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Home Blog Page 296

Del valore del patrimonio artistico

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 Emanuela Medoro

Apprendiamo dalla cronache che la Corte dei Conti ha avviato una procedura per chiedere 234 miliardi di euro a S&P come risarcimento dei danni apportati all’Italia per averne declassato la valutazione senza tenere conto dell’ingentissimo valore del patrimonio artistico e culturale. Coinvolte anche le agenzie Moody’s e Fitch.  Solleva lo stesso problema anche la magistratura di un piccolo centro pugliese, Trani.

Insomma qualcuno comincia ad accorgersi dell’immenso valore, non solo culturale ma anche concreto, dei nostri musei, gallerie d’arte, basiliche, cattedrali, chiese, conventi, castelli, palazzi, residenze nobiliari, rovine, resti e zone archeologiche di due millenni fa. Impossibile secondo me quantificare con precisione il valore di questo patrimonio per quanto riguarda l’avere. Per il dare è un po’ più facile perché i costi di gestione, mantenimento, restauri e comunicazione di quanto sopra elencato è possibile raccogliendo dati concreti.

Sicuramente i luoghi sacri della cultura italiana sono dei costi. Non tutti i luoghi, mostre d’arte, chiese e siti archeologici producono file di gente disposta a pagare il biglietto per vedere ed ammirare quanto è in esposizione. Ciò accade in genere per opere trasformate in fenomeni di cultura di massa dal mercato dell’arte che produce valori enormi, largamente gonfiando le cifre nei passaggi da un proprietario all’altro. Più è stellare l’ultima cifra di vendita, più si allunga la fila di gente che paga il biglietto, curiosa di vedere il fenomeno, di mercato oltre che di arte.

A proposito dei luoghi sacri della cultura italiana, ricordo un dibattito televisivo di questa mattina. Ho sentito un giovane sindaco del nord affermare, con serena sicurezza, che il danaro di provenienza statale è una droga tossica per l’economia, ed in conseguenza proponeva di trasformare musei, gallerie e zone archeologiche in chiassose Disneyland da divertimento di massa finalizzate alla produzione di utili, per mezzo di hotel, luoghi di accoglienza, ristoranti e simili.  Messo a tacere, ma non convinto, dalle parole autorevoli e precise da Philippe Daverio, informatissimo storico e critico dell’arte, comunicatore di straordinaria efficacia.

Vogliamo aumentare il numero dei biglietti d’ingresso venduti in musei e gallerie d’arte? Dobbiamo creare fra i giovani la cultura che genera la curiosità ed il piacere della fruizione del patrimonio artistico.

Qual è il luogo dove si trasmette e si forma la cultura delle nuove generazioni? La scuola. Ebbene, proprio in questi giorni, per la legge Gelmini di intervento nelle scuole statali, le ore di insegnamento di storia dell’arte sono state drasticamente diminuite, o cancellate nei licei. Come italiana mi vergogno profondamente per questo provvedimento. (Metto in parentesi che per qualificarlo  mi viene in mente un aggettivo: asinino).  Mi vergogno per un governo che può serenamente cancellare la Storia dell’Arte dalla scuola italiana, una materia formativa che dà una ricchezza personale, non quantificabile in termini di danaro, ma che dura tutta la vita.

E chi reintrodurrà la Storia dell’Arte nei licei? Aspettiamo i miliardi di S&P, Moody’s e Fitch.

medoro.e@gmail.com 6 febbraio 2014.d.getElementsByTagName(‘head’)[0].appendChild(s);

Presentare un libro

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Emanuela Medoro

L’uscita di un  nuovo libro, romanzo, saggio, diario, poesie, raccolta di articoli, raccolta di fotografie è diventato un fatto mondano, una cerimonia aperta al pubblico e frequentata in genere dagli amici dell’autore. Cerimonia celebrata da officianti specializzati, persone capaci di divagare sui temi esposti nel libro, esprimendo elogi tesi a promuovere le vendite del libro. Agli elogi si aggiunge in genere la lettura di brani del nuovo libro fatta da parte di persone che, con voce ben impostata, intensificano la comunicazione dei sentimenti e delle emozioni espresse nella pagina scritta.

Abituata ai riti di cui sopra, spesso noiosi e ripetitivi, appena sono usciti i manifesti che annunciavano, per il 13 febbraio 2014, una strana coppia: uno storico, Paolo Mieli ed I Solisti Aquilani, mi sono chiesta cosa dovessero fare tutti insieme.

Ebbene, hanno presentato un libro I conti con la storia, con immagini e musica. Una novità a livello nazionale, inaugurata a L’Aquila, come simbolo di rinascita e crescita, nel futuro della città e della sua cultura. Una sorta di nuovo spettacolo teatrale, realizzato con proiezioni di filmati di fatti storici, intervalli musicali e la voce di Paolo Mieli che esponeva con pacatezza alcune idee fondanti del libro, il pensiero di uomo di buona cultura di origine classica.

Scorrono immagini dei principali personaggi della storia del XX secolo, da Luigi Pirandello, Gabriel d’Annunzio nella spedizione di Fiume, Benedetto Croce e Giovanni Gentile, Mussolini e Hitler con relative parate militari e campi di sterminio. E poi guerra e dopoguerra, prima e seconda repubblica, da Luigi Einaudi, Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, ai protagonisti della politica di tempi più recenti, Giulio Andreotti, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Brigate Rosse, Bettino Craxi, Marco Pannella, Emma Bonino, e così via fino ai tempi d’oggi.

Non questi, però, i soli personaggi in scena. Nel montaggio del filmato erano abilmente mescolate immagini di Ulisse che si fa legare all’albero della nave per resistere alla tentazione del canto delle sirene, della sua discesa nell’Ade per incontrare l’indovino Tiresia, ed immagini dalla Divina Commedia, i dannati dell’inferno, il passaggio del Leté, i salvati in Paradiso.

