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Rapporto WEI sulla crescita economica della Polonia, tra 10 anni nel G20

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Da 9 anni il Warsaw Enterprise Institute pubblica il “Bilancio di apertura”, una diagnosi dell’economia polacca nel contesto del recupero del ritardo con i paesi più ricchi dell’Europa occidentale, in particolare la Germania. La discussione durante la presentazione delrapporto è stata guidata dal vicepresidente del Warsaw Enterprise Institute, Sebastian Stodolak. Il nono rapporto di questa serie presentato ieri, intitolato “Bilancio di apertura 2023”, mostra che la Polonia sta raggiungendo la Germania, ma il ritmo di avvicinamento è rallentato. Le stime elaborate dal prof. Krzysztof Piech dell’Università Łazarski, autore del rapporto, mostrano che, a seconda dello scenario, la Polonia raggiungerà la Germania solo a metà degli anni ’60 del XXI secolo o già prima del 2038. Entro almeno un decennio, la Polonia potrebbe unirsi al gruppo delle 20 maggiori economie del mondo (G20), a condizione che riesca a raggiungere una crescita sostenibile e superare l’1% della sua partecipazione nel PIL globale. Nel 2032 raggiungerà il Giappone. Sfortunatamente il tasso di crescita del PIL della Polonia non è più eccezionale. Nel 2022, secondo le stime del Fondo monetario internazionale (FMI), la Polonia si classificava all’88° posto a livello mondiale, anche se l’aggiornamento dei dati ha migliorato questa posizione al 63° posto. Le previsioni del FMI per quest’anno indicano che questo potrebbe essere l’anno peggiore degli ultimi 40 anni, con una crescita di appena 0,56%, che colloca la Polonia lontano dai primi posti nella classifica mondiale. Nel 2024, con una crescita prevista del 2,28%, la Polonia sarà solo al 139° posto nel mondo, un risultato considerato modesto, soprattutto nel contesto della necessità di accorciare la distanza rispetto agli altri paesi. La situazione non è facilitata, tra le altre cose, dalla guerra oltre il confine orientale e dalle tendenze economiche globali che sono lontane dalla ripresa economica. Dopo la pandemia, la Polonia ha registrato una crescita del PIL eccezionalmente elevata, dopodiché il tasso di crescita economica è diminuito fino al primo trimestre del 2023. Negli ultimi due trimestri abbiamo notato una leggera accelerazione della crescita economica, che è influenzata dalle relazioni commerciali sempre più forti tra Polonia e Germania. La Germania è il principale partner commerciale della Polonia, rappresentando quasi il 29% delle esportazioni polacche e il 21% delle importazioni. La Polonia rafforza sistematicamente la propria posizione sul mercato tedesco. Nel 2021 la Polonia è stata il quinto partner commerciale più grande della Germania, registrando un aumento del fatturato di quasi il 19% rispetto all’anno precedente. Questo fatturato è aumentato di 20 miliardi di euro nel 2022 rispetto all’anno precedente. Le importazioni e le esportazioni in rapporto al PIL non mostrano più forti tendenze al rialzo. Dal 2021, la maggior parte dei paesi dell’UE ha registrato un aumento della quota delle esportazioni sul PIL. La Polonia ha mostrato una crescita moderata, rimanendo vicina alla media UE ma inferiore a quella della maggior parte dei nuovi Stati membri (ad eccezione di Croazia e Romania). A partire dal terzo trimestre del 2022 questa quota diminuisce leggermente. Nel 2021-2022 sono state osservate tendenze in aumento delle importazioni, che indicavano un miglioramento dell’economia, ma nel 2023 questa tendenza si è indebolita (dal terzo trimestre del 2022). Il nuovo governo avrà l’opportunità di risolvere i problemi che i suoi predecessori non sono riusciti ad affrontare, ma ciò dipende dall’introduzione di riforme adeguate. Viviamo in un’epoca di grandi trasformazioni geopolitiche. Se riusciremo a rafforzare l’economia del nostro Paese, ciò ci consentirà di sfruttare la “geoconfusione” a nostro vantaggio, in modo che la Polonia passi dall’essere un importatore di decisioni sul destino dell’UE ad un esportatore di decisioni, cioè che la sua voce sulla scena internazionale diventerà la voce di un paese co-decidente.

il vicepresidente del Warsaw Enterprise Institute Sebastian Stodolak
il prof. Krzysztof Piech

Il dorato autunno polacco: intervista a Luca Palmarini

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Il professor Luca Palmarini, ligure che vive a Cracovia da più di vent’anni, è slavista, storico, scrittore, traduttore e docente del Dipartimento di Italianistica dell’Università Jagellonica. Con la sua attività educativa e le sue pubblicazioni amplia la conoscenza reciproca tra i polacchi e gli italiani, diventando un intermediario tra le due culture.

Come è iniziata la sua fascinazione per la Polonia?

È cominciata tanto tempo fa. Erano i primi anni ’90, ero un giovane studente e viaggiavo attraverso l’Europa centro-orientale, ovvero oltre l’ex cortina di ferro. A quei tempi il fenomeno dell’Interrail, cioè un solo biglietto ferroviario per tutta l’Europa, era molto popolare tra i giovani. Al contrario dei miei amici, che volevano visitare Amsterdam, Londra o altre capitali dell’Europa occidentale, io ho scelto di andare in Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia, per vedere di persona i cambiamenti epocali in atto dopo la caduta del comunismo e come la gente stava reagendo a tale situazione. Sono arrivato per la prima volta in Polonia in settembre. La prima città che ho visitato è stata Katowice, un centro urbano tipicamente industriale. Ho visto un vero “autunno dorato”, per questo tuttora associo la Polonia ai colori autunnali. Tutto era un po’ malinconico, perché stavano arrivando i primi giorni freddi. Ricordo anche un forte odore di carbone.

