Amore e crisi di coppia nello stile inconfondibile di Ferzan Özpetek

0
336
Ferzan Özpetek, Kasia Smutniak - Biennale di Venezia, fot. Andrea Pattaro/Vision

“La dea fortuna” il nuovo film di Ferzan Özpetek, regista di origini turche ma ormai da anni italianizzato e residente a Roma, a luglio approda nelle sale cinematografiche polacche grazie al distributore Aurora Films. La pellicola ha avuto l’anteprima al Festival Wiosna Filmów che quest’anno, a causa della pandemia, si è svolto interamente online. Il film racconta una storia intensa e sincera e ci riporta nell’atmosfera dei vecchi film del regista quali “Le fate ignoranti” o “La finestra di fronte”.

Il film racconta la storia di Arturo (Stefano Accorsi) e Alessandro (Edoardo Leo), una coppia in crisi la cui stanca routine viene all’improvviso travolta dall’arrivo dei due bambini: Martina (Sara Ciocca) e Sandro (Edoardo Brandi) che Annamaria (Jasmine Trinca), la migliore amica di Alessandro, lascia loro in custodia per qualche giorno.

È un film pieno di emozioni che sembrano guidare i personaggi nelle loro scelte, com’è nata l’idea di “La dea fortuna”?

Circa due anni fa mio fratello si era ammalato di cancro, si sapeva che le sue condizioni erano gravi. In un momento del genere ipotizzi diversi scenari. Visto che lui e mia cognata hanno due gemelli, ad un certo punto lei mi aveva chiamato per farmi promettere di prendere cura dei bambini nel caso in cui fosse successo qualcosa anche a lei. Gliel’avevo promesso ma subito dopo aver riattaccato il telefono ho cominciato ad avere dei dubbi. Mi sono chiesto come i bambini si sarebbero trovati con me e il mio compagno Simone. Stiamo insieme ormai da diciotto anni, abbiamo le nostre abitudini, la nostra casa è sempre piena di amici e di confusione. I bambini avrebbero messo la nostra quotidianità sottosopra. Non ero sicuro di essere pronto a una rivoluzione del genere. Quindi da una parte mi erano venuti mille dubbi dall’altra invece avevo subito pensato che questa storia avrebbe potuto essere un buon film e così, insieme al co-sceneggiatore Gianni Romoli, ci siamo messi a scrivere una sceneggiatura.

Nel momento dell’ideazione della storia aveva già in mente le location? Mi interessa soprattutto il Santuario della Fortuna Primigenia che in qualche modo lega tutta la storia.

La sceneggiatura e le location sono nate insieme. Simone è di Palestrina, vicino a Roma, dove si trova il Santuario della Fortuna Primigenia, il complesso sacro dedicato alla Dea Fortuna della città di Praeneste, che mi ha sempre attratto. Il santuario fu costruito verso il II secolo a.C. ed era molto famoso nell’antichità poiché vi si poteva consultare l’oracolo per farsi predire il futuro o interrogarlo su una questione importante. Leggendo le sorti, piccoli oggetti in legno di ulivo, il fedele riceveva il responso. Quindi la fortuna intesa come un momento giusto che ti possa portare delle cose che non si misurano con denaro. La storia e la filosofia di quel posto mi hanno affascinato molto ed ho subito pensato che sarebbe stato il titolo perfetto del film.

E le altre location invece che sono sempre molto suggestive?

Con “La dea fortuna” volevo richiamare la stessa atmosfera de “Le fati ignoranti” che è ambientato  nel quartiere dove abito ora. Dopo il successo del film il quartiere è diventato un posto di moda con  locali eleganti e dove gli attori comprano le case. L’atmosfera è cambiata molto ed è sparito quel sapore che io avevo raccontato. Ho detto quindi a Giulia Busnengo, la mia scenografa che ha collaborato anche con Sorrentino, di trovarmi un quartiere popolare ma con  anche una giusta dose di buon  gusto. Abbiamo trovato un palazzo popolare spettacolare nel quartiere Nomentano in via della Lega Lombarda 43.  Un palazzo storico con un cortile interno ed un terrazzo che comunica con gli altri attorno. Era perfetto. Giulia voleva vedere altri posti ma io mi sono  deciso  subito. Dopo ho collegato alla storia altri posti che si trovavano attorno quali un bar o un negozio di idraulica.

