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Italiani in Polonia nei secoli: Giovanni Battista Ghisleni

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Portrait of Giovanni Battista Gisleni

GIOVANNI BATTISTA GHISLENI o GISLENI (Roma 1600 – Roma 3.5.1672). Nato da una famiglia benestante d’origine lombarda, tra i cui membri spiccano Giuseppe Ghisleni, proprietario terriero, Scipione Ghisleni, ricco ereditiero e Leonardo Ghisleni, decano del Collegio dei Medici. Grazie alla buona posizione economica e sociale di suo padre, Giovanni Battista viene educato, dai migliori maestri, prima allo studio delle lettere e poi a quello della grammatica, della retorica, della filosofia, fino a quello della geometria. Ma egli, alla fine, sceglie di applicarsi nell’architettura, quindi nella pittura e nella scultura. Acquisisce anche una buona preparazione musicale, mentre si dedica a tempo pieno, come apprendista, all’architettura, frequentando alcuni grandi cantieri nella Roma di Papa Paolo V e, successivamente, di Papa Urbano VIII.

Non riuscendo, però, ad ottenere alcuna commissione per sé, decide di intraprendere un lungo viaggio attraverso l’Italia, per poi giungere fino a Vienna, alla ricerca d’un lavoro. Qui fa di tutto per impiegarsi presso la Corte Imperiale, ma vista l’impossibilità, una volta perduta ogni speranza, decide di lasciare l’Austria. Così, nell’anno 1629, va a stabilirsi in Polonia. Giunto a Varsavia, trova subito un’occupazione, come architetto, presso la Corte Reale. In seguito, però, per sopravvivere, dovrà adattarsi a svolgere altre mansioni, come, ad esempio, quella del cantante, del compositore, del direttore d’un teatro, … dello scenografo. In Polonia, infatti – paese tradizionalmente favorevole ad accogliere artisti stranieri, come l’architetto svizzero-italiano Costante Tencalla – sono già attivi troppi architetti e capomastri, soprattutto d’origine lombarda; per cui succede che da lì fino alla morte, nel 1632, di Re Sigismondo III Vasa, tutti i suoi progetti architettonici che aveva proposti al sovrano, resteranno irrealizzati. Fortunatamente, però, con l’elezione del nuovo Re Ladislao IV Vasa, Ghisleni, viene confermato nel suo incarico di Architetto Regio. Anzi, in occasione dei festeggiamenti per l’ascesa al trono del monarca, egli viene incaricato di curare l’organizzazione delle feste in Varsavia e, successivamente, ancora a lui verrà affidato il compito di organizzare i festeggiamenti per le nozze del re con Cecilia Renata d’Austria. Dal 1640 al 1643 è impegnato a realizzare la decorazione del Salone di Marmo del Castello Reale di Varsavia, ambiente che, però, verrà modificato a fine Settecento e che finirà completamente smantellato dai Russi nel XIX secolo.

Dal 1643 e per i tre anni successivi, è a Roma per sistemare alcune cose lasciate sospese, ma nel 1647 è di nuovo a Varsavia per occuparsi, dietro commissione di Ladislao IV, delle esequie del figlio Sigismondo Ladislao, appena morto. In quest’occasione, con grande sorpresa dell’intera corte, inventa un catafalco che rispecchia il gusto romano, ovvero coperto da drappi neri, dentro la chiesa interamente rivestita da veli e tessuti diversi. Quando, poi, nel 1648, muore il re, in quell’occasione, la sua fantasia creativa si spinge ancora oltre. Crea, infatti, un apparato ancora più lugubre, con stoffe colorate di nero e di viola e con caratteristiche strutture teatrali. Poi, all’aperto, nell’immenso piazzale antistante la chiesa, colloca il catafalco contornato da obelischi, sotto una grande arcata, con incisi particolari epitaffi funebri. Al di sopra dell’architrave fa esporre la salma, sovrastata da una struttura a forma di piramide, costituita da teschi e con in cima una grande croce di legno. Con l’elezione al trono, nel 1648, di Giovanni Casimiro, fratello di Ladislao IV, Ghisleni vede ancora di più rafforzata la sua posizione presso la Corte di Varsavia. Come architetto regio, infatti, sarà lui, ancora, ad occuparsi dei festeggiamenti per le nozze del nuovo re con Lodovica Maria Gonzaga Nevers. Anche in quest’occasione, come nelle precedenti, egli farà raccogliere tutti i suoi disegni relativi all’allestimento, in un volume dedicato al re. 