Come mai si è trasferito a Cracovia e ha iniziato la collaborazione con l’Università Jagellonica?

Durante il mio primo viaggio mi sono innamorato della Polonia e poi ci sono tornato ogni anno. Nel frattempo, ho iniziato i miei studi in Italia. Ho deciso di studiare slavistica, più precisamente lingue e letterature polacca e russa. Ho vinto una borsa di studio offerta dal governo polacco e ho passato alcuni mesi a Varsavia. Poi, mentre portavo a compimento la mia tesi di laurea, ho ottenuto un’altra borsa di studio e ho passato un semestre a Cracovia. Ho prolungato il mio soggiorno, mi sono laureato la tesi e ho cominciato a lavorare come insegnante di italiano. All’inizio lavoravo nell’odierno JCJ (Centro Linguistico dell’Università Jagellonica), che all’epoca si chiamava Studio per il Perfezionamento Linguistico per gli Insegnanti. Poi ho insegnato per anni presso l’Istituto Italiano di Cultura e in diverse scuole private. Solo in seguito è iniziata la mia avventura con l’Italianistica all’Università Jagellonica.

Grazie ai viaggi e agli studi slavistici, senz’altro aveva non solo la conoscenza della lingua e della cultura polacca, ma anche una certa visione della vita in Polonia. Ma c’è qualcosa che l’ha sorpresa dopo il trasferimento?  

Direi di no perché come studente di slavistica sapevo cosa mi aspettava. Però, ancora prima del trasferimento, alla fine degli anni ‘90, mi ha positivamente sorpreso l’atteggiamento della gente. Nonostante il fatto che in quegli anni la Polonia affrontava la crisi economica, i polacchi erano molto aperti e ottimisti. Mi ha colpito anche il fatto che ovunque la gente leggeva. Camminando per le strade, in particolare a Cracovia e Breslavia, ho visto tante persone che leggevano libri nei parchi o in tram. Sono stato positivamente sorpreso anche dalla grande popolarità degli scacchi. La preparazione culturale e la formazione dei polacchi mi ha impressionato molto. Vedevo quindi solo le cose positive, ma ovviamente ero e sono ancora innamorato della Polonia.

Insegna italiano agli studenti dell’Università Jagellonica e tiene corsi legati alla storia e alla cultura italiana. Cosa prova nel diffondere conoscenze sull’Italia agli studenti polacchi?

Ovviamente, Italia e Polonia sono due Paesi e due culture diverse. Spesso è difficile capire pienamente un’altra persona, anche all’interno della stessa cultura, visto che esistono microcosmi, culture regionali. Durante le lezioni vedo un forte interesse e grande simpatia per l’Italia, il che è logico nel caso degli studenti di Italianistica. La maggior parte degli studenti sa già tante cose ed è aggiornato sull’attualità italiana. Certo, uno degli scopi più importanti degli studi è imparare la lingua, però sento che gli studenti si rendono conto che la lingua da sola non basta. Sanno che bisogna conoscere la cultura per poter trasferire significati e valori da una lingua all’altra, sia parlando con un’altra persona sia traducendo un testo. Capiscono che la cultura e la lingua sono strettamente correlate, studiare Italianistica non è quindi un semplice corso di lingua.

È autore di numerose pubblicazioni, tra queste ci sono due libri a carattere divulgativo: “Polveri d’ambra”, in cui analizza le leggende dalle terre polacche, e “Nowa Huta, la città ideale”, che tratta della storia di questa città ideale socialista. Cosa l’ha ispirato a trattare questi temi?

Sono due pubblicazioni che celebrano la Polonia. È il mio modo di onorare il Paese che mi ospita. Mi sento molto bene in questo Paese e vorrei, con questi libri e con quelli su cui ora sto lavorando, contribuire a far conoscere meglio la Polonia, presentando agli italiani alcuni aspetti culturali, storici, architettonici e letterari. 

Il libro “Polveri d’ambra” raccoglie leggende delle terre polacche, aree che hanno avuto confini mutevoli e per questo sottolineo la multiculturalità della Polonia e i cambiamenti storici avvenuti nei secoli. Ovviamente non si tratta di una semplice versione italiana di alcune leggende, c’è anche un’analisi sulle loro origini. Le storie che ho scelto sono legate ai posti autentici che possiamo visitare ed esplorare più profondamente. È quindi un modo di incoraggiare i lettori a visitare la Polonia pensando alle leggende. “Polveri d’ambra” è solo l’inizio, visto che sto già raccogliendo un materiale per un altro libro dedicato a questo tema. 

 

Invito il lettore a esplorare la Polonia anche nella seconda pubblicazione, “Nowa Huta, la città ideale”. Mi interessa l’architettura, soprattutto quella del XX secolo, che purtroppo è spesso legata ai totalitarismi. Oggi in Polonia tale architettura, in parte modernista e in parte del realismo socialista, è in certa misura sgradita. Vivendo a Cracovia, ho conosciuto Nowa Huta. A mio avviso questa città è un fenomeno unico a livello mondiale. Rappresenta uno degli esempi più importanti dell’architettura del realismo socialista e allo stesso tempo una parte importante della storia dei polacchi. È una città costruita da zero, non solo per quanto riguarda l’urbanistica, ma anche socialmente. Non celebro l’architettura comunista come tale, piuttosto richiamo l’attenzione sulle persone che sono arrivate a Nowa Huta da tutta la Polonia per edificare la città e che poi hanno combattuto per la democrazia. Ricordiamo lo sciopero nel Kombinat e gli scontri contro il regime. Una città fondata dal governo comunista che poi si è ribellata contro il regime. E alla fine ha vinto!

