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Polonia Oggi: “Pattuglia” di nazionalisti polacchi lungo le spiagge di Rimini

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Forza Nuova ha invitato una delegazione di nazionalisti polacchi dell’ONR (Obóz Narodowo-Radykalny) a Rimini, dove è stata organizzata una conferenza dal titolo “Europe Awake”, nella quale discutere come migliorare la sicurezza dei propri connazionali contro gli attacchi di migranti illegali. Giovedì scorso, al termine della conferenza, la delegazione dell’ONR è andata a “pattugliare” la spiaggia, dove un anno fa un gruppo di africani ha assalito una coppia di polacchi, stuprando una ragazza. “Non accettiamo compromessi. Denunceremo gli errori di chi governa e dell’opposizione liberale. Vogliamo diventare una vera opposizione. Un’opposizione nazionale, filo-polacca, onesta e di sostanza”, ha detto il nuovo leader dell’ONR, il ventiquattrenne Tomaz Dorosz, in una conversazione con medianarodowe.com. Il sito della destra nazionalista riporta che l’arrivo della delegazione dell’ONR a Rimini ha provocato l’indignazione della sinistra locale e il portale Chiamamicitta ha pubblicato diversi articoli critici dell’iniziativa.

Fonte: wiadomosci.wp.pl

Polonia Oggi: Scorsese e la sua fascinazione per Wajda

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Liliana Komorowska, attrice polacca residente in Canada, sta lavorando a un documentario sul regista polacco Andrzej Wajda, intitolato “Wajda i Ty”. Nell’opera di Komorowska la storia di Wajda viene narrata dal punto di vista delle persone che sono state variamente collegate alla sua persona e alla sua opera: attori, registi, sceneggiatori, ecc. Tra di loro c’è anche il celebre regista italo-americano Martin Scorsese. Scorsese racconta nel film la sua passione per i film di Wajda e per la Scuola Cinematografica Polacca. La pellicola che gli ha lasciato la maggiore impressione è “Cenere e Diamanti”. “Questo film è stato una rivelazione per me. Ha raffigurato la tragedia di un paese distrutto, una civiltà occidentale in rovina, la tragedia di persone che sono sopravvissute e hanno dovuto affrontare il nuovo regime, respingendolo, combattendolo, ma con un senso di sconfitta”, ha spiegato Scorsese. Il regista americano ha dichiarato che i film di Wajda non solo lo hanno ispirato, ma da essi ha tratto anche un certo modo di girare e usare la luce.

Fonte: pap.pl

Fra culto della parola e imperitura verità del mito. Conversazione con Renato Gabriele

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Sono trascorsi dodici anni da quando il poeta, scrittore e saggista italiano Renato Gabriele è stato per la prima volta in Polonia, ospite di un evento letterario e musicale organizzato dalla fondazione italo-polacca CracoVitalia e dal Kolegium Europejskie Uniwersytetu Jagiellońskiego. La serata, svoltasi presso il teatro Witkacy di Zakopane, vedeva protagonisti anche i celeberrimi Jacek Cygan e Jerzy Filar con la sua chitarra. Da questo incontro, reso indimenticabile dall’affratellante alternanza linguistica, dalle atmosfere liriche profondamente umane, pur diverse nel tono e nei registri, e dai caldi interventi musicali, ebbero inaspettatamente inizio rapporti di confidenza e amicizia che avrebbero portato alla costruzione di nuovi ponti culturali fra Polonia e Italia. L’anno successivo vedeva la luce l’edizione in lingua italiana dei componimenti in versi di Jacek Cygan da me curata (Ambulanza. Poesie mediterranee, Bonobo 2007). Per Renato Gabriele l’invito in Polonia nel 2006 inaugurava invece un’appassionata esperienza a contatto con i maggiori autori del novecento letterario polacco. Ad oggi è stato ospite di numerose e prestigiose iniziative organizzate da atenei italiani ed esteri con la collaborazione delle autorità diplomatiche polacche. Ha dato altresì alle stampe l’antologia intitolata Sette saggi di poesia polacca (Lithos, 2010). Per l’opera da egli svolta in favore della cultura polacca in Italia, è stato insignito dal Ministro degli Esteri polacco dell’onorificenza di Cavaliere “Benemerito” della Repubblica di Polonia. Hanno scritto di lui personalità di rilievo quali Jarosław Mikołajewski, Alicja Rosé e Lucia Pascale.