Nel 1650 è di nuovo a Roma, questa volta per partecipare all’Anno Santo. Durante la permanenza in patria ha l’opportunità di maturare artisticamente, in quanto può trarre nuove ispirazioni dalle opere di Gian Lorenzo Bernini, di Francesco Borromini, di Pietro Berrettini da Cortona e di tutti quei maestri che guardano a sempre nuovi stili architettonici. Nella sua città, è in veste ufficiale di Architetto della Corona Polacca, quindi, può allacciare strette relazioni professionali con gli ambienti artistici più importanti della città. Nel 1656, infatti, si ritroverà eletto Accademico di San Luca e Membro dell’Accademia dei Virtuosi al Pantheon.

Una volta tornato in Polonia, decide di trascurare per un certo periodo i suoi rapporti con la Corte Reale per incrementare la propria attività con nuove commissioni offerte da illustri personaggi, da grandi famiglie aristocratiche e da ricchi ordini religiosi. Progetta, così, la Chiesa dei Carmelitani Scalzi di Varsavia, i cui disegni autografi con pianta, sezione e prospetto, sono oggi conservati a Milano, presso le Civiche Raccolte del Castello Sforzesco, nella Collezione Martinelli.

Tra il 1650 e il 1654, su suo progetto, dentro un ampio parco nei dintorni di Varsavia, viene costruito il Palazzo di Bogusław Leszczynski, tesoriere della Corona e eretto, a Cracovia, l’altare maggiore dentro la Cattedrale di Wawel grazie alla fondazione del Vescovo Piotr Gembicki. Tra gli ultimi interventi del Ghisleni in Polonia va ricordato il grandioso progetto della Galleria nella Villa Regia di Varsavia, eseguito tra il 1665 e il 1667. Fra le molteplici altre sue opere, invece, vanno menzionate almeno la Chiesa della Trinità a Varsavia del 1652-1655 e la Chiesa dei Benedettini a Płock, oggi andate, però, entrambe distrutte; e, ancora, la Chiesa di San Pietro a Cracovia; l’altare maggiore della Cattedrale di Chełmza; i tanti diversi monumenti funebri. Nel 1655 Ghisleni pubblica, a Danzica, il suo scritto “Descriptio Exequiarum Caroli Ferdinandi Principis Regii, Episcopi Plockii”.

Torna di nuovo a Roma nel 1656 determinato, questa volta, a restarvi per sempre e godersi serenamente la vecchiaia, senza assumere altri impegni di lavoro. Dapprima va a vivere in abitazioni provvisorie, ma dal 1659 riesce a stabilirsi, con sua moglie Mattia De Sanctis e con il figliastro Giovanni Bonaventura, definitivamente, in via della Croce. Così, come da programma, una volta raggiunta l’età di sessant’anni, incomincia finalmente a vivere in totale armonia con sé stesso, con la sua famiglia e con l’ambiente che lo circonda, dedito sostanzialmente alla contemplazione di tutte le bellezze della sua città unica al mondo: dai monumenti, agli scorci mozzafiato, alle albe straordinarie, ai tramonti ineguagliabili, mentre, intanto, disegna il proprio monumento funebre che, stabilisce, dovrà essere collocato assolutamente a Roma, nella Chiesa di Santa Maria del Popolo. Morirà, settantaduenne, ben 16 anni più tardi, serenamente, tra gli affetti delle persone a lui più care, lasciando uno strano opuscolo manoscritto, come una sorta di “libretto d’istruzioni”, che illustri, nel dettaglio, ogni particolare del suo monumento funebre, con, a seguire, un lungo e allegorico epitaffio. Questo documento, scoperto di recente e pubblicato in un numero esiguo di copie nel 2015, costituisce un caso unico nella storia. La frase “Neque hic vivus, neque illic mortuus”, ovvero “Né qui vivo, né là morto”, riportata, poi, sul suo monumento funebre, starebbe a significare “Quando si è vivi non si è vivi, in quanto si convive con la morte, quando si è morti non si è morti, giacché ci attende un’altra vita”.

L’eclettico artista Giovanni Battista Ghisleni, benché vissuto in Polonia durante un periodo turbolento, tra continue guerre e devastazioni, ha certamente svolto un importante ruolo di mediatore culturale. In quel paese ha diffuso il linguaggio architettonico del tardo manierismo romano, un po’ come quello di Carlo Maderno, per aderire poi all’espressione prettamente barocca. Tra i suoi lavori più importanti figurano: monasteri, palazzi, chiese, altari, catafalchi, nelle città di Varsavia, di Cracovia, di Płock, di Chełmza in Polonia, di Leopoli e Vilnius in Ucraina e Lituania; di Bereza Kartuska in Bielorussia e così via. Suoi collaboratori principali sono stati: Giovanni Battista Falconi, stuccatore; Giovanni Francesco Rossi, scultore, anche questi romano come lui, già assistente di Alessandro Algardi e di Gian Lorenzo Bernini.

