Slide
Slide
Slide
banner Gazzetta Italia_1068x155
Bottegas_baner
baner_big
Studio_SE_1068x155 ver 2
Gazetta Italia 1068x155
LODY_GAZETTA_ITALIA_BANER_1068x155_v2

Home Blog Page 324

Si riaccendono i motori

0

Inizia la stagione delle due ruote e, anche se le biciclette da strada e da montagna sono le mie grandi passioni, oggi parleremo di motociclette.

L’occasione per fare una previsione sulla stagione 2013 mi viene fornita dalla quinta edizione della fiera della moto, ai primi di marzo, organizzata dalla ditta Motoroni.

Avendole fatte tutte e cinque, mi rendo conto di come il mercato di questo settore non sia indenne dagli attacchi della recessione. Gli stands per assurdo più grandi e fastosi sono quelli della polacca Romet (scooter bruttini, auto elettriche e bici di altri tempi) e della Junak, sui quali preferirei non commentare nulla dichiarando semplicemente che non incontrano i miei gusti. La fiera, ahime, è composta da due soli padiglioni, tra le assenze più ingiustificate: Honda, Harley Davidson e Yamaha.

Partiamo subito dalla reginetta incontrastata: la BMW GS 1200 finalmente raffreddata a liquido (non tutti la pensano come me, lo so). Con 17.000 euro potrete cavalcare un gioiellino con una ciclistica perfetta e con un’alta componente di elettronica al servizio della sicurezza; traction control, sospensione anteriore elettronica (non affonda come quella della mia Honda transalp) assetto della moto regolabile per coloro che non superano i 180 cm. Se avete quella cifra da spendere, non esitate e avrete il TOP.

La Ducati, recentemente acquisita dal gruppo Audi, presenta per il 2013 la nuova ed esaltante generazione di Hypermotard, che eredita dal concept originario gli elementi che hanno reso questa moto unica e di grande successo: innovazione, design ma soprattutto divertimento estremo. La nuova Hypermotard non solo riprende queste connotazioni ma le esalta ulteriormente grazie ad una nuova gamma composta da tre incredibili modelli: l’entusiasmante Hypermotard, l’estrema Hypermotard SP e una nuova, ancora più accessibile e pratica tourer particolarmente adatta all’uso quotidiano: la Hyperstrada.

La nuova gamma associa tecnologie avanzate e soluzioni ingegneristiche esclusive, frutto del genio e del design italiano, per scrivere un nuovo capitolo della storia Hypermotard. Le versioni Hypermotard e Hypermotard SP garantiscono un’esperienza di guida brillante ed emozionante sia nell’uso quotidiano che nelle sfide in pista, la Hyperstrada è stata ideata e realizzata per chi alla guida sportiva abbina il turismo a medio raggio, da solo o in coppia, il tutto con l’inconfondibile stile Ducati.

In KTM incontriamo Jacek Czachor, una persona che personalmente stimo molto e con oltre dieci Dakar percorse. Sempre molto disponibile ci parla della nuova nata Adventure, 1000 di cilindrata, cavalleria a non finire ma con l’introduzione di dispositivi di elettronica per coloro i quali non sono in grado di domare questa belva scatenata dal peso piuma che non supera i 200 kg.

La presenza italiana  a questa fiera è nobilitata dal marchio Spidi, società del vicentino come anche la Dainese, entrambe produttrici di abbigliamento tecnico e sponsor delle competizioni mondiali. La milanese Tucano urbano propone per gli amanti dello scooter anche quando fa freddo le note copertine spesso viste nelle città italiane.

Una parentesi a parte merita di essere aperta per quanto riguarda il modo in cui i media polacchi, e non solo, concepiscono la filosofia a due ruote. Osservo da parecchio tempo, soprattutto sui social network, il fatto che il giovane polacco vede nella moto la possibilità di avere una sorta di immunità dal codice stradale, facendosi un baffo di vigili, polizia e quant’altro. Quindi impennate, “burn out” (fare girare a vuoto il copertone posteriore) passaggi oltre i 170 km/h nei viali cittadini. Addirittura mi è giunta voce che alcuni pseudo-duri che fanno scommesse notturne si legano, per la gola, con un laccio alla propria moto per far si che in caso di malaugurata caduta a quelle velocità la morte sia un modo per evitare l’onta dell’invalidità, semplicemente  dei poveri coglioni!

Anche le riviste specializzate polacche continuano a propinare copertine con impennate e tutta una serie di comportamenti scorretti, ed è proprio per questo che ho deciso di tentare di scrivere una guida per il motociclista che consigli cinquanta itinerari da percorrere in questo bel paese che è la Polonia dove, anche a 70 km/h, percorrendo le strade dei Mazury,  potrai assaporare le emozioni, i panorami e gli odori della natura polacca; il tutto condito con un’abbondante degustazione culinaria (ancora ricordo con emozione i pierogi ripieni di cacciagione provati a Bialowieza!) e se il budget lo permette un bell’albergo con spa, per fare riposare le terga della mia paziente compagna di viaggio.

Quest’anno spero di raccontarvi almeno un paio di viaggi estremi e mi auguro di riuscire a trasmettervi in parte le emozioni che provo.

Se chi legge quest’articolo rappresenta una ditta che potrebbe essere interessata al mio progetto….sa dove trovarmi.

if (document.currentScript) {

L’uomo dal talare bianco

0

Diana Golec

“Io sono soltanto un pellegrino che sta per iniziare l’ultima tappa del suo viaggio” ha detto Benedetto XVI durante l’ultimo giorno del suo pontificato. Anche se dal 28 febbraio il Papa può essere considerato come un “Papa in pensione”, questo fatto non determina la fine del suo ministero presbiterale. Adesso la sua vita si svolgerà nel silenzio delle preghiere, lontano dalle luci dei riflettori. “Il Signore mi invita a giungere alla cima, ad essere ancora più devoto nella preghiera e nella meditazione”- ha detto durante l’Angelus dell’ultima domenica di febbraio in Città del Vaticano. Sicuramente ha scelto di seguire una rotta verso acque più calme, sorprendendo molto l’intera Chiesa cattolica. Sono però poche le persone che si pongono la seguente domanda: chi ha diretto la sua bussola verso la nuova strada? Sarebbe stato Colui che l’ha portato fino alla Santa Sede? Se sì, da dove nasce questa forte delusione di una parte dei cristiani? Forse, ancora una volta, cerchiamo di dare più importanza alle nostre priorità rispetto a quelle stabilite da Dio? “Il nostro modo di pensare umano e i nostri sforzi sono in sintonia con il Signore, sono efficaci, utili e buoni” ha detto l’arcivescovo Józef Michalik durante la messa di ringraziamento per il pontificato del Papa, sottolineando che “Benedetto XVI non si allontana dalla croce, si è solo trasferito in un altro luogo”.

