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Vino e seduzione
Se si sta cercando qualcosa che possa trasformare anche la semplice cenetta romantica in una situazione “ad alta tensione” non sono da sottovalutare le proprietà afrodisiache del vino. Il potere seduttivo di questa nobile bevanda è infatti conosciuto da migliaia di anni e poeti e filosofi di ogni epoca ne hanno sempre decantato le proprietà afrodisiache.
Sebbene la scienza non ne abbia provato veri e propri poteri afrodisiaci, esistono alcune proprietà chimiche del prelibato nettare che hanno effetti tonificanti sul nostro corpo. Per esempio, forse non tutti sanno che il vino rosso contiene una sostanza antiossidante, il resveratrolo, che favorisce la fluidità del sangue e che, di conseguenza, produce effetti positivi sulla libido.
Ma allora come mai, fin dalle epoche antiche questa bevanda veniva considerata un vero e proprio catalizzatore delle nostre passioni?
Già Ovidio ci insegnava che: Il vino dispone l’uomo all’amore e lo rende pronto alla passione. (Ars amatoria). E, se le parole del poeta non mentono, forse possiamo scoprire di più sulle sue potenzialità afrodisiache abbandonando le analisi chimiche, e provando a volgere il nostro sguardo altrove… Sappiamo che il desiderio può avere una natura chimica, ma la sua genesi è molto spesso di origine psicologica: esiste una chimica dell’amore che non viene sintetizzata in laboratorio, ma creata nella nostra testa. E probabilmente le proprietà afrodisiache del vino vanno cercate nel suo potere di creare immagini molto forti nelle nostre menti.
Pensiamo ad un calice di bollicine: quante immagini è in grado di richiamare alla nostra mente?
Strumento di seduzione per eccellenza in numerose pellicole storiche, come Casablanca o Colazione da Tiffany, oppure nei numerosi 007, dove il famoso agente segreto sapientemente si avvale dell’aiuto delle bollicine francesi per sedurre fanciulle di ogni nazionalità e nelle situazioni più disparate. Nel nostro immaginario colleghiamo inevitabilmente lo Champagne a momenti di festa, spesso dai retroscena piccanti … Persino Napoleone ne venne sedotto, tanto da non riuscire a resistere ai corteggiamenti della vedova Cliquot Ponsardin, nobile sì, ma nemmeno così attraente, che lo prese per la gola offrendogli le tanto decantate bollicine.
Lasciamo da parte i bianchi per un momento, e guardiamo invece ai rossi: le loro sfumature regali richiamano alla mente la passione, la morbidezza del velluto, che ci avvolge come un caldo abbraccio…
Si dice che gli amanti di Cleopatra usassero omaggiarla con un vino rosso, dolce e passito, chiamato “Vinum Acquense”, forse progenitore dell’attuale Brachetto: l’ardente tonalità e la morbidezza zuccherina creavano un mix evidentemente irresistibile che risvegliava gli ardori della bella principessa. Ma certo non è solo questione di colori, ma anche di odori, sapori e gesti: non basta una coppa di Dom Perignon per trasformarci in un Connery o una Hepburn… Il vino aiuta a sedurre, a patto che tu sappia creare la giusta atmosfera.
Non dimenticare i piatti, pochi, ma meglio se a base d’ingredienti speciali e, perché no, afrodisiaci, per un finale con i fuochi d’artificio, soprattutto se ne saprai esaltare i sapori abbinandoli ai vini giusti. E ancora, non sottovalutare il modo di servirli, mi raccomando, sempre con eleganza, e di saperli raccontare mentre li versi, magari menzionando gli aneddoti sopra citati o le mille altre leggende legate al mondo del vino e della passione.
Insomma, sarete voi stessi a speziare l’incontro, ma attenzione a non esagerare!
E se per caso la serata si dovesse dimostrare un flop, i vini che avrai scelto per la tua cena si riveleranno comunque un buon mezzo con cui affogare i dispiaceri d’amore!