Fonti: Lione Pascoli, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni (1730-36), edizione critica dedicata a V. Martinelli, Perugia 1992. / Stanisław Mossakowski, Gli anni romani di Giovanni Battista Gisleni, Biuletyn Historii Sztuki 71.1-2 (2009): 35-56.

 

La birra in Polonia

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La cultura della birra è ormai radicata ovunque in Italia, in Europa e nel mondo e la Polonia non è da meno, essendo tra l’altro anche il terzo paese in Europa per consumo di birra. Oggi diverse aziende ed enti organizzano tour alla scoperta dei birrifici, più o meno artigianali, che stanno vivendo una nuova giovinezza.

Anche l’arte della birra in Polonia vive in bilico tra passato, presente e futuro, ma a dominare oggi è l’idea di recuperare la florida tradizione birraria surclassata dalle multinazionali. Una delle birre più famose è sicuramente la Tyskie che oggi detiene quasi il 20% del mercato polacco delle birre: è prodotta a Cracovia nel birrificio Kompania Pivovarska da oltre 600 anni ed è una delle poche a essere esportata anche all’estero. Altri prodotti interessanti sono la Tyskie Gronie, una pilsner, è la birra storica del marchio a cui si affianca la più nuova Tyskie Książęce, una lager. Lo stesso birrificio di Cracovia produce anche la Zlote Pszeniczne, con retrogusto speziato e piacevole. La Czerwony Lager è una lager ambrata, mentre la Ciemne Lagodne è invece una dark lager amara e dal basso tenore alcolico.

Tipica della Pomerania, e nello specifico di Bielkówko, è la birra artigianale prodotta dal birrificio Browar Amber. Nella Kozlak risalta il malto e il sapore è deciso ma non invadente; il Browar Amber è conosciuto anche per la Zywe, una birra non pastorizzata e non filtrata dal gusto davvero particolare. Da assaggiare anche la Żywiec, prodotta nello stabilimento dell’omonima località polacca, una pale lager leggermente amara ma fresca e piacevole; buona anche la Żywiec Porter, birra a bassa fermentazione che si caratterizza per il carattere forte e amaro.

A Poznan nel microbirrificio Brovaria l’idea è di riprendere la tradizione birraria del Medioevo e di produrre in questa regione della Polonia birre simili in tutto e per tutto alle trappiste belghe e tedesche. L’assortimento del microbirrificio prevede al momento tre birre, tutte non pastorizzate e non filtrate con note floreali, miele e caramello. Stessa linea di pensiero e filosofia birraria si ritrova a Varsavia al birrificio-ristorante BrowArmia dove si possono assaggiare diversi tipi di birre anche stagionali, come ad esempio la Hefe-Weizen ai lamponi. Anche qui la tendenza è di ricreare i sapori e gli stili delle birre belghe: ne sono un esempio la Abby Beer o la Blanche.

Il mercato polacco è ancora dominato dai grandi birrifici ma vale la pena citare il commerciale Van Pur di Varsavia che opera da anni e produce le birre Łomża, Brok, Śląskie and Karpackie, tra le birre più bevute ed esportate.

Rigatoni con Nduja pomodoro e menta

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Ingredienti:

  • 500g Rigatoni
  • EVO
  • 1 peperoncino fresco
  • 400g di Datterini in scatola
  • 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
  • 1 cipolla piccola
  • 100 g di Nduja calabrese piccante
  • 150 g di vino bianco secco
  • 10 g di menta 
  • La scorza di mezzo limone 
  • 100 g di Parmigiano Reggiano grattuggiato

Procedimento:

Mette l’acqua a bollire, almeno 3 litri. In una padella ampia mettete un filo di EVO, il peperoncino fresco tritato e la cipolla tritata finemente, appena la cipolla imbiondisce aggiungiamo il pomodoro, sia datterini che concentrato e bagnamo con il vino, facciamo sfumare e dopo cinque minuti aggiungiamo la Nduja “sbriciolata,” a fine cottura aggiungiamo la scorza di limone grattuggiata e la menta tagliata a julienne, tuffiamo la pasta nell’acqua bollente dopo averla salata con 12 grammi di sale grosso marino, scolate al dente e ripassate in padella. Mantecate con il Parmigiano grattuggiato e servite caldissima.

Buon appetito!

Lettere dalla Toscana, la pittura come compito

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Guardare significa per noi avere esperienza d’ogni momento, tentare di familiarizzare con i luoghi per come li vediamo, attraverso quel prisma che è la nostra identità. Siamo turisti in una terra straniera. E forse non siamo in grado di fare null’altro.

La domanda qui, alla quale risponde il verbo, non è tanto “cosa fa?”, ma piuttosto “in che condizione si trova?”. Qui innanzitutto si parla di condizioni. La condizione del cielo, la condizione dei campi di girasole o il silenzio nei pressi di un bacino. La Toscana si insinua sotto la pelle in modo delicato ma contagioso, lasciando un prurito, come un’allergia o un amore. La nostra attività si concentra soprattutto nell’assecondare questa piacevole prurigine. A ogni centimetro di pelle, a ogni pensiero. Perché questo luogo è una vera e propria festa per i sensi. 

