Nutella, l’irresistibile dolcezza italiana

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Da quell’aprile del 1964, da quando cioè esce il primo barattolo di Nutella dalle linee della Ferrero, ad Alba, in provincia di Cuneo, le merende per i bambini non sarebbero state mai più le stesse.

I Ferrero – Pietro prima e Michele poi – inseguono dagli anni Venti l’obiettivo di creare una merenda al cioccolato e a basso prezzo da mangiare assieme al pane.

All’inizio Pietro Ferrero non si rivolge ai bambini, bensì agli operai. Il fondatore della dinastia industriale si era spostato dalle natie Langhe a Torino dove aveva aperto una bottega di pasticcere. Vede gli operai che vanno a lavorare in fabbrica portando con sé del pane da consumare assieme a pomodori e formaggio. Pensa che se fosse riuscito a fornire a quegli operai qualcosa di dolce e a basso prezzo da mangiare assieme al pane, avrebbe fatto tombola. In Piemonte al tempo esiste già una specie di cioccolato autarchico, fatto con poco cacao e molte nocciole tritate fino a essere ridotte in polvere: il gianduia. Pietro Ferrero comincia a lavorarci sopra e nel 1925 mette a punto il cosiddetto “pastone”, una sorta di nonno della Nutella. Si tratta di una pasta al cioccolato e nocciole, ottima da mangiare assieme al pane. Naturalmente, oltre che dagli operai, viene subito apprezzata anche dai bambini e proprio i più piccoli diventano l’obiettivo di Ferrero convinto che ci saranno sempre bambini a cui far fare merenda.

Arriva la guerra, Pietro chiude la bottega di Torino e si rifugia ad Alba dove continua a lavorare attorno a quel composto al cioccolato. È buono nel gusto, ma troppo duro, difficile da utilizzare. Pietro cerca la formula per ammorbidirlo. Il successo arriva a guerra finita da pochi mesi: all’inizio del 1946 ritrova su uno scaffale un dimenticato barattolo di burro di cacao. Lo aggiunge all’impasto e ottiene una pasta bella morbida, che si può fare a fette, che sa di cioccolato, ma soprattutto, che costa pochissimo. Nell’Italia stremata dalla guerra nessuno ha soldi da buttar via in dolcezze e voluttà. Gli ingredienti sono più o meno quelli odierni: zucchero, nocciole, grassi vegetali e cacao. Per il nome Pietro non ci pensa su molto: va benissimo quello del tradizionale cioccolato con le nocciole piemontese. Il Giandujot, o Pasta gianduja, arriva nei negozi nel 1946 e costa 4-5 volte meno del cioccolato tradizionale. Si tratta di una specie di marmellata solida in pani avvolti nella stagnola che si vende a peso e si taglia a fette per imbottire i panini.

Il prodotto va subito fortissimo, il successo è immediato. Il cioccolato per far merenda con il pane si vende come il pane e il problema ora, per Ferrero è tener dietro agli ordini. Lo stabilimento di Alba, da minuscolo laboratorio artigianale, si amplia sempre di più. Monsù Pietro, come tutti lo chiamano, ha un’ulteriore idea: vendere il Giandujot in confezioni monodose. Nasce così il cremino, un cioccolatino popolare ancora ai nostri giorni.

Il passo successivo è quello di rendere la pasta al cioccolato da affettabile a spalmabile. Ma non sarà Pietro a compierlo: il fondatore della Ferrero muore il 2 marzo 1949, sostituito dal figlio Michele (scomparso nel 2015). La leggenda vuole che in quella stessa estate del 1949, particolarmente calda, la pasta gianduja si sciolga e in tal modo la si possa spalmare sul pane.  

A quel punto Ferrero ritocca la formula e rende la pasta più morbida, facendo sì che si possa spalmare sempre, a prescindere dalla temperatura esterna. L’impasto non contiene più burro di cacao, bensì una miscela di oli vegetali. Come questa miscela sia composta è uno dei segreti meglio custoditi dall’azienda. I pochi che lo conoscono non possono, per contratto, abbandonare la provincia di Cuneo. E pur di non violare quel segreto, la Ferrero ha preferito perdere alcune cause legali (la più clamorosa negli Stati Uniti) basate sull’impossibilità di identificare cosa diavolo si celi all’interno di quella benedetta scritta «olî vegetali».

Il prodotto prende il nome di Supercrema e si affianca, senza sostituirlo, al Giandujot. I genitori, tuttavia, preferiscono la crema spalmabile alla pasta da tagliare a fette perché i bambini non possono più buttare le fette di pane per mangiarsi solo l’imbottitura di cioccolato, come talvolta avveniva in precedenza.

C’è anche una componente psicologica: il dolce in Italia, paese cattolico, è visto come qualcosa di peccaminoso. La Ferrero, per renderlo maggiormente accettabile, lo confeziona dentro oggetti che poi resteranno: dapprima giocattoli per i bambini e in seguito i celebri bicchieri. Il contenitore che può essere riutilizzato fornisce una giustificazione morale all’acquisto.

Il decennio Cinquanta costituisce un periodo di crescita clamorosa per la Ferrero, che apre pure uno stabilimento in Germania, ad Allendorf, 150 chilometri da Francoforte. Proprio dalla filiale tedesca verranno le spinte più forti a cambiare il nome del prodotto: Supercrema riesce ostico da pronunciare in tedesco, per non parlare di Giandujot, che è ostico pure in italiano. Inoltre, nel 1962, il parlamento italiano approva una legge che viene interpretata come un divieto di apporre prefissi accrescitivi ai nomi: niente più super, ultra, stra e poi qualcosa. La Supercrema ci ricade in pieno.

Ad Alba c’è grande fermento per trovare un nome nuovo. La rosa è ampia, si parla di SuperNut, Nutosa, Nutola, Nusty. Alla fine, però, come sempre, è Michele Ferrero in persona a decidere. E sceglie Nutella. Il nome è formato da due parti: la prima «nut» vuol dire noce in inglese, ma è facilmente identificabile anche in altre lingue. La seconda «ella» è un diminutivo femminile, che quindi comporta sentimenti positivi come tenerezza, affetto, dolcezza. Inoltre è facile da pronunciare in qualsiasi lingua.

Evidentemente la scelta è ben ponderata perché il nome viene depositato il 10 ottobre 1963. Il primo barattolo, come detto, vede la luce sei mesi più tardi. Dal 20 aprile 1964 inizia l’era della Nutella in cui ancora, ci piaccia o meno, ci ritroviamo immersi.

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Alessandro Marzo Magno

Pillole culinarie è una rubrica di approfondimento sulla storia della cucina curata dal giornalista e scrittore Alessandro Marzo Magno. Dopo essere stato per quasi un decennio il responsabile degli esteri di un settimanale nazionale, si è dedicato alla scrittura di libri di divulgazione storica, pubblicati da importanti case editrici e in alcuni casi tradotti in varie lingue. Ne ha pubblicati diciassette, uno di questi “Il genio del gusto. Come il mangiare italiano ha conquistato il mondo” ripercorre la storia delle più importanti specialità gastronomiche italiane. Partecipa a trasmissioni televisive sulla principale rete della tv pubblica italiana.