Confermato nella notte il primo caso di coronavirus in Polonia
La Milano cinematografica
Milano è una città incredibilmente europea, con scintillanti vetrine dei maggiori brand mondiali, fiera della sua importanza e ricchezza. Tuttavia, allontanandosi dalla Galleria Vittorio Emanuele troviamo anche un’altra dimensione della città, dai confini indefiniti. Per scoprirla bisogna avere passione per il cinema, senso dell’orientamento e – per i polacchi – conoscere anche qualche parola di italiano. Le origini del cinema a Milano risalgono agli anni Venti del secolo scorso e tra gli innumerevoli registi che hanno girato film nel capolluogo meneghino ci sono personaggi che hanno scritto pagine indelebili della storia del cinema come ad esempio Michelangelo Antonioni. Perché invece è stata Roma a diventare la città del cinema italiana? Probabilmente grazie al Centro Sperimentale di Cinematografia, fondato nel 1935, anche se Milano non ha mai smesso di restare un luogo importante anche in campo didattico per il cinema. Alla fine comunque si è deciso di designare Roma come ‘’The City of Film Unesco” mentre Milano viene associata alla moda e al design.
Cosa amano gli artisti del cinema? Soprattutto la bella luce e i contrasti. Entrambi si possono trovare a Milano, prima di tutto nella struttura architettonica della città, iniziando dalle antiche chiese fino ai grattacieli. I primi film girati a Milano risalgono agli albori del cinema con autori i fratelli Lumière che furono i primi a riprendere il Duomo, il più noto simbolo della città. Duomo che fu poi spesso protagonista in parecchi altri film tra cui la famosissima commedia ‘’Totó, Peppino e la malafemmina” (1956) di Camillo Mastrocinque quando Totò e Peppino, arrivati in treno da Napoli, chiedono informazioni ad un vigile in Piazza del Duomo, una scena memorabile giocata sugli stereotipi tra il Nord e il Sud dell’Italia.
Oltre al Duomo un altro emblema del capoluogo lombardo è la Galleria Vittorio Emanuele, piena di negozi delle grandi firme della moda e di caffetterie di lusso. Nonostante la galleria sia un indiscusso simbolo della moda durante l’estate si trasforma e sui suoi tetti vengono organizzate proiezioni di film italiani.
Superata la galleria si arriva alla Piazza della Scala con il famoso omonimo Teatro che compare nel film di Vittorio de Sica ‘’Ieri, oggi, domani” (1963), nell’inquadratura che apre su Anna, quando la protagonista va in giro per la città e parla liberamente con sé stessa.
Con una lunga passeggiata verso Nord raggiungiamo Porta Garibaldi il cui arco neoclassico stabilisce un simbolico confine tra la Milano antica e quella contemporanea. Poi continuiamo sempre dritto verso Piazza Gae Aulenti dove si trovano le torri dell’azienda Unicredit dentro le quali la luce è sempre accesa. Nel quartiere domina lo stile moderno in cui è stata anche costruita la stazione “Porta Garibaldi” della metropolitana. La futuristica architettura della zona è stata presentata in due film: “Né Giulietta né Romeo” (dir. Veronica Pivetti, 2015) e “Aspirante vedovo” (dir. Massimo Venier, 2013). Paradossalmente entrambi i film sono commedie.
Salendo in metropolitana è possibile scappare dalla modernità verso un luogo più accogliente cioè i Navigli. Non tutti sanno che nel 1978 Ermanno Olmi girò qui una scena de “L’albero degli zoccoli’’. I Navigli che appaiono nel film di Olmi sono una zona commerciale, punto d’incontro sia per aristocratici che per contadini. I turisti troveranno più interessanti le atmosfere dei Navigli che si trovano nella parte meridionale di Milano. Bisogna segnalare che questi ultimi non sono direttamente collegati con i canali dell’est, ma hanno una cosa in comune: il contesto sociale. Sui Navigli ci aspetta una vibrante e viva atmosfera e si sente un melodico “allora” dappertutto. È un posto magico pieno di accoglienti vicoli, di botteghe artistiche e librerie, di ristoranti e bar; il posto dove una foto o il girare una scenetta amorosa vanno sempre bene.
