Dante e il vino nella commedia

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Il 25 marzo scorso si è celebrato il Dantedì, il giorno dedicato al sommo Poeta (morto settecento anni fa il 14 settembre 1321) che in questa data, nella Pasqua del 1300, così come hanno individuato gli studiosi, iniziò nei regni dell’oltretomba il viaggio della Divina Commedia.

Probabilmente Dante non era astemio, dato anche che nel Medioevo di acqua se ne beveva poca, perché poteva essere molto pericolosa. Da documenti d’archivio si ricava che Dante aveva posseduto due poderi con vigna, alberi e ulivi.

Non sappiamo se il sommo poeta fosse dedito alla vita agricola dei suoi poderi, ma in due passi del suo poema (e più precisamente nel Purgatorio) possiamo ritrovare forse le prove che egli avesse una certa conoscenza di alcune pratiche enologiche. La prima citazione l’abbiamo nel canto XV, che si svolge sulla seconda e sulla terza cornice, luogo deputato a purgare la colpa e il peccato de l’ira, ove si espiano rispettivamente le anime degli invidiosi e degli iracondi. Dante è giunto alla III Cornice e qui è rapito in una visione estatica. Quando il poeta torna in sé capisce di aver avuto delle visioni; Virgilio lo vede camminare lentamente come chi si sveglia da un sonno pesante, per cui gli chiede cosa gli è successo, visto che per un buon tratto di strada Dante ha camminato con gli occhi velati e le gambe impacciate, come un uomo vinto dal vino o dal sonno.

Lo duca mio, che mi potea vedere
far sì com’om che dal sonno si slega,
disse: «Che hai che non ti puoi tenere,
ma se’ venuto più che mezza lega
velando li occhi e con le gambe avvolte,
a guisa di cui vino o sonno piega?».

Purgatorio – canto XV (118-123)

La seconda citazione la troviamo nel canto XXV dove espiano le anime dei lussuriosi. Dante, Virgilio e Stazio percorrono la scala che porta alla VII Cornice con passo veloce, uno dietro l’altro. Dante chiede come sia possibile che le anime dei golosi, pur essendo incorporee, dimagriscano per fame. Virgilio invita Stazio a fornire una spiegazione dettagliata. Stazio dichiara che nel corpo paterno c’è un sangue perfetto che non alimenta le vene e che riceve nel cuore la virtù informativa capace di dare forma a tutte le membra umane. Una volta purifi cato, esso diventa seme, scende negli organi genitali maschili e si unisce poi al sangue femminile nell’utero. Stazio spiega che, non appena il feto ha sviluppato il cervello, Dio spira nel suo corpo un nuovo spirito, l’anima razionale che assimila in sé la virtù informativa e genera un’unica anima. Perché Dante comprenda meglio il ragionamento, Stazio fa ancora l’esempio del vino, prodotto dall’umore sostanziale della vite e dal calore del sole, elemento immateriale.

E perché meno ammiri la parola,
guarda il calor del sole che si fa vino,
giunto a l’omor che de la vite cola.

Purgatorio – canto XXV (76-78)

Il Poeta quindi, per far comprendere uno dei misteri più importanti della Religione Cristiana, vale a dire come Dio riesca ad infondere l’anima intellettiva negli essere umani in modo che questa produca l’inimitabile singolarità di ogni individuo, ricorre all’esempio della vite. Come il sole (Dio) infonde ogni tipo di virtù alla vite (parte vegetativa-sensitiva) generando il vino (uomo). Durante la celebrazione dell’Eucarestia il pane e il vino rappresentano lo spirito che si fa carne.