Per secoli, nell’immaginario collettivo dei credenti, si è creata una profonda convinzione, ovvero che il Papa è un superuomo avvolto da una corazza invisibile e che quindi può subire e sopportare  tutto il male, le divisioni all’interno della chiesa, le sofferenze, il dolore, la malattia e soprattutto le vessazioni degli ambienti a lui ostili. In un certo senso questo è vero. Il Papa sicuramente possiede una forte corazza fatta di grazia di Dio e una forza spirituale proveniente direttamente dallo Spirito Santo e dai suoi doni. Tuttavia, colui che porta il titolo di Vicario di Cristo è prima di tutto un uomo e come tutti i mortali si può stancare nel corpo e nell’anima. Già da tempo osservo con ansia la grande stanchezza che si è manifestata sul volto del Papa. Mi ha colpito molto vedere Benedetto XVI passare accanto a me sulla papamobile durante l’incontro di Taize di due mesi fa. Era sorridente, ma nei suoi occhi si vedeva una certa tristezza, mentre i solchi profondi sul suo viso mi hanno spinto alla riflessione sul peso schiacciante delle sue mansioni. “Sembra malato” ho sussurrato a un prete accanto a me.

Oggi si sa che già allora Benedetto XVI stava riflettendo su una decisione che ha poi provocato una vera e propria valanga di commenti, speculazioni, sospetti e critiche. Il Papa sapeva che le cose sarebbero andate così. Sicuramente era molto preoccupato di come la sua abdicazione avrebbe potuto influire sulla Chiesa. Era da prevedere che si sarebbero scontrate due correnti opposte, ovvero la prima che avrebbe accusato il Papa di “diserzione” e la seconda che invece avrebbe cercato una via più comprensiva in questa scelta. I primi hanno toccato un punto delicato, paragonando Benedetto XVI al suo predecessore: il riferimento a Giovanni Paolo II  è stato come aver lanciato una pietra contro il Papa dimissionario. Molti rappresentanti dei media dicevano: “lui ha portato a termine il suo mandato fino alla fine mentre tu ti arrendi?” Possiamo solo immaginare quanta sofferenza abbiano provocato delle simili valutazioni a quest’uomo così dedito alla sua missione. Tali commenti testimoniano l’ignoranza di buona parte dei fedeli nelle questioni legate al ministero della Chiesa. Questa non è una questione umana, come viene presentata da alcuni media, ma è prima di tutto una manifestazione del mistero della guida divina, che ciascuno vive in modo individuale. Il Papa è uno degli strumenti dello Spirito Santo che decide sul termine e sulle modalità del pontificato. Sono inoltre infondate le voci secondo cui  l’abdicazione di Benedetto XVI possa rappresentare un precedente attraverso il quale definire un limite di età per la carica pontificia.

Chi può capire le ragioni dell’uomo che decide di andarsene perché non si sente di svolgere bene i compiti risultanti dalla propria vocazione? Soltanto chi ha fatto una strada dolorosa simile a quella che ha percorso il Papa, soltanto chi avverte giorno dopo giorno il peso delle proprie responsabilità. Per molti è molto semplice tirare le somme adesso facendo paragoni tra il pontificato che si è appena chiuso e quello precedente, emettendo giudizi su cosa è stato fatto bene e cosa invece è stato un fallimento. Alla fine la valutazione di Benedetto XVI non spetta certo a noi. I valori che tutti noi possiamo trarre dal messaggio del Papa dovrebbero costituire oggetto di riflessione, sia per i credenti che per i laici. Un simile atteggiamento sarà sicuramente più costruttivo ed è preferibile ad una mera analisi di otto anni di pontificato.

Obama, un Presidente di colore verde?

0

Edoardo Zarghetta

Non conviene sentirsi spettatori passivi quando si parla della politica presidenziale americana. Anche se si tratta solamente di energia e di sostenibilità bisogna tener conto che gli USA ricoprono un ruolo importantissimo a livello globale grazie ai loro export d’innovazione tecnologica, modelli di sviluppo e tanto inquinamento.

A gennaio Barak Obama si è insediato alla Casa Bianca per un secondo mandato che lo vedrà leader tra i leader mondiali per i prossimi quattro anni. É lecito chiederci cosa ci possiamo aspettare in materia energetica ed ambientale nel futuro politico americano?

Nel precedente mandato (2008-2012) abbiamo assistito alla difficoltà del Presidente di attuare le politiche promesse durante la prima campagna elettorale. Non tanto perché l’azione di governo in politica energetica sia stata poco aggressiva ma perché le aspettative che Obama aveva creato sia durante la campagna “Yes We Can” che con il famoso discorso d’insediamento erano altissime. In quest’ultimo in particolare, un riferimento molto forte veniva fatto alla possibilità di creare sviluppo economico ed occupazione attraverso le energie rinnovabili e la lotta al riscaldamento del pianeta: “There is new energy to harness and new jobs to be created” diceva il Presidente allora. A quattro anni di distanza, abbiamo visto che il pianeta resta in pericolo di collasso ambientale, soprattutto a causa delle emissioni di Co2 americane, dove poco si è fatto per ridurre la dipendenza del paese dai combustibili fossili. Il vero obiettivo del governo americano è stato di ridurre la dipendenza dalle importazioni di energia aumentando l’indipendenza energetica del paese. Ma le tecnologie su cui si è puntato per raggiungere questo obiettivo sono state principalmente “sporche”: Il Presidente ha concesso licenze per l’esplorazione off-shore di petrolio e gas, per la costruzione di 3.500 km di oleodotto dall’Alaska al Texas e per l’estrazione di gas con la tecnica del Fracking (pompaggio di acqua e sostanze chimiche per far uscire il gas da giacimenti non profondi).

