Nanni Moretti: ironia, politica, ego

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L’articolo è stato pubblicato sul numero 80 della Gazzetta Italia (maggio 2020)

Quando pensiamo al “grande cinema italiano”, ci immaginiamo in prima linea le opere dei classici degli anni Sessanta. Fellini, Visconti, de Sica, Pasolini… Questa volta però ci avventuriamo in un viaggio diverso, meno “classico”, e la nostra attenzione si concentrerà su un regista decisamente più contemporaneo. Un artista che veniva spesso identificato in Italia, talvolta anche con un pizzico di cattiveria, come “triste Cassandra del cinema”.

Naturalmente, stiamo parlando di Nanni Moretti, autore la cui intera filmografia è in gran parte infarcita di autoironia, riflessività tematica e autobiografia. Con l’aiuto della macchina da presa, il regista italiano ha mostrato apertamente che bisogna essere fedeli alle “idee socio-politiche” non solo sulla carta, ma anche in pratica; tramite le sue opere, il regista plasma diagnosi sociologiche molto accurate e non ha il timore di mostrare la propria nazione come imperfetta e piena di contraddizioni. Sin dal tempo del suo esordio (“Io sono un autartico”, 1976), Moretti ha effettivamente dimostrato di essere un cineasta indipendente, con una visione del cinema decisamente distaccata dalle regole del cosiddetto “cinema istituzionale” e mainstream.

L’opera morrettiana ha ricevuto importanti riconoscimenti nel corso degli anni, principalmente al prestigioso Festival di Cannes (inclusa la “Palma d’oro” per “La stanza del figlio”, 2001; finora l’ultima nella storia del cinema italiano moderno). In Italia i suoi film hanno sempro diviso la critica e, soprattutto, il pubblico. Dopo la prima di “Sogni d’oro” (1981) a Festival di Venezia – storia surreale di un regista talentuoso in crisi in cui si possono ritrovare riferimenti al capolavoro “mise en abyme” di Fellini – si attribuisce al maestro Sergio Leone l’aver detto detto che il film di Moretti piuttosto di 8 e ½  vale 1 ¼.

Tuttavia, al regista di “Aprile” (1998) non si può di certo negare il senso di preveggenza riguardo importanti eventi storici. “Palombella Rossa (1989) entrò in distribuzione due mesi prima della caduta del muro di Berlino, associato alla caduta simbolica dei movimenti di sinistra in tutta Europa, inclusa la scena politica italiana (la crisi esistenziale e l’amnesia del protagonista del film vanno di pari passo con la crisi dei comunisti italiani), mentre la prima de “Il Portaborse” (1991) ha scatenato accese discussioni sul tema della corruzione tra i partiti al potere nel Belpaese, che coincise con lo scandalo di Tangentopoli e le accuse dell’allora leader del partito socialista italiano e l’ex Primo Ministro, Bettino Craxi (1934-2000). Come nel caso di “Habemus Papam” (2012) e della successiva “abdicazione papale” di Benedetto XVI, Moretti predisse nel “Caimano” (2006) la discesa politica di Silvio Berlusconi, personaggio fortemente odiato dal regista (nel 2013 il gigante mediatico è stato condannato e 4 anni di carcere). È interessante notare che, dopo la prima del film, lo stesso politico ha affermato ironicamente: “Ieri sera abbiamo avuto il piacere di avere sulla Rai un ottimo regista italiano che ha raccontato una fiaba e mi ha dato un soprannome che mi mancava: signori e signore, io sono il caimano”.

Uno degli elementi più caratteristici dei film di Moretti, in particolare della parte iniziale della sua carriera, è senza dubbio il personaggio immaginario (una sorta di alter ego interpretato dal regista stesso) di Michele Apicella (il cognome è quello della madre di Moretti, Agata Apicella, insegnante di scuola media). Michele appare direttamente in ben cinque film (“Io sono un autartico”, “Ecce Bombo”, “Sogni d’oro”, “Bianca”, “Palombella rossa”); è importante notare, che i titoli citati non costituiscono una continuazione reciproca delle vicende del protagonista, ma piuttosto delle loro varianti [1]. Sebbene l’eroe si trovi in diversi momenti della sua esistenza e lavori sempre su qualcos’altro (arte, cinema, educazione e/o politica), la sua vita peculiare ricorda sempre una specie di tormento. Ciò che certamente unisce Apicella al personaggio del vero autore è il suo amore per il cinema e la pallanuoto, e in parte anche la sua professione artistica (in “Ecce bombo” e “Sogni d’oro” Michele fa il regista).

