Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl
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Darmstadt, Germania, 1958. I corsi estivi di musica contemporanea che si svolgono ogni estate in questa cittadina dell’Assia richiamano da ogni angolo del mondo decine e decine di studenti e appassionati. Darmstadt è infatti la culla della nuova musica: Boulez, Nono, Stockhausen, Maderna diffondono da qui il loro verbo che fa del serialismo l’unico principio regolatore di ogni parametro musicale. Tra i giovani che affollano i tanti concerti organizzati in città vi è un ventinovenne romano diplomatosi in composizione con Goffredo Petrassi.
Petrassi è musicista attento alla dodecafonia ma piuttosto critico nei confronti del dogmatismo di Darmstadt. Anche quel suo allievo, tal Ennio Morricone, assiste perplesso ad alcune esibizioni che, a suo parere, rasentano la parodia. Racconterà: «Era tutta roba tipo: c’era un tamburo e un clarinetto. Il tamburo faceva ti-ti-ti. E il clarinetto rispondeva: tiii-tiii. Così per due ore. Tutte cag…ine, tutte str…te». Una sera però Ennio si imbatte in un personaggio assolutamente fuori dagli schemi: è John Cage, il compositore americano che ha introdotto l’alea in musica. Cage fa di tutto e di più: si esibisce al pianoforte con accanto una radio a tutto volume, si gioca le note da suonare con i dadi, talvolta persino non suona nulla perché sullo spartito non ha voluto scrivere nulla. Cage sì attira l’attenzione di Morricone: egli intuisce che dietro alla sua casualità c’è un pensiero, un pensiero paradossale ma potente. Il giorno dopo il concerto di Cage, chiama otto amici in un bosco appena fuori città e dà ordini. Lasciamo ancora spazio alle sue parole: «Salii su un sasso e mi misi a condurre gli altri dicendo loro: tu fai un suono di laringe! Tu fai un urlo! Tu fai un fischio, un lamento, una pernacchia! E venne fuori questa roba di nemmeno due minuti che faceva “aah-uhh-prrrr-eeeeeh!” e se non era meglio di Cage era di sicuro meglio della roba che ancora si sentiva ai Ferienkurse».
Scegliere di ricordare Ennio Morricone, recentemente scomparso, a partire da questo episodio della sua lunga vita, non è un azzardo. La morte di Morricone ha infatti sconvolto il mondo e l’Italia in particolare e ciò non è così scontato per un Paese che pare aver dimenticato quanto la musica sia stata fondamentale nella sua storia (basti considerare la scarsa importanza che quest’arte riceve nei programmi scolastici). Eppure la musica di Morricone è entrata nel cuore di tutti gli italiani. Ed è solo riflettendo sulla sua musica, su tutta la sua musica, che possiamo capire perché ciò sia avvenuto. Quasi un’ossessione le note, per Ennio Morricone. Era infatti figlio di un trombettista trasteverino che si esibiva nei locali notturni con jazz e musica da ballo. E’ il padre ad insegnargli a suonare la tromba ed a convincerlo ad entrare in Conservatorio. Ennio è ammesso e, come abbiamo visto, percorre anche la strada complessa della scuola di composizione nella classe di Petrassi, percorso che lo condurrà addirittura a Darmstadt.
Darmstadt gli lascerà due insegnamenti fondamentali ai quali si sottometterà per l’intera sua vita artistica. Primo: la musica non può mai essere mero intellettualistico atto creativo che non tiene in alcun conto l’effetto sonoro sull’uditore. Secondo: viceversa, alcuni canoni della “musica nuova”, ispirati dall’esperienza estetica di Cage, l’enfasi del gesto singolo, la casualità, il suono non convenzionale, il sottile confine tra silenzio e rumore, l’improvvisazione potevano diventare la chiave di volta per avvicinare il grande pubblico alla modernità sonora. Persino nella musica leggera. Morricone, che firmerà alcuni dei più grandi successi della canzone italiana degli anni ’60, da Se telefonando a Sapore di sale, da Il mondo ai successi di Edoardo Vianello, infatti, già dai tempi del Conservatorio, all’insaputa dei suoi insegnanti, per mantenersi accetta di lavorare su commissione come arrangiatore di musica leggera presso la RCA italiana.