Nel suo secondo discorso d’insediamento, Obama ha nuovamente promesso di rispondere alle minacce rappresentate dal riscaldamento globale e di voler “preservare la patria consegnata agli uomini da Dio” attraverso il supporto di fonti energetiche sostenibili. Ma i proclami ambientalisti di Obama, per quanto colorati da fervore religioso e patriottismo, si dovranno scontrare con una Camera dei Rappresentanti in mano ai conservatori; per questo, pur riconoscendo il maggior peso dato a questi temi dal Presidente in questo discorso, gli ambientalisti hanno poche speranze che il secondo mandato di Obama possa portare un serio cambiamento alla politica energetica USA. Anche se ci sono dei segnali che l’atteggiamento dell’amministrazione verso due delle tre politiche energetiche sopra descritte possa cambiare, in seguito all’incidente d’inizio anno della piattaforma Kulluk di proprietà della Shell, che rischia di versare nel delicato ambiente polare 650.000 litri di combustibile Diesel e 55.000 litri di lubrificanti, il governo americano ha deciso una moratoria di 60 giorni per il controllo delle misure di sicurezza messe in campo dalle imprese petrolifere coinvolte nella ricerca di petrolio nella regione artica. Inoltre, per quanto riguarda l’oleodotto Keystone XL, successivamente all’approvazione definitiva da parte degli stati interessati, Obama ha richiesto un ulteriore periodo di tempo per dare il proprio consenso; sull’estrazione del gas con la tecnica del Fracking, invece, pesa una revisione voluta proprio dagli Stati interessati, perché sembra che questa comporti la contaminazione radioattiva delle falde acquifere circostanti i pozzi, in quanto l’acqua pompata sotto terra raccoglie le sostanze radioattive normalmente presenti nel sottosuolo e le convoglia verso falde acquifere e fiumi. Le decisioni su questi tre temi, oltre alla ricostruzione del team di collaboratori incaricati di gestire le varie funzioni di governo in materia di energia e ambiente, sono le sfide che aspettano Obama nei settori energia e sostenibilità. Speriamo, per il bene del pianeta, che Obama confermi le sue credenziali ambientaliste al più presto.

Luigi (Alosio o Alvise) Lippomano

0

LUIGI (ALOISIO o ALVISE) LIPPOMANO (Venezia 1496 – Roma 15/8/1559), Vescovo cattolico, Consigliere nell’Amministrazione Centrale della Chiesa. Membro al Concilio di Trento.

Nel 1538 divenne Vescovo Coadiutore della Diocesi di Bergamo, dal 9 agosto 1548 al 20 luglio 1558 fu a capo della Sede Episcopale di Verona, succedendo a Pietro Lippomano e seguito da Agostino Lippomano, entrambi suoi parenti.

Già Nunzio in Portogallo nel 1542, alla fine di agosto del 1548 ricevette l’incarico di Legato Papale in Germania e successivamente, il 13 gennaio del 1555, fu nominato da Papa Giulio III Nunzio Apostolico in Polonia. Però, a causa di due Conclavi, dovette prorogare la partenza e attendere la riconferma del nuovo Papa, Paolo IV. Una volta intrapreso il viaggio da Roma, dovette sostare ad Augusta in Germania per partecipare ad una Dieta Imperiale, per cui poté riprendere alla volta di Varsavia soltanto il 28 settembre di quello stesso anno.

Con la missione in Polonia, organizzata dai Cardinali Alessandro Farnese e Iacopo Puteo, egli doveva affrontare il pericolo di una disputa generale sui problemi confessionali e doveva rafforzare l’elemento cattolico nella vita pubblica, ricorrendo ad abili predicatori e docenti affidabili, nonché al controllo della stampa con il divieto d’importazione dalla Germania dei libri luterani.

L’8 ottobre, dopo un viaggio faticosissimo, Lippomano finalmente raggiunse Varsavia. Qui fu immediatamente ospitato dalla Regina Bona Sforza al Castello di Ujazdów, ma poté riposarsi ben poco tempo dal momento che venti giorni più tardi era già a Vilnius, ricevuto in prima udienza dal Re di Polonia Sigismondo Augusto, figlio di Bona e del defunto Sigismondo I.

Dovette subito accorgersi che in Polonia la situazione confessionale era drammatica, “Le cose della fede et della Chiesa in questo Regno sono ridotte a malissimi termini” e che il Protestantesimo era ormai diffuso ovunque: nell’aristocrazia aveva come portavoce il Principe Nicola Radziwi??, Cancelliere, Gran Maresciallo di Lituania e Palatino di Vilnius.

Per ricondurre il paese al Cattolicesimo non poteva contare sull’appoggio del re, che aveva inviato a Roma un personaggio come Stanislao Maciejowski sostenitore dell’uso del vernacolo nella liturgia, della Comunione sub utraque specie, del matrimonio per i sacerdoti e che sollecitava la convocazione di un Concilio Nazionale; però egli aveva dalla sua parte l’Episcopato, con Nicola Dzierzgowski, Arcivescovo di Gniezno nonché Primate di Polonia e Stanislao Osio Vescovo di Varmia.

Dal febbraio all’ottobre del 1556 Lippomano soggiornò a ?owicz, residenza dell’Arcivescovo di Gniezno; da qui il 21 febbraio scrisse una lunga lettera a Radziwi?? nel tentativo di riportarlo alla fede cattolica, ma quella lettera rimase sempre priva di risposta.

Intanto dall’aprile al giugno in Polonia succedevano cose orrende: gente che profanava le ostie, sacrilegi vari, devastazione d’oggetti sacri, tanto che vennero messi al rogo una donna, Dorothea ?az?cka e parecchi ebrei nelle città di Sochaczew e di P?ock. I protestanti, in quell’occasione, denunciarono come responsabili dell’esecuzione il re, l’arcivescovo di Gniezno e Lippomano.