Il primo giorno ho annotato queste parole: “È nel paesaggio che sta la forza della Toscana. Nel paesaggio ci sono i vitigni, i campi di girasole, le colline puntellate di pietrose tenute di campagna. Ma prima di tutto nel paesaggio sta il cielo. L’enormità dei suoi spazi offre a nuvole monumentali un grande palcoscenico. Alla luce del sole le loro forme straboccanti creano fantasiose composizioni introvabili nelle cartoline. E aveva ragione! – esclamò Tadeusz con ardore – Il cielo italiano, per come ne ho sentito, è azzurro e limpido, ma come l’acqua ghiacciata; il vento e la tempesta non sono cento volte più belli?… (citazione dall’epopea Pan Tadeusz di Adam Mickiewicz n.d.r.) Be’, Tadeusz non sapeva un accidente del cielo italiano, ma dopo un viaggio di alcuni giorni avrebbe dato sicuramente ragione al Conte. I contrasti, accentuati dalle lenti degli occhiali da sole, scavano una profondità che non consente di distogliere lo sguardo.

Chiudo gli occhi soltanto quando iniziano a lacrimare per il bagliore ed è allora che mi raggiungono anche i suoni. O meglio, dapprima lo fa il silenzio, che è la vera dominante del paesaggio acustico locale. A questo silenzio si intreccia il frinire delle cicale, il garrire delle rondini e il melodioso trillare dei gruccioni (sebbene qui la mia erudizione ornitologica forse non basti). Tuttavia nessuno di questi suoni rompe il silenzio, che è egemone come l’oceano lo è sulle onde. Quando nuovamente apro gli occhi, una rondine fa una brusca virata su uno specchio d’acqua e scompare dietro una siepe”.

Dopo cinque giorni qui nulla è essenzialmente cambiato. Anzi, la Toscana ci conferma sempre più come parte integrante dello status quo. La differenza tra ieri e oggi sta nel fatto che, giorno dopo giorno, proviamo sempre maggiore simpatia per questi luoghi. È una campagna, solo migliore, molto migliore di qualsivoglia paesaggio di campagna che finora si è annidato nella mia mente. Qui tutto è al suo posto. I colli, i campi, gli uliveti. Non ho mai visto un paesaggio così coerente (anche se tutto sommato ho visto poco). L’immensità dello spazio fa sì che il sole tramonti dietro le colline come nel mare, distante, e gli elementi interposti tra l’osservatore e l’orizzonte si completano a vicenda, come un tutt’uno composto dalla mano di un maestro fiorentino. Del resto qui tutto è opera di pittore. Se è qui che Da Vinci ha ideato la tecnica dello sfumato è perché è sempre qui che la natura stessa produce questo effetto fino alla noia (sebbene a dire il vero questa parola sia decisamente fuori luogo). La pittura trova qui una legittimazione maggiore della fotografia. Ogni volta che ci troviamo in un villaggio, ogni volta che vorremmo estrarre la macchina fotografica, la vista stessa attraverso la lente ci allontana da quel pensiero. La Toscana non sta in una cornice. Bisogna immortalarla.

Un ultimo appunto: i cipressi. Si annidano nell’immaginazione come cespugli di arbusti ornamentali e quando li si osserva da una terrazza a vista, tali appaiono. Pertiche slanciate e filiformi il cui verde fogliame spicca rispetto al resto del paesaggio. Eppure in realtà sono alberi robusti che si innalzano per diversi metri, ma lo si nota soltanto da vicino. La distanza e l’enormità di questi luoghi divora di fatto la loro grandezza. E questo vale per tutto: per i campi, per le città, per noi.

Qui ci si abbandona al silenzio. Vorrei che ci permeasse nel profondo. Io mi sono già innamorato di questo posto e sono incommensurabilmente contento del fatto che è piuttosto lontano dal finire. Scriverò ancora, quando saremo alla corsa dei barili.

Peregrinazioni: Perugia, Montichiello, Pietrasanta

Cosa ci vuole per rimanere affascinati dalla Toscana? Dopo una settimana di soggiorno in questa regione direi che basta semplicemente solo una sedia sulla terrazza e un caffè mattutino. Tuttavia, a prescindere dalle ammirazioni passive che ho descritto l’altra volta,  vi sono molte altre attività da svolgere nelle città e paesini della zona. 

