Tomasz Orłowski: “l’Italia è parte della nostra cultura”

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“Ogni polacco in fondo si sente un po’ italiano”, esordisce così Tomasz Orłowski, ambasciatore polacco a Roma, sottolineando l’importanza del Bel Paese nella cultura polacca. “Il latino, la storia di Roma antica e poi il Rinascimento sono studiati in Polonia. L’Italia nei secoli e in tutte le sue diverse sfaccettature è arrivata nel nostro Paese influenzandolo profondamente. A stimolare questa osmosi culturale, al di là di Bona Sforza, hanno giocato un ruolo fondamentale i tanti polacchi, Copernico, Kochanowski, Zamoyski, solo per citarne alcuni, che nei secoli hanno studiato a Bologna, Padova, Roma riportando poi in patria usi e costumi italiani che poi sono entrati a far parte del retaggio comune dei polacchi. E ancora la religione, l’architettura. Per esempio uno va al Wawel a Cracovia, santuario nazionale della Polonia, guarda la cappella di Sigismondo e trova il più bell’esempio di Rinascimento toscano nel nord Europa, di Bartolomeo Berrecci.”

Oggi lei è ambasciatore in Italia di un Paese che però da tempo ha di che vantarsi grazie all’economia che marcia spedita.

Sì, c’è da essere fieri di questa evoluzione polacca. Abbiamo una robusta economia che ha saputo restare in segno positivo anche durante la brutta recessione che ha colpito l’Europa. Uno sviluppo che da un lato sta offrendo lavoro in Polonia a tanti professionisti italiani e che da un altro lato vede oggi aziende polacche esportare in Italia prodotti di qualità. Diciamo che il rapporto commerciale è un po’ più equilibrato rispetto a qualche tempo fa, ed infatti se è vero che noi compriamo il Pendolino voi comprate tanti treni Pesa.

Polonia, Italia, Europa, tante connessioni ma anche altrettante contraddizioni.

Paradossalmente Italia e Polonia avevano un maggior feeling prima d’entrare nell’Unione Europea. Da secoli l’approccio culturale e sociale tra i nostri due paesi è sempre stato intenso e amichevole. Avete accolto benissimo Karol Wojtyła, primo papa non italiano dopo 450 anni, così come forti sono stati i contatti tra i due paesi anche durante il comunismo, sia da un punto di vista artistico-culturale che economico grazie anche alla Fiat. Poi l’entrata nell’Unione Europea ci ha allontanati.

In un’intervista il cardinale Dziwisz ha dichiarato che questa Europa per funzionare ha bisogno di una maggiore influenza italo-polacca. È d’accordo?

Sì, soprattutto se penso al valore della famiglia come cellula su cui costruire una società coesa. E poi non si è ancora capito il valore fondamentale della famiglia anche in campo economico. I piccoli imprenditori sono soprattutto imprese familiari motori di innovazione e sviluppo, forme sociali importanti in Italia e Polonia che l’Europa dovrebbe maggiormente tutelare e promuovere.

La Polonia sembra mantenere un rapporto complesso con l’Europa, da un lato primo paese nel beneficiare di contributi europei, dall’altra abbastanza diffidente verso Bruxelles.

L’Europa non regala soldi. Se la Polonia è tra i maggiori beneficiari di contributi significa che è in grado di presentare business plan credibili che poi ha dimostrato anche di saper realizzare, il che significa avere capacità di progettare ad ampio respiro, forza industriale, e servizi all’altezza. Siamo entrati in Europa con enormi ritardi strutturali rispetto la maggior parte dei Paesi. La Polonia era praticamente priva di autostrade e ora abbiamo una rete che è già quasi pari a quella della Gran Bretagna e nel 2020 speriamo una rete lunga quanto quella spagnola. Siamo ben felici di essere parte dell’Unione Europea e non auspichiamo alcun ritorno agli iper-Stati nazionalisti di anni fa. Però è evidente che oggi l’Europa paga una debolezza di leadership che si riflette nell’incapacità di dare risposte a problemi concreti. Economicamente l’euro è in crisi da 8 anni e non si intravvede quando ne uscirà, inoltre sull’altare della libera concorrenza abbiamo sacrificato tante realtà industriali che avevano dei contributi nazionali, in Polonia abbiamo perso i cantieri di Danzica e con loro migliaia di posti di lavoro. Politicamente l’Europa mostra di non saper reagire in modo univoco e in tempo reale ai problemi di politica estera mentre c’è anche da gestire la drammatica montante onda migratoria. Per esempio la mera accoglienza dei profughi non è sufficiente, bisogna proteggere le frontiere, e intendo quelle dell’Europa non solo della Polonia. Ma se l’Europa si mostra come elefantiaca macchina burocratica non in grado di affrontare le emergenze sarà inevitabile che i cittadini chiederanno sempre più sicurezza ciascuno al proprio stato nazionale.

Intanto la Polonia, grazie anche all’Europa, è diventata un Paese molto attraente non solo per investire ma anche per viverci, la qualità della vita nelle maggiori città polacche è ottima.

Vero, e addirittura in tante città come Wrocław, Danzica, Poznań si vive addirittura meglio che a Varsavia. Il nostro paese sta cambiando tanto e velocemente, ci stiamo dotando delle infrastrutture necessarie per ospitare grandi appuntamenti che, come ha dimostrato Euro 2012 di calcio, siamo in grado di gestire positivamente. Ora nel 2016 abbiamo un calendario ricco di eventi internazionali, tra cui la Giornata della Gioventù a Cracovia e il vertice NATO a Varsavia, mentre Wrocław vive il suo anno di capitale europea della cultura.

Lei è stato ambasciatore a Parigi e a Roma, dove si vive meglio?

Domanda impossibile! Sono le due capitali incontrastate della cultura occidentale. Parigi è la città lumiere, ma fu costruita prendendo ad esempio Roma che è la città eterna. Io posso dire che mi trovo bene in entrambe le città, poi naturalmente in Italia c’è il valore aggiunto della migliore e più aperta interazione tra italiani e polacchi.

Belle parole, grazie! E grazie anche per l’intervista.

Grazie a Voi e lasciatemi dire che con la vostra Gazzetta Italia state facendo un lavoro straordinario di comunicazione tra i nostri due paesi. Attraverso questa intervista colgo anche l’occasione per mandare un saluto alla bella e grande comunità italiana che vive in Polonia.