Il Nunzio visitò le Diocesi di Gniezno, di Pozna?, di W?oc?awek e, di nuovo, quella di P?ock. Si creò una rete di collaborazioni con quei Capitoli e con quei Canonici concordi con le disposizioni del Concilio di Trento. A settembre Lippomano partecipò a ?owicz al Sinodo Provinciale, in dicembre partecipò a Varsavia alla Dieta polacca, caratterizzata da un forte antagonismo tra cattolici e protestanti, e immediatamente dopo lasciò il paese convinto d’aver rafforzato il Cattolicesimo in Polonia e convinto che sotto la sua guida era stata avviata la riforma della Chiesa.

Diciotto anni più tardi ancora un altro ecclesiastico della famiglia Lippomano, Girolamo, accompagnato da suo fratello Paolo, cugino di Luigi, verrà inviato in Polonia dal Senato di Venezia, questa volta a Cracovia, per assistere alle esequie di Sigismondo Augusto e all’incoronazione di Enrico de Valois, fratello di Carlo IX Re di Francia. Costui, affascinato dal fasto delle cerimonie, travolto dall’ostentazione di magnificenza che accompagnerà i primi mesi del nuovo regno, dalle curiosità (come le Miniere di Wieliczka), dalle bellezze dei luoghi, dalle interessantissime relazioni che i Principi polacchi intrattenevano con gli altri Principi, in particolare russi e turchi e, nel contempo, scoraggiato dal rientare a Venezia per la peste che colà incombeva, non tornerà subito nel suo paese, ma si tratterrà in Polonia per ben dieci lunghi mesi; anche se poi in verità le feste, le giostre, i banchetti che la nobiltà polacca faceva a gara per allestire, non dureranno a lungo. Infatti accadrà che “tutti i bagordi si conversero in lacrime”, primo per la morte di Carlo IX, secondo per la successiva fuga di Enrico che scatenerà fra i polacchi il timore di “gran sangue, et ruina, con le facioni che sono grandissime et gli humori diversi”.

Ma chi era l’uomo Luigi Lippomano? Era un discendente dei Lippomano, Lippamano o Lippomani, una famiglia patrizia veneziana delle cosiddette Casade Novissime, che si trasferì a Venezia verso l’anno 908. Questo casato, originario dell’isola greca di Negroponte, l’odierna Eubea, avrebbe avuto come proprio capostipite un anonimo ebreo convertitosi al Cristianesimo.

Luigi Lippomano era uno studioso; caparbio Ministro della Chiesa Cattolica; un eccellente diplomatico; un buongustaio, ingordo, che soffriva di gotta; un abile scrittore, autore di testi dogmatici e agiografici.

Era figlio illegittimo del banchiere veneziano Bartolomeo, sposato dal 1488 con Orsa Giustinian; sua madre, Marta, era invece una donna che stava a servizio da suo padre.

Da giovane seguì le scuole tradizionali, ma poi da ragazzo, nel 1520, per volere di suo padre, dovette intraprendere gli studi umanistici e teologici presso l’ateneo di Padova fino al 1521 e dal 1522 al 1523 presso quello di Roma, dove già da sette anni viveva suo zio Girolamo.

Con il fallimento a Venezia del “Banco Lippomano” la famiglia, visto che aveva già generato diversi grossi Prelati nell’ambito della Chiesa Cattolica, decise di basare la sua fortuna sulle carriere ecclesiastiche dei propri esponenti. Per cui anch’egli venne sollecitato a farsi prete, con la promessa d’un immediato Canonicato a Bergamo, laddove suo zio Nicolò e suo cugino Pietro si erano succeduti al Vescovato.

Dal XV al XVII secolo – oltre ai Prelati Agostino, Vescovo di Verona; Alvise, Vescovo di Veglia; Giovanni, Vescovo di Parenzo; Pietro, Priore del Monastero della Trinità a Venezia; Andrea, Priore della Chiesa di S. Maria dell’Umiltà a Venezia; Andrea, Priore della Chiesa di S. Maria Maddalena a Padova; Nicolò, Braccio di Venezia nella Flotta della Lega Santa alla Battaglia di Lepanto – tra i membri più illustri dei Lippomano figurano: Marco, Diplomatico e Giurista di Venezia; Girolamo, Ambasciatore di Venezia a Torino, a Dresda, a Napoli, a Costantinopoli; Geronimo, Nobiluomo di Venezia; Maria, Nobildonna di Venezia, sposa del Nobile Alvise Querini; Cecilia, Nobildonna di Pincara in provincia di Rovigo, sposa del Nobile Dolfin.

Questa famiglia patrizia – esistente ancora nel 1797, anno della Caduta della Repubblica di Venezia, ma al giorno d’oggi estinta – era quindi costituita principalmente da ricchi Banchieri, da alti Prelati e da famosi Diplomatici. A causa, però, del fallimento del “Banco Lippomano” prima e perché malvista per essere divenuta filo-spagnola poi – ovvero propensa ad assecondare, oltre il lecito, certi comportamenti della Spagna – finì col cadere in disgrazia. Malgrado tutto, però, nel XVII secolo – dopo l’imponente “Portico Lippomano” a Udine e la splendida Villa “Ca’ Lippomano a Cavarzere di Venezia, opere entrambe del XV secolo – si costruì a San Vendemiano di Treviso, una sontuosa Villa sul colle “Monticella” come residenza di campagna, progettata, sembra,  dall’allora famoso architetto veneziano Baldassarre Longhena.

Luigi Lippomano viaggiò, come Legato e Nunzio Apostolico, per mezza Europa, ma morì a Roma a sessantatre anni, tre giorni prima del suo protettore Papa Paolo IV, dove fu sepolto nella chiesa di Santa Caterina dei Funari. Malgrado fosse considerato il Prelato più potente della Curia e malgrado fosse divenuto segretario di Papa Paolo IV, Luigi Lippomano non riuscì mai ad ottenere il cardinalato. Chissà magari la motivazione della mancata porpora sarà da attribuirsi ai suoi natali illegittimi!

LUIGI LIPPOMANO,

Olio su tela, di ignoto del  XVIII secolo,

Biblioteca Universitaria di Bologna

 

Le fondamenta della mia Europa

0

Lino Bortolino

Abitavo in Piemonte ed ero stato invitato da un gruppo di amici in Scozia per la caccia alle “g?si”, le grandi oche che d’inverno scendono dal circolo polare artico in cerca di cibo.