PERUGIA

Lo so, lo so, è in Umbria, ma eravamo lì in zona. Inizio da Perugia, perché la considero l’unica esperienza in minus, che però ci ha dato molto da pensare a come viaggiamo e perché lo facciamo. Volevamo andare ad Assisi, ma per colpa del tempo e del traffico ci siano diretti a Perugia. A dire la verità Perugia si profilava da qualche parte nei nostri piani di viaggio, ma alla fine ci siamo arrivati completamente impreparati. L’intera città era per noi un grande conglomerato di vecchi edifici che non ci dicevano nulla. Potevamo solo valutarli sul principio: bello, non bello. Ci sentivamo a disagio, dato che la città – qui, ovviamente, intendo solo la città vecchia e ciò di per sé mostra quanto limitata sia la nostra percezione e le aspettative nei confronti dei luoghi visitati – è abbastanza monumentale e ci si è presentata in maniera dignitosa e indifferente.  Inoltre, siamo arrivati nell’ora di siesta, quindi il silenzio di Perugia ci ha fatto a pezzi.

Questa esperienza tuttavia ci ha dato spunti di riflessione e abbiamo deciso di prepararci nel miglior modo possibile per i prossimi viaggi, per quanto consentito dalle guide e dallo scarso internet. Prima di ogni partenza leggevamo cosa valesse la pena vedere, cosa dovevamo sapere, ecc. Ed ecco un indovinello: cosa è cambiato nella nostra percezione delle città dopo la lettura? Assolutamente niente. Non ci hanno detto nulla, anche se ora sapevamo che la colonna con il leone simboleggia i Medici, mentre la facciata bianco-nera della chiesa è caratteristica per le città fiorentine e per quelle alleate ai Medici. E non importa. Voglio dire è bello saperlo, ma senza lingua e senza immergersi nel contesto della città, le pure informazioni rimangono sempre solo un oggetto di percezione estetica. Se possiamo affrontarlo. 

MONTICHIELLO

È una cittadina che ci ha dato grande gioia. Totalmente per caso. Una piccola città, quasi completamente vuota – ci siamo trovati di nuovo durante la siesta – era aperto solo un bar con tre uomini anziani che sedevano davanti alla taverna che era il cuore di questo posto. Soltanto quando siamo arrivati alla piazza situata tra la chiesa e il teatro, che probabilmente costituiva il centro, siamo capitati nel vortice della vita. I ragazzi giocavano a pallone, le ragazze si appostavano dietro i muri dandogli un’occhiata, le madri badavano ai loro bambini che giocavano a calcio e chiacchieravano. È stato un pezzo di vita che non includeva nessuna guida turistica, tuttavia riflette al meglio il carattere di Montichiello. La città stessa era in ogni caso molto compatta. Piccola, fortificata, con muri di arenaria pesante e gialla, senza significative interferenze sarebbe perfetta per un set di un film d’epoca.

Quando sedevamo nell’unico bar aperto con giardino panoramico è successo quello che probabilmente ci ha reso Montichiello indimenticabile. Sulle colline di fronte a noi le nuvole si sono espanse in più punti e tre potenti pilastri d’acqua hanno fuso il cielo e la terra. Lo spazio aperto ci ha dato una splendida vista sulle successive piogge. I lampi cadevano martellanti uno dopo l’altro, e non c’era modo di calcolare quanto lontano fosse ciascuno dei temporali. Le case sulle colline vicine lentamente diventavano grigie mentre noi cercavamo di cogliere uno dei fulmini in foto. Non so se in quel momento abbiamo cominciato a sentire l’effetto del caffè, o se semplicemente quello che stava succedendo davanti a noi era talmente emozionante da far scomparire la sonnolenza che mi ha accompagnato per tutto il giorno. In più, quando di fronte a noi le enormi nuvole calpestavano i paesaggi con i loro potenti piedi gonfi di pioggia, non lontano sulla destra, dietro le torri di Pienza, il sole ha deciso di tramontare spettacolarmente con un colore rosso rubino. Un’esperienza unica che nessun stupefacente può fornire.

Non ci aspettavamo i temporali che poi sono diventati un’abitudine. In altre parole una città in Toscana senza pioggia è un’anomalia.

PIETRASANTA

Questa città è la quintessenza dell’accoglienza. La capitale mondiale della scultura, dove vivono i maestri dei tempi odierni. La città delle gallerie e la galleria della città. Ci ha fatto innamorare entrambi. Avevamo il piano di incontrare Botero, quello della gente grassa, che è diventato il biglietto da visita della città. Abbiamo scoperto, pertanto, che Pietrasanta è leggermente più grande di quanto ci aspettassimo e un po’ più sovrappopolata. Cosa che non l’ha privata dell’accoglienza o della bellezza. Non abbiamo incontrato Botero, ma abbiamo trovato una piccola chiesa in cui dipinse affreschi (l’inferno e il paradiso) e una galleria con le sue opere. Ogni galleria è un artista diverso, uno stile diverso. Dalle sculture e dai dipinti alle installazioni fatte di siringhe. Un miracolo stava inseguendo l’altro, gli occhi sorridevano, la salivazione si intensificava come fossimo davanti alla vetrina di un negozio di praline di cioccolato. Questo è uno dei modi in cui l’arte dovrebbe influire sulle persone. Tutto lì era estetico: le grandi teste esposte sul mercato accanto agli sposi che si facevano le foto sulle scale, fino a una tazza di caffè su un tavolo di colore verde pallido. Abbiamo lasciato Pietrasanta con un senso d’insaziabile soddisfazione, salutati dalle piazze piene di blocchi di marmo bianco, con la speranza di ritornarci ancora.