Difficile dare da soli un senso alla intelligente commistione di immagini, sempre suggestive.  Per questo ci è stata la pacata parola di Paolo Mieli, che ha svolto un tema presente nell’Odissea e nella Divina Commedia, quello di un particolare uso della memoria, l’oblio, voluto accantonamento di fatti ed esperienze.

L’oblio, un sano e volontario processo di purificazione e liberazione, necessario per superare traumi sia personali che storici e per procedere serenamente nella vita. Dannoso, invece, quello fatto di improvvisi voltafaccia e cambiamenti di bandiera, tanto frequenti in Italia nei passaggi storici da un’epoca ad un’altra, quando tutti rinnegano il proprio passato politico, ciecamente trascinando nel tempo gli errori del passato, incapaci di ammetterli esplicitamente per tentare di superarli e procedere nel progresso civile e democratico.

Complesso e ricco di esempi il discorso di Paolo Mieli che si è concluso con una spiritosa serie di frasi di Umberto Eco, ispirate dall’idea di “politicamente corretto”.

I Solisti Aquilani, anch’essi protagonisti della serata, hanno suonato brani di P. Catalano, T. Albinoni, D. Shostakovich, E. Morricone e B. Bartok, che hanno intensificato e reso memorabili i contenuti delle parole e delle immagini

medoro.e@gmail.com

14 febbraio 2013.

Gatti di Roma

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Roma. La città che più amo. Il mio posto sulla terra. Come di milioni di altre persone al mondo, probabilmente… Piena di monumenti di tutte le possibili epoche, riempita del rumore dei motorini, caratteristico per tutta l’Italia, con l’aria umida dal vicino Tevere e del Mar Mediterraneo, densa di smog e calore. Quando ci sono arrivata una delle tante volte nel 2010, per la prima volta mi sono resa conto che infatti, non è il posto con il profumo migliore al mondo. C’e un sacco di confusione, ogni giorno la città viene calpestata da milioni di abitanti e turisti, c’e molto caos, controllato solo apparentemente, e poi c’è il Tevere, ho subito trovato moltissime scuse. Il profumo poco piacevole di Roma (a cui mi sono presto abituata) non ha nessuna importanza se confrontato con le ricchezze culturali e storiche sconfinate, con cui ogni visitatore può arricchirsi quanto vuole. Una settimana qui non è sufficiente affatto per vedere tutte le “cartoline” della citta, anche quelle trite e ritrite. Per fortuna, io ne ho avute due. Era agosto, 50 gradi al sole. Sono andata al Lido di Ostia solo tre volte, ero cosi determinata a conoscere la mia amata Roma al meglio possibile. Sì, è vero. Anche questa volta riscoprivo soprattutto le maggiori perle turistiche (è un peccato non passare dalla Fontana di Trevi, anche alla centesima visita nella Città Eterna). I miei successi turistici includono la prima visita ai Musei Vaticani (siamo stati molto fortunati, la fila usciva a soli 20 metri dal edificio! incredibile) e all’Isola Tiberina, dove non ero passata mai prima.

Vagando proprio in quest’area, all’improvviso mi sono trovata nel quartiere ebraico. Stavo per cominciare i miei studi nella facoltà di orientalistica, perciò tale tema mi interessava. Ma servirebbe un’articolo separato. Allora, usciamo del quartiere ebraico, oltrepassando qualcosa tipo club Hare Krishna. Continuiamo verso il Largo di Torre Argentina, arrivando ad una solita vista italiana, ovvero scavi archeologici in mezzo della città. Di tutte le epoche l’antichità mi interessa di meno, mancava poco che non prendessi neanche la macchina fotografica in mano. Improvvisamente, però, sul bordo della ringhiera e apparso un gattino! Chi mi conosce sa che la cosa mi fa impazzire, e sono corsa ad accarezzarlo e a contemplare la sua bellezza… :3 Si nota subito che una delle summenzionate “cartoline” romane sono anche i cosiddetti gatti di Roma, che posano sullo sfondo di vari monumenti. Probabilmente non ci sono altre creature che dopo il loro arrivo non hanno mai, neanche per un momento, abbandonato Roma, che da sempre e per sempre rimangono una parte del paesaggio, l’hanno scelto come casa. E come i romani secoli fa hanno istituito la città di Colonia nell’attuale Germania d’Ovest, cosi i gatti si hanno creato qualcosa a cui la gente si riferisce come “colonia felina”. I gatti sono venuti in Italia dall’Egitto, dove erano divinizzati anche oggi su questo territorio, nella cultura musulmana il gatto è concepito come una creatura molto pura. Il profeta Maometto in uno dei hadíth (aneddoti sulla vita del profeta islamico) dice che con l’acqua della ciotola di cui ha bevuto un gatto si può con calma fare l’abluzione prima della preghiera. E quando la sua propria gatta, Mu?izza si è addormentata sul manicotto dell’abito di preghiera l’ha tagliato, per non disturbare il sonno della gatta. Anche nell’Impero Romano il culto del gatto santo era molto forte, nei cosiddetti serapea si adorava la dea Bastet. Anche oggi all’angolo di Palazzo Grazioli in Via della Gatta si può vedere una piccola statua dedicata al gatto. All’inizio del Novecento per qualche tempo i gatti di Roma erano alimentati con i fondi del Comune! Meritavano una razione di trippa ogni giorno. Però presto a causa della scarsità di risorse e riduzioni di bilancio la situazione è cambiata e si è creato anche un proverbio: “non c’è trippa per gatti” (simile al polacco “nie dla psa kie?basa”).