Il suo più recente ritorno in Polonia, questa volta a Cracovia per un incontro presso la libreria Italicus, ha offerto l’opportunità di una conversazione incentrata sulla sua opera considerata globalmente, sui processi creativi che ne sono a monte. Ad integrazione delle numerose interviste all’autore presenti sul web e in vista dell’edizione polacca di Elegie del cercatore di conchiglie, ripropongo in questo spazio le domande che hanno consentito di rilevare con maggior efficacia gli aspetti più originali e i momenti più significativi dell’arte e della poetica letteraria di Renato Gabriele.

La tua scrittura è caratterizzata innanzitutto da un sorprendente rigoglio lessicale. Si va dal repertorio biblico al vernacolare e all’inflessione dialettale attraverso l’intero trascorso storico letterario italiano e una scrupolosa terminologia attinente ai più vari ambiti disciplinari. La cura del dettaglio, del particolare sia fisico che astratto, nell’ambito di un descrittivismo fortemente suggestivo, sembra andare di pari passo con l’imperativo di ritrovare e restituire alle cose e alle realtà psichiche, compresi gli stati d’animo, nomi spesso dimenticati, divenuti tristemente desueti. Con il tuo repertorio linguistico assolvi dunque all’autorevole compito di recuperare e salvare dall’oblio il ricchissimo patrimonio lessicale italiano. È questo uno dei principali intenti realmente a monte della tua opera?

Renato – La questione, da te posta molto precisamente, dà risalto ad una caratteristica precipua della mia scrittura, quella che generalmente le viene riconosciuta ictu oculi. E tu lo fai con critica puntualità. È vero, la scelta della lingua è per me fondamentale e assolutamente non casuale. Mi spiego iniziando con l’affermare, a totale mio rischio, che la lingua ”media”, quella che Giacomo Devoto definisce in tal modo, cioè la lingua della comunicazione ordinaria, quella dei notiziari, è quanto di più lontano vi sia dalla mia intenzione e dalla mia pratica scrittoria. Ogni mio libro, che sia di poesia o di narrativa e finanche di saggistica, espone una sua speciale escogitazione linguistica; intendo che ogni libro costituisce un “in sé” linguistico speciale, che rende entusiasmante l’avventura della scrittura. A ciò si ricollega quello che tu hai individuato come rigoglio lessicale, che va a sua volta inteso come una “passione del dire”, una sorta di smania comunicativa che non si attiene ai tracciati della sfibrata convenzione, che va sempre di più stremandosi in una involuta ricerca di modi automaticamente condivisi, come altrettante “parole d’ordine”, ma che invece ricerca la più intensa espressività, alta o bassa che sia. Insomma, se parliamo di scrittura poetica, non voglio dire che il lessico adottato debba conformarsi ad una curialità stentorea, anzi!, ma che debba presentare le caratteristiche proprie di un dettato eccezionale, unico, assoluto, qual è ogni volta una poesia che sia tale. Per me non si tratta di ricercare preziosità lessicali, né relitti alla deriva, quanto piuttosto di dispiegare l’intero panorama verbale a mia disposizione e di adottarne a mio piacimento questo o quell’oggetto. Ecco dunque il ritrovato dialettale, ecco quello dal sapore desueto, ecco quello neologico. Ne sortisce una lingua del tutto mia, una mia privata e personale lingua, che io uso anche in talune occasioni quotidiane e che rende i miei percorsi talvolta impervi tal altra affabilmente persuasivi. Come, altrimenti, accedere alla parola profetica della poesia, come raccontare la bassura o l’elevatezza dell’animo umano, come strutturare il canto o le lacrime delle cose? Tua vai oltre tutto questo e mi domandi se io parta da un intento. Rispondo che quella che io ho definito come la passione del dire, parte da una fascinazione risalente ai tempi della primissima infanzia, una passione che a grado a grado, con il crescere della consapevolezza, si è sempre più accompagnata ad una intenzionalità, quella che tu hai suggerito con la tua domanda. Tene verba, res sequentur”, questo è poesia! Quanto al repertorio linguistico, dirò che io sono letteralmente intimidito – e questo è bellissimo, è bellissima questa stupita sottomissione, questo deferente inchino- davanti all’immensità del dizionario del Battaglia, quell’opera monumentale, immensa, in cui la nostra lingua si santifica. Dovrei raccontare le mie infantili navigazioni nel dizionario, alla scoperta delle parole, dall’una passando all’altra in successione logica e concettuale; dovrei dire della mia fiducia nel riscatto di ogni condizione personale attraverso la lingua; dovrei raccontare il piacere estremo provato da adolescente nella lettura del Decamerone, nel sapore fisico e reale di ogni parola di quella parola piena della luce aurorale…

In particolar modo i tuoi componimenti poetici e i tuoi romanzi, che presentano un poetare in prosa, rivelano ora più ora meno apertamente la lezione stilistica e poetica dei classici della letteratura italiana in virtù di una scrittura memore del dolce stil novo e delle rime petrose, di un lessico romantico e del culto novecentesco della parola. Quali autori ritieni abbiano influito maggiormente sulla nascita del tuo stile? Sussiste in tale circostanza anche una matrice straniera?