Autrice delle foto: Kamila Radwan-Świstak

PGNiG ha vinto la controversia con Gazprom e recupererà 1,5 miliardi di dollari

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

La compagnia energetica polacca PGNiG ha comunicato che ha ottenuto un verdetto favorevole dal tribunale arbitrale a Stoccolma che riguarda la controversia con la compagnia russa Gazprom. Il tribunale ha ordinato di cambiare retroattivamente il prezzo nel contratto risalente al settembre 1996. Secondo PGNiG questo significa che Gazprom dovrà restituire 1,5 miliardi di dollari. PGNiG ha dichiarato che il prezzo stabilito dal tribunale si applica retroattivamente dal 1 novembre 2014, quindi dalla presentazione della domanda di rinegoziazione del prezzo contrattuale. La compagnia energetica polacca ha sottolineato che la nuova formula è stata collegata ai prezzi del gas naturale sul mercato europeo dell’energia. Il presidente della PGNiG, Jerzy Kwieciński ha detto: ”questo è un buon risultato ma questa vicenda non si esaurisce qui”. Ha anche sottolineato che la sentenza non ha un impatto diretto sui prezzi ai quali l’azienda vende gas ai clienti, ma migliorerà la situazione finanziaria della PGNiG.

Morto Krzysztof Penderecki, grande compositore polacco

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E’ morto domenica il famoso compositore polacco Krzysztof Penderecki. Aveva 86 anni e da tempo era malato. Nella sua carriera ha ricevuto importantissimi premi sia nazionali che internazionali, vincitore anche di un Grammy. Penderecki, nato il 23 novembre 1933 a Dębica, è stato il rappresentante della scuola polacca dei compositori degli anni Sessanta. I critici lo chiamavano “grande esploratore dei suoni”. Negli anni 1955-1958 aveva studiato alla scuola superiore di musica di Cracovia, di cui è poi stato rettore. Le composizioni degli anni Sessanta “Threnos per le vittime di Hiroshima”, “Pasio secundum Lucam”, gli hanno dato una popolarità internazionale. Negli anni Settanta Penderecki è stato direttore d’orchestra delle delle più importanti orchestre sinfoniche in Europa, in Asia e negli Stati Uniti. In una delle interviste il compositore del Requiem ha dichiarato: “Penso che l’artista sia il testimone dell’epoca, in cui vive e con la sua creazione reagisce a quello che succede intorno a lui”.

Quanto passato è il trapassato prossimo?

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Una domanda a prima vista strana o forse addirittura buffa ma a pensarci bene ha un suo senso. Alla fine, la lingua polacca sta bene senza un tempo trapassato e quindi non ci è sempre facile usarlo nella lingua straniera. Si sa che la cosa più difficile è usare le strutture grammaticali o le espressioni che non esistono nella nostra lingua madre, non ne troviamo un equivalente e quindi costruendo la frase in quella straniera…non le usiamo proprio. Traduciamo le frasi nella nostra testa pensando in polacco e semplicemente dimentichiamo di poterle usare oppure le trattiamo come una cosa difficile e incomprensibile. Malgrado le apparenze il tempo trapassato prossimo in italiano non è così complicato.

Si crea usando il verbo ausiliare con il participio passato, come tutti i tempi composti. In questo caso il verbo ausiliare lo si coniuga in imperfetto ad esempio:

(lui) aveva fatto – zrobił

(noi) eravamo andati – pojechaliśmy 

Nella traduzione in polacco è la stessa cosa che nel passato prossimo.

Allora quando usarlo?

  1. Uso nelle frasi temporali

È l’uso del trapassato prossimo più spesso trattato nei manuali della lingua italiana. Quando raccontiamo una cosa nel passato ad un certo momento ci rendiamo conto che vogliamo parlare di un fatto che aveva avuto luogo prima degli altri elencati nella stessa frase e ci sta benissimo il trapassato prossimo.

Ad es.: Ho mangiato un panino che aveva preparato mia madre. Zjadłam kanapkę, którą przygotowała moja mama.

oppure: Ho letto un libro che mi aveva regalato la mia amica. Przeczytałam książkę, którą dała mi w prezencie moja przyjaciółka.