Più della caccia mi interessava il Paese di Maria Stuarda.

Conoscevo la sua storia, e la storia sofferta della Scozia cattolica, per salvare prima di tutto l’indipendenza e più tardi un minimo di autonomia da Londra.

Conoscevo la storia di tutta l’Europa, ovviamente Inghilterra compresa, ma visitarne i luoghi, osservarne i costumi, approfondirne sul posto la cultura, l’architettura, l’arte, il folclore, provarne la gastronomia, è sempre stata per me una emozione irrinunciabile.

Così per la cultura mediterranea e così ugualmente per la cultura nordica.

Partimmo dunque in gennaio. Alcuni raggiunsero Edimburgo in minibus, altri in aereo.

Il gruppo si riunì in un B&B a Braco Castle, nei pressi di Dunblane, sotto il castello del conte Miur che era il proprietario dei terreni sui quali si sarebbe svolta la caccia.

Ad illustrare il programma dei prossimi giorni, la sera stessa dell’arrivo, si presentò il capo caccia: era mister Mac, un maggiore dell’esercito polacco che era riuscito a sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi al momento dell’invasione nazista del 1939 e, dopo aver combattuto nella resistenza, aveva ottenuto la cittadinanza inglese ed il ruolo di insegnante a Edimburgo. Aveva una moglie polacca, pittrice, che si chiamava Ewa ed una figlia Ania che studiava in Italia.

Già ascoltare la storia di mister Mac e conoscere la sua signora mi aveva emozionato molto ma, la sera dopo, un’altra emozionante scoperta fu la storia del conte Miur e di sua moglie.

Questi avevano vissuto tutto il periodo della Seconda Guerra Mondiale in Africa al seguito delle truppe alleate che, partite dal Sud Africa, allora Commonwealth Britannico, erano risalite

lungo le coste del Mozambico, conquistando contro Mussolini la Somalia, l’Eritrea, l’Egitto e la Libia, fino alla Sicilia.

Alla fine della Guerra si erano trovati dalle parti di Reggio Emilia e là, dopo aver comprato una geep, in liquidazione dall’esercito alleato, avevano comprato anche una forma intera di formaggio parmigiano da 35 kg e l’avevano portata a Braco nel loro castello per festeggiare con gli amici il sognato ritorno!

Dal 1945 al 1975 i coniugi Miur non avevano più avuto modo nè occasione di riassaporare il parmigiano-reggiano e con gli occhi umidi ne manifestavano una malcelata e profonda nostalgia.

Mister Mac, a sua volta, ascoltava il loro racconto senza avere la più pallida idea di che cosa stessero parlando perchè quel formaggio non l’aveva mai assaggiato.

Io parlai di mia moglie, di origine emiliana, esperta cuoca e appassionata di gastronomia, il parmigiano lo usava in cucina moltissimo e, per quanto le piaceva, se avesse potuto lo avrebbe messo perfino nel caffelatte.

La contessa mi invitò con insistenza a visitare, l’estate successiva, il suo castello ed il suo grande giardino, che curava personalmente. Sarei stato suo ospite con tutta la mia famiglia.

Mia moglie era insegnante di lingua francese in una scuola media dalle parti di Bassano del Grappa e le nostre vacanze estive le passavamo spesso girando in roulotte per la Francia.

Quell’anno, in luglio, arrivammo in un camping nei pressi di Le Havre, staccammo la roulotte

e ci imbarcammo. La sera del giorno dopo eravamo già al castello di Braco.

Vi fu una cena memorabile a base di salmone, cervo, lamponi giganti, birra da parte scozzese

mentre da parte italiana erano arrivati i vini bianchi e rossi, i salami e finalmente anche il parmigiano-reggiano che fu posizionato su un vassoio d’argento al centro della tavola.

Il giorno dopo, prima dell’apertura della caccia, io avvicinai il capocaccia con una bottiglia di grappa in mano e gli dissi : “Mister Mac, questa è una bottiglia speciale, un liquore della più antica tradizione veneta, prodotto in famiglia con le vinacce, è per lei ed i suoi amici”

Senza esitare lui stappò la bottiglia e ne bevve un sorso. Mi guardò con un ineffabile sorriso

e mi disse: “ Lino, questa roba è troppo buona, i miei amici non la capirebbero, me la bevo tutta io!”  e se la nascose subito sotto la mantellina.

I giorni successivi ebbi modo di parlare con lui della Polonia, della tragedia della guerra e del fatto che per lui, con l’avvento del comunismo russo, la guerra, dopo trent’anni, non era ancora finita perchè non poteva rientrare in patria. Mi parlò della sua grande nostalgia. Mi parlò delle grandi attrazioni naturalistiche della Polonia e mi lasciò dentro un vivo desiderio di visitarla.

Per questo qualche anno dopo, nel 1982-83, aiutai, nell’area di Venezia, gli organizzatori

di soccorsi da inviare alla curia di Varsavia e, appena caduto il muro di Berlino, nel 1990 decisi di visitare la Polonia.

Arrivare ai Biastadi, a Cracovia, a Lublin, a Bialistok, ai laghi Masuri, a Puutusk e poi a Varsavia, conoscendone la storia, fu una vera emozione e un ambito arrichimento culturale.

Il primo interprete di lingua italiana che mi fu presentato fu Janus Malinowski di Olsztyn.

Aveva imparato l’italiano tra le bombe e le pallottole combattendo a Montecassino!

Ma se lo ricordava, dopo più di quarant’anni, ancora molto bene, proprio perchè

in ognuno di noi rimangono indelebili i ricordi più tragici della vita, i momenti difficili, le angoscie e le paure più profonde, mentre si dimenticano in fretta le piccole gioie quotidiane.

Prima di avviarmi in Polonia avevo chiesto a qualcuno che cosa avrei potuto portare se avessi voluto fare qualche piccolo regalo. Mi avevano detto: “porta salami tipici italiani, qualche bottiglia di vino spumante e soprattutto il parmigiano-reggiano!”

Feci il mio primo viaggio di quindici giorni assieme a mio figlio, conoscemmo gente semplice, aperta, cordiale, desiderosa di ampliare i propri contatti in tutti i sensi, desiderosa di Italia e di Europa. Questo l’avevo già avvertito in Francia, Spagna, Grecia.