Renato – Ancora una volta devo riferire di una passione. Di questo si tratta, di una passionata trama di vita che in qualche modo si è sovrapposta fino a coincidere, ad una trama di letture: disordinate, caotiche, non finalizzate né strutturate in vista di un percorso di formazione quale potrebbe suggerire un maestro, ma sempre improntate al piacere intimo della scoperta, alla suggestione dei nuovi mondi a cui la lettura, ogni lettura e oserei dire anche quella pessima, ci introduce. Meraviglia delle meraviglie, favola delle favole! O “beata solitudo” della lettura: per me la sola beatitudo dell’adolescenza. Nella mia formazione ha contato molto la precocità di certe esperienze; ho già detto del Decamerone, che ho letto a quattordici anni per intero, e così dell’Orlando furioso, letto a quell’età, e dei Promessi sposi, letto e riletto prima che fosse materia di studio al ginnasio, così de I Buddenbrook. Fondamentale è stata la lettura dei poeti elisabettiani, quella di Cesare Pavese, così alieno da certo lirismo imperante e da certo ermetismo religiosamente professato; folgorante è stata la lettura di W.C. Williams, maestro della beat generation, e sopra tutte quella di T. S. Eliot. Termino dando cenno del privilegio di aver letto, a diciannove anni, l’Ulysses nella prima edizione italiana uscita da Mondadori. In questo ambito va ricercata l’origine del mio stile, così credo.

Il mito, onnipresente nei tuoi componimenti, conferisce loro un’ascendenza profondamente mediterranea di tangibile universalità. Tra le figure ricorrenti più emblematiche assumono particolare rilievo la terra, il sangue, l’uomo e la donna. È lecito ritenere che al riferimento mitico sia legato il senso più profondo della tua opera di scrittore?

Renato – Constato con piacere che l’ approfondimento del mio lavoro da parte tua è di notevole livello, e me ne compiaccio. Proprio così, allo stesso modo in cui la mia lingua si piega duttilmente a tutti gli usi trascolorando dalla versificazione di intonazione per così dire “classica”, senza per questo applicarsi a nessun tipo di restaurazione aulica, ad una versificazione assolutamente “contemporanea”, senza per questo rinunziare all’acuzie della riconoscibile forma poetica –con l’assoluta riprovazione del “poetichese” tanto stucchevolmente praticato, allo steso modo, dicevo, la materia contenutistica include passaggi, e, si badi: non citazioni ma allusioni, illuminazioni fuggevoli quanto icastiche, riferibili al mito come condizione eterna dell’animo umano fissato nei suoi momenti emblematici. Del resto io sono nato in una terra di miti e di essi mi sono nutrito sempre, non considerandoli come bagaglio culturale e di erudizione, ma come fermento di sentimenti sempre attuali e condivisibili. Sono nato infatti a due passi dal più antico culto di Diana, la Diana Tifatina; a due passi dall’antica Capua, dai culti mitraici, dal culto delle Madri. Dalle mie parti vi sono luoghi che portano ancora i nomi di Giove, di Apollo, di Bellona, di Giano…Tutto questo è il mio entroterra, al quale non mi è consentito di rinunciare. La mia terra è intrisa di mito e io ne sono imbevuto profondamente.

La tua poesia, ma anche la tua prosa, che le è affine, si presta ad essere recitata. Le tue stesse letture costituiscono un’esperienza forte per chi vi assiste, tale è la carica espressiva ed evocativa, la tensione emotiva che riesci a creare in virtù di palesi doti drammatiche. Ritieni sia questa la forma in cui la tua scrittura trovi la sua massima realizzazione?

Renato – Dico subito che io considero la poesia come una forma di comunicazione profonda e immersiva, al pari della musica. Credo che larga parte della poesia possa causare una risposta emotiva nell’ascoltatore, una risposta simile a quella della musica. Insomma il verbo della poesia non è “audio” bensì “sentio”, nel senso che essa provoca l’aisthesis: non solo la sensazione ma anche la percezione. Ne consegue che il mio modo privilegiato di trasmettere la parola poetica è quello, appunto, della parola, della phoné . Per questo ho da molti anni intrapreso la strada della performance poetica. Ho tenuto negli anni un grande numero di codeste rappresentazioni, più di trecento, riscuotendo sempre un vasto consenso, un gradimento partecipativo ed emozionato. Ho letto poesie in molteplici situazioni, in molti luoghi e varie condizioni. Dici bene tu, si tratta di possedere questa inclinazione alla parola drammatiche, che in me si fa poesia drammaturgica. Non per nulla ho pubblicato e rappresentato anche drammi, cinque lavori che, ancora una volta, mostrano una inflessione chiaramente poetica, sicché alla fine sarei incline a riconoscermi, prima che in ogni altra forma di scrittura, che pur ho frequentato, in quella poetica.

