che riflettevano sia la loro fisionomia che il loro carattere. Ogni mese viaggiavo in pullman per le correzioni dal relatore della tesi, il prof. Krzysztof Wachowiak. Erano più di 30 ore a tratta ed ogni volta rischiavo che i miei dipinti venissero fermati alla frontiera. Nonostante questo, il diploma è stata una grande gioia per me. Ho passato ore a dipingere, seduta nella biblioteca locale, cercando e spiegando curiosità sulla città. Gli sforzi sono stati ripagati perché ho ottenuto il diploma con lode e dopo ho ricevuto il premio Ewa Tomaszewska e il premio ZPAP della città di Varsavia.
Il primo incanto italiano?
Il momento preferito della giornata era l’ora della siesta. Ancora oggi, nelle città più piccole d’Italia, dopo pranzo, intorno alle tredici, la vita si blocca e cala il silenzio completo. Tutte le persiane delle case sono chiuse, le persone riposano, spengono i loro telefoni. I negozi e gli uffici fanno una pausa. In quei momenti sgattaiolavo fuori ed ero tutta sola nella città. Camminavo per le strade deserte, guardavo ogni angolo, scattavo foto e traevo ispirazione per quello che cercavo nei miei dipinti: pace, tranquillità e contemplazione.
Le scale sono un motivo ricorrente dei tuoi quadri.
La maggior parte delle regioni d’Italia non è pianeggiante, le scale sono un elemento tipico del paesaggio. A Conegliano, in Piazza Cima, le scale portavano al Teatro Accademia; scale di pietra, ampie, illuminate dal sole. Il motivo delle scale ha per me una dimensione simbolica, perché riflette la natura degli italiani che si alzano la mattina pronti per un nuovo giorno, non stanno mai fermi, vanno avanti, sempre più lontano, più in alto. Eppure sono in grado di celebrare le loro tradizioni in un modo così meraviglioso.
E da dove viene il motivo della scacchiera?
Ogni anno nel mese di ottobre, a Conegliano si celebra la festa della “Dama castellana”. Nell’anniversario della leggendaria battaglia duecentesca, nella grande Piazza Cima viene allestita un’enorme scacchiera: è monumentale, inondata di sole durante il giorno, illuminata di notte. Al posto delle pedine ci sono i residenti della città, ospiti e celebrità travestite in costumi rinascimentali che si muovono sulla scacchiera. Un vero e proprio teatro, la città si trasforma in una scenografia e i cittadini in attori. Posso tranquillamente dire che per un anno e mezzo ho vissuto in un teatro, e da questa meravigliosa esperienza si sono create molte composizioni nella mia testa e ho fatto schizzi e dipinti ai quali torno spesso nel tempo. Sulla stessa scacchiera si celebra anche la “Festa dell’uva” celebrata in tutta Italia nel mese di settembre. A Conegliano si chiama “Gioco fino all’ultimo bicchiere”, perché al posto delle pedine si gioca sulla scacchiera con bicchieri di vino bianco e rosso. Vino che, ovviamente, viene abbondantemente degustato.
E i tuoi arlecchini e pierrot?
Vivendo vicino a Venezia, mi sono innamorata del carnevale, delle folle in maschera con volti dipinti che indossano costumi di arlecchino, dei giullari e dei pierrot in abiti rinascimentali. Secondo me, i veneti hanno il teatro nel sangue. “Sono attori nati”, come scriveva Guido Piovene. La messa in scena viene loro naturale, senza alcuno sforzo. I veneti amano vestirsi, gesticolare, tutti i partecipanti entrano nei propri ruoli, interpretano spontaneamente i personaggi e le scene, si muovono con la grazia dell’epoca, hanno un grande senso estetico. Tutto ciò è per me una miniera di ispirazioni pittoriche.
Onnipresenti nei tuoi dipinti sono anche i portici.
Mentre vivevo a Bologna, ho fotografato e disegnato innumerevoli portici. La città ne è piena, i miei preferiti sono nella Basilica di Santo Stefano che è composta da un complesso di 7 chiese. In qualsiasi momento lÌ trovavo pace e tranquillità per contemplare. Amo dipingere i deliziosi contrasti, creati dalle ombre e dalle superfici infiammate dal sole. Un po’ come i pavimenti in pietra italiana, con colori e motivi geometrici diversi, sui quali si creano effetti speciali quando vengono colpiti dalla luce.
Parlaci dei tuoi uccelli e delle tue bambole.
Nei miei dipinti, gli uccelli sono un simbolo della caducità del momento, del bisogno di libertà di fuga. Si fermano solo per un momento che bisogna immortalare in fretta, perché presto voleranno via. Gli uccelli compaiono nelle mie nature morte, nei miei scatti di architettura, nei ritratti e portano la vita nelle mie opere. Le bambole sono reminiscenze del museo, antiche bambole secolari di Sirolo. Sono rimasta colpita dai loro volti individualizzati, che riflettono le emozioni umane, dai loro abiti e dalle loro acconciature fatte di capelli umani.
A proposito di uccelli, sei anche appassionata di canto e della musica italiana?
Agli italiani piace cantare. Mio marito canta, come un italiano e io suono il pianoforte fin dall’infanzia, quindi da quando stiamo insieme cantiamo molto. Entrambi amiamo l’opera. Creiamo anche le nostre composizioni e le registriamo per il nostro piacere. Questa è la nostra passione comune, un trampolino di lancio. Quando suono e canto, sono in un mondo diverso.
E la cucina italiana?
La adoro! Abbiamo vissuto per tre anni a Falconara Marittima vicino ad Ancona, nella casa di famiglia di mio marito. Una casa grande, centenaria, con pareti bordeaux. La casa era su una collina, circondata da ulivi coltivati biologicamente, il mio suocero Luciano li piantò in modo che le radici rafforzassero i pendii. Ci fu un anno di grande fertilità, così raccogliemmo le olive in modo tradizionale, salendo sugli alberi e scuotendoli, lasciando cadere le olive sulle reti distese. Nel frantoio delle olive, abbiamo spremuto l’olio a freddo, che si è rivelato essere il migliore che avessimo mai assaggiato. Tutta la famiglia italiana era felice e la quantità di olio era sufficiente per un anno. L’olio, un po’ di parmigiano o pecorino, origano fresco, buon pane, spaghetti e vino: tutto il necessario per rendere una persona felice.
Ti manca la vita italiana in Polonia?
Mi manca la luce italiana, il sole, i contrasti per le mie opere. Ho portato ispirazioni dall’Italia, tanti schizzi, ma qui in Polonia, senza quella luce, non è facile ricreare quel mondo.
Tłumaczenie it: Weronika Rosół