In tutti e due casi la seconda parte – aveva preparato mia madre e mi aveva dato la mia amica – dovevano succedere prima. Basterebbe cambiare l’ordine della frase e mettere il modo cronologico per non dover usare il trapassato prossimo. Così avremmo:

Mia madre ha preparato un panino che ho mangiato. Moja mama przygotowała kanapkę, którą zjadłam.

La mia amica mi ha regalato un libro che ho letto. Moja przyjaciółka dała mi w prezencie książkę, którą przeczytałam. Chiaramente si può farlo e facilitare la vita ma la lingua deve essere soprattutto pratica; esprimere quello che uno pensa. Le nostre idee spesso non sono molto ordinate, qualcuno si ricorda di qualcosa e questa struttura aiuta a precisare cosa è successo e quando. Paragoniamo le due frasi:

Quando sono arrivato al cinema il film è cominciato. Kiedy przyjechałem film się zaczął.

Quando sono arrivato il film era cominciato. Kiedy przyjechałem film… appunto come esprimerlo in polacco? film już trwał. Sarà impossibile dirlo in un altro modo: il film durava già. A volte è anche difficile trovare una bella traduzione di questa frase oppure siamo addirittura costretti ad aggiungere una parola che suggerisce che la cosa era successa prima, appunto la parola prima ad esempio.

Quando sono arrivato i genitori erano già partiti. Kiedy przyjechałem rodzice wyjechali…wcześniej??? Non è molto bello. Probabilmente diremmo però: Kiedy przyjechałem rodziców już nie było. Quando sono arrivato i genitori non c’erano più.

A questo punto è necessario sottolineare che l’uso dell’uno o dell’altro non è deciso da chi parla come spesso pensano gli studenti; tipo la cosa è successa prima di un’altra quindi metto il trapassato prossimo. Assolutamente no!!! Se i fatti sono messi in ordine cronologico non fa niente che qualcosa sia successo tanto tempo fa, mi spiego:

Ha lavorato 20 anni in banca e poi ha deciso di cambiare tutto ed ha trovato un nuovo lavoro. Pracował 20 lat w banku a potem zdecydował wszystko zmienić i znalazł nową pracę.

Il fatto che ha lavorato in banca 20 quindi tanti anni fa non cambia niente. La frase sarebbe identica se ci avesse lavorato solo 2 anni fa, a meno che cambiamo sequenza delle cose e diciamo:

Ha deciso di cambiare tutto ed ha trovato un nuovo lavoro dopo che aveva lavorato 20 anni in banca. Zdecydował wszystko zmienić i znalazł nową pracę a przedtem 20 lat pracował w banku.

In quella seconda opzione sarebbe molto più naturale usare il sostantivo dopo il lavoro (po pracy).

Vale la pena di ricordarsi d’usare il trapassato prossimo anche se non esiste nella lingua polacca.

  1. Esprimere l’eccezionalità

In realtà risulta che il trapassato prossimo è più usato in casi in cui si voglia esprimere eccezionalità rispetto all’uso che se ne fa nelle frasi temporali. 

Non avevo mai fatto una cosa del genere!!! Nigdy czegoś takiego nie zrobiłem!!!

Non eravamo mai stati in un posto così bello! Nigdy nie byliśmy w tak pięknym miejscu!

In queste frasi non c’è nessuna sequenza dei fatti né cronologia sbagliata…non ci sono più fatti ma ce n’è uno, una frase sola nella quale grazie all’uso del trapassato prossimo possiamo evidenziare che è una cosa particolare. Una cosa che non ci era mai successa prima.

Non ci avevo mai pensato !!! Kompletnie nigdy bym o tym nie pomyślał/a!!!

E ancora una volta nella lingua polacca per esprimere il senso dobbiamo aggiungere o addirittura tradurre tutto in un modo diverso, con l’uso del condizionale: nie pomyślałabym. (non avrei pensato)

Una curiosità: in alcune regioni il trapassato prossimo viene usato al posto del passato prossimo tipo:

Avevo comprato le scarpe. Kupiłem/am buty.

Le scarpe saranno pure eccezionali ma la frase stessa è una frase semplice dove si dovrebbe mettere il passato prossimo ma si dice così…anche se dobbiamo ricordarci che è una cosa tipica per la lingua regionale.

In ogni caso usiamo il trapassato prossimo non solo perché ci permette di fare una giusta cronologia ma anche per parlare di eccezionalità, una cosa che non possiamo fare nella lingua polacca cambiando solo tempo grammaticale.

