La prima volta che misi piede in Polonia, il 7 novembre 2008, non avrei mai pensato che quattro giorni dopo mi sarei trovato al Rynek di Cracovia a cantare l’inno nazionale in mezzo a migliaia di polacchi. A bordo di una vecchia auto, mi pare fosse una BMW, guidata da Barbara, architetto docente dell’Accademia delle Belle Arti, sono arrivato dall’aeroporto al centro. Due mesi prima avevo ospitato Barbara a Venezia ed ora lei ricambiava in Starowiślna 28. Un pesante portone in ferro dà sulla trafficata strada, poi attraversato l’androne si sbuca in un cortile e di fronte c’è la porta d’entrata di quella parte dell’edificio in cui si trova l’appartamento di Barbara. Scale scure e trasandate, sul pianerottolo biciclette ben chiuse con i lucchetti. L’appartamento abbastanza ampio è disposto come uno scompartimento di un treno, un corridoio con stanze a destra e muro a sinistra. Nella prima stanza il salotto con angolo cottura, nella seconda uno studio, nella terza la camera da letto. Dritto in fondo al corridoio un piccolo bagno con una vasca corta di quelle in cui devi stare rannicchiato. L’acqua calda del boiler che viene a scatti. Il tempo di appoggiare la valigia nello studio riadattato a camera degli ospiti, con un bel materasso largo a terra, e via giù in strada a scoprire Cracovia. Usciti dal portone si gira a destra e si cammina lungo la Starowiślna fino ad attraversare l’anello di verde che circonda le mura, un giardino pubblico costantemente curato e pulito. Col tempo mi è capitato di vedere con quale amore ogni anno ridipingono panchine e recinti dei vialetti. Arrivando da Starowiślna entro in una piccola bella piazza rettangolare. “È il Mały Rynek, qui periodicamente si organizzano mercatini”, racconta Barbara camminando a passo svelto sui larghi ciottoli della via che ci fa sbucare nel Rynek.
“Questa grande chiesa a destra è la Mariacki, davanti abbiamo il Sukiennice, e là a sinistra inizia la via Grodzka che porta all’Istituto Italiano di Cultura”, continua Barbara che non si aspetta da me risposte o reazioni, capisce che ho la mente occupata ad elaborare quello che vedo e sento. Così continuiamo la marcia dentro il Rynek. Ad un certo punto svoltiamo a sinistra. “Andiamo a scaldarci” dice portandomi dentro il caffè Nowa Prowincja. Ci sediamo a parlare per almeno un’ora bevendo vin brulè. Condividiamo un lungo tavolo con quattro ragazze, in età da università, bevono cioccolate calde con e senza panna. Il tempo scivola via felice. Torniamo al Rynek, andiamo a cena all’elegante Ristorante Szara, Barbara è amica del proprietario che per mostrare il suo amore per l’Italia ci offre subito due calici di prosecco. La cena è ottima, scopro i pierogi e poi salmone al forno. Barbara è una persona speciale, affamata di cultura e bellezza, magrissima, mangia solo verdure in minima quantità, ascolta Anna Maria Jopek e nuota tutti i giorni. A Venezia era l’eroina dei bagnini. Alla chiusura serale della spiaggia la aspettavano alla diga del Des Bains. Ormai avevano capito che quella straniera che parla benissimo italiano e capisce il veneziano, tornava a riva ogni giorno alla stessa ora dopo una nuotata di un’ora sfiorando i pennelli delle dighe che da riva si allungano verso il largo. Dopo qualche settimana la aspettavano con una bottiglia di vino. I bagnini raccontavano i pochi aneddoti che succedevano nella calma piatta della spiaggia del Lido di Venezia e lei invece li intratteneva parlando di architetture, quadri e musica. Quando arrivava a casa io avevo già finito di cenare e avevo imparato a non preoccuparmi di lei. Farle da mangiare equivaleva ad arrecarle un dispiacere perché non mangiava quasi nulla e soprattutto nulla che non avesse preparato lei. Riusciva ad avere delle specifiche esigenze quotidiane perfino tra i pochi alimenti che concedeva entrassero nel suo corpo. Ma un bicchiere di vino quello sì andava sempre bene.
