Stessi doveri, diversi diritti. La mancata integrazione dei sistemi pensionistici europei

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Omar Jaber

I sistemi di welfare europei, nell’ultimo trentennio, sono stati al centro di numerose critiche, in cui si evidenziavano la necessità di riforme volte a ridefinire gli ambiti di applicazione e a garantire la sostenibilità finanziaria di lungo periodo degli Stati membri. Negli ultimi anni, gli stati sociali europei sono stati soggetti a pressioni di vario tipo che hanno determinato, da un lato, un crescente scollamento tra i nuovi bisogni/rischi che richiedono protezione e le tutele garantite dai programmi esistenti e, dall’altro, una lievitazione dei costi di finanziamento dei programmi di spesa. In particolare, la crisi dei sistemi di welfare ha colpito soprattutto i sistemi pensionistici, non solo relativamente all’insufficienza delle risorse disponibili, configurandosi quindi come una crisi di natura economica e finanziaria, ma anche relativamente alla sfera sociale e politica, minando gli obiettivi che ciascun modello di welfare state intende realizzare. Guardando i sistemi pensionistici in un’ottica multi pilastro, dove il primo è a gestione pubblica volto a garantire pensioni minime contro il rischio povertà, il secondo a gestione mista e costituito principalmente dai fondi pensione di natura collettiva, e il terzo è costituito dai piani pensionistici personali di natura interamente privata, il legislatore Europeo sembra avere un più ampio margine d’intervento per il secondo pilastro, soprattutto per il ruolo sempre più importante che i fondi pensione rivestono all’interno dei mercati economici e finanziari dei singoli Stati membri.

Sebbene le riforme degli anni ‘90 sembrino aver omogeneizzato la previdenza di secondo pilastro nei vari paesi per quanto riguarda il metodo di finanziamento e per il tipo di tasse, si riscontrano notevoli differenze riguardo i tassi di adesione e le dimensioni del capitale dei fondi. I paesi tradizionalmente all’avanguardia per lo sviluppo della previdenza di secondo pilastro, su tutti Olanda, Danimarca e Regno Unito, hanno tassi d’adesione alti e i fondi hanno capitali molto elevati, in alcuni casi addirittura superano il PIL del paese. Questo elemento porta molta stabilità ai fondi e ai mercati finanziari in generale, permettendo così investimenti a basso rischio e soprattutto maggiore trasparenza per gli aderenti e una forte consapevolezza riguardo la convenienza ad aderire a questo tipo di risparmio previdenziale. Nei paesi dove questa previdenza si è sviluppata a livello normativo in ritardo, nell’Europa “Occidentale” su tutti Italia e Spagna, le adesioni sono ancora molto basse, per non parlare delle dimensioni dei capitali dei fondi. Inoltre i mercati finanziari in questi paesi hanno risentito della recente crisi in maniera forte, soprattutto in Spagna dove la bolla immobiliare pre-crisi ha accentuato ulteriormente l’effetto negativo sui mercati finanziari e non.

L’intervento Europeo negli ultimi anni non è stato sufficiente ad arginare l’imponente crisi del settore pensionistico. Strumenti quali “il metodo del coordinamento aperto”, “il libro verde” e  “il libro bianco” sulle pensioni, non hanno permesso di raggiungere gli obiettivi prefissati come: lo sviluppo di sistemi pensionistici sostenibili dal punto di vista finanziario e che elargissero prestazioni adeguate al fine di combattere la povertà della popolazione pensionata. Tra le cause principali di questo fallimento ricordiamo la mancata “forza normativa” di tali atti dovuta principalmente dall’angustiante situazione in cui si trovano le istituzioni comunitarie, ovvero la salvaguardia del principio fondamentale della sussidiarietà che lascia ampia, quasi totale, discrezionalità agli Stati membri in ambito pensionistico da un lato, e dall’altro dover risolvere problemi considerati più rilevanti come l’invecchiamento demografico, la disoccupazione e in generale le inefficienze del mercato del lavoro.

Ora, l’omogeneizzazione dei fondi pensione potrebbe essere il tassello mancante per perfezionare ed accelerare l’integrazione economica e finanziaria tra gli Stati membri in corso da diversi decenni. Forse, è arrivato il momento di osare, magari attraverso la creazione di fondi pensione europei che garantiscano le stesse regole di funzionamento e le stesse modalità di adesione nei diversi Stati membri in maniera tale da favorire l’utilizzo di uno strumento unico, capace perfino di integrare e migliorare il mercato finanziario comune e di attenuare le inefficienze dei mercati del lavoro dei singoli stati.} else {