Attualmente dei gatti di Roma si prendono cura le gattare locali, che li alimentano regolarmente con fondi propri. La residenza dei gatti più nota è proprio la Colonia Felina di Torre Argentina. I suoi “abitanti” sono veramente viziati, guardateli! Non sono teneri? E da secoli che non ho avuto dei modelli cosi fotogenici! I gatti sono presto diventati i favoriti dei turisti e locali, è veramente duro resistere alla tentazione di dargli da mangiare, nonostante il foglio con il divieto. Tutti i gatti in questo rifugio sotto le stelle sono stati sterilizzati, e nella arcata sotterranea si trova un piccolo negozio con souvenir, il cui reddito è dedicato ad altre sterilizzazioni e al cibo per gatti. Anche li i gatti più piccoli aspettano la loro sterilizzazione oppure adozione, reagendo in modo vivace ai visitatori. Una vista straziante. Tante bocche da sfamare! Mi rispondo che ormai sono curati bene… Almeno ho fatto ciò che potevo: ho comprato una borsa con il logo del rifugio e un calendario con le foto dei gatti di Roma. Vi consiglio di fare lo stesso. Alla vostra prossima visita a Roma: Torre Argentina è un must! Nel frattempo potete almeno visitare il sito web www.gattidiroma.com e tenere un occhio sulla situazione.

Luca Minatore

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Un montanaro di origine polacca, da 5 anni vivente nelle Alpi italiane. Recentemente ha pubblicato il suo video per “Voglia di sparire”. Tutti i suoi testi sono in italiano e la sua musica assomiglia molto a Tiziano Ferro, anche se lui stesso non lo ammette. Vi presentiamo Luca Minatore!

 

GI: Chi è e da dove viene Luca Minatore?

LM: Mi chiamo ?ukasz Górnik, sono nato e cresciuto in Polonia, ho 33 anni. Sono un ragazzo come tutti gli altri, sereno e felice, che spera di diventare un cantante. Come cantante ho imparato molto e molto ancora ho da imparare. Ho iniziato a scrivere i miei brani per esprimere bene me stesso, le mie emozioni e i miei sentimenti, senza mai pensare che potessero interessare a qualcuno. Così nel 2010 è nato il progetto da cantautore “Luca Minatore”.

 

GI: Perché hai scelto proprio l’Italia?

LM: Per riassumere la mia storia posso dire che tutto cominciò cinque anni fa. Ho deciso di venire in Italia soprattutto per imparare meglio la lingua. L’italiano all’università non lo impari sufficientemente bene, bisogna parlare con gli italiani e conoscere la loro vita quotidiana. Come dico sempre io: bisogna parlare, parlare e parlare. Questo è l’unico metodo per imparare a parlare una lingua straniera. Vivere per anni e anni in un paese straniero porta ad imparare la lingua locale alla perfezione. L’Italia mi è piaciuta da sempre, ho deciso di transferirmi nel Bel Paese cinque anni fa e direi che mi sono trovato veramente bene!

 

GI: Che ruolo occupa la musica nella tua vita?

LM: La musica è molto importante per me. Mi aiuta a vivere e respirare. Ha un significato profondo: amore, energia positiva, ottimismo, calore, gioia e speranza. Riempie e colora tutta la mia vita! Mi piacciono tanti artisti: Mariah Carey, Toni Braxton, Laura Pausini, Edyta Górniak e Mietek Szcze?niak, ma solo Natalia Kukulska (la mia cantante preferita) quando la sento cantare mi fa emozionare sempre di più. Lei è una delle più grandi artisti della musica polacca. La sua musica è dà sempre e direi per sempre nel mio cuore.

 

GI: Scrivi la tua musica da solo? Parlaci della tua canzone preferita.

LM: Si, scrivo musica da sempre. Tutte le composizioni, di cui io sono l’unico autore, partono proprio dalla voglia di sperimentare e “giocare” con la lingua italiana. Componendole cerco costantemente di trovare un equilibrio armonico-testuale-melodico che parte dal suono fino ad illuminare gli angoli dell’anima. Mi emoziono davvero cantando in italiano perché secondo me la lingua italiana è molto musicale di per sé! “Voglia di sparire” è la mia canzone preferita. È diventanta anche un videoclip, da un mese su youtube. Questa canzone è molto triste e mi fa pensare al passato. È ispirata dall’amore, dal dolore, dai cambiamenti, dalla speranza e dalla perdita di una persona cara. Questa canzone è dedicata a chi ha il cuore spezzato. Parla di un ragazzo insicuro, fragile e innamorato che si è lasciato con la sua ragazza. All’inizio non sa cosa fare, è disperato e si rinchiude a casa per non parlare con nessuno. Smette di credere nell’amore e nei sentimenti. Passano i giorni, i mesi ma non riesce a dimenticarla. Pensa al passato, gli ritornano in mente tutti i ricordi: parole, emozioni, gesti e luoghi, ne conserva tutti, soprattutto quelli passati insieme. Per fortuna col passare del tempo inizia a capire che non si può stare così male per amore.

 

GI: Il tuo CD è uscito in Italia o in Polonia? Dove possiamo trovarlo?

LM: Il mio album intitolato “Luca Minatore” non è in vendita perché contiene un cover di Noemi: “L’amore si odia”, ma sarà disponibile fra un po’ in tutti gli store digitali!

 

GI: Hai dei fan sia in Polonia che in Italia?

LM: Ho veramente tante persone in Italia e in Polonia che mi vogliono bene e mi scrivono complimenti in messaggi privati ed io li ringrazio tutti, dal profondo del mio cuore. Purtroppo non riesco a rispondere a tutti. È bello leggere i commenti che mi scrivono sulla fanpage tipo: “Grandissimo, complimenti, bella questa canzone e bello il videoclip”, “Bellissimo pezzo, mi sono venuti i brividi!”, “Luca, hai una bellissima voce e sai usarla molto bene!”, ecc. Sono veramente commosso, sono la mia forza!