Film e festival
Attualmente in Lombardia vengono effettuate circa 20-30 produzioni audiovisive all’anno. È il risultato della ricchezza della provincia grazie alla quale il governo può destinare una rilevante somma al cinema. Dall’altra parte bisogna notare che nella regione esiste la Lombardia Film Commission il cui scopo è promuovere sia l’ambiente cittadino che naturale della regione oltre alla creazione di migliori condizioni economiche, tecniche e legali per le future produzioni audiovisive.
Parlando di cinema, si devono menzionare anche le mostre e i vari festival. Milano non è certamente Venezia ma anche qui vengono organizzati importanti eventi culturali. Uno di questi è il Milano Film Festival il cui programma propone produzioni italiane e internazionali, suddivise in vari sezioni e presentate in particolari sale cinematografiche. Il festival è stato fondato nel 1996 e sin dall’inizio i fondatori hanno voluto diffondere il cinema alternativo, artistico ed originale. Dopo la sua ventitreesima edizione sembra che i milanesi abbiano sposato il progetto.
Il film è uno sforzo di comunicazione. Così credono anche gli organizzatori del Fashion Film Festival, una rassegna creata dall’incontro tra moda e cinema. L’evento, organizzato annualmente dal 2014, è un concorso di film focalizzati sulla moda, ma soprattutto è una piattaforma di discussioni e di incontri con straordinari personaggi: disegnatori, stilisti, registi e fotografi. Nonostante sia una manifestazione recente il programma è internazionale e di alta qualità perciò il festival è diventato uno degli eventi principali del calendario culturale di Milano.
Molti pensano che una cine-città inizi con una scuola. Una scuola del cinema, ovviamente. La presenza di un istituto didattico specializzato nel campo dell’audiovisivo ha sempre un impatto sullo sviluppo di una città perché, prima o poi, gli studenti usciranno con le videocamere nelle strade. A Milano si trova una buonissima scuola, la migliore nel Nord Italia, che iniziò la sua attività negli anni Sessanta del secolo scorso. La Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti offre corsi di specializzazione: regia, sceneggiatura, ripresa e fotografia, produzione, montaggio, suono, animazione e tra i professori sono presenti grandi professionisti del settore.
La scuola è localizzata all’interno dell’ex Manifattura Tabacchi, fuori dal centro, e al suo interno ospita: studio televisivo, postazioni di montaggio, mediateca. Tutto ciò che può desiderare l’anima di un novizio. Inoltre, accanto alla scuola si trova il Museo Interattivo del Cinema (MIC) che è più un centro di divertimento e di educazione che un museo storico. Ha una collezione di vari oggetti conservati e storiche fotocamere. Dentro si trovano anche la Biblioteca Morando e l’Archivio dei Film della Fondazione Cineteca Italiana, fondato nel 1947, che è il primo archivio dedicato all’arte audiovisiva in Italia. Tra le attrazioni principali ci sono dispositivi e applicazioni con cui si può interagire. All’inizio della visita riceviamo un tablet e così ci mettiamo in viaggio nel mondo del cinema: una creazione di un film d’animazione, una composizione di una colonna sonora, un disegno di un poster oppure una foto su uno fondo prescelto. È ovvio che l’offerta del museo è dedicata principalmente ai bambini e agli adolescenti ma ogni appassionato di cinema ne sarà attratto.
Miracolo a Milano
A Milano tutte le strade portano alla Piazza del Duomo. Trovandoci lì una notte, con la luce riflessa dal Duomo, ci coglie il pensiero di liberarci e volare su per vedere dall’alto il panorama della città, come hanno fatto i protagonisti di ‘’Miracolo a Milano” di Vittorio de Sica. Purtroppo, la mia vacanza, al contrario dell’immaginazione, ha la sua fine. I ricordi mi rimarranno scolpiti per sempre mentre gli studenti della Civica Scuola di Cinema stanno già scrivendo nuove storie. Sarebbe possibile, per caso, riprendere una scena nella Galleria Vittorio Emanuele completamente chiusa e vuota? È un’idea ardita che forse sarebbe piaciuta anche al maestro De Sica.