Dice che la cosa più importante per lei sono le storie delle persone. Per raccogliere il materiale per i libri ha dovuto parlare molto con gli abitanti, anche dei momenti difficili della storia della Polonia. Che esperienza è stata?

Da quando sono arrivato in Polonia ho sempre parlato con la gente. Le persone che incontravo per strada erano spesso aperte e pronte ad aiutarmi a conoscere il loro Paese. Da un lato erano sorprese dalla mia curiosità, dall’altro fiere di ciò che mi raccontavano. Ognuna di queste persone aveva una storia unica. Mi ricordo quando all’inizio degli anni ’90 a Varsavia ho incontrato alcune persone che a quel tempo avevano già più di 80 anni e mi hanno parlato delle loro esperienze di guerra e della ricostruzione della città nel dopoguerra. Quando lavoro ad un libro la conversazione con gli abitanti è per me cruciale. Soprattutto nel caso del libro su Nowa Huta, la cui idea è nata proprio parlando con la gente della vita ai tempi del comunismo. Il punto centrale del libro è la comunità di Nowa Huta e la sua lotta contro la dittatura, quindi il dialogo con la gente è stato fondamentale per me.

Da italiano che vive in Polonia, cosa pensa delle relazioni italo-polacche?

Possiamo trovare un’infinità di esempi, nei secoli, di buone relazioni italo-polacche, e questa è un fatto che mi ha colpito profondamente; aggiungo che non sono certo l’unico ad aver notato che tra tutti i popoli slavi sono proprio i polacchi ad essere i più vicini agli italiani. Non si tratta solo del comportamento o del temperamento, ma anche dell’attività letteraria. Le differenze tra le nostre nazioni non sono così grandi come sembrano, abbiamo lingue e culture diverse ma anche tanti e forti legami storico-culturali.

Incontri con il business italiano – l’invito

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Invitiamo cordialmente per il prossimo evento della serie “Incontri con il business italiano”. Questa volta ci concentreremo sul workshop giornalistico in Polonia e in Italia, esplorando i segreti del “linguaggio giornalistico” e le metodologie di traduzione dei testi giornalistici. L’incontro avrà luogo in collaborazione con l’Istituto di Comunicazione Specialistica e Interculturale.

Sono invitati gli studenti di tutti gli anni accademici!

📆 11.01.2024
⏰ 13:00
📍 Via Dobra 55, sala 3.110, terzo piano

Carpe diem, la storia di una polacca che è andata in vacanza… e non è più tornata!

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foto: Anna Białkowska

Quando si parte per la Sicilia in auto, non si può essere sicuri di arrivare e non si sa nemmeno se si tornerà da una tale vacanza. E quindi scopriamo la storia di un viaggio pieno di sorprese: da un guasto alla macchina in Germania, a una serie di decisioni spontanee, alla gestione del vostro business online e al lavoro nelle fattorie ecologiche italiane. Si parlerà di coraggio e di ricerca della libertà, del sostegno della famiglia e degli amici e della scoperta della bellezza di una vita semplice nella campagna italiana. Anna Ewa ha condiviso con noi le sue esperienze di wwoofing e i suoi sogni di un luogo comune per i nomadi digitali. La sua storia ispira ad andare oltre la routine e a godersi la vita “giorno per giorno”.

Sei andata in vacanza… e non sei tornata! È così che dovremmo iniziare questa intervista?

È proprio così! L’anno scorso, alla fine di giugno, ho deciso di andare e tornare dalla Sicilia con la mia auto. Avevo qualche migliaio di zloty da parte, avevo preparato l’auto in modo sicuro e avevo programmato di dormire nei campeggi promettendo di tornare a settembre. Ho avvisato i miei clienti che nelle prossime settimane avrei lavorato a distanza per loro e sono partita per la Germania… senza un piano. Evviva l’avventura!

Cosa è andato “storto”?

Può essere difficile da credere, ma già nella prima settimana del mio viaggio avevo problemi con l’auto! Come potete immaginare, la battaglia con l’assistenza autorizzata tedesca è durata molte settimane e sono stata costretta ad accamparmi. A quel punto avevo già capito l’importanza dell’accesso WiFi: nel corso di un mese e mezzo avevo speso quasi 1.000 zloty solo per il roaming! Sono state settimane difficili, in cui lottavo contro la delusione e la perdita di motivazione. Tuttavia, quando l’auto era pronta, a metà agosto, ho deciso che non avrei mollato e sono partita senza un piano concreto per il mio ritorno.

E l’appartamento, la famiglia, gli amici e i clienti? Come hanno reagito?

A luglio, preoccupata per i costi e per il lungo viaggio, ho disdetto l’affitto dell’appartamento a Varsavia. Tutte le mie cose sono state impacchettate da mio fratello in un magazzino. Si potrebbe dire che questo è stato il primo passo per vivere in movimento e diventare un vero nomade digitale! Da allora, ho provato una sensazione di leggerezza e libertà e ho persino iniziato a sentirmi a mio agio con il solo bagaglio della mia auto. Ammiro molto le persone che viaggiano solo con uno zaino, ma io non sono ancora a quel punto. Avevo molta paura di parlare a mio padre dell’idea, ma quando ha visto quanto ero felice di essere fuori città, senza un piano e in pace con me stessa, è diventato per me un grande sostegno. E gli amici? Hanno sempre saputo che avevo difficoltà a stare ferma! Molti di loro hanno scritto che ero avventurosa e hanno seguito le mie avventure su Instagram. Siamo sempre in contatto. Per quanto riguarda il lavoro, ancora oggi collaboro con alcuni clienti e vengo a trovarli quando sono a Varsavia. Credo che la cosa più difficile per me non sia stata misurarmi con le aspettative degli altri, ma con le mie stesse paure, la solitudine e la risposta alla domanda: “Cosa sto facendo con la mia vita?”.

