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Astrologia, oroscopo, zodiaco

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Ogni tanto abbiamo la sensazione che tutto quello che abbiamo oggi, la letteratura e il patrimonio culturale, arriva dai tempi antichi. Naturalmente è una esagerazione ma sbaglieremmo se dicessimo che non è in gran parte vero. Perché in realtà in tutti gli aspetti culturali della nostra società odierna, molto proviene dai tempi passati anche se a volte non ce ne rendiamo conto. Certe cose sono state modificate così tante volte da non essere facilmente distinguibili. Altre invece sono arrivate a noi direttamente dall’antichità, senza grandi cambiamenti.

Astrologia
Un tema estremamente popolare ai nostri giorni e che proviene anche dall’antichità è l’astrologia. La parola proviene, attraverso il latino, dal greco antico ed è formata da due parole: ἄστρον (ástron) oppure αστήρ (astér) e -λογία (-logía). La prima è un sostantivo che significa “stella” o “costellazione”. L’altra invece, ben conosciuta grazie alle diverse scienze come biologia, psicologia ecc., “-logia” viene dal suffisso greco -λογία (-logía) che, come abbiamo spiegato nell’articolo su biologia, denota uno studio o disciplina scientifica. La parola è un derivato di λόγος (lógos), in questo senso “spiegazione” o “narrazione”. La parola di base di questo sostantivo è il verbo λέγω (légo), col significato di “dire”, “parlare” e simili. Astrologia però, contrariamente alla parola “biologia”, non denota uno studio pienamente scientifico. Per questo c’è la parola “astronomia”, che al posto di “-logia” usa un derivato di una parola greca, νόμος (nómos), cioè “legge”. Il primo nome, “astrologia”, si riferisce quindi alla previsione di avvenimenti futuri attraverso le stelle, mentre il secondo studia i corpi celesti in maniera scientifica. Va detto anche che questa è una spiegazione molto moderna, perché nelle loro origini l’astrologia e l’astronomia si confondevano molto e la distinzione tra i due termini che facciamo anche noi inizia a essere usata solo nel tardo medioevo.

Oroscopo
Interessante è l’etimologia di “oroscopo”, una parola fortemente legata all’astrologia. È una parola interamente greca, ὡροσκόπος (horoskópos) “che osserva l’ora”, composta da due parole: ὥρα (hóra) che significa “ora” e σκοπέω (skopéo) “osservare”. L’origine del nome viene dalla pratica di prevedere gli avvenimenti futuri in base all’osservazione dei pianeti e del sole e la loro configurazione in un dato momento. Oggi la parola “oroscopo” ha un po’ cambiato il suo significato ed è usata molto spesso come una divinazione inventata da un copywriter e pubblicata nei giornali. Nonostante questo, oroscopo non ha perso la sua connessione ai segni zodiacali che fino a oggi sono ben conosciuti da tutti.


Zodiaco
Parlando dell’oroscopo dobbiamo quindi spiegare anche il significato della parola “zodiaco”. Non è sorprendente che anche essa sia d’origine greca: ζῳδιακός (zoidiakós) è una parola composta di due parole. La prima, ζῴδιον (zóidion), significa “figura” o “segno celeste”, ma questo è un senso contestuale perché la parola stessa è un diminutivo della parola ζῷον (zôion) che significa “animale”. Questo non dovrebbe sembrare strano se pensiamo a cosa sono i segni zodiacali cioè che quasi tutti rappresentano un animale diverso. La seconda parola invece, κύκλος (kúklos), significa “circolo”. La parola zodiaco, significando quindi proprio “circolo degli piccoli animali”, riflette la configurazione delle costellazioni nel cielo che sono rappresentate dagli animali come Pesci, Ariete ecc.

Ferrari Testarossa tutti gli specchietti della diva

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Tra i tanti meravigliosi modelli usciti dalla fabbrica di Maranello questo è il più famoso; chi non ha sentito parlare della Testarossa? Su questa macchina è stato già scritto probabilmente tutto, sono state girate centinaia di ore di filmati, e quindi parlando di questo tesoro nazionale dell’Italia è diffi cile non ripetersi. Il suo nome proviene dal colore rosso che copre la testata e che era prima usato per i modelli 500 TR (1956), 500 TRC e 250 Testa Rossa del 1957. Non è stata la prima volta che la Ferrari ha onorato i nuovi modelli approfittando della propria storia. È stato così anche nel caso del modello Mondial 8 del 1980, che era un riferimento a 500 Mondial (1953) e Ferrari 288 GTO, una continuazione della leggendaria 250 GTO del 1962. La differenza sta nel fatto che in questo caso la Ferrari per la prima volta non ha incluso nessuna cifra che indicherebbe la cilindrata del motore. Nel 1973 è comparsa una macchina completamente diversa dalle linee classiche degli anni Sessanta, ossia la Lamborghini Countach con 365 GT4 BB.