Targa commemorativa a Malinowski alla Stazione centrale di Varsavia
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Le aziende polacche cominciano a risentire degli effetti dei ritardi nelle consegne dei componenti dalla Cina
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I dialetti italiani tra media e Internet
La complessa realtà linguistica dellʼItalia e la sua ricchezza di dialetti e di variazioni locali dellʼitaliano si riflettono da molti anni anche nei mass media. A partire dal Neorealismo i dialetti iniziarono a comparire sempre più spesso nel cinema italiano, rispecchiando così più fedelmente la realtà linguistica del Paese. Negli anni Cinquanta divenne popolare soprattutto il dialetto romano: la produzione dei film si concentrava a Cinecittà, molti degli attori più importanti (come Alberto Sordi) erano romani e, ovviamente, le pellicole ambientate nella capitale erano numerosissime. Inoltre il romano, essendo relativamente vicino allʼitaliano standard, era comprensibile per gli spettatori provenienti dalle più diverse regioni italiane, diversamente da dialetti più periferici ed ermetici come il ligure o il sardo. Piuttosto diffuso nel cinema italiano è sempre stato anche il dialetto napoletano (basti pensare a Totò).
Negli anni Sessanta nel cinema cominciarono ad apparire più spesso altri dialetti o forme regionali dellʼitaliano. In seguito, soprattutto a partire dai primi anni Ottanta, anche grazie alla popolarità di alcuni attori che basavano la propria comicità sugli stereotipi regionali, tratti dialettali si diffusero molto nel cinema comico. Il forte accento regionale, unito ad un lessico colorito arricchito da espressioni dialettali, è alla base del successo di attori come i romani Christian De Sica e Carlo Verdone, il pugliese Lino Banfi o ancora i lombardi Guido Nicheli e Massimo Boldi. Interessanti dal punto di vista linguistico sono i casi di comici come Jerry Calà, siciliano cresciuto a Verona, oppure Diego Abatantuono, nato a Milano ma di origini pugliesi. Nella seconda metà degli anni Novanta, grazie al successo dei film del regista e attore Leonardo Pieraccioni, divenne molto popolare il dialetto toscano e la specificità comica e umoristica di quella regione. Soprattutto le commedie di serie B, come i famosi cinepanettoni, sfruttano di continuo gli stereotipi regionali, inclusi quelli riguardanti il dialetto. Nel cinema italiano dʼautore, invece, si può oggi osservare la presenza sempre più massiccia dei più diversi dialetti, stavolta non per fini comici, ma per riflettere meglio le diverse realtà locali.
Lʼutilizzo di accenti ed espressioni dialettali, spesso stereotipate, è anche alla base di molta comicità televisiva, in particolare nel caso del cabaret: lʼesempio più noto è quello del programma “Zelig” (1996-2016), in cui gli sketch dei comici più popolari erano spesso arricchiti dal dialetto delle rispettive regioni.
Anche nelle serie televisive italiane contemporanee lʼaspetto dialettale è ben presente: dal siciliano de “Il commissario Montalbano” al napoletano di “Gomorra”, fino al romano di “Suburra”. Come in passato, si tratta soprattutto dei dialetti del Centro-Sud, da sempre presenti nel cinema e nella televisione italiana molto più di quelli del Nord (meno comprensibili per la maggioranza degli italiani). Quando nel 2003 venne trasmessa la fiction “Elisa di Rivombrosa”, ambientata in Piemonte nel XVII secolo, alcuni telespettatori osservarono che, contrariamente a film e serie di ambientazione meridionale, i dialoghi qui erano interamente in italiano. Lʼuso del piemontese, anche se più realistico, ne avrebbe reso più difficile la comprensione.