Cosa ti ha motivato all’inizio del tuo percorso?

All’epoca ero una ambasciatrice del programma Skills for Tomorrow di Google. Gli spettacoli dal vivo organizzati con me sono stati seguiti da diverse migliaia di giovani! Naturalmente, oltre al sostegno della famiglia e degli amici, sono stati questi “caffè della domenica” a darmi la motivazione più forte. Nel giro di poco tempo, sul mio profilo Instagram (glinda.molinda) c’erano giovani che si ispiravano alla mia storia: volevano imparare il marketing online e avere la possibilità di vivere una vita e avventure simili. Nel mio caso, il fattore chiave è stato che, pur avendo studiato geografia, lavoravo nel marketing da diversi anni e avevo già le competenze per gestire la mia attività anche dall’estero.

In estate hai vissuto in tenda, poi hai trovato un bnb già in Italia. Ma non è tutto?

Esattamente! Dopo essere arrivata in Italia, sono finita in un luogo dimenticato dai turisti: le pittoresche colline della Val Tidone, vicino a Piacenza. Qui ho vissuto tante avventure ed è senza dubbio materiale per un libro in stile “Mangia, prega e ama!”. Ho alloggiato in un antico bnb in pietra fino alla fine dell’anno e poi mi sono spostata in Trentino e sui monti Lessini, scegliendo ogni volta camere molto, molto economiche in bnb insoliti (350-450 euro al mese). Durante l’inverno, ho iniziato a ricordare i bei tempi della Val Tidone, quando aiutavo una famiglia italiana che avevo conosciuto qui con la vendemmia. Sempre in quel periodo, uno dei miei nuovi clienti era una coppia che gestiva un’azienda agricola di permacultura e insegnava a costruire comunità. Tutti questi temi erano sempre più con me. Volevo trascorrere le mie giornate nella natura, muovermi di più e imparare nuove abilità, ma anche avere il tempo per gestire la mia attività. È stato allora che ho deciso di diventare un wwoofer!

Cosa comporta questo lavoro e quali sono le attitudini necessarie per svolgerlo?

Si può descrivere più semplicemente come eco-volontariato. In cambio di 4-5 ore di lavoro al giorno nelle fattorie, si riceve vitto e alloggio. Tutte le eco-fattorie italiane possono essere consultate sulla piattaforma wwoof.it, basta candidarsi nella data prescelta e concordare i dettagli. Finora ho fatto quattro viaggi di volontariato di diverse settimane. Ho raccolto lavanda, dato da mangiare alle capre, piantato lattuga, lignificato pomodori, piantato un nuovo vigneto, lavato piatti in un ristorante, diserbato aiuole, innaffiato fiori, fatto creme per il corpo, liquori di ciliegie e marmellate di ribes, ma anche pulito, cucinato e, quando potevo, ho preparato “pane polacco” e fatto i pierogi! Dedicavo alla fattoria le mattine e lavoravo “per conto mio” la maggior parte dei pomeriggi e delle sere. Devo ammettere che questo non è idilliaco, soprattutto a lungo termine. La considero anche una strada accidentata e a volte difficile, ma è la migliore e più veloce per scoprire se stessi.

Qual è la cosa più speciale che hai scoperto in Italia?

Per me la cosa più importante è sempre stata conoscere la “vera” vita italiana. Vado raramente nelle grandi città ed evito consapevolmente le attrazioni turistiche. Sono stata a Milano, Venezia, Verona, Genova e Bologna, ma sono la campagna italiana e le piccole città ad avermi rubato il cuore. Non riesco ancora a fare a meno del Nord Italia! Solo a ottobre visiterò l’Umbria, come contadina che raccoglie olive! Sul mio Instagram mostro le bellezze naturali, ovviamente italiane, il cibo locale e le meraviglie turistiche, ma anche quelle di tutti i giorni, come le albe, gli edifici antichi, i negozietti o i gatti. Contrariamente a quanto pensano i miei amici, non mi sento in vacanza permanente, ma al contrario. Cerco di concentrarmi sui piaceri di una vita semplice e di notare tutti i momenti che compongono una storia colorata e autentica. Ogni giorno con gratitudine, ma non senza preoccupazioni.

Qualche consiglio per i nomadi digitali in erba?

È bene essere realisti. Non tutti i nomadi digitali lavorano da un’amaca. Pensate a voi stessi: avete bisogno di un posto dove collegare il caricabatterie, e quando lavorate per diverse ore avete bisogno di un tavolo o di una sedia. È anche importante che ci sia ombra, in modo da poter vedere tutto ciò che appare sullo schermo, e che ci sia silenzio: in una fattoria stavo lavorando a un tavolo in un ristorante, e poco prima della mia chiamata, quando avevo già sistemato la struttura e collegato tutto, il figlio del padrone di casa e i suoi amici hanno iniziato a suonare la batteria. La chiave, ovviamente, è internet. Finora mi sono affidata a luoghi con accesso a internet o al roaming. È bene tenere presente che, per gli italiani, l’accesso a Internet non implica necessariamente un’ottima velocità e una connessione costante.

Quali obiettivi hai per i prossimi mesi? Vorresti rimanere stabilmente in Italia?