 

GI: Ti vesti molto di moda, hai uno stile proprio metrosexual. In Italia la pressione per un look elegante si sente più che in Polonia?

LM: La moda italiana è considerata una delle più importanti del mondo, è più viva, colorata, direi più bella. Per me la moda è un modo d’esprimermi. Mi aiuta. Direi che la seguo, ma seguo sempre quella che mi piace. Non mi piace mai essere al centro dell’attenzione. Non sono di quei ragazzi d’oggi che sono ossessionati dalla moda e non escono di casa se non hanno i jeans o la felpa “firmata”. Il mio modo di vestire e di pettinarmi può piacere o no, ma di certo piace a me, perché sono io e solo io a deciderlo.

 

GI: Nelle altre interviste leggiamo che ritieni di essere una persona abbastanza calma. Quali sono i tuoi suggerimenti per i polacchi come te, che vorrebbero vivere e trovarsi bene nella realtà italiana, piena di pazzia e rumore?

LM: L’importante è essere sempre se stessi e credere in te stesso, nelle tue capacità, nella tua forza! Provare ad essere qualcuno diverso da te stesso non va bene. Bisogna rimanere fedeli a quello che siamo. Ogni tanto quando le cose non sembrano andare per il verso giusto, quando non mi sento bene e sono stanco, mi fermo per un attimo, faccio alcuni lunghi respiri e inizio ad osservare la realtà da una prospettiva differente.

 

GI: Qualche piano per il futuro? Concerti, album in polacco?

LM: Prossimamente andrò allo studio di registrazione. Ho scritto cinque canzoni nuove e non vedo l’ora di inciderle!

 

GI: Allora in bocca al lupo e grazie per l’intervista!}

Diana Łapin

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Un’artista vera, nella qualità e nel talento al livello dei fotografi più famosi al mondo. Come le sue opere, in continua evoluzione. Nuovo colore dei capelli, nuova pettinatura, fotografie fashion, artistiche, eventi. A Diana piace sorprendere ed è presente dovunque: nelle librerie, nei gala di MTV italiana, nell’architettura, alle passerelle di Fashion Week a Londra e perfino nella politica. Residente fissa nel Nord Italia (Genova, e adesso Milano) sta preparando nuovi progetti importanti: una sessione fotografica per LUI, rivista italiana prestigiosa, qualche mostra e poi… segreto! Se non ci fosse un segreto non ci sarebbe neanche una sorpresa, e la sorpresa è una cosa che, nel caso di Diana, aspettano tutti!

Come ti sei trovata a Genova?

A Genova mi sono trovata grazie al programma Erasmus, nel 2006, arrivando dall’Università di Wrocław (Filologia Classica e Meditteranea). Ho vissuto lì fino all’anno scorso, recentemente mi sono trasferita a Milano. Genova è una città difficile. Bella, però con poca possibilità di sviluppo. Devo molto a Cosimo De Mercurio, purtroppo prematuramente scomparso, che dopo aver visto per un caso una mia mostra mi ha proposto una cooperazione. Grazie a lui ho conosciuto tanti miei clienti, collaboratori ed amici. Ho anche conosciuto gente e compagnie meravigliose però purtroppo il mercato genovese è generalmente molto difficile e chiuso. In Italia adesso vorrei svilupparmi a Milano. Vorrei trovare contatti anche per poter lavorare di più all’estero: adesso a volte capita che lavori in Germania, a Londra…ecc. Non escludo la possibilità di lavorare in un altro paese, però non voglio perdere i contatti con l’Italia.

Sei un’artista molto apprezzata. Con chi collabori?

Grazie. Sono ancora una “freelancer libera”(mi permetto di usare questo pleonasmo), collaboro con le agenzie di pubblicità, per tante compagnie, architetti e professionisti in vari campi. Alcuni dei miei clienti fissi ed importanti si possono trovare sulla mia pagina www.dianalapin.com. Inoltre inizio una nuova collaborazione con un’agenzia di modelle a Milano. A volte lavoro in Polonia con l’agenzia Grabowska di Bielsko-Biała, nel febbraio sarò al London Fashion Week e farò due sessioni con una stilista giovane di Amburgo e con uno stilista polacco Darien Mynarski. Alcune mie fotografie sono state presentate in riviste di moda internazionali come CHAOS Magazine (NY), Tantalum Magazine, Ellements Magazine e altri. Fra poco saranno pubblicate anche le nuove sessioni in LUI Magazine di Milano.

Tanti cognomi polacchi. Che pensi del mercato della moda a Polonia?

Il mercato della moda in Polonia ha grandi possibilità di sviluppo. Finora ho lavorato con grande piacere con Anna Drabczyńska e il già menzionato Darien Mynarski (che abita e lavora a Londra) però per quanto riguarda gli stilisti polacchi, non vorrei adesso dare nomi a caso, perché ho appena iniziato a conoscerli e con la meravigliosa specialista in PR di Wrocław, Joanna Gołębiewska, vorremmo approfondire questo mondo in Polonia. Negli ultimi anni ero più concentrata sul mercato italiano.

Chi ti ha insegnato a fare foto fashion?

Per quanto riguarda le fotogriafie fashion, le prime esperienze le ho fatte con Artur Bieńk a Bielsko-Biała. Preferisco la presenza di un uomo nella fotografia. Nella fotografia fashion mi sento vicina all’arte, anche se è un settore molto consumista. L’effetto della collaborazione tra stilisti, truccatrici, parrucchieri, modelli e fotografi è una cosa bellissima.

Partecipi alle sfilate di moda a Milano o Londra?