Pure nellʼambito del doppiaggio è possibile trovare, spesso in contesti del tutto inaspettati, la presenza dei dialetti, o perlomeno di varianti regionali dellʼitaliano: un esempio interessante è quello della celebre serie animata “I Simpson”, nel cui doppiaggio italiano sono stati inseriti, per aumentare la comicità, non pochi elementi dialettali. E così i poliziotti parlano napoletano, un amico di colore di Homer Simpson si esprime in veneto, lʼautista dello scuolabus ha un forte accento milanese, mentre il bidello Willie, un irascibile scozzese dal fortissimo accento, nella versione italiana parla con una marcata pronuncia sarda. Nel doppiaggio italiano della celebre sitcom statunitense degli anni Novanta “Roseanne” (nota in Italia come “Pappa e ciccia”), invece, la protagonista non solo ha un accento napoletano ma le vengono addirittura attribuite origini italiane e il nome Annarosa. Lo stesso è accaduto con unʼaltra sitcom di quel periodo, “La tata”, la cui protagonista Fran Fine nella versione italiana si chiama Francesca Cacace ed è originaria di Frosinone.
Nel nuovo millennio, grazie allo sviluppo tecnologico e allʼonnipresenza di Internet, i dialetti sono diventati ancora più presenti nellʼimmaginario dei giovani italiani. Non si può non citare qui il fenomeno dei ridoppiaggi, da anni molto popolari su YouTube: si tratta dei video che presentano frammenti di film celebri doppiati in un dato dialetto. Troveremo così, ad esempio, “Titanic” in napoletano, “Il gladiatore” in piemontese, “Il Signore degli Anelli” in siciliano o ancora “Rocky” in calabrese. Un caso abbastanza sorprendente, anche se per certi versi simile a quanto avvenuto con “I Simpson”, è quello del noto videogioco online “World of Warcraft”. Nella versione italiana (risalente al 2012) i troll, che nella versione originale parlavano con uno spiccato accento giamaicano, si esprimono in dialetto napoletano. Una scelta particolare, in parte controversa e non condivisa da tutti i giocatori, che tuttavia rimane unʼulteriore prova della presenza sempre più massiccia dei dialetti italiani nelle più diverse forme di intrattenimento.

Oltre al cinema e alla televisione, i diversi dialetti italiani sono oggi molto presenti anche nella musica. Le canzoni popolari, fortemente radicate nel folklore e nelle tradizioni regionali, erano per la maggior parte in dialetto (considerando anche che lʼitaliano standard si è realmente imposto a livello locale solo nel Novecento). La poesia e la canzone in dialetto fanno a tuttʼoggi parte del patrimonio culturale delle varie regioni italiane, ma a livello nazionale la diffusione dei dialetti nella musica pop è un fenomeno relativamente recente. Fino almeno agli anni Ottanta, infatti, nelle canzoni dominava lʼitaliano standard: unʼimportante eccezione, nel 1984, è lʼalbum “Creûza de mä” (“Mulattiera di mare”) di Fabrizio De André. Il celebre artista cantava qui in dialetto genovese, anticipando di vari anni la rinascita della canzone dialettale in Italia.
Il dialetto, rispetto alla lingua standard, ha spesso una maggiore immediatezza, ricchezza espressiva e carica ludica, tutti elementi importanti tanto nella poesia quanto nella canzone. A ciò va ovviamente aggiunta anche la questione dellʼidentità regionale, nella quale il dialetto gioca un ruolo di primissimo piano; dopo molti decenni di imposizione dellʼitaliano standard, infatti, negli ultimi venti-trentʼanni i dialetti sono riemersi nellʼopera di musicisti talvolta di nicchia, ma altre volte anche ben noti e di successo. Un fenomeno interessante è la presenza di testi dialettali in generi musicali di origine non italiana, quali rap, reggae, rock e così via. Uno dei primi gruppi a unire il dialetto a un genere particolare sono stati i Pitura Freska, gruppo attivo già negli anni Ottanta, che univa la musica reggae a testi in dialetto veneziano. Nel 1997 la band partecipò al Festival di Sanremo con il brano “Papa nero”, facendosi conoscere in tutta Italia. Il Festival della Canzone Italiana ha sempre prediletto, ovviamente, i brani in italiano standard, tuttavia nel corso degli anni vi sono state altre eccezioni, come ad esempio la canzone “Yanez”, cantata in lombardo e presentata al Festival nel 2011 dal cantautore folk Davide Van De Sfroos. Bisogna anche ricordare che già nel 1992 il gruppo pop rock sardo Tazenda si era esibito a Sanremo con un brano nel proprio dialetto (il sardo è stato riconosciuto come lingua solo nel 1999) intitolato “Pitzinnos in sa gherra” (“Bambini in guerra”). In tutti e tre i casi si tratta di gruppi e artisti noti per i loro testi quasi esclusivamente dialettali, che però sono riusciti a imporsi sulla scena musicale nazionale.