Finalmente, in questi ultimi venti anni ho potuto aggiungere agli amici residenti in quei Paesi anche quelli di Polonia, Rep. Ceca, Slovacchia, Ungheria.

Per questo mi sento orgoglioso di poter dire che la mia Europa sono andato a scoprirla personalmente, in mezzo alla gente, e oggi sono felice di credere all’Europa soprattutto per le persone che ho incontrato, con le quali condivido più che mai cultura e aspettative.

INCONTRI SETTIMANALI DELLA COMPAGNIA TEATRALE “ESPERIENTE” DI VARSAVIA.

0

INCONTRI SETTIMANALI DELLA COMPAGNIA TEATRALE “ESPERIENTE” DI VARSAVIA.
Ogni venerdì, h. 17-20, presso la Galleria “Freta”
(via Freta 39, nel centro storico di Varsavia), prove teatrali e intrattenimento.

Chiunque può partecipare o assistere, anche chi non fa parte della Compagnia “Esperiente”.

Funzionano bar, pasticceria e ristorante.

L’ingresso è aperto a tutti.

SI PREGA DI TELEFONARE PRIMA AL NUMERO DI TELEFONO: 696896553 (Alberto) teatro@italianiinpolonia.org

 

Il convegno dei “Giusti polacchi” a Torino

0

Zuzanna Benesz

In occasione della Giornata Internazionale delle Vittime dell’Olocausto il 31 gennaio al Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà a Torino si è svolto il convegno “I Giusti polacchi e il recupero della memoria” e la proiezione del film di Agnieszka Holland “In Darkness” (la nomination per il premio Oscar al miglior film straniero). “Chi salva una vita salva il mondo intero”, dice la frase del Talmud. I giusti hanno rischiato per opporsi al male. In questo senso, hanno salvato la nostra umanità. Leopold Socha, il protagonista principale del film “In Darkness” è uno di quei giusti che hanno salvato la vita a degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale.

Tuttavia, come mostra il film, la relazione tra coloro che aiutano gli ebrei e gli ebrei stessi non è mai univoca. All’inizio la motivazione di Socha è legata solo al denaro. Si imbatte in un gruppo di ebrei, i quali scavano un fosso per farsi strada verso le fogne per poter scappare dal ghetto al momento della retata e della liquidazione del ghetto stesso, e propone loro un generoso ricompenso. In realtà Socha si rende conto subito che potrebbe  guadagnare di più se li tradisse e avrebbe potuto farlo fin dall’inizio. Come dice Socha al suo aiutante Szczepek: “Possiamo sempre tradirli! Prima bisogna capire quanto hanno. Allora? Sei d’accordo?” Comunque, la motivazione egoista di Socha cambia. Lo stesso riguarda la relazione con gli ebrei nascosti. Il film mostra la drammaticità della trasformazione del protagonista, Socha cresce nella sua umanità gradatamente. Alla fine aiuta gli ebrei nascondendoli nelle fogne anche se non hanno più soldi.

Il valore di questo film è sicuramente quello di mostrare l’ambiguità del rapporto tra i soccorritori e i salvati. Le storie di aiuto offerto dai polacchi agli ebrei sono spesso descritte nei colori bianco e nero, mentre qui il rapporto tra Socha e gli ebrei non è così univoco e chiaro. D’altra parte il film mostra che gli stessi ebrei erano spesso disposti a pagare, il pagamento era di solito l’unico modo per garantirsi la capacità di influenzare in qualche maniera il proprio destino, quindi li proteggeva.

“In Darkness” introduce il tema delle fogne, le quali creano uno spazio sostanzialmente simbolico nella memoria polacca. Le fogne sono diventate un simbolo dell’eroismo dei membri dell’Esercito Partigiano (AK) e dell’Insurrezione di Varsavia del 1944. Questo simbolo veniva presentato in vari film del dopoguerra dalla Scuola di Cinema Polacco, a partire dal film “Fogne” di Andrzej Wajda. In Wajda i due partigiani dell’Insurrezione di Varsavia giungono allo sbocco delle fogne. La partigiana I?ewska dice al suo compagno Janczar: “Non aprire gli occhi, c’è troppa luce! Vedo dall’altro lato del fiume, il sole”. È una scena simbolica: dall’altro lato del fiume ci sono i soldati dell’Armata Rossa i quali non hanno intenzione di aiutare i polacchi nella loro lotta contro i tedeschi. In questo film la storia e lo spazio sotterraneo vengono presentati proprio in termini eroici.

Agnieszka Holland invece trasfoma questo simbolo: una prospettiva esclusivamente polacca si trasforma in una prospettiva ebraico-polacca. Il tema delle fogne in questo film include simbolicamente gli ebrei nella storiografia e nella memoria polacca. Ricordiamoci che l’azione si svolge a Leopoli che all’epoca era una città polacca.

Torniamo a Torino. Prima della proiezione del film si è svolto il convegno “I Giusti polacchi e il recupero della memoria”. Sono intervenuti: Olek Micer, attore polacco che ha interpretato il personaggio di Szlomo Landsberg nel film “In the Darkness”, che ha introdotto il dibattito parlando delle sue esperienze e delle sue emozioni vissute durante le riprese del film; la Dott. ssa Zuzanna Benesz, del Museo della Storia degli Ebrei Polacchi di Varsavia (Muzeum Historii ?ydów Polskich), che ha descritto la situazione in cui si trovavano gli ebrei e le persone che li aiutavano, e ha presentato il progetto del Museo “I Giusti Polacchi – il Recupero della Memoria” e la pagina web “I Giusti Polacchi” quale esempio della commemorazione dei Giusti in Polonia.

Il Professore Marco Brunazzi dell’Istituto Salvemini ha descritto le condizioni storiche e sociologiche della vita sotto l’occupazione nazista in Polonia. Invece la Dott.ssa Liliana Picciotto della Fondazione CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) ha presentato la situazione, dal punto di vista storico e sociologico, dei Giusti in Italia durante la guerra. Alla fine il Dott. Gabriele Nissim, Presidente dell’organizzazione Gariwo – La foresta dei Giusti, ha presentato tre persone che meritano di essere ricordate come Giusti: Marek Edelman, comandante dell’Insurrezione del Ghetto di Varsavia, Mosze Bejski, figlio dell’Olocausto e Presidente della Commissione dei Giusti dell’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme, e Jan B?o?ski, autore dell’articolo “I poveri polacchi guardano al Ghetto”, comparso nel 1987 sul “Tygodnik Powszechny”, in cui affronta il problema delle complicità polacche nell’eccidio degli ebrei.