Il tuo passo narrativo reca l’andamento precipuo di un continuum che asseconda il fluire delle idee, del pensiero. In questa naturale continuità narrativa risiede la maggiore affinità con la musica. Una particolare sensibilità musicale affiora, al contempo, attraverso la citazione di strumenti musicali antichi e moderni nonché l’impiego, in certi passi, di un lessico specifico di questa disciplina. Che rapporto c’è fra la tua scrittura e la musica?

Renato – L’ho detto, tutta la mia scrittura risente di questa affinità. Del resto la poesia recitata, qual io la sento, ha proprio questa caratteristica di essere un insieme di pensiero e di canto, l’heideggeriana dichtung: una tensione senza remissione di tono. Voglio aggiungere che io giungo a dissimulare questa recitabilità musicale secondo i canoni del verso classico, spezzandolo e fratturandolo senza annullarne la vocazione musicale. Basti esaminare, a tal proposito, i versi iniziali di Elegia del cercatore di conchiglie:

Aspettando il mio treno notturno

                                percepivo il deserto

                                                       di nebbia

trapelare oltre l’ultimo scambio

dove l’occhio fosforico splendeva.”

Io sono un ascoltatore appassionato di musica, spaziando in diverse forme senza preclusioni ma con alcune predilezioni, che sono la musica barocca e i suoi classici strumenti, la musica medievale, le consonanze, il canto gregoriano…

Quest’anno sei stato ospite speciale nella grande manifestazione europea “Poesie in città” su invito dell’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia. Quali argomenti hanno ispirato il tuo intervento al Teatro Reale dell’Orangerie di Varsavia il 23 aprile scorso?

Renato – Il caso ha voluto che la manifestazione fosse ispirata alla poesia della libertà e che a tal fine fosse stato scelto un mio componimento molto giovanile intitolato Liberazione. Come ospite speciale ho letto, preceduto dall’interpretazione in lingua polacca di due attori, un mio componimento poematico intitolato Elegia del giardino segreto, un vero cavallo da battaglia per me, tanto più che il libro che contiene questa elegia, e che risale ormai a circa trent’anni fa, verrà presto ripubblicato in Italia. D’altro canto, la mia Elegia del cercatore di conchiglie verrà fra pochi giorni portata sulla scena con l’allestimento e la cura di un importante docente di teatro nell’Università di Tor Vergata, e regista teatrale, Angelo Favaro.

Dunque Liberazione è stata recentemente esposta lungo le vie di Varsavia nella magistrale versione linguistica di Jarosław Mikołajewski, mentre le Elegie del cercatore di conchiglie saranno a breve pubblicate in Polonia nella traduzione curata da Lucia Pascale e Zofia Anuszkiewicz. Quale tua opera desidereresti fosse la prossima a raggiungere il lettore polacco?

Renato – Penserei ad un romanzo, direi Appena ieri eravamo felici.

Renato Gabriele è tra i pochi autori italiani ad assistere in Polonia, vita natural durante, ad una distribuzione delle proprie opere in lingua originale e ad una loro presenza sugli scaffali di biblioteche consolari e private. I suoi scritti attendono, anche in questa parte del mondo, di essere studiati e analizzati su vari livelli, dall’esplorazione del lessico e delle immagini ricorrenti, attraverso lo studio delle tecniche narrative, fino all’approfondimento dei contenuti, da nuove e interessanti prospettive precipue di questi meridiani europei.

Polonia Oggi: Podlachia, poveri ma felici?