Come nel cinema e nella televisione, anche nel caso della musica il romano e il napoletano sono sempre stati più presenti rispetto ad altri dialetti italiani. In particolare il napoletano è da molti anni associato a un genere particolare, quello della cosiddetta musica neomelodica, particolarmente diffusa nellʼItalia meridionale. Uno dei cantanti napoletani più noti è Nino DʼAngelo, attivo dalla seconda metà degli anni Settanta. Molto importante è stato anche il cantante e chitarrista Pino Daniele, scomparso nel 2015, che nei suoi dischi univa pop, blues e canzone napoletana, con testi in napoletano, italiano e inglese. La canzone napoletana ha una tradizione plurisecolare che va dalla musica etnica e popolare, passando per la musica classica (Enrico Caruso), per il jazz e il rock and roll (Renato Carosone), fino al pop degli ultimi decenni.
Oltre a De André, molti altri artisti che cantano in italiano hanno proposto, nel corso degli anni, canzoni nei propri dialetti, non di rado mescolati allʼitaliano. Enzo Jannacci, morto nel 2013, nella sua lunga carriera registrò molti brani in dialetto milanese. Franco Battiato, eclettico e originale cantautore siciliano, ha scritto alcuni brani in dialetto. Anche Carmen Consoli, artista originaria di Catania, ha proposto varie canzoni in siciliano.
Come già accennato, nel corso degli anni lʼuso dei dialetti si è legato, nella musica italiana, a generi particolari non necessariamente legati alla tradizione nazionale, in particolare il rap e i suoi vari sottogeneri e ibridazioni. I napoletani 99 Posse, a metà tra hip hop e reggae, dallʼinizio degli anni Novanta hanno prodotto molti brani in dialetto napoletano; sempre napoletano, e sempre degli stessi anni, è il gruppo Almamegretta, legato al dub e alla musica elettronica. Dalla Puglia provengono invece i Sud Sound System, che nei loro brani fanno largo uso del dialetto salentino. Il gruppo reggae Train to Roots, invece, mescola nei propri testi la lingua sarda, inglese e italiana. Il dialetto è presente anche in vari sottogeneri della musica rock, con brani legati alla cultura e al folklore locale, spesso senza prendersi troppo sul serio: il gruppo heavy metal Longobardeath propone canzoni umoristiche in dialetto lombardo, mentre i Kurnalcool uniscono lʼhard rock e lʼheavy metal con il dialetto marchigiano e testi goliardici a tema alcolico. Altrettanto ironici sono i Rumatera, gruppo punk rock con testi in dialetto veneto. Molti di questi gruppi musicali sono noti principalmente a livello regionale ma, grazie anche alla presenza di Internet, alcuni di loro riusciti a farsi conoscere anche nel resto dʼItalia e, in qualche caso, anche allʼestero.
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Opera wraca na Plac Defilad!
