Zanussi, il regista dell’inquietudine morale

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È possibile che Krzysztof Zanussi sia il più italiano tra i registi polacchi. E proprio dell’Italia, delle sue radici, di Federico Fellini che ha avuto occasione di incontrare, della condizione dell’Europa e della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia a cui ha partecipato, parliamo con il maestro del cinema dell’inquietudine morale che nel 2018 ha ricevuto il Premio Gazzetta Italia.

Prima di passare alla nostra conversazione facciamo una sintesi del cinema di Krzysztof Zanussi che tante volte ha avuto modo di connettersi a quello italiano. Il cinema che approda al Lido per la Mostra del Cinema di Venezia, viene ampiamente trattato già da qualche numero della nostra rivista. Tutto è iniziato dalla pellicola “Contratto”, del 1980, proiettata fuori concorso e premiata dalla Giuria del premio cattolico internazionale (Ocic) e da un riconoscimento speciale: la segnalazione Cinema for UNICEF. Il film tratta della cerimonia di matrimonio tra la figlia di un funzionario comunista e il figlio di un cardiochirurgo corrotto, durante la quale la sposa scappa davanti all’altare. Il regista ha ottenuto il premio Ocic anche nell’anno successivo per “Da un paese lontano”, il primo fi lm che conteneva gli archivi della vita di papa Giovanni Paolo II. In seguito Zanussi ha partecipato al Concorso principale della Mostra con i fi lm “Imperativo”, “Persona non grata” e “L’anno del sole quieto”. Quest’ultimo è l’unico fi lm polacco premiato con il Leone d’Oro. Era il 1984, la 41a edizione durante la quale il presidente era Michelangelo Antonioni, mentre Paolo e Vittorio Taviani, Isaac Bashevis Singer, Rafael Alberti e anche Günter Grass facevano parte della giuria. La pellicola narra una storia d’amore che si è rivelata impossibile da soddisfare. Il racconto è ambientato nella realtà del dopoguerra dove si incontrano due giovani: un americano ex-detenuto di un campo di concentramento e una polacca, vedova e proprietaria terriera. Vale la pena menzionare che oltre ad aver ricevuto premi, Zanussi ha girato film in Italia, per esempio “Il sole nero”, del 2007, in cui Valeria Golino, una stella del cinema italiano, interpreta il personaggio di Agata che si è innamorata reciprocamente di Manfredi (Lorenzo Balducci). Tuttavia, la loro felicità è brutalmente interrotta dalla morte dell’uomo. E anche se non tutti concordano con le opinioni e le visioni di Zanussi sui temi attuali, nessuno può negare che il regista abbia introdotto nel cinema polacco ed europeo il dialogo e il pensiero come forma di sentimento come ci danno conferma i vari premi ottenuti. Il pensiero che sfuma nei vapori dell’assurdo della nuova generazione che dimentica di farsi domande essenziali come invece fanno i personaggi di Zanussi.

Non tutti sanno che le sue origini sono italiane.

La mia famiglia si è polonizzata nella terza generazione. Il cognome Zanussi viene dall’Italia, da una famiglia di architetti e costruttori. Capita di trovare ancora persone che vorrebbero domandarmi se ho qualcosa a che fare con l’omonima azienda di frigoriferi e lavatrici. Sì, si tratta di questa famiglia Zanussi. Li ho conosciuti da giovane. La famiglia italiana mi fece un’ottima impressione. Possedevano un aereo privato, palazzi nobiliari di cui mi consegnavano le chiavi. Io invece non potevo far colpo su di loro solo con il fatto che giravo film che venivano proiettati anche in Italia.

Non si può parlare della Biennale di Venezia senza parlare dell’opera di Krzysztof Zanussi. Ha partecipato ripetutamente al Festival, vincendo due volte il Leone d’Oro per i film “Contratto” e “L’anno del sole quieto”.

È un luogo di importanza eccezionale per me, e sono i due premi più significativi che io abbia ricevuto, ma molto prima ho partecipato anche con il film “La morte del padre provinciale”. Era il 1965, ma ero assente al Festival. Solo più tardi mi hanno trasmesso il premio per uno dei miei cortometraggi più importanti che trattava di un giovane storico dell’arte che ha intrapreso un lavoro di restauro in un monastero.

E la famiglia italiana come ha accolto la notizia del suo successo?

