Parma, la città chiusa

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Duomo di Parma. Vista sulla cupola di Correggio

L’articolo è stato pubblicato sul numero 80 della Gazzetta Italia (maggio 2020)

Parmigianino, Parmigiano-Reggiano, Parmigiana, Parma Calcio, Prosciutto di Parma, Acqua … Parma, Parma, Parma. Dietro tutto questo si nasconde una città dell’Emilia-Romagna, situata da qualche parte tra Modena e Piacenza, in una prospettiva più ampia, tra Bologna e Milano.

Il titolo proposto “Parma, la città chiusa”, che si richiama all’inverso a “Roma città aperta” uno dei più importanti film di Roberto Rossellini, è nato recentemente, quando l’Italia è diventata il centro europeo delle disgrazie ancora in corso. Parma si trova a circa 70 km da Codogno, dove è stato rilevato il primo caso del virus che ha poi devastato il Paese (a proposito, è anche una stazione di comodo interscambio per chi viaggia in treno da Cremona a Piacenza). L’immagine di Parma del ‘400, che presenta una città racchiusa tra le mura, può costituire una metafora perfetta della presente quarantena e della situazione attuale dell’Italia. Il titolo all’inizio doveva essere “Parma in un giorno”, in tale spirito infatti voglio parlare di questa famosa città dell’Emilia-Romagna. Le voci dicono che Bernard Berenson è rimasto scandalizzato quando Kenneth Clark ha espresso l’intenzione di visitare l’Italia senza alcuna preparazione, buttandosi a capofitto nel viaggio. Di certo non è sempre il metodo migliore, ma con Parma ho rischiato, anche se sapevo esattamente cosa voglio vedere. Dopo esser arrivato a Milano, ho corso velocemente alla stazione Centrale per prendere il primo treno, che passa tra l’altro per Lodi e Piacenza, grazie al quale dopo circa un’ora e mezza mi sono trovato sul binario della stazione di Parma. Visto che il programma è intenso, mi dirigo direttamente verso il centro percorrendo la via Giuseppe Verdi. 

Vista sulla Piazza del Duomo

Parma conta circa 170 mila abitanti. Nella città si trova un’università (una delle più antiche), che si può capire immediatamente visitando Piazza della Pace, che è un luogo di incontro per i giovani. Nella stagione accademica sembra di essere un grande hot spot fuori dalle mura dell’università, dove probabilmente per tutto l’anno non solo è possibile crogiolarsi al sole appoggiati ad un muro o distesi sull’erba, ma anche semplicemente sedersi con un libro o gli appunti. Da qui, solo a due passi si trova il tesoro artistico della città, basta percorrere la strada Macedonio Melloni e poi svoltare a sinistra nel verde passaggio che porta alla Camera di San Paolo. Proprio lì, nell’ex monastero, vi sono dipinti di Correggio (1489-1534), uno degli artisti più interessanti del suo tempo, che invece dello splendore della metropoli scelse la provincia e lì rimase. La sua pittura è un inno caloroso per coloro che delocalizzano il flusso del genio e lo mettono in camere appartate.

All’età di trent’anni, Correggio elabora un programma mitologico per la badessa delle benedettine Giovanna Piacenza (sorprende il fatto che è stato creato per una persona ecclesiastica), decorando la sua cella, Camera della Badessa. La sorella doveva avere orizzonti ampiamente umanistici per pensare alla sua “camera” in un modo così lontano dal cristianesimo. Sotto l’ampio pergolato a volta, sorridono i putti paffuti rappresentati in varie configurazioni durante i loro spensierati giochi di caccia, su cui trionfa la dea della caccia Diana, l’immagine della quale decora il camino.

Correggio è lirico, ciò si manifesta anche nei suoi successivi incarichi nella chiesa di San Giovanni Evangelista e nella cattedrale, dove dipinge nella cappella dell’Assunzione della Vergine. La realizzazione avviene tra gli anni 1526-1530 e annuncia pienamente il Barocco, quando ancora del Barocco non si può parlare. Non suscita nessuna polemica, viene accolto tranquillamente dal gruppo sacro. Alla fine i monaci non rimangono entusiasti della realizzazione di questa innovativa impresa, solo Tiziano, passando per la città, la valuta correttamente, dichiarando che perfino riempiendo la cappella d’oro e rovesciandola, il pagamento sarebbe troppo basso.