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Stando a un sondaggio condotto da GUS, nonostante sia una delle regioni più povere della Polonia, la Podlachia è anche quella con la popolazione più felice. Gli abitanti di quest’area sono mediamente più soddisfatti dalla vita rispetto ai loro connazionali d’altrove e apprezzano la vicinanza alla natura, i contatti sociali e le tradizioni, tra le quali quelle religiose. Il dottor Piotr Łysoń del GUS dice che in Podlachia le persone vivono in maggiore tranquillità: “In generale [vivono] meglio che in molti altri voivodati, benché [vivano] più modestamente”. Łysoń dice che l’area è sfavorevolmente situata alla periferia del paese, ma lo sviluppo della rete stradale e ferroviaria migliorerà la situazione. Dalla Podlachia se ne vanno soprattutto gli abitanti dei piccoli centri, più economicamente depressi rispetto a Białystok, e la tendenza dovrebbe proseguire. Se tuttavia l’aspetto economico rappresenta una palla al piede per la regione, in molti altri aspetti la Podlachia registra risultati migliori rispetto al resto del paese. Guadagnare meno non impedisce ai suoi abitanti di essere soddisfatti delle relazioni interpersonali, della loro vita e di trovare sollievo nella religione.

Fonte: forsal.pl

Italian Jewellery in Warsaw

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Il 20 e 21 giugno si è svolta all’Hotel Marriot di Varsavia la due giorni di workshop sulla gioielleria organizzata dall’ICE. Un evento che ha offerto a uno spaccato importante del settore italiano della gioielleria l’occasione di incrociare operatori provenienti da tanti paesi dell’Europa orientale, oltre naturalmente ai buyer polacchi. “In Italia spesso non si ha la percezione della forza economica e del grande potenziale di sviluppo della Polonia”, ha dichiarato l’Ambasciatore Alessandro De Pedys intervenendo all’incontro con le 34 aziende italiane che espongono i loro prodotti a Varsavia. De Pedys ha quindi ricordato l’importanza dell’interscambio tra i due paesi: “la Polonia è l’ottavo mercato di export per l’Italia, un paese che sulla nostra bilancia commerciale conta più di Turchia, Giappone e Russia.”

Il direttore dell’ICE Antonino Mafodda ha poi approfondito il tema della gioielleria: “La domanda di gioielli in Polonia riguarda soprattutto articoli in argento e ambra, materiali di cui il Paese vanta grande disponibilità e una lunga tradizione in termini di lavorazione. Gran parte della produzione polacca viene esportata e la domanda interna di gioielli è sempre più interessata ai prodotti di importazione e in particolare ai prodotti Made in Italy che sono ritenuti di alta gamma, soprattutto per quanto riguarda le catene d’oro e d’argento. I consumatori polacchi preferiscono nettamente il negozio di gioielleria (85%) e la bottega orafa artigianale (18%). L’e-commerce mostra forti dinamiche di sviluppo, anche se il suo utilizzo riguarda ancora prevalentemente la promozione dei prodotti. Il consumo dei coralli e cammei è invece ancora limitato. Da segnalare che il sistema distributivo polacco è concentrato in alcune grandi aziende leader che veicolano oltre il 30% delle vendite al dettaglio.”

Al workshop di Varsavia hanno preso parte 34 aziende provenienti da tutta Italia e oltre 60 operatori del settore arrivati da 15 paesi limitrofi: Albania, Armenia, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Kosovo, Lituania, Macedonia, Moldavia, Montenegro, Romania, Russia, Serbia e Ucraina. Va ricordato che il settore orafo argentiero gioielliero italiano conta circa 9.000 aziende, per un valore della produzione di oltre 7 miliardi di euro, all’interno delle quali operano 45 mila addetti. Trattasi di uno dei comparti manifatturieri di punta del Made in Italy, nonché tra i più export-oriented, con una propensione pari ad oltre l’80% del fatturato. Secondo i dati di consuntivo 2017 si registrano segnali positivi nel settore gioielleria, bigiotteria e articoli connessi; pietre preziose lavorate. Ciò vale sia per le esportazioni, con un +12%, che per le importazioni, con +10% rispetto all’anno precedente. Si registra inoltre una variazione positiva del saldo commerciale, attestata su circa 509 milioni di euro, dopo un triennio di variazioni negative. In termini di valori assoluti delle transazioni commerciali, si tratta di 7.007.466.000€ per le esportazioni e di 2.924.615.000€ per le importazioni.

Questa le aziende italiane che hanno presentato i loro prodotti all’evento organizzato a Varsavia dall’ICE: Adaltera, Bassano Collection, Bizzotto Gioielli, Bonor, Borgogni Caterina, Bracciali, Del Gatto, Desiré, Dieffeoro, Fair Line, Federici, Ferrari Fausto, FerrariFirenze, Fibo Gold, Giò Argenti, Golden Corals-Medea Jewels, Ideal Diamonds, Il Tulipano, Joy Bijoux, Laza, Light Gold & Silver, Lucchetta, M.I.I., Magalini Franco, Maori Gioiellieri, Maria De Toni, Mario Porzio Gioielli, Opera Collection, Orsogrigio, P.V.Z. – Neonero, Re Sole, Simonetto Gianfranco, Top Gold, Torrini Manifattura Orafa.