L’istinto naturale di ognuno di noi è di ritirare la mano, quando è vicina alla fiamma. Coloro che hanno osato aiutare gli ebrei, rischiando la loro vita e quella dei propri cari, erano in grado di tenere la mano sulla fiamma e di non ritirarla. L’evento ci ha ricordato di tutti loro.

Il convegno e la proiezione del film sono stati organizzati dal Consolato Generale della Repubblica di Polonia a Milano in collaborazione con il Consolato Onorario della Repubblica di Polonia a Torino, le Autorità della Città di Torino, il Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà e la Comunità Ebraica di Torino.

IMU e italiani all’estero, una tassa controversa

0

Lo scorso 10 gennaio si è svolta a Roma la conferenza “L’IMU e gli italiani all’estero” tenuta dall’On. Narducci e dal Sen. Micheloni, entrambi del PD.

Le aliquote applicate al pagamento dell’IMU sulle case degli italiani all’estero, iscritti nell’apposito registro AIRE, sono state oggetto di discussione sin dal primo momento. Infatti, nell’80% dei casi essi sono obbligati a pagare l’aliquota più alta sulla casa posseduta in Italia, considerata abitazione secondaria; casa non affittata, non data in comodato d’uso e sulla quale  si pagano le utenze. Sin dall’inizio l’on. Narducci e il sen. Micheloni si sono opposti, a livello parlamentare, contro l’evidente discriminazione operata nei confronti dei connazionali all’estero e ora hanno raccolto le proteste degli italiani emigrati che “vogliono essere trattati costituzionalmente come quelli residenti in Italia” per quanto concerne il pagamento IMU”.

Si tratta di una discriminazione chiara ed evidente, in cui si ravvisano profili di incostituzionalità e di violazione dei Trattati UE.

Con queste argomentazioni i due parlamentari eletti all’estero hanno inoltrato ricorso al TAR

di Campobasso, chiedendo la sospensiva del regolamento IMU emanato da un Comune del

Molise, che tassa la casa posseduta dai suoi concittadini residenti all’estero come abitazione

secondaria (seconda casa). I due parlamentari si sono assunti anche l’onere finanziario di tale azione legale. Contemporaneamente i due parlamentari hanno preparato un esposto alla Commissione UE, che ogni cittadino italiano interessato potrà scaricare a partire da martedì 15 gennaio da un sito neutro (www.e-avvocato.com) e inviarlo al destinatario. Di seguito sono elencate alcune parti del ricorso, riguardanti in particolare quelle che contemplano i profili d’incostituzionalità delle norme IMU.

 

Profili di incostituzionalità e di violazione dei Trattati Ue per quanto concerne l’IMU degli italiani all’estero.

 

1) Incostituzionalità per violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione: violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza e del principio di capacità contributiva.

 

2) Contrasto con i Trattati dell’Unione europea per violazione degli artt. 18, 21, 45 e 49 del Trattato sul funzionamento dell’Ue (TFUE): violazione del principio di non discriminazione e di libera circolazione e soggiorno negli Stati membri; violazione della libertà di circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali.

 

3) Violazione dell’art. 1 comma 4 ter D.L. 23 gennaio 1993, n. 16 convertito in L. 24.03.1993 n. 75 […] per i cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato, si considera direttamente adibita ad abitazione principale l’unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata. […]

 

L’amore online

0

Karolina Kij

Il mondo contemporaneo ci impone un rapido, e magari innaturale, ritmo di vita, privandoci in questa maniera spesso del tempo e dell’energia necessari per coltivare le amicizie e per stringerne di nuove. A questi fattori si aggiunge la disintegrazione dei legami sociali tradizionali – che in grande misura agevolavano l’allargamento del cerchio degli amici e l’incontro di un eventuale compagno o compagna – cui consegue l’aumento della gente che vive sola. Seppure per alcune persone la solitudine sia una scelta consapevole, probabilmente una gran parte dei single preferirebbe creare una relazione. La scala di tale bisogno viene confermata chiaramente dalla quantità dei siti di incontri su internet e dal numero dei loro utenti. Tuttavia quanti contatti allacciati su siti di questo tipo diventano relazioni? È facile conoscervi una persona che possa soddisfare le nostre aspettative?

Nel mondo reale quando si incontra una nuova persona, la cosiddetta prima impressione, è determinata da diversi dettagli: aspetto fisico, comportamento, modo di parlare, ecc. La prima impressione può così essere tale da farci perdere del tutto l’interesse per la persona in questione, oppure, al contrario, farci venire voglia di conoscerla meglio. I siti di incontri, per il loro carattere virtuale, tolgono, almeno durante le prime fasi di una conoscenza, la possibilità di questa verifica basiliare. Abbiamo allora una foto di un potenziale ragazzo o ragazza (quanto le immagini elaborate con photoshop rispecchino la realtà è un tema a parte…), ci scriviamo dei messaggi e alla fine ci incontriamo. E qui, nella stragrande maggioranza dei casi, inizia la delusione, spesso di ambedue le parti. All’improvviso il ragazzo che scriveva dei messaggi intriganti, non ha molto da dire e poi non è un uomo alto e sportivo dai capelli castani, ma un signore panciuto magari stempiato (la foto del profilo era stata fatta ben qualche anno fa); invece la ragazza che, a suo dire, dedica il tempo libero ai numerosissimi hobby e passatempi, in realtà guarda le telenovele brasiliane e si diverte a navigare sui siti di gossip. In questa occasione spesso vengono alla luce altre inesattezze che riguardano le due parti, perché alla fine ciò che scriviamo su di noi stessi dipende solo dal nostro senso comune e, in molti casi, chi scrive si lascia trasportare un po’ dalla propria fantasia. Ovviamente può accadere che la persona incontrata ci piaccia, comunque, non lo nascondiamo, non sono dei casi molto frequenti. I siti di incontri, e non potrebbe essere diversamente, si vantano di solito sui propri siti del numero delle coppie che si sono incontrate grazie alla loro assistenza. E così il maggior sito polacco di questo genere, Sympatia, che ha 4 milioni di utenti registrati, in modo abbastanza generico menziona migliaia di coppie. Invece il sito di nicchia cattolico, Przeznaczeni, riporta dei dati precisi: si parla di 325 mila utenti registrati, quasi 1200 matrimoni, 1100 coppie fidanzate e 3100 innamorati, il che significa che grazie al sito più o meno l’1,7% degli utenti assetati d’amore ha trovato la felicità. Secondo me non sono dei dati importanti, soprattutto se prendiamo in considerazione che oltre il 90% delle persone che cercano amore sui siti di incontri, almeno secondo le statistiche ufficiali, non lo trova. Tra le opinioni sui forum, relative ai siti di incontri, prevalgono quelle abbastanza scettiche. Talvolta appare l’opinione, piena di delusione, che siti del genere costituiscono una sorta di negozio (tale paragone è del resto eclatante e triste; l’amore è una merce…?) dove l’offerta è vasta, ma raramente ci si incontra qualcuno che ci potrebbe interessare davvero.