Sono costantemente alla ricerca di progetti interessanti al confine tra community building, eco-agricoltura e turismo. Di recente, ho persino scritto a WWOOF Italia, offrendo la mia consulenza in materia di marketing e promozione rivolta a persone provenienti dall’estero. D’altra parte sono tentata di vedere come funziona il wwoofing in Irlanda, Scozia o Norvegia. Mi piacerebbe partecipare alla costruzione di co-working e co-living nel nord Italia. Da qualche parte in montagna, non lontano da una grande città, in una vecchia casa di pietra, con un orto, una grande cucina, un cortile ombreggiato, camere modeste e, naturalmente, una buona rete internet.

Gazzetta Italia 102 (dicembre 2023 – gennaio 2024)

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Una meravigliosa veduta delle Langhe piemontesi apre la 102^ Gazzetta Italia. Un numero impreziosito dall’intervista all’eclettica artista italo-polacca Monika Mariotti, dall’articolo dedicato al celebre marchio di cappelli Borsalino e da una serie di stimolanti proposte di viaggio in Italia tra cui il racconto dei giri in solitaria per il Bel Paese della blogger Mirka Jeske. E per la serie Polonia da visitare segnaliamo l’articolo di Elisa Baioni sulle meraviglie naturalistiche dello Slowinski Park Narodowy. Non mancano poi le tradizionali rubriche di cucina (in particolare di Emilia Romagna, Friuli e Piemonte), benessere, motori (la storia della Lamborghini 350), letteratura, fumetti, angolo linguistico ed etimologia. Insomma correte agli Empik o scriveteci per non farvi sfuggire questo numero 102 che vi consentirà di partecipare anche ai nostri vari concorsi con premi. Buona lettura!

Un combattente italiano a Poznań

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traduzione it: Agata Pachucy

Per la popolazione di Poznań l’Insurrezione della Wielkopolska rappresenta uno dei momenti storici più importanti, una vittoriosa rivolta di liberazione nazionale, con orgoglio ricordata ancora oggi in tutto il Paese. Vi parteciparono migliaia di cittadini della Grande Polonia, desiderosi di liberarsi dalle catene della schiavitù imposta dall’oppressore prussiano.

Storia tragica

Per la libertà della Wielkopolska, oltre agli abitanti della regione, combatterono anche i rappresentanti di altre nazioni. Uno di loro era l’italiano Novizzo Cittadini e vale la pena ricordarlo, soprattutto in occasione del 125° anniversario della sua nascita che ricorreva il 21 agosto scorso.

Questo soldato di fanteria italiana, catturato durante la famosa battaglia italo-austriaca di Caporetto, fu esiliato dalla sua patria per decisione del nemico e finì in un campo per prigionieri di guerra a Strzałków. In seguito Cittadini fece un viaggio attraverso l’Europa, che lo portò nella Grande Polonia.

Quando l’accordo tra gli Alleati e i tedeschi che pose fine alla Prima Guerra Mondiale portò alla liberazione dei prigionieri detenuti nel campo, Cittadini, invece di tornare subito in patria, decise di unirsi al popolo combattente per la libertà della Grande Polonia e di schierarsi al loro fianco contro l’aggressore tedesco. Purtroppo la sua storia, pur segnata da un atto eroico, fu molto triste. L’italiano non ebbe mai l’opportunità di partecipare a un combattimento diretto con il nemico. Mentre puliva la sua arma, per sbaglio, si sparò allo stomaco. In seguito dello sfortunato incidente morì dopo pochi giorni a causa delle gravi ferite riportate.

Simbolo

Sembrerebbe che questo evento debba chiudere la sua storia. Tuttavia, Novizzo Cittadini divenne un simbolo importante per i polacchi e per il loro rinato Stato. La sua sepoltura si svolse con i massimi onori. Alla cerimonia funebre parteciparono illustri rappresentanti della Polonia, dell’Italia e molti abitanti di Poznań. L’evento dimostrò simbolicamente l’amicizia tra le due nazioni e sottolineò inoltre il riconoscimento da parte dell’Italia della rinascita della Repubblica polacca. Dopo il funerale, la figura di Cittadini continuò a suscitare un vivo interesse e molte persone vollero saperne di più. La stampa locale scrisse molto sul soldato italiano caduto, ma purtroppo molti degli articoli dell’epoca erano imprecisi. Spesso confondevano il suo nome e persino la sua unità, dipingendolo come un aviatore. Cittadini divenne un simbolo della lotta comune “per la nostra e la vostra libertà”, che ricorda gli eventi del XIX secolo, quando molti polacchi parteciparono attivamente alla lotta per l’unità d’Italia. Il ricordo di Novizzo Cittadini è ancora vivo. Il merito è dell’associazione Polonia – Italia di Poznań i cui membri visitano ogni anno a giugno la tomba del soldato nel parco della Cittadella. Questa tradizione, come la storia stessa dell’associazione di Poznań, risale agli anni Trenta del secolo scorso. Già allora i membri ricordavano il coraggioso italiano, il suo contributo simbolico alla nostra regione e all’amicizia italo-polacca.