Il paragone di Parma a una città chiusa è dovuta anche alla sensazione che essa raccoglie i suoi tesori l’uno dall’altro a una distanza di circa 500 m su un’area di dimensioni limitate. Per strada tra le diverse tappe, vale la pena di mangiare qualcosa. E cosa si può mangiare a Parma? Questa è una domanda retorica. Ricordiamo solo che il nome Parmigiano-Reggiano è il nome ufficiale del parmigiano, senza il quale molti non si possono immaginare la cucina italiana. È prodotto nella regione emiliana (Parma, Modena, Reggio Emilia, Bologna). Scelgo i tortelli. Qui non si può aggiungere nulla in più, si può solo procedere per raggiungere le tappe successive del programma giornaliero, e quindi la cattedrale, il non lontano battistero medievale, tuttavia sottovalutato, la chiesa di San Giovanni Evangelista.

Per rimanere fedele all’argomento culinario, lungo la strada raccolgo altri punti di questo gioco di un giorno e per pochi euro compro un panino con il Prosciutto di Parma, che degusto prima di attraversare l’ingresso del vicino tempio. La Basilica di Santa Maria della Steccata conserva i tesori di un altro grande artista della città da cui lui non potrà mai fuggire: Parmigianino. Qui nasce successivamente trascorre tre anni a Roma, dove lavora per il Papa Clemente VII ed è considerato il successore di Raffaello. Tuttavia, la sua carriera viene ostacolata dal “Sacco di Roma” del 1527. Parmigianino, o se vogliamo semplicemente chiamarlo per nome, Girolamo Francesco, ritorna alla sua città natale dove dal 1535 decora la chiesa in cui sono appena entrato. Le bibliche “Tre sciocche vergini” spuntano chiaramente dalla volta (allo stesso periodo risale il dipinto “Madonna dal collo lungo”, conservato negli Uffizi, prima appeso anche a Parma nella chiesa di Santa Maria de ‘Servi). Nel 1539, il pittore interrompe il lavoro sui dipinti, di conseguenza finendo in prigione e nel frattempo assorbito dall’alchimia. Muore poco dopo all’età di 37 anni. 

Quando usciamo dalla Basilica di Santa Maria Steccata, sulla destra attira il nostro sguardo il Teatro Regio di Parma, inaugurato nel 1829. Un tempo era uno dei teatri lirici più importanti d’Italia, accanto alla Scala, affascinando non solo i principi di Parma. Vale la pena aggiungere che dalla città proveniva anche Arturo Toscanini. Prima della nascita del Teatro Regio, gli spettacoli si tenevano al Teatro Farnese, costruito nel 1618, che si trova nel poco distante Palazzo della Pilotta. C’è lì anche una pinacoteca, che comprende le raccolte della famiglia Farnese, portate da Roma nella seconda metà del XVII secolo. Gran parte delle quali viene trasportata a Napoli nel 1734, tuttavia ancora sul posto si possono ammirare magnifici dipinti, tra cui quelli di Correggio, Sebastiano del Piombo o Cima da Conegliano.

„Herkules”, I sec., Galleria Nazionale di Parma

Una passeggiata nella Pinacoteca di solito raggiunge il numero massimo dei passi che si possono fare durante un giorno. Alla stazione vale la pena di ritornare prendendo il viale Paolo Toschi per vedere almeno per un attimo il fiume Parma e i tranquilli dintorni delle case locali, che probabilmente nella parte più lontana della città, ci sono tante. Infine, vorrei dichiarare che non sono d’accordo con Stendhal, che ha descritto Parma come una città “abbastanza noiosa”.

In realtà, non c’è qui l’abbondanza di Roma e i fuochi d’artificio quotidiani della metropoli, ma le perle si raccolgono nelle silenziose stradine del centro. Anche se il nord d’Italia ora ha altre preoccupazioni, vale la pena percorrerle un giorno.

 

foto: Dawid Dziedziczak
traduzione it: Amelia Cabaj