Dopo una rapida reazione a questo modello, che ha capovolto la prospettiva sulla stilistica della Ferrari, Maranello voleva essere altrettanto all’avanguardia. Purtroppo, non ce la faceva, perchè la Lamborghini era anni avanti rispetto agli altri produttori. 11 anni dopo l’avvio della produzione delle prime Countach, la Ferrari ha finalmente creato qualcosa in grado di mettere in ombra la Lamborghini, che aveva dominato il settore delle super macchine nel decennio precedente. E quel qualcosa è stata proprio la Testarossa. La versione della QV, che in quei tempi veniva proposta dalla Lamborghini, era più veloce della Testarossa, però poco pratica. La Ferrari, oltre alle prestazioni simili e alle ottime linee del corpo disegnate da Emanuele Nicosia, offriva anche un interno confortevole e spazioso. In questo modo, ispirandosi alle soluzioni della Lamborghini, la Ferrari è diventata un’azienda globale proprio grazie alla Testarossa. Già durante il lancio ufficiale, il 2 ottobre 1984 al cabaret Lido a Parigi, sono stati effettuati 37 ordini. La popolarità del modello costituiva una grande sfida per il produttore, dato che era la prima volta che a Maranello si lavorava su così larga scala. Alla fine, sono stati prodotti oltre 7 mila esemplari in numerose varianti, imposte dai mercati degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, del Giappone e anche della Francia, nella quale era richiesto un diverso tipo di fari. Il boom economico degli anni Ottanta ha favorito il successo della Testarossa, in quanto le persone come i broker di Wall Street non sapevano come spendere i loro bonus stellari. All’epoca, anche gli imprenditori, le star della scena disco, del cinema o dello sport, guadagnavano cifre enormi facilmente. Ferrari con questo modello aiutava a spendere in modo ostentato. Non bastava più parcheggiare davanti al ristorante migliore della città in una Rolls Royce per mostrare che si era pieni di soldi. Quando si guidava la Testarossa si poteva urlare “guardate chi è il padrone del mondo”. Questa Ferrari era come il dirigibile con la scritta “The World is Yours” da “Scarface” di Brian de Palma. E adesso una curiosità per i fan di questo film. Quando apriamo la porta del vano portaoggetti nella Testarossa, possiamo trovare uno specchietto, un gadget che sarebbe sicuramente apprezzato da Tony Montana. Gli specchietti in questa Ferrari fin dall’inizio erano una questione controversa, visto che per i primi due anni della produzione le macchine erano dotate di solo uno specchietto esterno, situato dalla parte del guidatore, curiosamente quasi all’altezza dello specchietto interno. Oggi i modelli “monospecchio” sono decisamente i più apprezzati. Dopo l’esibizione a Ginevra nel 1986 sono apparsi due specchietti, collocati nella posizione che oggi è quella standard. Strutturalmente e meccanicamente la Testarossa era una versione modernizzata e più attenuata della Ferrari 512 BB del 1976. Il suo presupposto principale era soddisfare le norme degli Stati Uniti, dove la 512 BB non era ammessa al traffico. La sua superficie laterale caratteristicamente alettata non solo ha reso la Testarossa un’icona di stile, ma aveva anche un’applicazione pratica, perché le alette portavano l’aria ai radiatori situati sul retro. Tale soluzione ha causato la differenza tra la larghezza della parte anteriore e la larghezza della parte posteriore dell’auto. La seconda era decisamente maggiore, visto che conteneva un motore enorme. Le dimensioni della parte posteriore erano quasi uguali a quelle della parte centrale, inclusi gli specchietti!

Lo stesso stile di carrozzeria è stato applicato anche nel 1989 nel modello Ferrari 348 TB e TS, di cilindrata più bassa (V8), e nel 1993 nel modello 348 Spider. Come una vera diva, la Testarossa è apparsa decine di volte sul grande schermo. Certe volte solo episodicamente, ad esempio come Rose nel leggendario “Gone in 60 seconds”, in cui era accompagnata da altri 13 modelli di Maranello. È stata confrontata con la Lamborghini Countach nel “Wolf of Wall Street”, un film che riflette bene il clima edonistico a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. In una delle serie TV più popolari a quei tempi, “Miami Vice”, la Testarossa bianca era quasi un terzo protagonista, diventando, insieme al brano “Crockett’s theme” del compositore ceco Jan Hammer, una parte intrinseca di questa storia. Ha svolto un ruolo importante anche nel fi lm olandese “De Dominee” (2004) o nella serie TV nuova e abbastanza controversa, “Dirty lines”. Nel 2019 i produttori del fi lm “Murder Mystery”, avevano a disposizione due esemplari della Testarossa e senza alcuna pietà per le macchine ne hanno completamente distrutto una girando una scena di un inseguimento pazzesco, anche se la macchina doveva essere “solo” graffiata, perdendo allo stesso tempo gli specchietti. Ovviamente, nel film non possiamo vedere la distruzione della macchina.

Ferrari ha commissionato allo Studio Pininfarina la progettazione di un modello eccezionale della Testarossa, un regalo per il proprietario della Fiat, Gianni Agnelli. La macchina argentata, con il numero di telaio 62897, era l’unica Testarossa spider ufficialmente realizzata. Aveva il cavallo rampante, simbolo della Ferrari, posizionato tra le luci posteriori e fatto di argento puro (indicato dalla sigla AG sulla tavola periodica), che doveva riferirsi alle iniziali di Agnelli. Alcuni modelli spider sono stati creati non ufficialmente, ad esempio su commissione del sultano di Brunei. Nella sua collezione c’erano anche 2 dei 3 modelli concettuali Mythos, con carrozzeria di tipo barchetta, prodotti dallo Studio Pininfarina e basati sulla meccanica della Testarossa. La 512 TR è una erede della Testarossa (1992-94, 2261 esemplari), che non ha introdotto nessun cambiamento rivoluzionario per quanto concerne lo stile, anche se devo ammettere che una striscia nera alettata, che copre completamente le luci posteriori, è impressionante data tale larghezza della macchina. È stata cambiata anche la forma della griglia anteriore della macchina, sulla quale, a differenza del modello precedente, è apparso il cavallino della Ferrari. I produttori si sono concentrati soprattutto sul miglioramento delle prestazioni, e hanno raggiunto questo obiettivo al 10%.

Nel 1994 è nata l’ultima generazione, 512 M, considerata comunemente la più brutta. Questo modello ha mantenuto le alette iconiche, però sia la parte anteriore, sia quella posteriore, sono state completamente modificate. Dalla parte frontale sono stati eliminati i fari a scomparsa, passati ormai di moda. Sul cofano della macchina sono stati aggiunti due profili alari NACA con la griglia “sorridente”. Il fronte è stato deturpato da due piccoli proiettori fendinebbia. La striscia delle luci posteriori, un attributo della costruzione originale, è stata abbandonata a favore delle luci laterali rotonde. Fortunatamente, questa volta gli specchietti sono stati lasciati come erano. La potenza del motore è stata aumentata a 440 CV. Sono stati gli ultimi 501 esemplari della Ferrari con il motore V12 nella parte posteriore.