Charity Bazaar e rifugiati ucraini a Łowicz, il grande cuore degli Italiani in Polonia

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È stato un generoso weekend prenatalizio all’insegna della beneficenza. Ieri nel palazzetto Torwar a Varsavia si è svolto il tradizionale Charity Bazaar organizzato dallo SHOM (Association of the Spouses of Heads of Mission in Warsaw), con il patrocinio della First Lady Sig.ra Agata Kornhauser-Duda, e giunto alla XVI edizione. Grandissimo il successo dello stand preparato dall’Ambasciata Italiana che ha portato ad una importante raccolta di fondi, una delle migliori degli ultimi anni, il cui dettaglio sarà reso noto nei prossimi giorni. Uno stand vivace, ricco di prodotti di qualità offerti dalle tantissime aziende italiane che hanno partecipato all’iniziativa caritatevole, che si è giovato del contributo di una trentina di volontari tra cui membri del COMITES e del Lions Club Warszawa Centrum. Uno stand nazionale supportato dall’ambasciatore in persona, Luca Franchetti Pardo con la moglie Marta Azevedo le cui crostate di marmellata sono andate a ruba insieme a buon espresso.

Un weekend di beneficenza iniziato il sabato con la visita a Lowicz dell’Ambasciatore Luca Franchetti Pardo con la moglie Marta per incontrare le donne e i bambini ucraini che hanno trovato rifugio e lavoro grazie alla generosa iniziativa dell’imprenditore italiano Umberto Magrini che ha messo a disposizione una struttura ricettiva col tempo dotata di scuola di musica, spazi di ricreazione, biblioteca ed ora anche arricchita da una graditissima macchina per lo zucchero filato regalata dall’ambasciatore e dalla moglie, insieme ai pacchi natalizi distribuiti sabato a tutti i bambini. Una iniziativa di assistenza straordinaria quella di Lowicz resa possibile anche dal supporto di AVSI Polonia, sabato scorso presente con il suo presidente Donato Di Gilio, e del Lions Club Warszawa Centrum rappresentato da Francesco Paolo Montefusco e Domenico di Bisceglie.

Donato Carrisi: storie che ipnotizzano

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Roma 13/1/16 - Recorrido por Roma con el escritor Donato Carrisi en los escenarios de su novela " El cazador de la oscuridad"- Foto: Vicens Gimenez/Duomo Ediciones

In Polonia è appena uscito il suo film Io sono l’abisso, tratto dall’omonimo libro, e nello stesso tempo è stata pubblicata la traduzione del secondo romanzo del ciclo su Pietro Gerber: La casa senza ricordi.  Lei è più contento per la traduzione del libro, oppure per il film?

È come chiedermi se voglio più bene il mio primo figlio o il mio secondo figlio, non è facile rispondere. È strano uscire contemporaneamente con un film e con un libro, però sono i due lati di Donato Carrisi. 

Sicuramente è abituato al successo che ottengono le sue opere in Italia e all’estero. Come è arrivato a questo punto: come è cominciata la sua carriera di scrittore?

Tutto iniziò nel 1999 grazie ad un libraio che mi consigliò di leggere Il ragno di Michael Connelly. All’inizio mi rifiutavo di leggere thriller, poi però ho dato una chance a Connelly e ho capito che il thriller era la mia strada. All’inizio avevo scritto delle sceneggiature e la mia ambizione era quella di fare il regista. Però nessuno credeva che si potesse scrivere un vero thriller italiano. Mi sentivo un po’ come Sergio Leone quando ha cominciato a fare i western, perché non c’erano scrittori di thriller italiani. E allora che cosa ho fatto? Ho trasformato la prima sceneggiatura in un romanzo: Il suggeritore. E da lì è cominciato tutto. Dopo aver pubblicato una serie di romanzi sono tornato al cinema ed è stato più facile a quel punto fare anche i film. La cosa incredibile è che Connelly proprio nel 1999 vinse, in Italia, il Premio Bancarella e dieci anni dopo, nel 2009, l’ho vinto io con Il suggeritore

Quali sono state le altre fonti di ispirazione per quanto riguarda il thriller?

Tutti i maestri che mi hanno ispirato poi sono diventati miei amici: Ken Follet, Dan Brown, oppure Michael Connelly, Jeffery Deaver, Stephen King. All’inizio li leggevo e quando poi li ho conosciuti, ho capito che eravamo molto simili. E sono stato accolto molto bene da questo circolo di scrittori di thriller. 

E lei si aspettava di ottenere un successo mondiale?

In parte sì, ma è come se avessi un sesto senso. E come se una vocina dentro di me mi dicesse: “scrivi questo libro, perché questo libro piacerà”. E non so come spiegarlo, era un’ispirazione più che una presunzione. Mi sentivo veramente ispirato.

Il grande tema delle sue opere sembra quello della responsabilità del male. Nel Suggeritore, così come nel ciclo su Gerber e in Io sono l’abisso, il male viene, in un certo senso, ispirato. Chi è quindi responsabile del male?

Noi tutti siamo responsabili del male. Però la nostra tendenza è quella di volerci liberare dalla responsabilità: se succede qualcosa, noi ci assolviamo. Anzi, quando vediamo il mostro, questa cosa ci solleva; additandolo, chiamandolo appunto “mostro”, lo rendiamo immediatamente diverso da noi. Invece i mostri ci assomigliano. Il serial killer, il protagonista di Io sono l’abisso che è un mostro per eccellenza, non è affatto mostruoso, anzi, è un uomo invisibile che sembra innocuo. Se non fosse così, non sarebbe seriale, non potrebbe uccidere così tanto in una corsa del tempo. 

In Io sono l’abisso c’entra anche la responsabilità sociale. La situazione patologica nel nucleo familiare, la mancanza dell’effettivo aiuto da parte della società formano un serial killer. Il male si può spiegare o giustificare?

Giustificare no, spiegare sì: anzi, abbiamo il dovere di spiegare il male, perché l’unico modo di prevenirlo è conoscerlo. Soltanto avvicinandoci e guardandolo meglio riusciamo a riconoscerlo in futuro. Il male è sempre il frutto di un’educazione, di un ambiente. È difficile che una persona che è nata in un ambiente protetto poi diventi malvagia, a meno che non sia una malvagità patologica. 