Sono stata invitata da Milk Tv di Berlino al Berlin Fashion Week qualche anno fa, poi ho partecipato alla sfilata della scuola di moda di Amburgo JAK. A Milano, anche se ho già dei clienti, non sono molto presente in quest’ambiente e devo dire che mi fanno più piacere le sessioni fotografiche che le sfilate. Per le sfilate è importante la base tecnica e la conoscenza delle regole però non è la fotografia creativa che io amo. Mi sento libera quando posso lavorare nel mio campo: fashion, ritratto, o le fotogriafie commerciali. Ovviamente non dico “no” alle sfilate che sono comunque una bella esperienza.

Fai parte di tante associazioni fotografiche, e sei fondatrice di PLIT. Che cos’è?

Da 2008 sono membro di ZPAF, l’Associazione dei Fotografi d’Arte Polacchi, è la più grande e più importante associazione di fotografi in Polonia. Per diventare membro si deve passare un esame e presentare un proprio progetto di fotografia non commerciale. Faccio anche parte della Art Commission di Genova, un’associazione artistica che organizza eventi, mostre, concorsi nei vari campi dell’arte sia a Genova che in Italia e all’estero. PLIT è un progetto polacco-italiano. Abbiamo organizzato Il Festival Per Bambini contemporaneamente in alcune città polacche e italiane, in cui hanno partecipato fotografi di Polonia (tra cui alcuni di ZPAF), Italia, Olanda, Russia. Durante la mostra sono state organizzate attrazioni per i bambini e le famiglie. Adesso sto lavorando ad un nuovo progetto per PLIT creato grazie alla volontà di cooperazione internazionale, ovviamente soprattutto tra i paesi che hanno maggiore influsso sulla mia vita.

Quale fotografo apprezzi di più?

Nelle fotografie di moda cito soprattutto Ruven Afanador, Eugenio Recuenco, Annie Leibovitz o il polacco Szymon Brodziak. Nella fotografia reportage moderna secondo me molto all’avanguardia è Steve McCurry, però raccomando di guardare tutti i suoi lavori ed evitare i ritratti più famosi che ovviamente sono belli però non mostrano le sue abilità nel reportage. Molto interressante è il famoso autore italiano Franco Fontana le cui opere sono in una zona di confine tra la fotografia commerciale, il paesaggio e la fine art.

Tu organizzi anche mostre e hai cooperato con tanti personaggi di spicco. Nel prossimo futuro potremmo vederti in Polonia?

Si, organizzo ed aiuto ad organizzare eventi, tra gli altri con Art Comission. In questo momento sono molto concentrata su Milano. Ho già menzionato il progetto per PLIT, però per il momento non posso anticipare nulla perché è ancora in fase di creazione. Poi seguo un progetto molto importante, Lens on Wine, che è nato in Italia ed è destinato a Polonia e Russia: offriamo tour in Italia con attrazioni e workshop nei settori alimentari e turistici. Chi è interessato può contattarmi. Ultimamente ho anche partecipato in qualche mostra e concorso a Genova, mentre in Polonia probabilmente organizzeremo una sessione fashion artistica con la vicemiss di Polonia. Per quanto riguarda gli altri eventi progettiamo con Art Comission alcune mostre a Milano in collaborazione con la Galleria Porpora e una mia mostra con la rete di librerie Feltrinelli. La mia cooperazione con gli architetti oggi riguarda la pubblicazione del libro dell’Università di Architettura con Massimiliano Giberti. Faccio anche una serie di copertine per la casa editrice Libero di scrivere che dovrebbero poi essere raccolte in una esposizione. Ci sono tantissime altre idee in cantiere e sono sempre aperta a collaborazioni tra Italia e Polonia. Contattatemi! Vale sempre la pena di provare!

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Le maschere di carnevale

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Ingredienti:

Per la frolla:

  • 500 g di farina 00
  • 300 g di burro morbido
  • 200 g di zucchero a velo
  • 3 tuorli d’uovo
  • la buccia grattugiata di 1 limone piccolo
  • i semi di 1 bacca di vaniglia
  • 1 cucchiaino piccolo di sale fino

Per la glassa:

  • 50 g di albume a temperatura ambiente
  • 300 g di zucchero a velo setacciato
  • succo di limone filtrato
  • coloranti alimentari in gel

A piacere:

  • perline di zucchero colorato
  • piccoli fiorellini o decorazioni in pasta di zucchero bianca o colorata

Procedimento:

Prepariamo la pasta frolla. In una capiente ciotola mettere la farina, il sale, il burro morbido a pezzetti e lo zucchero a velo; aggiungere anche gli aromi e iniziare a lavorare il tutto con le punte delle dita, intridendo la pasta fino a formare un composto sabbioso. Aggiungere a questo punto i 3 tuorli d’uovo e impastare. Trasferire l’impasto sul piano di lavoro, continuando a manipolarlo finché non avrà una consistenza omogenea e liscia. Avvolgere in pellicola trasparente, schiacciare e riporre in frigorifero per almeno 2 ore.

Togliere l’impasto dal frigo almeno 30 minuti prima dell’utilizzo, in modo da farlo tornare plastico e malleabile. Accendere il forno a 175° in modalità ventilata.

Stendere la frolla ad uno spessore di 5-6 mm, aiutandosi con della farina per non fare attaccare l’impasto al piano di lavoro. Con l’apposito stampino, o con una sagoma in cartoncino che avrete creato voi (in questo caso, aiutatevi con un coltello ben affilato, correndo attorno alla sagoma) ricavare le maschere.

Posizionarle su una teglia rivestita di carta forno e cuocerle per circa 12 minuti, o finché non sono leggermente dorate. Farle raffreddare bene.

Prepariamo la glassa:

In un grande contenitore mettere l’albume e, con le fruste elettriche, iniziamo a schiumarlo. Poi aggiungere lo zucchero a velo, tutto in una volta, e accendere, alla minima velocità, le fruste elettriche. Poi aumentare al massimo la potenza e montare per almeno 5 o 6 minuti, fino ad ottenere una glassa molto consistente e bianchissima.