Investire a Cracovia, mercato immobiliare facile e sicuro

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Forse non c’è nessuna città d’Europa in cui il progresso si sposa alla tradizione come a Cracovia, plurisecolare sede dei re polacchi, cuore della mitteleuropa, diventata oggi uno straordinario polo attrattivo e competitivo su cui investire, con in più il piacere di una crescente qualità del vivere quotidiano. La conseguenza è che Cracovia sta registrando un vero boom immobiliare grazie alle molte aziende multinazionali che hanno progettato e sviluppato interi nuovi quartieri, caratterizzati dalle vetrate dei grattacieli, che si inseriscono nello storico tessuto urbano tra gli eleganti palazzi otto-novecenteschi abitati per la maggior parte da studenti benestanti, giovani famiglie e dipendenti delle numerose compagnie che qui hanno sede. Cracovia è quindi una città ”antica ma anche nuova”, moderna e tradizionale, conservatrice e in continua evoluzione, costellata da cantieri.

A Cracovia si sta puntando sulla qualità della vita e sul rapporto costo-qualità dei servizi dando sempre una grande attenzione alla presenza delle aree verdi. Parallelamente crescono sia i servizi per il tempo libero sia l’offerta e la qualità dei posti di lavoro, aspetti cruciali per molti investitori. L’atmosfera complessiva che Cracovia dà al visitatore fin dal suo arrivo è quella di una città equilibrata tra modernità e storia, tra spazi verdi e grande offerta per il tempo libero. E parlando con i cracoviani si capisce subito quanto amore e orgoglio abbiano verso la loro città, che offre alti standard di vita e che vanta anche un aeroporto all’avanguardia perfettamente collegato al centro. Investire a Cracovia non è tuttavia una buona idea solo per la bellezza architettonica e la qualità della vita, fattori pur importanti, ma lo è anche per delle ragioni squisitamente economiche:

1) il mercato immobiliare di Cracovia è in piena espansione e non è difficile vedere il valore del proprio immobile crescere di anno in anno, intorno al 10% annuo per quelli ubicati in pieno centro storico; allontanandosi dal centro il trend resta positivo ma cambiano le cifre (intorno al 6%);

2) a differenza dell’Italia qui gli immobili non sono solo costi, anzi, non è difficile ricavare un 8% dal proprio investimento, complice una tassazione veramente irrisoria, mentre il reddito di locazione è soggetto ad una cedola fissa dell’8,5% e la tassa di proprietà corrispondente alla nostra ICI è intorno a 1 euro al metro quadrato;

3) il trend previsto per i prossimi anni è di una continua crescita che non sembra fermarsi, superando le aspettative anche dei più ottimisti, si prevede quindi un aumento annuo del 7%, anni fa si era previsto il 5% e si è raggiunto l’8% mediamente, anche le periferie sono in crescita seppur non al livello del centro storico;

4) gestire gli immobili a Cracovia è veramente facile grazie alla presenza di agenzie come la nostra IMMOBILIARE CRACOVIA, interessate alla gestione degli immobili per affitti a breve termine per il crescente mercato turistico, o anche a lungo termine vista la presenza massiccia di studenti e di impiegati delle multinazionali.

L’investimento immobiliare in Polonia ha poi un altro valore aggiunto, ovvero il fatto che la legge tutela efficacemente i proprietari degli immobili contro i locatari morosi; tutti i nostri clienti, in particolare italiani, sono rimasti positivamente colpiti da questo fattore.


Per qualsiasi altra informazione potete contattarci ai numeri: +48798554349 (Luca Lievore) +48505469860 (Salvatore La Verde), o scrivere alla mail info@immobiliarecracovia.com

Scipione Piattoli, un’illuminista italiano alla corte polacca

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Avventuriero “onorato” e illuminista cosmopolita, abate scolopio, avvocato. Figlio di Gaetano Piattoli e Anna Bacherini, entrambi pittori: lui ritrattista e lei eccellente esecutrice di soggetti religiosi e miniaturista. Anche il fratello maggiore Giuseppe fu pittore. Malgrado in casa sua regnino tele, tavolozze, pennelli, odori acri di colori a olio e solventi, Scipione predilige l’odore di muffa dei vecchi libri, di antiche carte e sceglie di dedicarsi allo studio delle materie umanistiche. A 14 anni entra nell’Ordine degli Scolopi, assume il nome di Urbano e qualche tempo dopo, ancora giovanissimo, insegna nelle loro scuole. Laureatosi in diritto a Firenze, si iscrive alla loggia massonica modenese “Saecura Fides” e viene assunto come docente di storia ecclesiastica e di lingua greca all’Università di Modena. Nel 1774 abbandona l’ordine religioso di cui faceva parte e pubblica un “Saggio intorno al luogo del seppellire”, commissionatogli dal duca Francesco III d’Este.

