I dialetti italiani tra media e Internet

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La complessa realtà linguistica dellʼItalia e la sua ricchezza di dialetti e di variazioni locali dellʼitaliano si riflettono da molti anni anche nei mass media. A partire dal Neorealismo i dialetti iniziarono a comparire sempre più spesso nel cinema italiano, rispecchiando così più fedelmente la realtà linguistica del Paese. Negli anni Cinquanta divenne popolare soprattutto il dialetto romano: la produzione dei film si concentrava a Cinecittà, molti degli attori più importanti (come Alberto Sordi) erano romani e, ovviamente, le pellicole ambientate nella capitale erano numerosissime. Inoltre il romano, essendo relativamente vicino allʼitaliano standard, era comprensibile per gli spettatori provenienti dalle più diverse regioni italiane, diversamente da dialetti più periferici ed ermetici come il ligure o il sardo. Piuttosto diffuso nel cinema italiano è sempre stato anche il dialetto napoletano (basti pensare a Totò).

Negli anni Sessanta nel cinema cominciarono ad apparire più spesso altri dialetti o forme regionali dellʼitaliano. In seguito, soprattutto a partire dai primi anni Ottanta, anche grazie alla popolarità di alcuni attori che basavano la propria comicità sugli stereotipi regionali, tratti dialettali si diffusero molto nel cinema comico. Il forte accento regionale, unito ad un lessico colorito arricchito da espressioni dialettali, è alla base del successo di attori come i romani Christian De Sica e Carlo Verdone, il pugliese Lino Banfi o ancora i lombardi Guido Nicheli e Massimo Boldi. Interessanti dal punto di vista linguistico sono i casi di comici come Jerry Calà, siciliano cresciuto a Verona, oppure Diego Abatantuono, nato a Milano ma di origini pugliesi. Nella seconda metà degli anni Novanta, grazie al successo dei film del regista e attore Leonardo Pieraccioni, divenne molto popolare il dialetto toscano e la specificità comica e umoristica di quella regione. Soprattutto le commedie di serie B, come i famosi cinepanettoni, sfruttano di continuo gli stereotipi regionali, inclusi quelli riguardanti il dialetto. Nel cinema italiano dʼautore, invece, si può oggi osservare la presenza sempre più massiccia dei più diversi dialetti, stavolta non per fini comici, ma per riflettere meglio le diverse realtà locali.

Lʼutilizzo di accenti ed espressioni dialettali, spesso stereotipate, è anche alla base di molta comicità televisiva, in particolare nel caso del cabaret: lʼesempio più noto è quello del programma “Zelig” (1996-2016), in cui gli sketch dei comici più popolari erano spesso arricchiti dal dialetto delle rispettive regioni.

Anche nelle serie televisive italiane contemporanee lʼaspetto dialettale è ben presente: dal siciliano de “Il commissario Montalbano” al napoletano di “Gomorra”, fino al romano di “Suburra”. Come in passato, si tratta soprattutto dei dialetti del Centro-Sud, da sempre presenti nel cinema e nella televisione italiana molto più di quelli del Nord (meno comprensibili per la maggioranza degli italiani). Quando nel 2003 venne trasmessa la fiction “Elisa di Rivombrosa”, ambientata in Piemonte nel XVII secolo, alcuni telespettatori osservarono che, contrariamente a film e serie di ambientazione meridionale, i dialoghi qui erano interamente in italiano. Lʼuso del piemontese, anche se più realistico, ne avrebbe reso più difficile la comprensione.

Pure nellʼambito del doppiaggio è possibile trovare, spesso in contesti del tutto inaspettati, la presenza dei dialetti, o perlomeno di varianti regionali dellʼitaliano: un esempio interessante è quello della celebre serie animata “I Simpson”, nel cui doppiaggio italiano sono stati inseriti, per aumentare la comicità, non pochi elementi dialettali. E così i poliziotti parlano napoletano, un amico di colore di Homer Simpson si esprime in veneto, lʼautista dello scuolabus ha un forte accento milanese, mentre il bidello Willie, un irascibile scozzese dal fortissimo accento, nella versione italiana parla con una marcata pronuncia sarda. Nel doppiaggio italiano della celebre sitcom statunitense degli anni Novanta “Roseanne” (nota in Italia come “Pappa e ciccia”), invece, la protagonista non solo ha un accento napoletano ma le vengono addirittura attribuite origini italiane e il nome Annarosa. Lo stesso è accaduto con unʼaltra sitcom di quel periodo, “La tata”, la cui protagonista Fran Fine nella versione italiana si chiama Francesca Cacace ed è originaria di Frosinone.

Nel nuovo millennio, grazie allo sviluppo tecnologico e allʼonnipresenza di Internet, i dialetti sono diventati ancora più presenti nellʼimmaginario dei giovani italiani. Non si può non citare qui il fenomeno dei ridoppiaggi, da anni molto popolari su YouTube: si tratta dei video che presentano frammenti di film celebri doppiati in un dato dialetto. Troveremo così, ad esempio, “Titanic” in napoletano, “Il gladiatore” in piemontese, “Il Signore degli Anelli” in siciliano o ancora “Rocky” in calabrese. Un caso abbastanza sorprendente, anche se per certi versi simile a quanto avvenuto con “I Simpson”, è quello del noto videogioco online “World of Warcraft”. Nella versione italiana (risalente al 2012) i troll, che nella versione originale parlavano con uno spiccato accento giamaicano, si esprimono in dialetto napoletano. Una scelta particolare, in parte controversa e non condivisa da tutti i giocatori, che tuttavia rimane unʼulteriore prova della presenza sempre più massiccia dei dialetti italiani nelle più diverse forme di intrattenimento.