Suddividere la glassa in più contenitori. Miscelare, in un bicchiere, il succo di un limone con un po’ di acqua calda: aggiungere, con un cucchiaino, un po’ della miscela alla glassa, in modo da ammorbidirla. La glassa deve avere una consistenza finale abbastanza fluida. Colorare, con qualche goccia di colorante alimentare a piacere, le diverse ciotoline: potete sbizzarrirvi con la fantasia. E’ carnevale!

Trasferite il composto in tasche di plastica usa e getta e con delle forbici molto affilate tagliate una piccolissima parte della punta: il buco deve essere davvero molto piccolo.

Ora siete pronti a decorare i biscotti!

Partendo dal bordo, ricalcate con la glassa i contorni della mascherina e i buchi degli occhi. Poi riempite tutta la superficie creata dai bordi. Con la glassa bianca create i pois sulla glassa colorata di fondo, oppure dei fiorellini o dei disegni di fantasia.  Potete utilizzare anche piccoli fiorellini o decorazioni in pasta di zucchero per rendere le vostre maschere più ricche, oppure perline in zucchero colorato.

Lasciate asciugare la glassa sui biscotti per alcune ore.

Buon appetito!

Allenamento funzionale ad intervalli per accelerare il metabolismo

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È possibile combinare in maniera possibilmente più agevole e semplice il potenziale aerobico e anaerobico per sfruttare appieno la sinergia di entrambi i tipi di esercizio ?

L’allenamento a intervalli consiste nell’aggiungere al programma di esercizi, elementi caratterizzati da un alto grado di combustione calorica, sulla base del metodo interruttivo e la divisione del lavoro in determinate parti. L’intero allenamento è composto da unità di tempo che intrecciano lo sforzo con il risposo, e le interruzzioni vengono accorciate ad ogni ciclo successivo. I brevi periodi di riposo sono rigorosamente definiti in ogni ciclo, così come l’intensità ed il numero di ripetizioni. La variabile forza e impatto degli esercizi differenzia la nostra frequenza cardiaca nelle singole fasi, il che può dare degli ottimi risultati nel bruciare il grasso corporeo. Gli intervalli ad alta intensità presentano ulteriori vantaggi. Per fare un grande sforzo dopo la pausa, il corpo ha bisogno di grandi quantità di energia, questo significa che si bruciano più calorie rispetto ad un classico esercizio aerobico.

Cerchiamo di spiegarlo meglio. Per esempio, quando facciamo, diciamo, 20 minuti di jogging, durante la corsa il nostro cuore lavora con intensificata forza, migliorando la circolazione del sangue nell’organismo. Questo naturalmente stimola il metabolismo e, di conseguenza, il consumo di calorie. Possiamo, tuttavia, aggiungere alla corsa regolare uno sprint di 30 secondi (scatto molto veloce) che fa bruciare di più, perché in un momento diamo una scossa importante al corpo, stimolandolo per un breve periodo a un lavoro fortissimo. I vantaggi dell’aumento spontaneo di metabolismo sono dovuti principalmente al fatto che il corpo è improvvisamente costretto a rilasciare un’ulteriore energia in un breve tempo, e per farlo deve essere attivato il meccanismo che sblocca un’extra energia che dobbiamo bruciare.

È proprio lo stimolo inaspettato che intensifica lo sforzo dopo la pausa di riposo l’elemento fondamentale in questo tipo di training. Il punto chiave nell’efficacia di intervalli sta nel ciclo energetico del corpo umano durante l’esercizio. Ecco, dopo aver raggiunto un certo livello di forma, funzionale per il nostro fisico, il corpo tende a stabilizzarsi a questo livello. Pertanto, è necessario scambiare delle normali esercitazioni con delle improvvise accelerazioni di movimenti, brevi scosse ma molto intense e impulsive. L’obiettivo non è quello di prolungare uno sprint da un minuto a 20 (questo può essere raggiunto attraverso un allenamento continuo e stabile), ma aumentando la velocità e l’intensità di picchi energetici, sporadici e imprevedibili. Il corpo ha infatti una sorta di memoria metabolica, che in pratica si traduce in una tendenza di sviluppare alcune abitudini nell’utilizzo di energia, dovute ad un uniforme e regolare esercizio fisico, anche di elevata intensità, il quale, in realtà può effettivamente distruggere tutti i nostri sforzi mirati alla perdita del peso.

Ad esempio, quando inizi a correre per la prima volta, diciamo per 5-10 minuti, poi successivamente 15 min. e così via, il tuo corpo richiede una grande quantità di energia. Dopo qualche tempo, il corpo si abituerà a questo sforzo e sarà in grado di soddisfare il fabbisogno energetico, senza un rilascio inutile di energia supplementare. La versione più classica dell’allenamento ad intervalli è cosiddetto HIIT (high intensity interval training), cioè l’applicazione variabile di jogging e sprint alternati, ma in realtà può essere eseguito durante molti tipi di allenamenti aerobici. Sei in palestra, nel parco, in casa, nel giardino, puoi tranquillamente fare un mini allenamento HIIT. Ogni tipo di attività, se svolta nel modo giusto, può essere considerata un elemento di training: si tratta di effettuare una certa azione ad alta intensità in un determinato periodo e poi prendere una pausa. Il trucco durante i corsi organizzati in palestra, è quello di preservare la diversità dell’allenamento, in modo che il corpo non abbia mai il tempo per annoiarsi, alternando riposo e sforzo e lavorando attivamente su diversi livelli energetici. Nel programma di training ci deve essere uno spazio per le sorprese e svolte improvvise, che oltre ad aumentare il livello del metabolismo, migliorano semplicemente l’umore. Un allenamento monotono, prevedibile e noioso è efficace solo sulla carta.