Per i collezionisti di modelli in scala 1:18, se si parla della Testarossa, come nel caso della Ferrari F40, l’unica scelta giusta sono i prodotti Kyosho. Finché CMC non lancerà la propria versione, quella di Kyosho è senz’altro la migliore. Tuttavia, sia io che gli altri possessori di questo modello, dobbiamo accettare il fatto che col passare del tempo sulla verniciatura appare una “pelle d’oca” abbastanza visibile. A fianco, a titolo di confronto,  la Ferrari 512 M fatta da Hot Wheels, e sullo sfondo il disegno tecnico della 512 TR. Chiudendo il tema d’oggi, aggiungo qualcosa in cui probabilmente non crederete: il mio modello è arrivato da me con… uno specchietto rotto. Per fortuna, sono riuscito a ripararlo.

Anni di produzione: 1984–91
Esemplari prodotti: 7177 esemplari
Motore: V-12 180°
Cilindrata: 4943 cm3
Potenza/RPM: 390 CV / 6300
Velocità massima: 290 km/h
Accelerazione 0-100 km/h (s): 5,1
Numero di cambi: 5
Peso: 1506 kg
Lunghezza: 4485 mm
Larghezza: 1976 mm
Altezza: 1130 mm
Interasse: 2550 mm

Tłumaczenie it: Zuzanna Miniszewska

Nicola Pettenò nuovo Presidente di Confindustria Polonia

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Ieri è stato un giorno importante per tutti i soci di Confindustria Polonia. A Varsavia presso la sede del nostro socio strategico, Generali Poland è stata convocata  l’Assemblea Straordinaria Privata dei Soci. Tra i principali obiettivi dell’incontro: l’elezione del nuovo Presidente con il rinnovo e l’allargamento della squadra del Consiglio Direttivo.

Un grazie sentito a Roger Hodgkiss CEO e a Justyna Szafraniec direttrice marketing di Generali per l’ospitalita’ e l’apertura a continuare a costruire ponti insieme. 

Siamo lieti di annunciare ufficialmente che abbiamo eletto il nuovo presidente, Nicola Pettenò con la sua nuova squadra così composta :  Domenico Dibisceglie (WkB) Marco Gambini(Zannini Poland), Massimiliano Raponi (Intratel), Giacomo Scimone (Elit SA), Serge Giannitrapani (Prima Components Europe) , Gianluca Marcattilli (Faraone Poland)e Silvio Corbucci (PLOH Sp. z o.o.). Congratulazioni!

Sono molto orgoglioso di aver partecipato alla fondazione di un’associazione che traguarda ora più di 100 soci e che ha obiettivi così ambiziosi –  ha detto nel suo discorso il Presidente uscente Alessandro Romei a nome del precedente direttivo, ringraziando tutti per il supporto durante il suo mandato e facendo auguri alla nuova presidenza. Siamo certi che il nuovo Presidente, attuale CEO di Cebi Poland con più di 20 anni di esperienza porterà a Confindustria Polonia nuove idee per la sua costante crescita. Come ha assicurato nel suo discorso inaugurale, Nicola Pettenò farà di tutto per attuare il programma presentato ieri davanti alla rappresentanza dei nostri soci. Gli obiettivi del nuovo Consiglio Direttivo prevedono inter alia l’aumento del numero dei membri, il rafforzamento delle relazioni tra Confindustria e il Sistema Italia, l’apertura di una  nuova sede  e l’incremento delle relazioni con le università italiane e polacche.  

Non poteva mancare la presentazione di Guida Paese 2023, la nostra  panoramica sul mercato polacco giunta alla sua terza edizione. Il compendio a breve sarà oggetto del Roadshow e verrà presentata a tutti gli interessati in cinque località diverse e tra l’altro e’ stata già  presentata  alla dott.ssa Laura Ranalli dell’Ambasciata d’Italia  al dottor Paolo Lemma,  Direttore Ufficio del Italian Trade Agency e alla comunità economica presente a Karpacz. 

 

L’Assemblea si è conclusa con la firma dell’accordo tra  Confindustria e  Finest Spa, la Società Finanziaria per l’internazionalizzazione delle imprese del Nord-Est alla  presenza del presidente @Alessandro Minon che ringraziamo per la sua presenza e il contributo che insieme continueremo a portare alle relazioni italo polacche .

 

Infine e in ultimo un sempre costante ringraziamento ai nostri soci strategici che ci supportano con costanza : @rina , @senatrans, @Generlai e @ploh e a  tutto il team che ha reso possibile l’ottima riuscita dell’evento: @virginia Novara, @Fausto Ferraro, @Emilia Maj, @Dariusz Wlodkowski, @Marco Fontana, @Agnese Mussari.

Alessandro Bressanello legge “Corte Polacca”

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Il celebre attore veneziano legge alcuni brani del racconto “Corte Polacca” di Sebastiano Giorgi edito da Austeria.

Info: https://www.gazzettaitalia.pl/corte-polacca-sebastiano-giorgi/

JAROSŁAW MIKOŁAJEWSKI “APPUNTI SIRACUSANI”

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Appunti siracusani è un’opera sfaccettata, un saggio e nello stesso tempo un’originale forma di travelogue in cui snodano le riflessioni-divagazioni di Jarosław Mikołajewski intellettuale a tutto tondo: l’italianista, il poeta, lo scrittore, il traduttore, il pubblicista.