Apicella è, generalmente, un individuo autodistruttivo e allo stesso tempo tragicomico. Un intellettuale sempre amareggiato, un idealista che non si sa adattare alla vita di gruppo, i cui pensieri, bisogni e aspirazioni di solito non trovano comprensione. Michele mette costantemente in dubbio il suo valore come uomo, capofamiglia, figlio, cittadino, studioso, regista, artista, politico ed umanista. L’immenso senso di delusione che prova verso il mondo che lo circonda assume una dimensione significativa in “Bianca” (1984). Il mondo rappresentato nel film fin dall’inizio è caratterizzato da una distorsione grottesca: Apicella è un professore di matematica in un liceo che prende il nome da Marilyn Monroe. Durante le lezioni di storia si parla del personaggio Gino Paoli e si analizza la genesi del suo celebre brano “Il cielo in una stanza”, nelle sale invece dei ritratti di storici personaggi illustri, sono appese foto dei giocatori della Juventus (incluso il portiere Dino Zoff). È difficile trovare almeno un insegnante che non avesse bisogno dell’aiuto di uno psicoterapeuta in questo “istituto sperimentale”.

Il titolo del film si riferisce al nome dell’amata del protagonista, con il quale l’uomo non è in grado di stabilire una relazione emotiva piena e soddisfacente e alla fine la rifiuta. L’interesse iniziale e l’euforia associati alla figura della bella donna (interpretata da Laura Morante), si trasformano in un’altra crisi esistenziale di Apicella. Ciò è pienamente espresso in una delle scene più iconiche dell’intera opera di Moretti, in cui l’alter ego nudo e febbrile del regista sublima la sua “sofferenza Werteriana” … nel mezzo della notte mangiando nutella da un vassoio gigantesco.

In “Bianca” Moretti gioca con gli schemi delle storie criminali cinematografiche. Il nevrotico e ossessionato Apicella osserva di nascosto i suoi vicini, proprio come James Stewart in “Finestra sul cortile” (Rear Window, 1954), e nei dintorni del quartiere del protagonista vari omicidi diventano sempre più frequenti. A differenza del famoso eroe di Hitchcock, il personaggio interpretato dal cineasta italiano è piuttosto un “detective alla rovescia” che solo nel finale dell’opera mostra agli spettatori il suo volto vero e pericoloso.

Il mondo di Michele è uno spazio caratterizzato da provocazioni, metafore e idee ormai decadute; un luogo in cui la capacità di pensare razionalmente scompare e in cui è difficile costruire una “narrativa di vita” coerente. Apicella presenta allo stesso tempo “una crisi di distanza” verso l’ambiente o con troppa riservatezza o con la sua completa mancanza. Il protagonista si trasforma quindi in una sorta di moderno Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento spinti dalle assurdità della realtà italiana della fine degli anni ’80, in cui (quasi) tutti – coloro che vogliono dimenticare l’ultimo decennio di terrorismo e degli “anni di piombo” [2] – cade facilmente nell’egoismo, nell’auto-adorazione o addirittura in una letale spensieratezza.

[1] L’unico film di questo periodo in cui Moretti non recita direttamente un’incarnazione di Michele Apicella è “La messa è finita” (1985). Il regista indossa i panni di don Giulio – un giovane prete idealista che cerca in tutti i modi di suscitare la fede nei suoi parenti e amici e che finisce – come spesso accade nell’ottica dello sguardo morrettiano – con un fiasco. Si potrebbe anche difendere la tesi secondo la quale Giulio sia in qualche modo “imparentato” con Apicella anche se non gli viene attribuito il suo nome.

[2] Gli “Anni di piombo” vengono simbolicamente datati dalla strage di Piazza Fontana a Milano (12.12.1969), fino al sequestro e poi al tragico assassinio di Aldo Moro (09.05.1978).

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Diana Dąbrowska

FINCHÈ C’È CINEMA, C’È SPERANZA è una serie di saggi dedicati alla cinematografia italiana – le sue tendenze, opere e autori principali, ma anche meno conosciuti – scritta da Diana Dąbrowska, esperta di cinema, organizzatrice di numerosi eventi e festival, animatrice socioculturale, per molti anni docente di Italianistica all’Università di Łódź. Vincitrice del Premio Letterario Leopold Staff (2018) per la promozione della cultura italiana con particolare attenzione al cinema. Nel 2019, è stata nominata per il premio del Polish Film Institute (Istituto Polacco d’Arte Cinematografica) nella categoria “critica cinematografica”, vincitrice del terzo posto nel prestigioso concorso per il premio Krzysztof Mętrak per giovani critici cinematografici.