E lo fa a modo suo. Ne Il barattolo di Gianni Meccia, tormentone estivo del 1960, il compositore-arrangiatore inserisce il suono di un vero barattolo fatto rotolare su una superficie di ghiaia e cemento. Lo stesso accade nella musica da film sin dagli esordi.
I western di Sergio Leone sono stati a tal proposito il campo di cultura ideale per l’estetica morriconiana. L’universo west di Leone è infatti assolutamente fasullo rispetto a quello “vero” della tradizione americana e Morricone dispone dei mezzi compositivi perfetti per evidenziare tale peculiarità. Il nostro scompone infatti cubisticamente la strumentazione, divide i suoni spazializzandoli, rende ogni segnale sonoro perfettamente percepibile, usa massicciamente la tromba ma anche le chitarre elettriche in pieno stile rock strumentale e, soprattutto, aggiunge fischi, fruste, scacciapensieri, grida inarticolate.
Nel primo film di Dario Argento, L’uccello dalle piume di cristallo (1970), Morricone dà vita addirittura ad una vera e propria improvvisazione assoluta (alcuni brani sono stati realmente improvvisati in studio) dalle dissonanze non risolte che immergono lo spettatore-ascoltatore, o l’ascoltatore-spettatore, nell’orrore della trama. Nonostante ciò, non teme l’utilizzo della grande melodia italiana addirittura ispirata dalla tradizione barocca (Mission, C’era una volta l’America, Nuovo cinema paradiso). Poco importa che sia sempre stato un suo cruccio pensare che il pubblico mai avrebbe conosciuto la sua “musica assoluta”, quella non associata alla pellicola (ora la conoscerà, eccome). Quel che conta, come cita la motivazione del Polar Music Prize, il Nobel della musica assegnato dall’Accademia Reale di Svezia a Morricone nel 2010, è che «per mezzo secolo Morricone ha dettato lo stile della musica da film, ma ha anche influenzato e ispirato un gran numero di musicisti nell’ambito del pop, del rock e della musica classica». Non è perciò un caso che l’Italia e il mondo intero oggi piangano all’unisono la scomparsa di uno dei massimi geni musicali del dopoguerra.
foto: Gianfranco Tagliapietra
Le tradizioni della cucina pugliese
La Puglia è una regione conosciuta come il granaio d’Italia, la cui posizione pianeggiante insieme al clima favorevole fanno sì che vengano coltivati in abbondanza soprattutto il grano duro, i pomodori, l’uva e le olive. I suoi terreni sono sostanzialmente agricoli, con una storia che risale all’antica Grecia. La tradizione culinaria è basata sulla pasta e sul pane e, come la cucina italiana in generale, proviene dai cibi poveri, preparati secondo le ricette delle nonne e delle mamme, con attenzione alla migliore qualità degli ingredienti.
Il pane è uno dei prodotti tradizionali in questa parte d’Italia. Il pane di Altamura è particolarmente famoso ed è il metro che stabilisce gli standard dei prodotti della panetteria pugliese, le grandi pagnotte con la crosta dura e con la mollica morbida che mantengono la loro freschezza a lungo. Il pane di Altamura è diventato popolare in tutta l’Italia e lo si vende ovunque. La stessa cosa è successa con i taralli. Questo piccolo e croccante tipo di ciambelle è stato inventato in Puglia e, come sostengono gli esperti, serviva da pranzo al sacco per gli agricoltori che lavoravano nei campi; non diventava duro e lo si poteva conservare facilmente.
Come si fanno i taralli
I taralli vengono fatti da tre ingredienti di base: farina di grano, olio d’oliva e vino bianco. Intrecciati a mano in modo da formare piccole, tonde ciambelle, o a forma di otto, oppure a forma di treccia, poi vengono gettate nell’acqua bollente, il che favorisce la superficie liscia e lucida. Dopo la precottura, i taralli vengono messi nel forno per circa mezz’ora. Va aggiunto che gli italiani, specialmente i pugliesi, trattano i taralli come pane classico, mangiandoli con i formaggi o salumi, e mettendoli nelle zuppe invece dei crostini.
