Luigi Pagano: “L’ispirazione è il divino, è Dio che tira fuori l’arte. Noi siamo solo dei mezzi.”

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Musicista, anima zingara, napoletano, così si definisce il cantautore italiano Luigi Pagano. Il suo spirito vagabondo, curioso del mondo, lo ha portato nel corso della vita in diverse lontane regioni, soprattutto del Medio Oriente, dove ha cantato per più di 20 anni nei jazz club. Attualmente Luigi è residente in Polonia, terra madre di sua moglie, un paese a cui ha subito sentito di appartenere e dove ora, con la sua musica, incanta il pubblico polacco.

“Amo l’originalità. Tutti quanti possiamo fare musica, ma quanti di noi sono veramente originali? Per non essere una meteora che passa, brilla e sparisce bisogna avere una base forte, studio, disciplina, talento e ispirazione.”

K.R.: Come è nato il tuo amore per la musica?

L.P.: Nella mia famiglia quasi tutti hanno una grande passione per la musica. Però il ruolo più importante lo ha giocato mio fratello, più grande di me di dieci anni, che ascoltava ai suoi tempi gruppi come Pink Floyd e Deep Purple. Io ero più attratto dal jazz e per questo motivo ho deciso di studiarlo. Il mio idolo è stato Frank Sinatra. Non ricordo esattamente nè quando è nato il mio amore per la musica, nè quando ho preso per la prima volta una chitarra in mano, come un bambino che non riesce a richiamare alla memoria il momento in cui ha cominciato a parlare. 

Possiamo dire che suoni “da sempre”?

Esatto. Già a 15 o 16 anni ho cominciato a occuparmi professionalmente della musica. Suonavo durante le feste a Napoli, addirittura ero minorenne quando ho fatto il primo contratto in Svizzera. Però grazie al fatto che lavoravo con un pianista di una certa età e alla firma di mio padre sono riuscito a suonare fino all’una di notte. Era un periodo in cui studiavo e suonavo. Poi quando mi sono diplomato il mio maestro dell’accademia mi ha detto “sei pronto per fare una bella esperienza all’estero” e mi ha dato un numero di telefono. Ho telefonato e mandato una cassetta ad un impresario di Milano e dopo una settimana ho ottenuto un contratto in Oman. Lì ho conosciuto mia moglie Agnieszka. Lei allora cantava con la band del mio bassista, Mirek Trębski. Con mia moglie abbiamo formato un duo, suonando per 20 anni negli alberghi e in TV tra Dubai, Maldive, Kuwait, Austria, Svizzera. 

Quando avete deciso di trasferirvi in Polonia?

Per la prima volta sono venuto in Polonia 20 anni fa ed ho avvertito come un flash back, un’impressione di déjà vu. Ho sentito subito di appartenere alla Polonia, percepivo un certo richiamo verso questo paese e ho deciso di costruire la casa dove viviamo oggi. Possiamo dire che è stata mia la decisione di venire a vivere qui, e finora non ho rimpianti. Ormai siamo fissi in Polonia da 4 anni. A dire il vero volevamo venire in Polonia per “andare in pensione”, per fermarci un po’, crescere il nostro bambino. Anzi, volevo aprire un ristorante! 

Però il destino è stato più forte e continui a dare i concerti. Com’è iniziata la tua carriera nel mondo della musica qui in Polonia?