Dobbiamo tornare indietro ai tempi della mia infanzia, più precisamente nella biblioteca dei miei genitori. Una volta, mio padre mi ha mostrato uno scaffale con i libri che potevo leggere e ha indicato anche dove si trovavano i libri per gli adulti. Ho preso immediatamente quelli proibiti e mi sono subito trovato Balzac tra le mani. Nei suoi libri è sempre presente il personaggio del cugino povero proveniente dalla provincia. Io sono andato da quegli Zanussi leggendari provenendo dalla realtà comunista, con 5 dollari in tasca. Li ho visti per la prima volta e loro mi hanno accolto con piacere, ma io, dopo questa lettura proibita, sapevo già come mi sarei sentito toccando la maniglia della porta o sedendomi a tavola, come mi sarei sentito perso.

La partecipazione al Festival di Venezia non è stata di aiuto?

Alla proiezione di “Imperativo” era presente mio cugino Guido e in sala c’erano anche Federico Fellini e il Presidente del Consiglio di quei tempi. Ed io ero molto fiero di far sedere mio cugino, della famiglia Zanussi, accanto a persone così importanti e influenti. Era il massimo che potevo fare. Il film ha raccolto ovazioni, tutti si sono alzati, il pubblico, in questo modo, ha fatto capire che non comprendeva la ragione per cui la pellicola non era stata inclusa nel concorso principale, che quell’anno era abbastanza scadente. Dopo la proiezione sono uscito dalla sala galvanizzato per questa dimostrazione di apprezzamento. Sentivo di aver provato a me stesso e ai miei cugini italiani che ero bravo in qualcosa, che avevo ottenuto molto e che con certezza avevo guadagnato molto ai loro occhi. Niente di più falso.

Non ha fatto impressione su di loro?

Mio cugino, che proveniva dalla generazione di mio padre, dopo la proiezione mi ha chiesto solo dove saremmo andati a cenare, che cosa avremmo mangiato e quale vino sarebbe stato più adatto al cibo. Proprio allora ho capito che non l’avrei mai impressionato. La cena era fantastica, la conversazione non aveva fine, ma abbiamo parlato di tutto meno che dell’ottima accoglienza del mio film al Festival di Venezia. Il giorno dopo, in albergo, andando a fare colazione, Guido mi ha salutato, molto sorpreso, con un’esclamazione: “Krzysztof quanto sei famoso, quanto successo hai ottenuto!”. Gli ho risposto che anche lui era presente in quella sala e che aveva visto l’ovazione per me e lui mi ha risposto che ogni volta che entrava nella sua fabbrica tutti gli operai lo salutavano e applaudivano. La standing ovation per lui non era niente di particolare. Invece si è reso conto del successo al mattino dopo, vedendo che il cognome Zanussi era apparso su tutti i giornali, in alcuni persino in prima pagina. Mi ha chiesto se mi rendevo conto di quanto costasse far apparire un articolo su Repubblica, e quale grande pubblicità fosse per il nostro cognome. Ha aggiunto solo che il costo era altissimo. In quel momento ho scorto l’ammirazione nei suoi occhi, e questo fatto è stato molto importante per un ragazzo insicuro, come ero al tempo.

Lei mantiene il contatto con la famiglia oggi?

Adesso ci incontriamo raramente. Il cugino Guido è morto, è rimasta la generazione della mia età. Sono riunioni famigliari molto piacevoli, spesso scherzose, anche un po’ sarcastiche. Loro sono sorpresi del fatto che io lavori ancora e pure tanto, facendo un film dietro l’altro e io gli rispondo chiedendo come si possa vivere come loro, non facendo nulla, non lavorando, esistenza che mi sembra incredibilmente noiosa.

E quali ricordi la legano a Federico Fellini?

Mi ricordo una volta quando con Andrzej Wajda gli abbiamo fatto visita e dopo l’incontro lui ci ha accompagnato alla porta. Gli avevamo raccontato di come il Comitato Centrale interferisse nei nostri film, di come la censura controllasse quello di cui volevamo parlare. E Federico ci rispose, riferendosi ai suoi film, che avrebbe voluto che il Governo italiano dedicasse del tempo a capire quello che lui raccontava nelle sue opere.

FOT. RAFAEL POSCHMANN / 2018.06.12 – Premio Gazzetta Italia 2018

Quale significato ha avuto il cinema italiano nel suo lavoro di regista?