Sospinto in Sicilia dalla sua verve giornalistica, investigativa verrebbe da dire, l’Autore ci fa consapevoli del suo desiderio di partecipare a quella sorta di misterium che è l’umano peregrinare, nella fattispecie dei 46 migranti della Sea-Watch nel maggio 2019, e dell’anelito, si direbbe, di vederne lo sbarco a Siracusa. La stessa Siracusa dove quasi due millenni prima, nella primavera dell’anno 61, approdò l’apostolo Paolo, condotto a Roma per essere giudicato dal tribunale di Cesare. In realtà non sappiamo se Paolo poté scendere dalla nave. Ma se lui o i suoi compagni lo avessero fatto, cosa avrebbero visto a Siracusa? È un quesito a cui risponde Mikołajewski, che ci coinvolge in un viaggio spirituale nello spazio e nel tempo, fra reminiscenze letterarie (Iwaszkiewicz, in primo luogo ma anche Karasek, Hartwig, Szymborska, Miłosz, Camilleri ed echi vittoriniani), musicali (Szymanowski) fluttuando fra storia (la cacciata degli ebrei a seguito della definitiva Reconquista spagnola) e mito (ancora Karasek), pittura (iconico qui il Caravaggio) e poesia, sicilianità e fascinazioni sue peculiari, il cui fulcro rinveniamo nella poesia Siracusa, con il suo incipit di sapore evangelico, un vero peana al mare, il vero filo conduttore del narrato.

UN MODO FURBO PER MANGIARE BENE

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Si scrive meal prep, si legge preparazione dei pasti in anticipo: il termine deriva dall’inglese meal preparation, ed è un metodo furbo per affrontare la settimana senza correre il rischio di che la fame ci colga di sorpresa!

In pratica, per meal prep si intende la pratica di dedicare qualche ora della settimana alla preparazione dei pasti da consumare nei giorni seguenti. Un modo molto utile per seguire un’alimentazione equilibrata, ottimizzando i tempi e riducendo gli sprechi.

A prima vista sembra tutto noioso e complicato. Forse le prime volte lo sarà davvero: come tutte le buone abitudini, anche il meal prep richiede un po’ di pratica iniziale. La difficoltà sta principalmente nel capire come organizzarsi. Ma una volta trovato il ritmo giusto, prevarrà la gratificazione di mangiare bene tutti i giorni, soprattutto quelli in cui si arriva a casa stanchi e senza voglia di fare nulla.

I vantaggi sono tanti e preziosi. Seguire un’alimentazione varia ed equilibrata: la pianificazione in anticipo del menù permette di inserire il giusto numero di porzioni per ogni cibo. Risparmiare tempo e denaro: si riducono le visite al supermercato e si preparano diversi cibi contemporaneamente, ottimizzando anche l’utilizzo degli elettrodomestici. Ridurre gli sprechi: maggiore consapevolezza dei prodotti necessari, acquisti mirati e calcolati sulle quantità che servono realmente. Organizzare i pasti è una necessità di quasi tutti: chi consuma il pranzo a scuola o sul posto di lavoro, chi la sera arriva a casa tardi, chi deve accontentare gusti ed esigenze familiari diverse.

Ma in pratica, come funziona il meal prep? Tutto si può riassumere in tre fasi: pianificare, cucinare, conservare. Innanzitutto, ragionate sull’organizzazione della vostra settimana per capire quanti pasti avete effettivamente bisogno di preparare. Ci sono dei giorni in cui avete più tempo e preferite cucinare al momento? Avete degli impegni che vi portano a pranzare o cenare fuori casa? Uno schema vi aiuterà ad avere le idee più chiare.

Controllate dispensa e frigorifero, per verificare la presenza di prodotti in scadenza: saranno i primi a dover essere inseriti nelle ricette. Poi dedicatevi alla
compilazione del menù settimanale: se non avete idea da dove cominciare, cercate online e troverete tanti suggerimenti. In linea generale, la regola del piatto sano prevede che ogni pasto (colazione, pranzo, cena) sia composto per metà da frutta o verdura, 1⁄4 da cereali integrali e 1⁄4 da proteine di buona qualità, a cui aggiungere una piccola porzione di grassi buoni (olio d’oliva, olio di lino, semi oleosi, creme di frutta secca). Varietà non significa necessariamente mangiare ogni giorno diverso: nell’arco della settimana ci possono essere anche dei pasti uguali, oppure con degli ingredienti di base in comune da variare con i condimenti o con le verdure di accompagnamento. Si può semplicemente cucinare la cena in porzioni doppie, e utilizzarne una parte per il pranzo del giorno dopo: ma solo se siete sicuri di non cadere nella tentazione di mangiare tutto subito! Si può decidere di cucinare portate già complete e pronte al consumo, oppure preparare delle basi da personalizzare al momento, ad esempio cereali e legumi lessati, verdure mondate e stufate, e poi decidere di giorno in giorno come combinare gli ingredienti. Il menù di base può rimanere uguale tutte le settimane, variando nelle ricette: ad esempio lunedì legumi, martedì uova e così via.

Dopo aver pianificato il menù e controllato i prodotti già a disposizione, si può stilare la lista della spesa e andare al supermercato con le idee chiare, girando le corsie a colpo sicuro: in questo modo si risparmia tempo e si acquista solo ciò che è utile.

Infine, finalmente, si cucina. Scegliete il giorno che per voi è più comodo e dedicate qualche ora alla preparazione. Cominciate dagli ingredienti che prevedono tempi più lunghi e organizzatevi in modo da cucinare più cose contemporaneamente: nel forno, ad esempio, possono essere inseriti cibi diversi, e durante la cottura ci si può dedicare ad altre preparazioni.

Quando tutto sarà cucinato e raffreddato, dividete il cibo in contenitori ermetici e sistemate in frigo o in congelatore. Non è necessario comprare dei contenitori particolari, vanno benissimo anche i vasetti di vetro riciclati.

Se ancora non siete convinti, ecco qualche suggerimento. Per la colazione, oltre ai classici dolci da credenza, si possono preparare pancake, porridge, granola, frullati di yogurt. Cereali e legumi possono essere lessati e conservati in congelatore già divisi in porzioni, da utilizzare per le insalate oppure da trasformare in polpette, burger, zuppe e creme. Se volete qualcosa di più originale e appetitoso, preparate torte e muffi n salati, lasagne e sformati, frittate e verdure ripiene. Spero a questo punto di avervi fatto venire l’acquolina: non avete che da cominciare a organizzare il vostro meal prep!