Quando il duca muore, Piattoli lascia l’insegnamento a Modena e si trasferisce in Polonia, dove diventa precettore dei figli del principe Piotr Potocki. Il suo incarico non è facile: i figli del principe hanno scarse conoscenze di lingue straniere e Pelagia e Maria Potocka, rispettivamente madre e sorella del principe Piotr, sono ostili al modello pedagogico di Scipione, ispirato a Rousseau. Nel maggio 1783 inizia a collaborare con la Società dei Libri Elementari e successivamente entra al servizio della principessa Elżbieta Czartoryska, sorella di Adam Kazimierz Czartoryski e vedova del maresciallo della Corona Polacca, Stanisław Lubomirski. La frequentazione di queste grandi famiglie della magnateria polacca fanno sì che venga notato dal re Stanisław August Poniatowski. Nel 1785 viaggia per l’Europa accompagnando Henryk Lubomirski. Visita la Germania, l’Austria, l’Italia, la Svizzera e la Francia. Durante un soggiorno parigino tra il 1786 e il 1789 conosce gli ambienti prerivoluzionari.

Tornato in Polonia, Scipione Piattoli è impegnato nel mediare tra le famiglie aristocratiche come Potocki e Czartoryski e il re. Diventa uomo di fiducia di Stanislao Augusto e partecipa al progetto di una nuova costituzione ispirata al modello americano e alla promozione di una più ampia integrazione degli ebrei nella società polacca. Il suo ruolo nell’approvazione della costituzione polacca il 3 maggio 1791 gli attira l’antipatia della zarina Caterina II. Gli anni successivi all’approvazione della costituzione sono molto convulsi. Sul finire del Settecento si consumano le ultime due spartizioni della Polonia e il regno scompare dalle cartine politiche del Vecchio Continente fino al 1918. Piattoli, ridotto in gravi difficoltà economiche, soggiorna dapprima a Dresda e poi a Lipsia. Si trova in territorio austriaco quando, nel 1794, viene arrestato assieme ad altri attivisti e incarcerato. Viene liberato soltanto nel 1800 per intercessione dei Czartoryski. Muore in Turingia nove anni più tardi.

Polonia Oggi: “Civil March for Aleppo” candidata al Nobel per la pace

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Civil March For Aleppo è stata candidata al premio Nobel per la pace di quest’anno. L’iniziativa – una marcia da Berlino al confine con la Siria – è nata da un’idea della polacca Anna Alboth, giornalista, viaggiatrice e blogger. Dal 26 dicembre 2016 e per 232 giorni, 3.500 persone provenienti da 62 paesi diversi hanno attraversato i confini di 12 nazioni per chiedere la fine del conflitto in Siria. Commentando la notizia della candidatura, gli organizzatori della marcia hanno ribadito che vogliono “ancora una volta invocare una soluzione pacifica al conflitto in Siria e l’interruzione delle violenze sul suo territorio. Una seconda questione sollevata durante la marcia è il respingimento da parte dei paesi UE di molti richiedenti asilo. […] La candidatura al premio Nobel per la pace non è solo per noi, ma per tutti coloro che nel mondo tentano di fare qualcosa per gli altri”.

Fonte: kobieta.onet.pl

La storia dell’hejnał mariacki, uno dei simboli di Cracovia

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La melodia nota come hejnał viene suonata allo scoccare di ogni ora del giorno e della notte, in estate così come in inverno, e ripetuta quattro volte, una per ogni punto cardinale. Questo suono di tromba, che accompagna quotidianamente residenti e turisti, è uno degli elementi più distintivi della città vecchia di Cracovia e della Polonia più in generale. Nonostante si tratti di una delle tradizioni più distintamente polacche, l’etimologia del suo nome è a dire il vero ungherese. Deriva da ‘hajnal’, che significa ‘alba’. I polacchi l’hanno adottato nella forma hejnał, che potremmo tradurre come ‘suono di tromba’. Originariamente, nel periodo medievale, serviva in effetti a segnalare l’alba e il tramonto, quando la guardia cittadina apriva e chiudeva le porte della città. Il segnale poteva anche essere suonato per avvertire la popolazione dello scoppio di un incendio o dell’avvicinarsi del nemico a Cracovia.