Nei giorni seguenti mi fece conoscere altri locali in cui poi sarei tornato per anni con le più diverse compagnie, tra questi il Camelot con le sue ottime torte e quei bizzosi arredi. L’Alchemia a Kazimierz, sempre affollato di gente di ogni angolo del mondo che una volta entrata viene inghiottita dalla penombra delle candele mentre l’odore di fumo impregna senza speranza quello che hai addosso. Lo Stalowe Magnolie era poi un luogo che amavo molto. Parlo di quello storico in ulica Świętego Jana, ora dopo un periodo di chiusura ha riaperto in ulica Szpitalna ma l’atmosfera è cambiata. Nel vecchio Stalowe Magnolie si entrava in una sala in cui tutto trasudava umanità, si salivano un paio di gradini e ci si trovava in mezzo a tavoli consumati, sedie consumate e in fondo c’era un piccolo palcoscenico dove si esibivano gruppi locali e qualche ospite straniero che chissà come era finito lì. È grazie a qualche serata allo Stalowa se ho conosciuto le canzoni del gruppo Republika, suonate da vivaci cover band. A destra c’era un varco che ti portava in una sala più ambigua dominata dal lungo bancone del bar cui servivano giovani ragazze, spesso belle. Nell’angolo della sala c’era una porticina che dava accesso ad un piccolo corridoio, lì c’erano i bagni ma se si continuava si finiva in un luogo molto più ambiguo. La sensazione era quella di entrare in una specie di festa privata, stanze alcova con letti a baldacchino i cui avventori non mostravano alcuna inibizione.
E pensare che oltre i muri del vecchio Stalowe Magnolie, mi pare sia proprio l’edificio accanto, in quei primi giorni polacchi della mia vita ho provato la straordinaria emozione di un tête-à-tête con la Dama con l’Ermellino. Nel novembre 2008 il Museo Czartoryski era uno scrigno di tesori immersi in una atmosfera dimessa, oggi dopo un restauro decennale mi dicono abbia tutt’altro aspetto. Ricordo ancora la strana sensazione provata quando comprai il biglietto da una cassiera in carne di mezza età, mi sembrava d’entrare in una sala biliardi o qualcosa del genere. Giravo le stanze di quel palazzo in totale solitudine, mi accorsi che cercavo inconsciamente di fare meno rumore possibile, camminavo sul vecchio parquet trattenendo il peso per quanto possibile, per non farlo scricchiolare, non volevo disturbare i semiassopiti guardasala, finché d’un tratto eccomi davanti al capolavoro di Leonardo, eravamo io e lui senza barriere divisorie, un’emozione unica e autentica ben diversa da quella stile fast food culturale provata al Louvre davanti alla Gioconda.
Di quella prima visita cracoviana ricordo anche un aperitivo alla Dom Norymberski, quel centro culturale gemellato alla Dom Krakowski di Norimberga. Forse proprio dalla borsa di studio nella bella città bavarese – nota per Albrecht Dürer ma anche per l’essere stata il privilegiato lugubre palcoscenico delle parate del nazionalsocialismo – è nata la mia storia con la Polonia grazie all’amicizia fatta con una giornalista di Radio Krakow. In quei giorni a Cracovia ritrovai la giornalista ed alcuni amici conosciuti durante la Borsa di Studio a Norimberga, dedicata allo scrittore tedesco Hermann Kesten, ed è con loro che la sera dell’11 novembre, quattro giorni dopo essere atterrato a Cracovia, mi ritrovai al Rynek a cantare la Marcia di Dąbrowski. All’epoca non avevo ancora capito il significato del ritornello “Z ziemi Włoskiej do Polski” (dalla terra italiana alla Polonia) dell’inno polacco eppure senza saperlo c’ero già finito dentro.