Domande o curiosità inerenti l’alimentazione?
Scrivete a info@tizianacremesini.it e cercherò
di rispondere attraverso questa rubrica!

Gabriele D’Annunzio, a centosessant’anni dalla nascita

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A centosessant’anni dalla sua nascita, intorno a Gabriele D’Annunzio si raccontano ancora molte leggende legate più al “personaggio” che alle verità storico-letterarie di cui fu protagonista lo “scrittore”.

Le leggende maturate intorno al suo nome, spesso, trovavano origine proprio nelle sue fantasiose invenzioni: al pubblico francese dichiarava, ad esempio, di essere nato <<a bordo del Brigantino Irene>>, in mezzo al mare Adriatico in una notte tempestosa, sotto il segno dell’Ariete “durocozzante”. Ma non era vero niente, Gabriele nacque come tutti i bambini di allora in casa, e il diffi cile parto di sua madre Luisa de Benedictis avvenne in un palazzetto signorile di Pescara, in Abruzzo, alle 8 del mattino del 12 marzo 1863, quindi sotto il segno dei Pesci. Suo padre era Francesco Paolo, possidente e poi sindaco della città adriatica e avrà con l’illustre figlio rapporti non sempre sereni.

Abruzzese quindi, Gabriele, e l’amata sua terra natìa rivivrà in molte sue pagine poetiche, narrative e drammaturgiche: «Ah, perché non son io co’ miei pastori?» scriverà in una poesia tra le più belle di Alcyone, la sua raccolta poetica del 1903, e poi «Porto la terra d’Abruzzi, porto il limo della mia foce alle suole delle mie scarpe, al tacco de’ miei stivali», nel Libro segreto del 1935: non rinnegò mai le sue origini, neppure quando, dopo gli studi liceali compiuti a Prato presso il glorioso collegio nazionale Cicognini, a 19 anni si trasferirà nella Capitale, diventando un brillante cronista della mondanità capitolina, prima, un grande narratore e poeta, poi, infine l’arbiter elegantiarum della società romana dell’epoca.

Ma questo giovane abruzzese inurbato, sempre agghindato e azzimato come un principe rinascimentale (arrivò a possedere un guardaroba sterminato che comprendeva, tra l’altro, 50 soprabiti, 200 paia di scarpe e 500 cravatte), con la sua parola ed il suo modo di fare elegante e seducente conquisterà il mondo: provocherà la follia nelle donne da lui sedotte e l’esaltazione nei soldati, idolatrato e detestato, sfi dato e imitato, invidiato da quasi tutti i suoi colleghi scrittori e intellettuali per il successo popolare conseguito, vivrà tra ozii lussuosi e debiti clamorosi, in un’esistenza inimitabile da “Principe del Rinascimento”.

Controverso, contraddittorio a volte, discusso e perfino discutibile come personaggio, fu invece indiscutibile il grande contributo apportato alla storia della letteratura tra Otto e Novecento, arrivando ad aprire le strade, sia nella prosa, sia nella poesia e nel teatro, ma anche nel cinema e nel giornalismo, della più autentica e valida modernità novecentesca che lo fece interprete ed anticipatore di tutte le correnti e stili artistici del secolo nuovo.

Talvolta gli “capitò” anche di rubare idee e versi a poeti e intellettuali, italiani o stranieri, segnatamente francesi, ma seppe restituirli con incomparabile maestria: Joyce, Musil, von Hoffmansthal, Proust lo ammirarono incondizionatamente, l’intero panorama della prosa e della poesia italiana del Novecento gli fu debitore.

A D’Annunzio, infatti, si devono opere immortali, conosciute e tradotte in tutte le lingue: romanzi (Il Piacere, L’innocente, Il trionfo della morte, Il fuoco), novelle (Terra vergine, Le novelle della Pescara), tragedie teatrali (La città morta, La figlia di Iorio, La fi accola sotto il moggio), fi no ad arrivare al Notturno, un apparente memoriale di guerra e invece un’opera straordinaria di esplorazione dell’ombra della coscienza e della memoria, che farà scuola a molti scrittori successivi sia per lo stile, sia per il linguaggio, sia per il tema.

E valgano le stesse considerazioni anche per la sua ampia produzione poetica: dalla sua prima raccolta, Primo Vere, scritta da adolescente, fi no alle Laudi, dove sono raccolte tra le liriche più belle della storia della poesia italiana (La pioggia nel pineto, tra tutte), con le quali ha saputo traghettare la poesia dei secoli passati, irrigidita dentro forme classiche ormai logore, verso la poesia libera da schemi e metri, ma ricca di sonorità foniche e fonematiche, della più alta produzione novecentesca.

Lo stile di D’Annunzio, sia in prosa sia in poesia, fu davvero inimitabile e personalissimo: parole nuove o ripescate dalla tradizione, rese sonore e luminose da inattesi accostamenti, ritmi studiati per riprodurre emozioni, giri di frasi come sculture morbide e seducenti oppure spigolose e taglienti. Pennellate lampeggianti, ricchissime coloriture, manipolazione incantata di luci e ombre, un’armonizzazione musicale sublime. La maestria verbale, la suggestione sensuale, l’inarrivabile uso della parola da lui utilizzata sia per la capacità evocativa che per la pertinenza semantica, costituiscono una magia e una malìa da cui è difficile sottrarsi.

Riuscì ad infiammare gli animi e a conquistare migliaia di donne grazie ad un fascino magnetico ed irresistibile. Non fu mai però un buon marito, né un buon padre: troppo tumultuosa la sua esistenza, al cui centro restarono sempre la scrittura, l’arte, la passione per tutto ciò che fosse bello ed elegante. Donne comprese.