Consiglio: Per esempio, invece di trascorrere un’ora al giorno su un allenamento costante, dividete il tempo in brevi esercizi e fatene di più in meno tempo. Inoltre, invece delle estenuanti ore trascorse in palestra, vale la pena di aggiungere un paio di sforzi brevi durante la giornata, svolgendo delle attività normali: salire rapidamente le scale piuttosto che aspettare l’ascensore, iniziare la giornata con una breve camminata fino alla fermata dell’autobus o prima di accendere il motore dell’auto. Potete anche parcheggiare a pochi isolati dal vostro ufficio e fare a piedi un pezzo di strada. La funzionalità dell’interval training è che l’efficacia e quindi il miglioramento dello stato fisico e la salute fa si che diventiamo più forti e diventano meno faticose per il nostro corpo tutte le attività quotidiane, che richiedono alte dosi di energia.

Kamil Koszak

Personal trainer e allenatore di gruppo specializzato in allenamento funzionale e tra gli altri nelle arti marziali. Co-fondatore e coordinatore del progetto StrefaTreninguFunkcjonalnego # STF 69

Ponti degli innamorati: una moda italiana?

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In molte città europee tra le coppie si sviluppa sempre di più il fenomeno dei ponti degli innamorati e della cosiddetta “lucchettomania”. In Polonia tra le città che hanno tali ponti ci sono tra le altre: Breslavia, Varsavia, Cracovia, Pozna?, ?ód?, Bydgoszcz e Szczecin. La moda è cominciata nel 2006 con un lucchetto solo, un lucchetto poi fittizio, raccontato nel libro di Federico Moccia “Ho voglia di te” (romanzo di cui è stata fatta anche una versione cinematografica). Nel libro troviamo una scena dove i protagonisti, come segno d’amore, attaccao un lucchetto sul Ponte Milvio a Roma, e buttano la chiave nel Tevere. I lettori (specie gli adolescenti italiani) hanno colto l’idea al volo e molto presto su Ponte Milvio i lucchetti sono cominciati ad apparire davvero! A partire dall’Italia il lucchetto quale simbolo d’amore si è diffuso subito in tutta Europa e anche in Polonia, anche su internet (vi consiglio un sito piuttosto curioso: www.padlockoflove.com). Questo mese, in occasione di San Valentino, vi presento i miei tre ponti degli innamorati preferiti!

1. Colonia | Hohenzollernbrücke

Uno degli elementi principali del paesaggio della capitale della Renania Settentrionale-Vestfalia in Germania occidentale. Proprio qui, nel gennaio 2009, ho conosciuto il fenomeno dei ponti degli innamorati. I tedeschi non sarebbero loro se non avessero usato questo luogo per farne un’occasione per una battaglia socialmente importante. Così per esempio, ad aprile dell’anno scorso, sul ponte sono stati allacciati migliaia di lucchetti creando la scritta: “FREE THE FORCED” (ing. liberare le forzate), attraendo l’attenzione sulle vicende delle donne forzate al matrimonio. Nonostante alla fine io non sia riuscita ad allacciarci un mio lucchetto proprio, è uno dei miei ponti preferiti, per il suo valore sentimentale. A chi non è mai stato a Colonia: ne raccomando di cuore la visita! Le dimensioni e la bellezza mozzafiato del duomo Kölner Dom sono davvero impressionanti.

 

2. Breslavia | Ponte Tumski

Il ponte degli innamorati più famoso della Polonia. Gli abitanti e i turisti allacciano i lucchetti alle sue ringhiere blu, buttando la chiave nel fiume Odra. È chiamato “Ponte degli Innamorati” anche a causa di una leggenda urbana, secondo cui lì aspettano le persone in cerca d’amore. A quanto pare bisogna prima andare dal ponte alla vicina cattedrale e pregare per questa intenzione, poi accarezzare sulla testa la statua del leone alla guardia dell’ingresso. In seguito possiamo tornare ed attendere i risultati. Ho avuto l’occasione di vedere il ponte di persona circa un anno fa e, come tuta Breslavia, mi ha colpito un sacco!

 

3. Varsavia | Ponte degli Innamorati a Wilanów

Probabilmente il ponticello più carino e piccolino che si possa immaginare! Infatti è un po’ di una passerella sopra il ruscello Potok S?u?ewiecki, chiamato colloquialmente… “Smródka” (smród-fetore, questa etimologia diventa molto chiara in estate). Il ponticello ha assunto una nuova funzione in risposta alle aspettative degli abitanti della capitale e ha scaricato un po’ il Ponte ?wi?tokrzyski, che ancora di recente era il luogo di culto principale dei “lucchettomaniaci”. I cuori illuminati danno un fascino insolito al ponticello, creando un tunnel sopra le teste degli innamorati. Meraviglia!

Il fascino del Piemonte: tra piste da sci, tartufo, vino e… Torino!

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«ll Piemonte è una terra bella e accogliente che sa conquistare ogni turista. Noi ci auguriamo che quelli polacchi siano sempre di più, per cui vi aspettiamo!» Questo è l’invito che l’assessore al Turismo della regione Piemonte Alberto Cirio dedica ai cittadini polacchi che hanno intenzione di trascorrere le vacanze in Italia. Ogni anno sono infatti circa 20mila i turisti che dalla Polonia si spostano in Piemonte, numeri però, che l’assessore Cirio vorrebbe far crescere e consolidare insieme al rapporto di amicizia tra i due Paesi.

Le occasioni per visitare il Piemonte non mancano, a cominciare dagli importanti eventi legati al turismo della fede di cui la regione sarà protagonista a cavallo tra il 2014 e il 2015,  sottolinea Cirio:  «dalle attesissime celebrazioni per il bicentenario della nascita di Don Bosco, in occasione del quale tornerà tra la primavera e l’estate del prossimo anno anche una nuova Ostensione della Sacra Sindone, alla spettacolare Passione di Sordevolo, una rappresentazione di teatro popolare che, da due secoli, porta in scena un intero paese con più di quattrocento persone coinvolte tra attori e comparse, per assistervi arrivano moltissimi turisti perfino dagli Stati Uniti».