Apulia Food, l’impresa familiare dei taralli tradizionali
Il business italiano è generalmente basato sulle piccole imprese familiari. Ed è così anche per Apulia Food il cui fondatore Nunzio Margiotta, che ha perso il padre abbastanza presto, da bambino guardava sua madre cuocere il pane e, appunto, i taralli per la propria famiglia. Nunzio ha realizzato il suo sogno e nell’anno 2003 ha avviato un’impresa che produce taralli. Come dice con orgoglio Apulia Food, nonostante sia uno dei più giovani produttori italiani di taralli, è un’azienda che ha ideato nuove ricette di taralli che si sono affermati nel mercato, ad esempio i taralli Cacio e Pepe, un abbinamento classico con formaggio pecorino cacio con il pepe, oppure i taralli aglio, olio e peperoncino, che ricorda l’omonima ricetta degli spaghetti. L’aspetto più interessante dei taralli dell’impresa Apulia Food è l’uso del cosiddetto grano arso, tipico della Puglia (particolarmente della regione vicina a Canosa di Puglia dove si trova la sede dell’impresa). È un grano tostato, non pulito, i cui chicchi vengono lasciati a terra e raccolti solo dopo di aver bruciato le stoppie. I taralli fatti di quel grano hanno un retrogusto legnoso, con una nota di noci e caramello. Grazie alle nuove tecnologie, attualmente il grano arso è prodotto attraverso grandi forni.
Nunzio Margiotta e i suoi quattro figli grazie alla preservazione dei metodi artigianali della produzione (i taralli lì vengono fatti a mano) e delle ricette tradizionali pugliesi, hanno creato un’impresa che è all’avanguardia nelle tendenze dei nuovi sapori di questo prodotto della panetteria in Italia. Oltre ai sapori classici, la famiglia Margiotta propone sapori nuovi, come ad esempio i taralli patate e rosmarino, finocchio, cipolla e olive, curcuma e zenzero e altri. Fatti con il cuore, solo con i migliori ingredienti, sono diventati una leccornia che sicuramente ameranno anche i buongustai polacchi.
traduzione it: Agnieszka Ponichtera
I taralli in Polonia si possono comprare sul sito www.kuchnia-wloska.com.pl
Più informazioni su Kuchnia Włoska: www.gazzettaitalia.pl/api-food-kuchnia-wloska/
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Negli ultimi giorni in Polonia si sono registrati ancora numeri in crescita per i casi di COVID-19.
Il numero complessivo dei malati attivi è salito a 422.824, di cui in gravi condizioni 2.080, ovvero circa l’1% del totale. Gli ultimi dati mostrano nell’ultima settimana un numero stabile di nuovi casi giornalieri che al 19 Novembre sono 23.975. Preoccupa l’alto numero di morti 637, numero record da inizio pandemia.
Il Voivodato della Slesia (4.377), la Masovia (3.041), la Grande Polonia (2.153), la Bassa Slesia (1.808), e la Piccola Polonia (1.660), sono i Voivodati maggiormente interessati dai nuovi casi.
I numeri dell’epidemia destano preoccupazione anche se scende la pressione sulle strutture sanitarie polacche. Attualmente sono 37.348 i posti letto per pazienti COVID-19, di cui occupati 22.536, mentre le terapie intensive sono 2.888, di cui occupate 2.080. Questa settimana si sono registrati numeri molto pesanti dal punto di vista dei decessi, saliti a 12.088 totali da inizio pandemia.
Tutto il territorio polacco è zona rossa con chiusura di bar, ristoranti, palestre, cinema, teatri, centri commerciali, con alcune eccezioni e la presenza di diverse restrizioni sul numero di persone consentite e l’esercizio degli hotel. Bar e ristoranti possono effettuare il solo servizio di asporto.
Da segnalare questa settimana l’opposizione di Polonia e Ungheria, che hanno posto il veto sul Recovery Fund bloccando l’accordo raggiunto sul Bilancio Ue 2021-2027.
Si raccomanda di limitare gli spostamenti e monitorare i dati epidemiologici nel caso di viaggi programmati da e verso la Polonia, per il rischio di possibili nuove restrizioni sui voli e gli spostamenti.