Io seguo sempre la sceneggiatura ma mi piace anche seguire l’istinto. La famosa scena del ballo sotto la pioggia in terrazza inizialmente era scritta solo per due persone, per Martina e per Mina, un personaggio trans. Ballano loro due, poi li raggiunge Annamaria, comincia la pioggia, la bambina e Mina si riparano sotto un tetto e Annamaria rimane sola a ballare. Mi sono detto che sarebbe stato impossibile che gli altri avessero resistito dal  lanciarsi a ballare con lei sotto la pioggia. Così ho cambiato la scena all’istante nonostante le voci contrarie del mio staff. Abbiamo girato una volta sola e la scena è venuta perfetta. La canzone che l’accompagna è un regalo di mia cara amica Sezen Aksu. Quella scena è diventata una scena molto importante del film. È ispirata ad una frase di Gandhi che dice: “quando arriva la tempesta tu non devi avere paura e pensare come affrontarla ma devi saper ballare sotto la pioggia.” Questa è la filosofia poi di tutti i personaggi.

Come mai la scelta di “Luna diamante” di Mina come canzone principale?

Con Mina siamo legati da un rapporto di amicizia, confidenza e stima reciproca, oltre che ovviamente da un rapporto professionale. Le ho mandato la sceneggiatura appena era pronta e le ho detto che le ho dedicato in omaggio un personaggio trans con il suo nome. Poi le ho chiesto una canzone del suo nuovo disco e lei mi ha mandato “Luna diamante” che fa da cornice ai sentimenti contrastanti che animano difficile rapporto tra i due protagonisti Arturo e Alessandro, fatto di tante incomprensioni, mancanze e rimorsi, ma al centro del quale rimane un forte e ingombrante sentimento di amore. 

Quali sono i suoi maestri del cinema?

Amo moltissimo Vittorio De Sica e Kieślowski. Mi piace soprattutto il loro modo di rapportarsi  con gli attori. Poi ci sono ovviamente dei film che hanno fatto una grande impressione su di me, come “Narciso nero” di Michael Powell o alcuni film di Sorrentino o di Mario Martone. Un altro mio regista preferito e  fonte d’ispirazione è Paweł Pawlikowski. Ci siamo incontrati ad uno dei festival e da lì lo ammiro molto come regista e come persona. Secondo me “Cold war” è un film eccezionale. 

Com’è nata l’idea di lavorare con Kasia Smutniak nel video realizzato per la Biennale di Venezia?

Quando mi aveva chiamato la curatrice del Padiglione di Venezia stavo preparando l’opera “La Madama Butterfly” al San Carlo di Napoli quindi non avevo proprio tempo di occuparmi d’altro. Stavano cercando un regista internazionale che avrebbe raccontato la sua Venezia. Le avevo detto che l’unica idea che mi veniva in mente era una ragazza immersa nell’acqua con dietro le immagini di Venezia che scorrono. Per loro era perfetto perché il padiglione Venezia doveva essere immerso nell’acqua e quindi ho pensato che fosse un destino e ho  accettato la proposta. Ho subito pensato a Kasia Smutniak che è una mia cara amica, lei era entusiasta dell’idea. Mentre lo giravamo ci siamo accorti che veniva fuori una cosa molto forte perché non è un video artificiale girato con gli effetti speciali. “Venetika” ha avuto un successo enorme e adesso è pronto ad andare in cinque paesi diversi tra cui Parigi, Tokyo, Milano, New York e vari altri posti dove si terrà la proiezione del video e la mostra di sette fotogrammi sul lastre.

Programmi per il futuro?

Scriviamo un grande progetto per la Disney, otto puntate de “Le fate ignoranti” fatte in un modo completamente diverso dal film. A parte questo sto scrivendo una sitcom che tratta il tema del coronavirus e poi sto scrivendo anche un soggetto sempre sul tema del coronavirus ma concentrato più su tutto quello che ha circondato la malattia. Adesso non si riesce a fare  altro, non si riesce a raccontare una vita normale senza questa malattia. Non credo che uno spettatore che vada al cinema dopo tutto questo vorrà vedere un film normale.