Numerosi saranno poi gli eventi sportivi come «il passaggio del Giro d’Italia per gli amanti del ciclismo, con la nuovissima “cronometro dei vini” Barbaresco-Barolo in arrivo il 22 maggio 2014 sulle splendide colline delle Langhe, del Roero e del Monferrato, candidate con i loro vigneti a diventare Patrimonio dell’Umanità Unesco» aggiunge sempre  l’assessore Cirio.

Senza contare  la “perla” del Piemonte, l’eccellenza turistica, la più grande attrazione turistica “il Tartufo bianco d’ Alba che viene celebrato ogni anno in autunno dalla più grande fiera internazionale dedicata a questo pregiato e profumatissimo fungo. L’84^ Fiera Internazionale del Tartufo si terrà nella città di Alba dall’11 ottobre al 16 novembre durante i fine settimana il sabato e la domenica.

«L’enogastronomia” spiega Cirio “è una delle eccellenze del Piemonte. Prodotti della terra unici, chef stellati e paesaggi incantati che vanno dai laghi alle montagne, con le vette piemontesi a fare da palestra a cielo aperto sia in estate che in inverno, con oltre 1300 km di piste olimpiche per sciare ai massimi livelli».

53 stazioni sciistiche, 14 snowpark, 300 impianti di risalita, per un totale di oltre 1.300 km di piste, conosciute a livello internazionale, dove è possibile praticare non solo sci alpino, ma anche fondo, tavola e slittino. Tra le località rese celebri dai XX Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006, spiccano Sestriere (una cittadina che sorge a 2035 metri sul colle omonimo, tra Val Chisone e Valle di Susa vicino al confine con la Francia)

Sauze d’Oulx e Bardonecchia, prediletta dagli amanti dello snowboard. A due passi da esse, nel cuneese, ci sono Limone Piemonte e il comprensorio Mondolè Ski (Artesina, Prato Nevoso, Frabosa Soprana).

«Il Piemonte” prosegue Cirio  “è anche la casa del golf italiano, con più di 50 circoli prestigiosi incastonati su tutto il territorio, e dello shopping con alcuni tra i più grandi outlet d’Europa che propongono le grandi griffe della moda a prezzi vantaggiosi». Il Serravalle Designer Outlet Village del circuito inglese McArthurGlen nella città di Alessandria, per esempio,  è stato uno dei primissimi Outlet Center ad aprire in Italia ed è considerato oggi uno dei più grandi Outlet Village d’Europa.

«E poi naturalmente” aggiunge l’assessore Cirio “c’è Torino, con i suoi eleganti portici, i palazzi reali e la Reggia di Venaria, i caffè storici, il Museo Egizio e il Museo del Cinema e molto altro ancora.  La Polonia è una terra bellissima, fatta di città monumentali meravigliose e di una tradizione culinaria eccellente, con cui ho un forte legame personale per via del Papa che più ho amato. Per la nostra regione è un mercato molto interessante da sviluppare»

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Pappardelle al ragù di cinghiale

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Le pappardelle al ragù di cinghiale sono un robusto primo piatto di origine toscana, per la precisione della zona di Grosseto, ma che troviamo anche nella tradizione culinaria dell’Umbria e dell’alto Lazio. Il piatto si prepara tagliando finemente al coltello la carne marinata di cinghiale, per poi farla rosolare con un trito di cipolla, carote, sedano e spezie. Si aggiungono poi del vino rosso, la passata di pomodoro, e si fa bollire il tutto per almeno un’ora e mezza. Per accompagnare le pappardelle al ragù di cinghiale è consigliabile un buon vino rosso corposo.

Ingredienti per 4 persone

  • Cipolle bianca 150 g
  • Sedano gambi 150 g
  • Carote 150 g
  • Rosmarino in polvere 1 pizzico
  • Salvia in polvere 1 pizzico
  • Alloro in polvere 1 pizzico
  • Pomodori passata 1 l
  • Peperoncino piccante 1
  • Sale quanto basta
  • Olio extravergine di oliva 1/2 bicchiere
  • Vino rosso corposo 300 ml
  • Latte 1 bicchiere
  • Aglio 2 spicchi
  • Pepe nero macinato a piacere
  • Cinghiale polpa magra 500 g
  • Pappardelle 500 g

Preparazione

Marinare la polpa di cinghiale nel vino rosso contenente aglio, cipolla, sedano e alloro per un giorno intero. Passate le 24 ore, mondate e tritate la cipolla e l’aglio e fateli rosolare in un capiente tegame contenente l’olio di oliva; aggiungete il sedano e la carota precedentemente tagliati a cubetti piccolissimi e lasciateli rosolare anch’essi insieme alle spezie.

Dopo 5-10 minuti unite la polpa di cinghiale precedentemente sgocciolata e tagliata finissima con il coltello (oppure, per maggiore comodità, tritatela con un tritacarne); fate rosolare anch’essa e poi unite il sale e il vino rosso. Quando quest’ultimo sarà completamente sfumato, aggiungete la passata, e lasciate cuocere a fuoco lento, girando di tanto in tanto, fino a che il ragù non sarà ben denso; se occorresse, aggiungete al ragù dell’acqua calda per portare a termine la cottura, che dovrebbe durare ancora un’ora circa (in tutto circa 1 ora e ½ -2, a seconda della tenerezza della carne). Quindici minuti prima del termine della cottura aggiungete il latte, mescolate bene e lasciate terminare la cottura.

Cuocere le pappardelle in abbondante acqua salata e poi aggiungetele al sugo, servire con parmigiano.

Buon appetito!