L’Ambasciatore Amati saluta il personale medico polacco in partenza per l’Italia

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Oggi, medici e paramedici dal Centro polacco per aiuti internazionali (PCPM) sono partiti per Brescia per aiutare i colleghi italiani a combattere il Coronavirus. Il contingente medico polacco svolgerà il proprio lavoro in uno degli ospedali da campo a Brescia, in Lombardia, la regione più colpita dall’epidemia. Il gruppo di 15 specialisti è stato sottoposto al test per rilevare la presenza del virus, ritorneranno in Polonia il 9 aprile e dovranno in quella data rifare i test e mettersi in quarantena. All’aeroporto prima di partire hanno ricevuto la visita dell’ambasciatore d’Italia in Polonia Aldo Amati. “Esprimo un profondo ringraziamento verso questo personale medico che con la sua missione offre un concreto aiuto al nostro paese mostrando quanto sia solida l’amicizia tra Italia e Polonia”, ha dichiarato Amati. Il presidente del PCPM, il dottore Wojciech Wilk assicura che la partenza dei 15 medici per 10 giorni non rappresenta una privazione per il sistema sanitario polacco. Inoltre, sottolinea che questa decisione è un atto di solidarietà e un aiuto concreto all’Italia da parte della Polonia.

Dworczyk: entro 5 aprile vogliamo concludere il programma “Volo a casa”

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Secondo quanto affermato dal capo della cancelleria del presidente del Consiglio dei ministri Michał Dworczyk entro il 5 aprile il governo vuole concludere il programma “Volo a casa” (LOT do Domu). Nel programma avviato il 15 marzo vengono organizzati voli charter per i cittadini polacchi (e stranieri che rientrano nelle prescrizioni) che desiderano tornare in Polonia. Nel quadro del programma saranno realizzati in totale oltre 400 voli e più di 45mila polacchi ritorneranno nel Paese. “Non escludiamo la possibilità di voli ulteriori se apparirà tale necessità” ha affermato il rappresentante del primo ministro. Dworczyk ha parlato inoltre del programma di un ponte aereo con la Cina: gli aerei di LOT dalla prossima settimana trasporteranno dalla Cina i carichi con attrezzatura medica, indumenti protettivi e altri prodotti che mancano sul mercato polacco. Le consegne saranno realizzate in due modi: gratuitamente per le autorità locali e le organizzazioni non governative che vogliono fornire l’assistenza ai servizi sanitari; invece le aziende che intendono importare tale tipo di merci lo potranno fare a condizioni di mercato. Ieri è atterrato il primo trasporto d’attrezzatura medica dalla Cina. Invece martedì il presidente Duda ha parlato al telefono con il presidente della Cina Xi Jinping, lodando gli sforzi del Paese nella lotta contro l’epidemia grazie a cui la Polonia ha potuto acquistare l’attrezzatura medica necessaria. Il presidente polacco ha notato che in questi giorni la Cina produce molte attrezzature mediche e che il Paese ha dato il nulla osta agli acquisti di tali prodotti da parte della Polonia. ”Nei prossimi giorni aspettiamo nuovi aerei con i carichi medici” ha dichiarato Duda.

Concorso Chopin dal 18 al 29 settembre

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Lunedì l’Istituto Nazionale Fryderyk Chopin ha annunciato che per la prima volta che sono state posticipate le selezioni per il 18° Concorso Pianistico Internazionale Fryderyk Chopin a Varsavia. La cerimonia si terrà il 18-29 settembre nella Sala della Filarmonica Nazionale di Varsavia. L’Istituto ha comunicato che i biglietti acquistati per i concerti di selezione rimangono validi, cioè il biglietto per il primo giorno di eliminazione del 17 aprile è valido il 18 settembre, e lo stesso vale per i giorni successivi. Tutti i dettagli si trovano sul sito chopin2020.pl Quest’anno sono in gara 502 voci e 164 pianisti provenienti da 33 paesi. La maggior numero dei pianisti, 43, sono cinesi, 31 sono giapponesi, e suoneranno anche 18 polacchi e 16 pianisti della Corea del Sud. L’elenco completo dei qualificati è disponibile sul sito: https://chopin2020.pl/pl/competitors. Il comitato di selezione ha dovuto ascoltare 250 ore di registrazioni in DVD. Giovedì l’Istituto Fryderyk Chopin ha reso noti i nomi dei 9 artisti che si esibiranno nel concorso di ottobre, di cui 5 sono polacchi: Piotr Alexewicz, Adam Kałduński, Szymon Nehring, Kamil Pacholec e Piotr Pawlak, 2 pianisti provenienti dagli Stati Uniti, uno dalla Cina e uno dal Giappone. Il concorso stesso è previsto per il mese di ottobre, la sua inaugurazione avrà luogo il 2 ottobre presso la Filarmonica Nazionale di Varsavia. Il concorso si svolgerà in tre fasi e i pianisti saranno giudicati da una giuria di 18 persone presieduta da Katarzyna Popowa-Zydroń.