„Tosca” Giacomo Pucciniego
Premiera 3.06.2020, g. 21:00, Plac Defilad, Warszawa
Nie ma chyba w historii opery dzieła, które bardziej rozbudza wyobraźnię niż „Tosca” Giacomo Pucciniego. Wystawiona po raz pierwszy w Rzymie w 1900 roku, trafia 120 lat później na jeden z najbardziej znanych warszawskich placów. „Puccini skomponował Toskę o Rzymie i dla Rzymu – miasta, które zarówno w historycznym okresie, w którym osadzona jest akcja libretta, jak i w latach premiery tej opery było targane wiatrem politycznych zmian i napięć. W tej operze wiele jest odniesień do ikonicznych wydarzeń, miejsc, a nawet dźwięków wiecznego miasta. Wchodząc z inscenizacją Toski w przestrzeń centrum Warszawy i aktualnych dyskusji, którymi żyją jej mieszkańcy, inspirujemy się tym miastem w taki sam sposób, w jaki Puccini inspirował się Rzymem.” – wyjaśnia Krystian Lada, reżyser spektaklu, polski librecista i dramaturg, m.in. nominowany w 2019 do Paszportów Polityki „za wiarę w żywotność formy operowej, (…) za odwagę poruszania w swoich inscenizacjach palących spraw dzisiejszego świata”.
W ubiegłym roku wyprodukowana przez STUDIO teatrgalerię „Madama Butterfly” w reżyserii Natalii Korczakowskiej okazała się dla wielu artystycznym wydarzeniem sezonu. 200 artystów, z udziałem m.in. Aleksandry Kurzak, Roberta Alagni i Andrzeja Dobbera, wystąpiło dla 5000 widzów zgromadzonych w samym sercu stolicy.
Tym razem na scenie wystąpią m.in. Kristine Opolais (Floria Tosca), jedna z najbardziej rozchwytywanych sopranistek na scenie międzynarodowej, od wielu lat związana m.in. z Metropolitan Opera, chilijsko-amerykański tenor Jonathan Tetelman (Mario Cavaradossi), który zadebiutował w tym roku w Royal Opera House, a także Ambrogio Maestri (baron Scarpia), włoski baryton okrzyknięty najważniejszym odkryciem wokalnym od czasów Pavarottiego. Towarzyszyć im będą Dionizy Płaczkowski (Spoletta), Dariusz Machej (Zakrystianin), Jan Żądło (Sciarrone) oraz Daniel Mirosław (Angelotti). Orkiestrę Sinfonia Varsovia oraz chór Filharmonii Narodowej poprowadzi Bassem Akiki.
Za projekt kostiumów odpowiedzialna będzie Gosia Baczyńska, ceniona na całym świecie polska projektantka.
Wydarzenie odbędzie się dzięki współpracy prestiżowych instytucji i partnerów takich jak: Instytut Kultury Włoskiej, Miasto St. Warszawa, Sinfonia Varsovia, Filharmonia Narodowa oraz Pałac Kultury i Nauki.
Honorowy patronat nad wydarzeniem objęła Ambasada Republiki Łotewskiej w RP.
Sprzedaż biletów na stronach: www.teatrstudio.pl / www.tosca.pl oraz www.ebilet.pl
„Tosca”
Opera w trzech aktach
Inscenizowana wersja koncertowa
Czas trwania opery: ok. 180 minut (z przerwą)
Oryginalna włoska wersja językowa z polskimi napisami
Muzyka: Giacomo Puccini
Libretto: Luigi Illica i Giuseppe Giacosa
na podstawie dramatu Victoriena Sardou pod tym samym tytułem
Obsada:
Kristine Opolais – Floria Tosca
Jonathan Tetelman – Mario Cavaradossi
Ambrogio Maestri – Baron Scarpia
Dionizy Płaczkowski – Spoletta
Dariusz Machej – Zakrystianin
Daniel Mirosław – Angelotti
Jan Żądło – Sciarrone
Kierownictwo muzyczne: Bassem Akiki
Reżyseria: Krystian Lada
Kostiumy: Gosia Baczyńska
Scenografia: Didzis Jaunzems
Światła: Aleksandr Prowaliński
Orkiestra: Sinfonia Varsovia
Chór: Chór Filharmonii Narodowej pod dyrekcją Bartosza Michałowskiego
Kontakt dla mediów:
Marta Bartkowska: marta.bartkowska@teatrstudio.pl / 501 275 126
Mateusz Wiśniewski: mateusz.wisniewski@teatrstudio.pl / 601 483 648