In Io sono l’abisso affronta il problema della violenza femminile: nel libro il tema è ancora più approfondito che nel film. L’arte può contribuire alla sensibilizzazione della società verso certi temi? 

Certo. A me è successo dopo quel libro e dopo il film di ricevere molti messaggi da parte di donne che non si erano rese conto di essere le vittime di violenza, soprattutto psicologica. Mi scrivevano: “io sto con un uomo che non ha mai alzato un dito ma tutte le volte che litighiamo io temo che lo faccia, ho paura che lo faccia, ma non l’ha mai fatto”. Ecco, quella paura è sufficiente, è già violenza l’incutere in qualcun altro quel timore. 

Nelle sue ultime opere la violenza viene mostrata in contesti meno ovvi, come la violenza da parte della madre in Io sono l’abisso, oppure da parte dei bambini nel ciclo sull’ipnotista, soprattutto ne La casa delle luci. Considera la violenza intrinseca alla natura umana?

Non parlerei di violenza, parlerei di male. Il male è intrinseco alla natura umana e non è detto che si manifesti sotto forma di violenza. La violenza è solo la forma più riconoscibile. Non c’è bisogno che una madre picchi un bambino per fargli del male, è più che sufficiente che lo respinga. 

In Io sono l’abisso si mostra il contrasto tra menzogna e verità. La verità è crudele, come la madre, che si chiama, forse non a caso, Vera. Quale sarebbe la relazione tra verità e menzogna dal punto di vista di uno scrittore?

Bella domanda. Allora partiamo da una considerazione psicologica. Ogni essere umano mente almeno cinquanta volte ogni giorno: piccole bugie, piccoli atteggiamenti, questo fa parte proprio della natura umana. È una cosa quasi inconsapevole. Ha diverse sfaccettature la menzogna. A volte è uno strumento di difesa, altre volte uno strumento d’attacco o un atteggiamento sociale. Per esempio, la famiglia della ragazzina con il ciuffo viola utilizza la menzogna come strumento sociale. Ecco, è questo che fa il thriller: si serve delle menzogne per raccontare delle storie, da lì nasce il mistero, da lì nasce la suspence: dal disvelamento di una bugia.

Da dove è nata l’ispirazione per il ciclo su Pietro Gerber? Perché si è interessato all’ipnosi?

Era molto tempo che pensavo di scrivere qualcosa sull’ipnosi. Ho capito che la strada giusta era utilizzare un ipnotista di bambini, perché si pensa sempre che la mente dei bambini sia piuttosto elementare, semplice da esplorare; invece è un labirinto in cui ci si può perdere. E poi mi sono sottoposto all’ipnosi, appunto, per capire come funzionasse il meccanismo. E sono andato nello studio di una bravissima ipnotista di Milano, che adesso è diventata una dei miei consulenti. Era un bel pomeriggio di primavera, c’era un bel sole fuori e lei guidava la mia trance. Io però pensavo: “ma quand’è che finisce tutto questo”, ero pienamente cosciente. E dopo mezz’ora ho aperto gli occhi e ho scoperto che fuori dalla finestra era buio. Non era passata mezz’ora, erano passate tre ore e io non me ne ero accorto. L’ipnosi è proprio questo: è un viaggio dentro sé stessi. Aumenta il contatto con sé stessi e invece svanisce il contatto con la realtà che ci circonda.

Il ciclo su Gerber è ambientato a Firenze. 

Sì, ma ho tolto da Firenze i turisti. Li ho tolti tutti e così Firenze è proprio autentica. 

Perché Firenze?

Perché Firenze è una città magica. Adesso è diventata un lunapark, un po’ come Venezia, invasa dai turisti e quasi irriconoscibile. Firenze dietro ogni angolo nasconde un segreto, ogni piccolo pezzo di pietra ha una storia, è incredibile. Bisogna inoltre capire se l’ambiente è semplicemente una scenografia o un personaggio: Firenze nel ciclo su Gerber è una protagonista. Non credo che questa storia avrebbe la stessa efficacia se non fosse ambientata a Firenze.

Esiste un legame tra l’ipnotista e il narratore? Il compito di uno scrittore è anche quello di incantare la gente?

Beh, si spera di sì. Non è detto che ci si riesca tutte le volte, però la speranza è fondamentalmente quella. 

Come scrive di solito? Secondo un’agenda rigida oppure in modo più indisciplinato?

Non credo che esista lo scrittore che si metta lì a scrivere dalle sette del mattino per dieci ore. Sarebbe come essere un impiegato. No, io esco molto di casa per andare a cercare le storie, i personaggi. Questo è molto importante: viaggiare e sentire. Infatti, ci sono due anni di ricerca dietro ogni mio libro. Il punto di partenza è sempre una storia reale, metto insieme più storie di solito. E poi la scrittura è l’ultima cosa. Sono molto indisciplinato quando scrivo, posso scrivere a qualsiasi ora del giorno. Quando vengo colto da un’idea, da un’ispirazione, devo scrivere. 

Le letture, invece? Quanto e cosa legge?

Leggo di tutto. Io dico sempre agli aspiranti scrittori: “dovete leggere almeno (!) centotrenta libri l’anno”. È proprio il minimo indispensabile. E leggo veramente di tutto. Sono onnivoro, non leggo solo thriller, chiaramente. Leggo saggi, romanzi d’amore, cose del passato, cose molto recenti, non ho limiti. 

In Polonia i suoi libri sono molto amati. Qual è il suo rapporto con il pubblico straniero?