Immenso, ma non mi è mai piaciuto il neorealismo italiano. Spesso guardavo molto attentamente l’immagine dell’Italia del dopoguerra che veniva mostrata in questi film e la prendevo come verità. Oggi, so che era solo una creazione. È stata un’epoca in cui in Italia tante persone sono riuscite a fare carriera. Per quanto riguarda i registi sicuramente ho amato Fellini, le sue opere, in particolare quelle dopo “La Strada”. Per me era un autore che creava film incredibilmente belli. Guardando i suoi lavori a colori ho capito che i miei sogni sono solo in bianco e nero. E poi ci sono i classici: Visconti, Antonioni e Pasolini, ma in realtà solo Teorema.

Se il neorealismo era una creazione, dov’era allora la verità?

Considero il romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, sulla cui base Visconti ha realizzato il suo film più importante, come uno dei libri più significativi nella storia dell’umanità. È un grande tesoro dell’arte italiana, del patrimonio e dell’identità. E nello stesso tempo è il racconto del declino dei valori, dell’autorità e della moralità.

E adesso che cosa minaccia l’Europa?

Nel momento in cui tutti parlavano dei pericoli di una guerra atomica o batteriologica, io ho sentito dire che per noi, come civiltà occidentale, il pericolo maggiore è il fatto che stiamo perdendo la voglia di vivere. Questo riguarda tutta la natura. Se qualcosa vuole vivere vive, ma quando smette di voler vivere muore. E io adesso vedo nell’Europa i segni preoccupanti della morte. Questo processo era cominciato nel passato, tutto è crollato cento anni fa, dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Non ci sono più le tracce dell’Europa dell’Ottocento. Se capissimo veramente quali sono i drammi che incombono sulla nostra società allora cominceremo a preoccuparci di risolvere innanzitutto i problemi dei migranti che prima o poi ci spingeranno fuori dalla nostra oasi di lusso e sicurezza perché non siamo pronti per andargli incontro e condividere con loro quello che dovremmo. Se oggi investissimo nel portare acqua nel deserto del Sahara, il problema ecologico e anche quello dei milioni di africani che vogliono venire in Europa, a volte cominciando dall’Italia, in un certo senso sarebbe risolto. Ma dov’è il politico che prende questa iniziativa? C’è bisogno di una persona come Ghandi, un uomo puro, senza interessi nascosti.

E il cosiddetto “politically correct” non è una trappola, ovvero un mezzo per toglierci la nostra libertà?

Ma certo che lo è! La correttezza politica presume che non si possa raffrontare nulla, che tutto sia imparagonabile ad altro. Oggi “diversità” è uno slogan molto popolare, ma questo offusca la domanda: che cosa è meglio? Oggi ci sono tre elementi che dominano la vita, tra l’altro molto visibili nell’identità italiana: sport, arte e scienza. Non è possibile mettere il segno uguale tra questi ambiti, dividerli in migliori e peggiori. Adesso l’uguaglianza viene confusa con il motto della Rivoluzione francese. La carenza dell’autorità è una delle ragioni di questa caduta. L’illuminismo è fi nito con la prima guerra mondiale e ora purtroppo viviamo in una sorta di isteria globale senza capire che dobbiamo innanzitutto riportare la società a correre su dei binari diversi e poi renderci conto che il paradiso in terra non può esistere.

Ma per le persone che oggi arrivano in Europa, come quelle naufragate nel 2012 al largo di Lampedusa o quelle che sono accampate al confi ne polacco-bielorusso, l’Europa resta un paradiso.

Queste persone vogliono potersi riscaldare, mangiare e sentirsi libere, ovvero senza l’ansia che qualcuno gli possa sparare. Sono gli stessi sogni che la gente aveva nell’Ottocento quando lottava contro la fame e le altre diffi coltà. E noi tutto questo l’abbiamo ottenuto. Ma oggi abbiamo bisogno di un altro sogno, necessario per andare avanti, invece di tornare indietro. Per un lungo periodo abbiamo cercato di vivere e realizzare il sogno americano e abbiamo dimenticato che anche qui in Europa siamo in grado di sviluppare desideri, sogni e obiettivi. E adesso qualcuno viene per quello che è nostro e quello che gli manca e noi non abbiamo il diritto di mettere la mitragliatrici sulle coste di Lampedusa e proibire a qualcuno di riscaldarsi e nutrirsi. Abbiamo dimenticato i sogni e l’immaginazione.

traduzione it: Milena Lachendro