Migliaia, si disse, ma poche quelle veramente amate e tutte trasfigurate in Muse, tutte eternate nei suoi capolavori. «Il mio cervello è alimentato dal fuoco degli inguini», soleva ripetere, ribadendo quanto il trasporto sentimentale ed erotico fosse propellente necessario alla sua creatività.

Tra le prime sue muse, allora, ci fu Giselda Zucconi, l’amore della sua «adolescenza anelante e furiante», eternata col nome di “Lalla” nella sua seconda raccolta poetica “Canto Novo”, e poi Elvira Fraternali, sposata Leoni, ma amata dal poeta con il nome di “Barbara”, e immortalata nella figura di Ippolita Sanzio del suo romanzo “Il trionfo della morte”. Dopo l’abbandono del Poeta, morirà sola in un pensionato gestito da suore. Nonostante le moltissime amanti, fu sposato con una sola moglie, Maria Hardouin di Gallese, immortalata nella poesia “Peccato di maggio” e che poi gli diede tre fi gli: Mario, Gabriellino e Veniero. Un’altra figlia, Renata, l’ebbe da Maria Gravina Cruyllas Ramacca Anguissola di San Damiano, principessa siciliana che per lui lasciò la famiglia e alla quale dedicò il suo romanzo capolavoro L’innocente.

Tra tutte le muse dannunziane, una però spicca per grandezza e bellezza: Eleonora Duse. Di cinque anni più vecchia di lui, tisica, bisessuale, appassionata e di inarrivabile talento, lo proiettò sull’empireo della drammaturgia europea: fu lei l’ispiratrice di tutti i suoi capolavori teatrali. Lui l’amò senz’altro, ma poi la descrisse impietosamente ne “Il fuoco” e la lasciò comunicandole, spietato: «Sento nelle fibre più profonde il bisogno imperioso del piacere, della vita carnale, del pericolo fisico, dell’allegrezza». Fine di un grande amore.

In realtà, quella fine era dovuta ad una nuova “musa”, la giovane e avvenente Alessandra Starabba di Rudinì, bella e statuaria (che ribattezza “Nike”, come la Nike di Samotracia), la quale, quando sarà da lui abbandonata, fuggirà in Francia, si farà suora, ma conserverà sempre, tra le biografie dei Santi e i libri di preghiera, le audacissime lettere del suo mai dimenticato amante.

E poi via via fino ad uno dei più brucianti amori della sua vita, quella contessa fiorentina, che di nome faceva Giuseppina Giorgi Mancini, ma che lui appellerà “Giusini” nello splendido “Solus ad Solam”, una sorta di struggente diario scritto da Gabriele quando la sua appassionata amante finirà nel gorgo della follia, per arrivare a quella che fu la sua ultima Ninfa Egeria: l’attrice del muto Elena Sangro, nome d’arte della vastese Maria Antonietta Bartoli Avveduti che divenne la protagonista del torrido e senile poemetto “Carmen Votivum”.

Ma il poeta “Vate” non fu solo un grande seduttore e amante; seppe anche lasciare ai posteri la memoria di sé eroe della prima guerra mondiale: dalla Beffa di Buccari al Volo su Vienna durante la Grande Guerra, fino alla straordinaria conquista di Fiume, il 12 Settembre 1919 alla testa di oltre duemila fervorosi combattenti, uomini e donne. Qui scrisse e promulgò la Costituzione (la Carta del Carnaro) più lungimirante dell’epoca, che arrivava a riconoscere ammissibile ogni tipo di amore, ogni cittadino uguale agli altri, alle donne la possibilità di votare e di essere votate.

Fu fervente nazionalista, irredentista, monarchico: difficile, però definire il suo contraddittorio rapporto con Mussolini e con il fascismo. Fu quest’ultimo, semmai, ad ispirarsi a D’Annunzio e, specialmente, al dannunzianesimo fiumano adottando pose e mode, miti e modi del Comandante di Fiume.

Chiusa l’esperienza di Fiume in un tragico Natale di sangue del 1920, si ritirò a Villa Cargnacco sul Lago di Garda, dimora di campagna appartenuta a Henry Thode e che, trasformata e trasfigurata, diventerà il celebre e celebrato Vittoriale degli Italiani: l’ultima sua opera d’arte, “libro di pietre vive”, ancora oggi monumento nazionale al suo genio e alla sua indomita personalità. Lì, al Vittoriale degli italiani, tra viuzze, slarghi, piazzette e meravigliosi giardini interamente pensati da Gabriele D’Annunzio e realizzati dall’architetto Maroni, l’anziano e ormai stanco poeta fu risucchiato in un gorgo erotico senza fine, vittima di un predace e patetico delirio sessuale. E nella ubriacatura orgiastica degli ultimi anni una giovane donna spicca su tutte: la Contessa Scapinelli Morasso, “Titti”, “l’ultima Clematide”, fresca e splendente creatura, che gli destò un ultimo singulto d’amore.

Gabriele D’Annunzio, il vate, l’eroe, l’amante, il venturiero, l’artifex immaginifico di capolavori e di vite inimitabili, morirà di lì a poco, per ictus cerebrale, alle 20,05 del 1° marzo 1938 (ultimo giorno di Carnevale), ottantacinque anni fa, mentre eraintento a «capolavorare» alla sua scrivania.

foto: per gentile concessione della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani

Il villaggio nella grotta

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Il minuscolo borgo all’interno del Monte Cofano regala uno scenario da favola. Vi troviamo una culla, dei giocattoli, delle vecchie pentole e delle forme da calzolaio, tanti utensili per
la casa il cui uso è spesso difficile da indovinare. La caverna alta 70 metri ha una superficie di almeno 650 metri quadri ed è la più grande delle nove grotte di Scurati in Sicilia. Già nel Paleolitico vi abitarono i primi cavernicoli, come testimoniano i semplici arnesi, ossa di animali, dipinti rupestri e pezzi di ceramica rinvenuti tempo fa dagli archeologi, oggi esposti nei musei di Trapani e Palermo. Per millenni la grotta fungeva da rifugio, ma solo nel 1819 vi si creò un piccolo villaggio. I membri della famiglia Mangiapane (da cui il luogo prende il nome) costruirono nella pancia della roccia una fattoria, ovvero due file di palazzine con in mezzo una stradina, dove fino alla fine degli anni ‘50 del Novecento condussero un’esistenza
quasi autosufficiente, basata su pesca e agricoltura. Poi il luogo fu abbandonato.