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Informazioni per i cittadini italiani in rientro dall’estero e cittadini stranieri in Italia tra cui le risposte alle domande:
Per gli spostamenti da e per l’Italia a questo link le informazioni del Ministero degli Esteri:
https://www.esteri.it/mae/it/
La situazione Polonia verrà aggiornata all’indirizzo: www.icpartners.it/polonia-situazione-coronavirus/
Per maggiori informazioni:
E-mail: info@icpartnerspoland.pl
Telefono: +48 22 828 39 49
Facebook: www.facebook.com/ICPPoland
LinkedIn: www.linkedin.com/company/icpartners/
Nell’ambito delle iniziative di promozione dei prodotti agroalimentari italiani organizzate dall’ufficio Ice-Agenzia di Varsavia ha avuto inizio la “campagna digitale” in collaborazione con la piattaforma e-commerce FRISCO.PL
La campagna promozionale fa leva sul concetto di autenticità dei prodotti italiani (100 per cento italiani). I consumatori che entrano nella piattaforma troveranno la sezione Area Italiana (Strefa Wloska) attraverso la quale avranno accesso all’offerta di oltre 500 prodotti italiani, a loro volta contrassegnati da una coccarda tricolore. Per facilitare gli acquisti i prodotti italiani sono divisi per categorie merceologiche (formaggi, bibite, prodotti da forno, condimenti, salumi etc..). La campagna è supportata anche da banner promozionali e con una pubblicità sui 40.000 cataloghi che i migliori clienti di FRISCO.PL ricevono a domicilio, oltre che nelle rubriche Facebook curate della stessa piattaforma.
La campagna promozionale, ad intervalli periodici, proseguirà fino a giugno 2021. “Grazie a questa iniziativa”, dichiara il Direttore dell’Ufficio Ice di Varsavia, Antonino Mafodda, “su un totale di 83 fornitori italiani presenti sulla piattaforma FRISCO.PL ben 25 aziende sono presenti per la prima volta nel canale e-commerce in Polonia, e questo grazie alla campagna di sensibilizzazione condotta la scorsa estate dalla sede centrale di Ice-Agenzia in Italia. Sono anche grato all’Ambasciata d’Italia che ci ha incoraggiato a continuare nell’opera di promozione dell’agroalimentare italiano puntando sui canali digitali. Nonostante l’incremento del nostro export in Polonia nel settore agroalimentare, vicino al miliardo di euro in valore, i nostri rimangono prodotti di nicchia che hanno difficoltà ad entrare nei tradizionali canali GDO. Per questo il canale e-commerce può rappresentare la chiave di volta per approdare sulle tavole dei consumatori polacchi”.
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L’infinito, la parola vicina al termine latino infinitivus, a seconda di una delle prime voci trovate su Google è “che non è finito, nel senso di qualcosa che non ha una determinazione precisa, cioè che è indeterminato, che è indefinito.“ La sua analoga definizione in polacco „forma czasownika, która wyraża czynność lub stan w sposób abstrakcyjny, zazwyczaj bez określania czasu, rodzaju, liczby, osoby, trybu, strony i aspektu”.
E quindi visto che l’infinito non è definito, non indica nessuna persona né tempo, non si coniuga dovrebbe piacere a chi studia la lingua italiana ed a chi non piace studiare le coniugazioni, per i polacchi però alcune frasi che lo usano non sono per niente così evidenti, sarà perché nella lingua polacca la struttura delle frasi non sempre è simile.
Vediamo prima quelle frasi che nelle due lingue hanno la struttura identica:
Fin qui tutte e due frasi sembrano probabilmente chiare perché pure in polacco la loro struttura è simile ed è probabile che un lettore ormai si chieda perché spiegare le cose evidenti. Un attimo di pazienza per favore e vediamo questa qui:
Ecco BISOGNA RICORDARE DI USARE L’INFINITO nella lingua italiana perché l’uso della forma coniugata è addirittura un errore. Ne faccio alcuni altri esempi di sotto per avvicinarci al tema:
Chiaramente l’infinito è una forma che si usa anche nelle altre costruzioni; nelle espressioni fisse tipo a dire il vero prawdę mówiąc o lo possiamo trasformare nella forma del sostantivo ad esempio nella famosa frase “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” tradotto in polacco come Łatwo powiedzieć trudno zrobić.
Volevo però concentrare la vostra attenzione su queste frasi esempi come su un punto dove ci capita di sbagliare perché spesso quando incontriamo una forma oppure una struttura diversa da quella nella nostra lingua madre c’è rischio di fare un errore. Quindi ricordiamo di usare l’infinito!
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