Ottimo, perché i libri uniscono. Le storie sono universali quindi possiamo venire da culture diverse, però le emozioni umane sono sempre quelle. Il cinema, la letteratura sono dei ponti che uniscono i popoli. 

Come si sente vedendo i suoi libri tradotti in varie lingue?

È molto gratificante. Immaginare che in questo momento quando noi parliamo c’è qualcuno dall’altra parte del mondo che sta leggendo il mio libro è un bel pensiero. Come se ci fosse qualcosa che va al di là di me. Perché le storie non mi appartengono. Una volta che le ho rinchiuse in un libro, è come se non fossero più mie. Appartengono a chi apre quel libro e decide di sfogliarlo. 

Ha un messaggio da trasmettere al pubblico polacco?

Sì: che vorrei essere lì, vorrei entrare nelle sale cinematografiche, sedermi accanto agli spettatori, così come faccio in Italia. Vorrei entrare nelle librerie per cercare quelli che sfogliano i miei libri. È un gran rammarico questo, infatti, spero di venire presto e rimediare. Vorrei venire in Polonia anche perché ci sono stato un paio di volte in passato, ma veramente di sfuggita. Quindi vorrei approfondire la conoscenza della Polonia. E sarebbe interessante ambientare qualcosa in questo Paese.

Ottima idea! Così potremmo diventare anche dei suoi consulenti, per quanto riguarda Varsavia per esempio che secondo me si presta bene ad essere l’ambiente per un thriller.

È perfetto [ride, n.d.r.]. Io trovo che abbiate delle ambientazioni thriller straordinarie. Non ancora esplorate poi, tra l’altro. Quindi sì, sono convinto che si possa fare. Sarebbe una cosa interessante mettere l’Italia e la Polonia in contatto: questi due mondi che sembrano diversi ma secondo me sono veramente molto simili.

Speriamo quindi che venga presto. La ringrazio.

Grazie. Ci vedremo a Varsavia l’anno prossimo. Che tempo fa oggi a Varsavia?

C’è il sole.

Ah, bene! 

Credo che tra un anno sarà già pubblicata la traduzione polacca del terzo volume del ciclo su Pietro Gerber uscito ultimamente in Italia, La casa delle luci. A me è piaciuto tanto.

Ha già letto La casa delle luci?

Sì, certo.

Benissimo. Arriveranno poi altre Case, in futuro. 

All’IIC di Varsavia gli artisti italiani e polacchi omaggiano Italo Calvino

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Cinque artisti italiani, cinque artisti polacchi, due curatori. Sono questi i numeri della mostra Qfwfq. Storie di artisti in movimento, recentemente inaugurata nelle sale dell’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia. Visitabile fino al prossimo 6 dicembre, la rassegna pone in dialogo alcuni degli artisti più interessanti e affermati delle scene culturali di entrambi i Paesi, mettendo insieme un nucleo esteso di opere ispirate al tema del viaggio. 

Alla base del progetto espositivo (curato da Leonardo Regano e Alex Urso) c’è infatti l’idea del viaggiare: un concept complesso e sfaccettato, per l’occasione declinato alla figura di Italo Calvino, protagonista nel centenario della nascita. Il titolo stesso della rassegna fa riferimento a Qfwfq, personaggio de Le Cosmicomiche e di Ti con zero: un viaggiatore che si muove oltre lo spazio e il tempo conosciuto, preso metaforicamente come testimone e narratore del tragitto di visita. In ognuna delle opere in mostra, e sul filo della poetica del grande scrittore italiano, il tema del viaggio e delle migrazioni viene dunque affrontato dai singoli artisti con linguaggi e modalità differenti, mettendo a segno un racconto corale dedicato a senso del partire e del tornare

Così è per Karolina Grzywnowicz, che nella sua installazione sonora porta la dimensione del viaggio in una connotazione storica e politica, legandola alla memoria collettiva e identitaria di un popolo. Every Song Knows its Home è un archivio digitale che raccoglie alcuni dei canti popolari che accompagnano il viaggio dei rifugiati. Anche Radek Szlaga e Alex Urso legano la loro ricerca al tema delle migrazioni, attraverso una serie di dipinti su tela e collage di carta nei quali foto private ed elementi riconducibili alle loro esperienze personali si intrecciano a frammenti di mappe e cartine geografiche di territori vissuti o sognati. 

Accende invece i riflettori sulla storia di Cristina Calderón la serie di disegni di Elena Bellantoni, artista che ha fatto della pratica relazionale l’aspetto centrale della sua ricerca: le quattro opere in mostra sono il risultato dell’incontro con l’ultima persona vivente che, da madrelingua, parlava lo yaghan, antico idioma dei nativi americani stanziali nella Patagonia meridionale argentina. 

Il percorso di visita include inoltre una serie di fotografie in bianco e nero di Giuseppe Stampone ispirate alla sua terra d’origine, l’Abruzzo; un prezioso ed esteso collage di Diana Lelonek riconducibile al paesaggio della Slesia; la complessa installazione di Jacopo Mazzonelli (una citazione inedita delle 27 bandiere dell’Unione Europea); tre opere intime ed emozionali di Marta Nadolle, e una delicata scultura in tessuto firmata da Claudia Losi

Iconica e rappresentativa è infine la serie di fotografie e sculture del polacco Michał Smandek, nelle quali alcuni vulcani italiani si palesano agli occhi del pubblico interagendo con degli oggetti presenti in sala. Il “viaggio” di Smandek, tra Italia e Polonia, conclude idealmente il percorso di visita, unendo i dieci artisti nel segno del dialogo e della riflessione comune.