Negli anni ’80, grazie all’iniziativa degli appassionati del luogo e dell’unico discendente della famiglia Mangiapane, tutti gli ambienti sono stati meticolosamente restaurati. Nacque così il Museo Etnoantropologico di Arte Contadina Siciliana all’aperto. Qui non ci sono bacheche né soluzioni sensoriali e multimediali, ma c’è odore di mobili e tessuti antichi, di cuoio e di paglia. Ci sono le galline che schiamazzano e i galli che cantano, capre, asini e cavalli, ulivi secolari e fichi d’india carnosi. Come si sa i loro frutti, tinti di arancione, viola e fucsia, sono molto spinosi e prima del consumo devono essere accuratamente puliti con un’apposita grattugia. Alcune varietà però sono lisce e così, almeno in polacco, vengono chiamate “indifese”. Questo termine mi diverte e intenerisce, così come i ricordi e artefatti della vita quotidiana raccolti negli interni di questo sito roccioso.

È incredibile, qui tutto sembra intatto: i locali di servizio, la cucina, la sala da pranzo, il soggiorno e le botteghe del calzolaio e del cestaio. C’è una macchina da cucire, un telaio, un tornio e un frantoio, ma anche una grossa stufa a legna. Le camere modeste ma dignitose, arredate secondo lo stile dell’epoca. Le pareti bianche e ruvide decorate con tappeti di pezza, stoffe dipinte con scene cavalleresche. Dal soffitto pendono i pupi, le marionette del tradizionale teatro siciliano. Su tavoli e scaffali di legno massiccio ci sono dei secchi e delle tinozze di latta, le ceste di vimini, delle vecchie bottiglie e delle damigiane, per terra barili di ogni tipo. Poi ancora una cappella privata e una stanza da barbiere, o cerusico, che non solo tagliava i capelli, ma toglieva denti, eseguiva piccoli interventi chirurgici e curava disturbi della pelle, spiega la guida.

Oggi, questo piccolo mondo rinchiuso nella grotta come in una capsula del tempo prende vita diverse volte all’anno, proprio come ai vecchi tempi. Da oltre quarant’anni, grazie al lavoro di 160 volontari, durante l’estate si tiene qui un festival degli antichi mestieri. Vi partecipano circa 70 rappresentanti di professioni in via di estinzione, che negli ambienti del museo mostrano la loro arte. Uno di questi è o zabbarinaru, che lavora l’agave, zabbara è l’agave in siciliano. Con degli strumenti semplici batte e stira le sue foglie carnose e poi su una tavola piena di punte metalliche
(a mo’ di grattugia) ne pettina le fibre. Dalla polpa ricava una sorta di sapone, e le fibre essiccate le passa al funaio, che le trasforma in corde. C’è anche uno scalpellino e un maestro d’ascia, che lavora il legno. Un pescatore che cuce le reti e un altro che riempie un barile mettendo sotto sale le sarde fresche (in passato scambiate con aringhe e baccalà che arrivavano da altri paesi). Una delle stanze serve per la produzione del vino, dove una cisterna in
muratura viene riempita con grappoli d’uva pigiati poi a piedi nudi, proprio come i crauti in Polonia. Sopra alla cisterna c’è una corda, a cui aggrapparsi in caso di malessere o vertigini, siccome il profumo del mosto fresco a volte offusca i sensi. Nel cortile, all’ingresso della grotta, due cavalli trebbiano il grano, girando – secondo una tradizione millenaria – sopra le spighe stese per terra. La paglia calpestata viene poi setacciata con uno sbarratozzo. Così, invocando i nomi dei santi locali, si separa il grano dalla pula. Le preghiere, gli incantesimi ed i talismani sono sempre in voga in Sicilia, spesso frutto di antiche influenze musulmane.

Il sito si attiva anche a Natale: nella tradizione italiana una grotta è un presepe ideale. I volontari con costumi d’epoca rievocano scene della Natività, tornano di nuovo gli artigiani: un calzolaio cuce le scarpe a mano, un impagliatore intreccia sedie e le cuoche preparano specialità natalizie. Tra queste, le sfincie cioè le frittelle dolci fatte con patate, il cui nome deriva dalla parola ispong, in arabo: spugna. Tutto questo succede d’inverno, invece d’estate c’è… la calura. Il mare
vicino luccica come un diamante, una volta usciti dall’ombra della grotta, il suo bagliore azzurro dà quasi fastidio agli occhi. Nella quiete, si sentono le instancabili cicale. L’aria calda è densa di aromi e di sale. Per un attimo penso al Commissario Montalbano, un siciliano D.O.C. e il protagonista dei gialli di Andrea Camilleri. Proprio nella Grotta Mangiapane sono state girate le scene de Il ladro di merendine, l’adattamento
televisivo dell’avvincente romanzo noto anche ai lettori polacchi.

I siciliani amano la loro terra. In più, le tradizioni locali ed un forte senso di appartenenza sono elementi importanti della cultura italiana in generale. Il cognome Mangiapane significa “quello che mangia il pane”. Suggestivo nella sua semplicità, sembra appropriato per una famiglia che nei tempi lontani lavorava la terra. All’epoca, l’ecologia e la sostenibilità non erano né politiche né ideologie, ma giusto il pane quotidiano dei contadini, e
proprio per questo motivo è importante coltivare la loro memoria, sapienza e manualità.