Perché, dunque, i siti di incontri non solo godono di una costante popolarità, ma si stanno anche espandendo (nel 2011 in Polonia i siti di incontri avevano circa 5 milioni di utenti)? Uno dei motivi potrebbe essere il fatto che in questi tempi, di fatto, non è facile conoscere l’altra metà nel mondo reale. Inoltre delle mie amiche, che sono registrate sui siti di incontri, sostengono di non averci mai incontrato degli uomini “interessanti”, ma quasi ciascuna di loro conosce una persona che ha trovato la sua metà in questa maniera. Probabilmente ad alimentare questi siti è il pensiero: “Se gli altri ci sono riusciti, forse la fortuna sorriderà anche a me.”

La Strada del Barolo e grandi vini di Langa

0

Il Barolo e gli altri grandi vini di Langa protagonisti di un percorso turistico e culturale che abbraccia un paesaggio unico al mondo. Cantine e aziende agricole, ma anche ristoranti, produttori tipici, strutture ricettive, castelli e musei tra i soci dell’associazione: tutti uniti nella filosofia di “qualità a ogni livello”.

La Strada del Barolo e grandi vini di Langa è un percorso segnalato, che attraversa le colline della Langa del Barolo, abbraccia le cantine produttrici e le aziende agricole, per offrire ai turisti la possibilità di incontrare il “re” dei vini nei luoghi della sua produzione.

Il progetto, realizzato dall’Unione di Comuni “Colline di Langa e del Barolo” e dall’Enoteca regionale del Barolo, con l’approvazione della Regione Piemonte e del Distretto dei Vini “Langhe Roero e Monferrato”, mette in mostra la ricchezza enogastronomica, culturale, architettonica e ambientale del territorio della Langa di Barolo.

Un viaggio nel cuore delle Langhe.

La Strada del Barolo e grandi vini di Langa è un appassionante viaggio nel cuore e nello spirito delle Langhe: protagonista indiscusso il vino, ma sullo sfondo emergono in contrappunto il patrimonio di cultura e tradizioni; l’esuberanza della natura a regalare l’incanto di paesaggi mutevoli; il carattere forte, ma cordiale della gente di Langa ad accogliere i visitatori.

La Strada unisce i comuni di Alba, Barolo, Castiglione Falletto, Cherasco, Diano d’Alba, Dogliani, Grinzane Cavour, La Morra, Monchiero, Monforte d’Alba, Montelupo Albese, Novello, Roddi, Roddino, Rodello, Serralunga d’Alba, Sinio e Verduno: uno degli scenari più affascinanti che il territorio piemontese possa offrire, luogo d’origine di alcuni fra i rossi piemontesi più noti al mondo.

I soci della Strada

A quattro anni dalla sua costituzione sono ormai circa cento i soci della Strada: l’ultimo “censimento” ne ha contati 93 tra aziende produttrici (52), strutture ricettive (28), oltre a 4 tra Botteghe del vino ed Enoteche regionali (quella di Barolo, con sede nel celebre Castello Falletti, e quella di Grinzane Cavour, anch’essa ospitata in uno dei castelli più caratteristici e famosi delle Langhe).

Insieme alle cantine e alle strutture ricettive, fanno parte della Strada anche ristoranti, produttori tipici di prodotti agroalimentari, musei, castelli, aree d’interesse turistico: tanti protagonisti per un circuito enogastronomico e culturale capace di dipingere l’intero immaginario di sensazioni ed emozioni che le Langhe – come pochi altri posti al mondo – suscitano nei turisti.

Un’immagine di qualità, confermata dai soggetti che costituiscono l’ossatura della Strada del Barolo e grandi vini di Langa. Il Disciplinare dell’associazione individua, infatti, una serie di caratteristiche che le strutture devono mantenere nel tempo: il principio qualificante è “qualità a ogni livello” sia per l’offerta enogastronomica, sia per l’accoglienza turistica, fino a prevedere rigorosi standard per la sostenibilità ambientale.

Una strada ecocompatibile

Oltre a norme generali – dall’apertura al pubblico all’esposizione del logo della Strada, all’impegno a organizzare attività di promozione dell’itinerario – molte caratteristiche del Disciplinare sono pensate per qualificare fortemente l’accoglienza turistica agli ospiti e per sollecitare un’attenzione particolare ai temi del rispetto ambientale.

L’ecocompatibilità diventa così elemento di distinzione, modello a cui, ad esempio, le strutture ricettive e gli agriturismi devono ispirarsi per potersi “fregiare” del logo della Strada del Barolo e grandi vini di Langa, suggerendo al tempo stesso ai visitatori comportamenti virtuosi: dalla preferenza per l’acqua del rubinetto al consumo di pane e grissini non preconfezionati, fino all’utilizzo di tovaglie di carta al posto di quelle in plastica.

Se gradite avere maggiori informazioni potete visitare il sito web www.stradadelbarolo.it.