                                                                            rys. Dagna Szwaja

Oltre al cinema e alla televisione, i diversi dialetti italiani sono oggi molto presenti anche nella musica. Le canzoni popolari, fortemente radicate nel folklore e nelle tradizioni regionali, erano per la maggior parte in dialetto (considerando anche che lʼitaliano standard si è realmente imposto a livello locale solo nel Novecento). La poesia e la canzone in dialetto fanno a tuttʼoggi parte del patrimonio culturale delle varie regioni italiane, ma a livello nazionale la diffusione dei dialetti nella musica pop è un fenomeno relativamente recente. Fino almeno agli anni Ottanta, infatti, nelle canzoni dominava lʼitaliano standard: unʼimportante eccezione, nel 1984, è lʼalbum “Creûza de mä” (“Mulattiera di mare”) di Fabrizio De André. Il celebre artista cantava qui in dialetto genovese, anticipando di vari anni la rinascita della canzone dialettale in Italia.

Il dialetto, rispetto alla lingua standard, ha spesso una maggiore immediatezza, ricchezza espressiva e carica ludica, tutti elementi importanti tanto nella poesia quanto nella canzone. A ciò va ovviamente aggiunta anche la questione dellʼidentità regionale, nella quale il dialetto gioca un ruolo di primissimo piano; dopo molti decenni di imposizione dellʼitaliano standard, infatti, negli ultimi venti-trentʼanni i dialetti sono riemersi nellʼopera di musicisti talvolta di nicchia, ma altre volte anche ben noti e di successo. Un fenomeno interessante è la presenza di testi dialettali in generi musicali di origine non italiana, quali rap, reggae, rock e così via. Uno dei primi gruppi a unire il dialetto a un genere particolare sono stati i Pitura Freska, gruppo attivo già negli anni Ottanta, che univa la musica reggae a testi in dialetto veneziano. Nel 1997 la band partecipò al Festival di Sanremo con il brano “Papa nero”, facendosi conoscere in tutta Italia. Il Festival della Canzone Italiana ha sempre prediletto, ovviamente, i brani in italiano standard, tuttavia nel corso degli anni vi sono state altre eccezioni, come ad esempio la canzone “Yanez”, cantata in lombardo e presentata al Festival nel 2011 dal cantautore folk Davide Van De Sfroos. Bisogna anche ricordare che già nel 1992 il gruppo pop rock sardo Tazenda si era esibito a Sanremo con un brano nel proprio dialetto (il sardo è stato riconosciuto come lingua solo nel 1999) intitolato “Pitzinnos in sa gherra” (“Bambini in guerra”). In tutti e tre i casi si tratta di gruppi e artisti noti per i loro testi quasi esclusivamente dialettali, che però sono riusciti a imporsi sulla scena musicale nazionale.

Come nel cinema e nella televisione, anche nel caso della musica il romano e il napoletano sono sempre stati più presenti rispetto ad altri dialetti italiani. In particolare il napoletano è da molti anni associato a un genere particolare, quello della cosiddetta musica neomelodica, particolarmente diffusa nellʼItalia meridionale. Uno dei cantanti napoletani più noti è Nino DʼAngelo, attivo dalla seconda metà degli anni Settanta. Molto importante è stato anche il cantante e chitarrista Pino Daniele, scomparso nel 2015, che nei suoi dischi univa pop, blues e canzone napoletana, con testi in napoletano, italiano e inglese. La canzone napoletana ha una tradizione plurisecolare che va dalla musica etnica e popolare, passando per la musica classica (Enrico Caruso), per il jazz e il rock and roll (Renato Carosone), fino al pop degli ultimi decenni.

Oltre a De André, molti altri artisti che cantano in italiano hanno proposto, nel corso degli anni, canzoni nei propri dialetti, non di rado mescolati allʼitaliano. Enzo Jannacci, morto nel 2013, nella sua lunga carriera registrò molti brani in dialetto milanese. Franco Battiato, eclettico e originale cantautore siciliano, ha scritto alcuni brani in dialetto. Anche Carmen Consoli, artista originaria di Catania, ha proposto varie canzoni in siciliano.

Come già accennato, nel corso degli anni lʼuso dei dialetti si è legato, nella musica italiana, a generi particolari non necessariamente legati alla tradizione nazionale, in particolare il rap e i suoi vari sottogeneri e ibridazioni. I napoletani 99 Posse, a metà tra hip hop e reggae, dallʼinizio degli anni Novanta hanno prodotto molti brani in dialetto napoletano; sempre napoletano, e sempre degli stessi anni, è il gruppo Almamegretta, legato al dub e alla musica elettronica. Dalla Puglia provengono invece i Sud Sound System, che nei loro brani fanno largo uso del dialetto salentino. Il gruppo reggae Train to Roots, invece, mescola nei propri testi la lingua sarda, inglese e italiana. Il dialetto è presente anche in vari sottogeneri della musica rock, con brani legati alla cultura e al folklore locale, spesso senza prendersi troppo sul serio: il gruppo heavy metal Longobardeath propone canzoni umoristiche in dialetto lombardo, mentre i Kurnalcool uniscono lʼhard rock e lʼheavy metal con il dialetto marchigiano e testi goliardici a tema alcolico. Altrettanto ironici sono i Rumatera, gruppo punk rock con testi in dialetto veneto. Molti di questi gruppi musicali sono noti principalmente a livello regionale ma, grazie anche alla presenza di Internet, alcuni di loro riusciti a farsi conoscere anche nel resto dʼItalia e, in qualche caso, anche allʼestero.