Il Castello Reale di Varsavia acquista il dipinto “Madonna con bambino” di Paolo Uccello

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Il 7 settembre 2023 al Castelo Reale di Varsavia si è svolta la conferenza stampa riguardo i progetti dell’istituzione per la seconda metà di quest’anno.

All’evento hanno partecipato, tra l’altro Wojciech Fałkowski, direttore del Castello Reale, i curatori delle mostre Tomasz Mleczek, Przemysław Mrozowski, Monika Przypkowska e il capo del dipartimento dei progetti scientifici e museali Paweł Tyszka. Il prof. Wojciech Fałkowski ha annunciato il nuovo acquisto del Castello Reale ovvero il dipinto di Paolo Uccello, uno dei più illustri rappresentanti del Quattrocento, intitolato “Madonna col Bambino”, databile al 1310 circa. Il direttore ha descritto il dipinto come “uno dei più importanti acquisti del Castello Reale nell’ultimo decennio”. L’opera d’arte farà parte del Gabinetto Italiano e deve rappresentare l’arte italiana del XIV e XV secolo. Sono poi state annunciate le nuove mostre al castello Reale: dal 6 ottobre si potranno ammirare 91 nuovi dipinti dalla storica Galleria di Lviv e ci sarà anche la mostra dedicata all’armamento italiano e tedesco a cavallo tra XVI e XVII secolo. Alla fine di quest’anno è prevista l’esposizione dei lavori di Jerzy Nowosielski, famoso pittore polacco. La mostra comprende circa 100 opere d’arte.

Al Forum di Karpacz si discute di investimenti tra Italia e Polonia

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Ieri si è svolto il secondo giorno del Forum economico a Karpacz, durante il quale sono stati discussi molti temi comuni per la Polonia e l’Italia.

Al panel “Promozione del business nell’Europa Centro-Orientale e opportunità di partnership con l’Italia, focus Polonia”, condotto da Valerio Mancini, Direttore del Centro Ricerche di Rome Business School, hanno partecipato: Laura Ranalli, Vice Ambasciatrice d’Italia a Varsavia, Alessandro Saglio, Direttore Generale di Confindustria Polonia, Aleksandra Leoncewicz, Responsabile dell’Ufficio del Commercio Estero dell’Agenzia Polacca per gli Investimenti e il Commercio a Milano, Maria Luisa Meroni Presidente di Confindustria Est Europa, Nicola Pettenò membro del Consiglio di Gestione di Confindustria Polonia, Salvatore Toma, Presidente di Confindustria Taranto e Emanuele Loperfido, deputato, Presidente del Gruppo Interparlamentare dell’Amicizia Italo-Polacca. I partecipanti hanno sottolineato all’unanimità la continuità storica delle relazioni italo-polacche e il successo della cooperazione economica negli ultimi anni. I rappresentanti di Confindustria Est Europa e Confindustria Polonia e dell’Agenzia Polacca per gli Investimenti e il Commercio a Milano hanno presentato gli strumenti per sostenere le imprese italiane in Polonia e le imprese polacche in Italia, ovvero pubblicazioni, guide ai paesi dell’Europa Centrale e Orientale per le aziende che pianificano investimenti. La vice ambasciatrice Laura Ranalli ha sottolineato l’entusiasmo dei giovani polacchi nell’imparare l’italiano per lavorare nelle imprese italiane.
Il deputato Emanuele Loperfido ha sottolineato l’importanza delle secolari relazioni italo-polacche, tra cui la figura del generale Władysław Anders, che unisce entrambe le nazioni, durante il panel: “In difesa dei valori comuni. Perché la guerra in Ucraina è un punto di svolta per l’Europa?”, i cui partecipanti hanno confermato l’importanza della guerra in corso in Ucraina per la difesa dei valori che uniscono l’Europa da più di mezzo secolo, e che l’Ucraina, che da molti anni lotta contro l’aggressione russa. Un altro aspetto del conflitto è stato dedicato al panel “Alla ricerca di una nuova casa – sulle migrazioni nell’Europa di ogg” condotto da Isabella Corvino, docente dell’Università di Perugia. Il sindaco di Priero (CN), Alessandro Ingaria, ha accusato i paesi dell’Europa Centrale e Orientale di concentrarsi solo sull’ottenimento dei fondi europei dall’UE mentre non si impegnano nel processo di accoglienza dei rifugiati. Inta Mieriņa, direttrice del Centro di ricerca sulle diaspore e le migrazioni dell’Università della Lettonia, ha sostenuto che questi paesi hanno mostrato il pieno impegno nell’accogliere i rifugiati ucraini e questa apertura positiva dovrebbe essere utilizzata per dimostrare che meccanismi simili possono essere utilizzati nel caso di immigrati di diversa origine. Allo stesso tempo, ha notato che la maggior parte degli immigrati recenti in Lettonia sono russi, il che ha costretto all’applicazione di alcune restrizioni. Oltre ad altri panel dedicati all’architettura di sicurezza e alla ricostruzione dell’Ucraina, i partecipanti hanno discusso, tra l’altro, sui nuovi valori del Vecchio Continente (sessione plenaria con la partecipazione, tra gli altri, di Fabio Righi, ministro dell’Industria, della Ricerca, dell’Artigianato e del
Commercio, Ricerca Tecnologica, Semplificazione delle normative della Repubblica di San Marino), le sfide della politica sociale nel 2023, la politica energetica, la sicurezza informatica e la digitalizzazione dei servizi pubblici. Molto spazio è stato dedicato alle questioni relative al governo locale e alla politica sanitaria. Durante la serata di gala sono stati consegnati i premi del Maresciallo del Voivodato della Bassa Slesia, dell’Organizzazione Non Governativa dell’Anno, del Forum Economico dei Giovani Leader, del Premio Polonia del Foro Economico, nonché i premi del Sindaco di Breslavia.