La musica da sempre era un uragano che mi attirava. Un giorno una grande azienda di Varsavia che vendeva ceramiche ha organizzato un banchetto ed il proprietario voleva assolutamente che io cantassi. Ci ho pensato prima di accettare la proposta perché non ho mai cantato per fare soldi o per fare carriera, semplicemente amo farlo. Al banchetto era presente anche un mio ex chitarrista che è un grande amico di Robert Janowski che allora conduceva lo show “Jaka to melodia?”. Janowski dopo avermi sentito mi invita a casa per farmi cantare una serenata per sua moglie per San Valentino. Nei giorni successivi è venuto anche a sentire uno dei miei concerti e dopo lo spettacolo mi ha preso a parte e ha detto: “Farei di tutto per portarti nel programma Jaka to melodia!”. Da allora ho formato una band acustica con la quale giro la Polonia. Cantiamo soprattutto le canzoni napoletane e le mie composizioni. Se c’è bisogno faccio anche “wloskie przeboje”, le canzoni italiane che i polacchi conoscono. Però io sono un napoletano e vado in giro con il mio “essere napoletano”. E questa testardaggine artistica mi sta premiando perché faccio molti concerti, anche nella televisione polacca (Wielki Test, Dzień dobry TVN). Ho appena registrato il mio primo CD da cantautore.

Tra le tue collaborazioni in Polonia quale consideri la più importante? 

Qualche anno fa, durante il Campionato europeo di calcio a Parigi, mentre ero a pranzo con l’allenatore Nawałka è nata l’idea di scrivere una canzone per la nazionale polacca. Ho scritto un brano intitolato Polska, la traduzione in polacco è stata fatta da Paolo Cozza con cui l’ho cantata. È una canzone molto patriottica anche se è stata scritta da un italiano. Inoltre, ho cantato al Teatr Palladium con Halina Benedyk in occasione del concerto di beneficenza per le vittime del terremoto di Amatrice. Se parliamo di duetti con i polacchi, la prima nel mio cuore e nei miei pensieri è Izabela Trojanowska. Ci siamo conosciuti  durante una conferenza stampa nel corso del festival di Lublino, Europejski Festiwal Smaku (2017), dove c’erano anche Stefano Terrazzino, Al Bano e Romina Power e Drupi. Abbiamo registrato due canzoni, Mambo italiano e Amore, e devo dire la verità, Izabela canta in italiano meglio di un italiano. È fantastica! Anche adesso ci capita di fare concerti insieme. 

Come mai ai polacchi piace così tanto la musica italiana?

Una volta ero in un ristorante al centro di Varsavia con Stanislaw Sojka, che ho conosciuto durante uno dei miei concerti in uno dei locali che lui frequenta spesso. E quella volta al ristorante ha detto una cosa che ritengo giusta: “voi italiani siete maestri nel combinare armonia e melodia. Anche tramite gli accordi strani, riuscite ad ottenere una linea melodica molto bella”. Infatti i polacchi amano la melodia. E non sono d’accordo con chi dice che i polacchi vogliono sentire solamente “włoskie przeboje”. I polacchi vogliono una buona musica. La maggior parte di voi è cresciuta con almeno uno strumento in famiglia. I polacchi non fanno differenza fra la canzoni napoletane e italiane. Per loro il napoletano è l’italiano, gli fa piacere ascoltarlo.

Ti definiresti artista-cantante?

Prima di tutto non mi ritengo un cantante, piuttosto un musicista. Mi piace stare vicino al pubblico e respirare le emozioni della gente. Per questo motivo amo esibirmi nei club privati, locali piccoli dove viene la gente che ti dà soddisfazione perché ti conosce, ti segue e le piace quello che fai. I miei sono ritmi zingari, compongo canzoni napoletane ma con un tocco zingaro, mediterraneo. Amo il deserto, verso cui provo un amore quasi paragonabile alla mia Napoli. Non amo molto le città grandi. Infatti tutte le volte che faccio un concerto in qualche città polacca poi torno sempre a casa, anche se mi danno una stanza in albergo. Ho un’anima molto vagabonda però ad un certo punto della vita arriva un momento in cui si preferisce semplicemente tornare a casa. Trovo ispirazione e pace solo nel deserto oppure davanti al mare o in campagna. Ma in fondo credo che non siamo noi che abbiamo l’ispirazione. L’ispirazione è il divino, è Dio che entra in una persona e tira fuori l’arte. Noi siamo solo dei mezzi. 

foto: Gosia i Jacek Klepaczka