La prima menzione dell’uso attuale appare soltanto a metà del XV secolo. Secondo alcuni storici, i cracoviani preoccupati che il trombettiere si distraesse, magari per una pennichella, e non badasse alla sicurezza della città, imposero che la melodia venisse suonata ad ogni ora. Il significato dell’hejnał come avvertimento contro il pericolo si associa anche alla più celebre leggenda sulla sua origine. Secondo la tradizione, durante l’invasione tatara della Polonia nel 1241, una sentinella stava suonando la melodia dalla torre della chiesa di Santa Maria per mettere in guardia la popolazione, quando all’improvviso una freccia tatara la colpì alla gola, interrompendola bruscamente. L’eroico sacrificio dell’anonima sentinella non fu però vano, perché diede ai cracoviani il tempo di trovare rifugio dall’invasore. Pare che questa leggenda abbia iniziato a circolare per merito di un giornalista e scrittore americano, Eric P. Kelly. Kelly lavorò brevemente all’Università Jagellonica di Cracovia e nel 1928 pubblicò un romanzo storico intitolato The Trumpeter of Krakow (Il trombettiere di Cracovia). Questo suggerisce ad alcuni storici la possibilità che si tratti di un’invenzione del secolo scorso, che nel tempo si è trasformata in leggenda. Altri però ritengono che possa trattarsi di una storia più risalente, rimasta a lungo confinata alla tradizione orale.

A complicare le cose c’è il fatto che esiste anche un’altra storia che pretende di spiegare l’origine dell’hejnał. Ksawery Pruszyński, giornalista che visitò l’Asia centrale al seguito del 2° Corpo d’Armata Polacco del generale Anders, pubblicò nel 1945 un breve racconto, intitolato Trębacz z Samarkandy (Il trombettiere di Samarcanda). Nel racconto l’hejnał viene interpretato dai tatari invasori come una preghiera e la sua cruenta interruzione da parte di un arciere diventa una maledizione. La cattiva sorte non avrebbe abbandonato i tatari finché un trombettiere lechita non avesse suonato il resto della melodia nella piazza centrale di Samarcanda. A causa di questa profezia, gli uzbeki che accolsero i soldati di Anders furono molto ospitali e convinsero uno dei suoi suonatori di tromba a mettere fine alla maledizione, suonando l’hejnał a Samarcanda.

Non è noto chi abbia composto la melodia. Il primo trombettiere di cui conosciamo il nome è Iwan Mikulski, che appare nei registri cittadini del 1629. Altro nome celebre è quello di Antoni Dołęga, che il 3 luglio 1901 morì mentre suonava la melodia. Fino all’inizio del Novecento la torre dalla quale viene suonato l’hejnał era priva di scale fisse e per raggiungerne la sommità si usavano scale a pioli. Il tempo necessario a salire e scendere era tale che il suonatore incaricato se ne stava praticamente sempre in cima. Oggi la sua vita è sicuramente più facile: dopo l’ultimo restauro nel 2014, ci sono ora 272 scalini, percorribili in circa 3 minuti.

Oltre all’abilità nel suonare la tromba, al trombettiere è richiesta anche una formazione da pompiere. Coloro che desiderano intraprendere questa singolare carriera devono obbligatoriamente superare un corso presso una scuola per vigili del fuoco. La giornata lavorativa dura ben 24 ore, dalle 8 alle 7 del giorno dopo, al termine delle quali c’è una pausa di 48 ore. Ad ogni turno sono sempre in servizio due trombettieri, che oltre all’hejnał suonano anche brani storici e religiosi in determinate occasioni ufficiali. La loro squadra include complessivamente sette persone.

 

 

 

Polonia Oggi: Oltre il 50% dei lavoratori soffre di stress

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Stando ai dati dell’Ispettorato polacco del lavoro (PIP), lo stress colpisce tra il 50% e il 70% dei lavoratori e si presenta quando i compiti richiesti superano le capacità di adattamento dell’uomo, il che può avere conseguenze nocive per la salute mentale e fisica. Lo stress sui luogo di lavoro comporta costi anche per le aziende: minore produttività, aumento del rischio di infortuni e assenze più frequenti. Tra i fattori che causano maggiore stress ci sono: l’insicurezza del posto di lavoro, i contratti a breve termine e il carico di lavoro. Il Consiglio per la protezione del lavoro ritiene necessario il proseguimento delle ispezioni da parte del PIP presso le aziende al fine di verificare il rispetto delle leggi in materia. Altrettanto necessario è il monitoraggio dei cambiamenti nel mercato del lavoro, che pongono nuovi rischi psicosociali, e il loro impatto sulla salute dei dipendenti.