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Appena sfornati

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Maurizio Carucci “Respiro”
Non fatevi ingannare, non pensate che questa sia musica leggera, piacevole e non impegnativa. Sotto la superficie del sole si nasconde un grande dramma. Tutto è iniziato la scorsa estate quando Maurizio ha ammesso di essere stato vicino al suicidio. Il crollo emotivo, la dipendenza dall’alcool ed il vagare nella tristezza sono venuti a scontrarsi con la luce in fondo ad un tunnel buio, grazie alla quale il cantautore ligure non si è arreso. Nel suo debutto “Respiro”, il musicista cerca di rivelare le sue diverse anime, sprofonda nella propria intimità, tocca una gamma di umori, il tutto è ricco di riflessioni e suoni che l’artista ha vissuto negli ultimi anni. La confessione sottile si incontra qui con una nota di danza, a volte con l’accompagnamento del pianoforte, a volte con un accompagnamento elettronico. Nell’album, quindi, troviamo sia la spontaneità, ad esempio nel brano “Planisfero” che celebra la vita, sia il pop nello stile degli anni ’80. Un album con la musica onesta e senza limiti.

Post Nebbia “Entropia Padrepio”
Post Nebbia è un gruppo di Padova nato dalla visione psichedelica di Carlo Corbellini, la cui immaginazione non ha limiti. Nell’ultimo album “Entropia Padrepio” vi invita in una discoteca nella quale non siete mai stati finora. L’album è pieno di composizioni epiche e ricche che brillano di mistero e talvolta anche di ansia. È come affiancare la musica psichedelica degli anni ’60 e ’70 con la scena alternativa moderna, per poi mettere i Beatles accanto ai Black Sabbath e ai Beach Boys o all’LCD Soundsystem. I Post Nebbia sono brillanti nel riprodurre suoni epici che diventano ermetici e fumosi allo stesso tempo. La loro proposta è un album non scontato, che è inutile cercare nelle classifi che. Un disco impegnativo che esplora il conflitto tra il divino e il terreno, tra il celeste e l’umano, tra l’universale e il personale, plasmandosi in una meravigliosa forma sonora.

Bartolini “Bart Forever”
Gli anni ’90 regnano ovunque, ma non da Bartolini. Un rappresentante della giovane generazione, nato a metà degli anni ’90 attinge a manciate dal post-punk e dalla “musica da uomini”. Il suo nuovo album “Bart Forever” è un omaggio all’adolescenza del cantante, durante la quale, negli anni duemila regnava la musica alternativa sotto il segno dei Franz Ferdinand, Vampire Weekend o Beach Fossils. Abbiamo quindi un sacco di melodie anglosassoni che evocano suoni punk di un decennio fa direttamente dal garage di un adolescente ribelle della California o della Gran Bretagna; il tutto arricchito dal suono distorto delle chitarre elettriche, completato da testi difficili da cantare che testimoniano l’enorme progresso nella produzione del talentuoso cantante italiano. L’aggressività si intreccia con la malinconia. Una notte calda con una mattina frizzante. Bartolini tocca i ricordi della vita provinciale in “108”, l’eterna fragilità di fronte alla morte del padre e l’urlo giovanile in “Forever” e infine la morbosa gelosia in “Luci”, dove invita Thru Collected per un duo. Forte!

Tłumaczenie it: Weronika Rosół

Baccalà in crosta di gruyére e chinoa, salsa al cerfoglio, cipollotto ed emulsione di porri

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Ingredienti per 4 persone:

Per il baccalà:
500 g di baccalà dissalato
60 g di gruyére
150 g di quinoa
1l d’acqua
0.5 g di zafferano
1l di olio di semi di girasole
Erbe aromatiche (timo, maggiorana e alloro)
1spicchio d’aglio, sale, pepe, olio

Per la salsa cerfoglio:
60 g di cerfoglio
40 g di prezzemolo
1 scalogno
2 patate rosse
Brodo vegetale o di pollo q. B
Sale

Cipollotto in agrodolce:
800 g di cipollotto
1 scalogno
1 spicchio d’aglio
2 dl di aceto di vino bianco
3 cucchiai di zucchero
40 g di burro
Sape e pepe

Per la fonduta di porri :
200 g di porri
130 g di scalogno tritato
Olio evo q. B
Mezzo spicchio d’aglio
100ml di panna
30g di burro

Procedimento:

Per la salsa al cerfoglio: sbiancare il cerfoglio e il prezzemolo e raffreddare il tutto velocemente in acqua e ghiaccio. In una casseruola stufare lo scalogno tritato, aggiungere le patate precedentemente pelate e tagliate finemente, bagnare con il brodo di pollo o vegetale e portare a cottura. Raffreddare e frullare con il cerfoglio e prezzemolo fino a ottenere una salsa bella morbida. Passare allo chinois e sistemare di sale.

Per il cipollotto in agrodolce: pulite il cipollotto, tagliate a julienne grossolano e mettete in acqua fredda per 30 minuti. Sciogliete il burro in una larga casseruola, unite l’aglio tritato, lo scalogno tagliato a dadini, lo zucchero e mescolate. Dopo 3 minuti unire il cipollotto tagliato, salate pepate e alzate la fiamma, bagnate con l’aceto e lasciatelo evaporare parzialmente. Abbassare la fiamma, coprire con un coperchio e fate cuocere a fuoco lento per circa 15 minuti, bagnando ogni tanto con qualche cucchiaio di acqua calda.

Per la fonduta ai porri: sbucciare lo scalogno e tritare fi nemente, pelare i porri e sciacquare accuratamente sotto l’acqua. Tagliare a julienne. In una casseruola, fate imbiondire lo scalogno tritato con un fi lo d’olio, l’aglio e il burro. Dopo 3 minuti aggiungere il porro e continuare la cottura, aggiungendo un po’ d’acqua, arrivato a metà cottura versare la panna. Continuate la cottura, frullare, passare a chinois e gustare di sale e pepe.

Per la quinoa: portare a ebollizione l’acqua con il sale e lo zafferano, aggiungere la quinoa e cuocerla per 20 minuti. Scolare e stendere delicatamente su una placca ricoperta con carta da forno. Far asciugare a temperatura ambiente. In seguito, friggere e far soffi are in olio caldo (185°).

Per il baccalà: tagliare il trancio di baccalà, precedentemente sfi lettato e spinato. Condire con olio evo. Preparare la crosta: in una ciotola aggiungere il gruyère e la quinoa soffi ata, gustare di sale e pepe. Con l’impasto formare delle palline, e mettete in frigo per un paio di minuti. In una padella medio calda con un pizzico di sale messo sul fondo, scottarlo dalla parte della pelle. Quando sarà croccante e dorato, spostare il trancio su una placchetta, foderata con carta da forno, eliminare la pelle e aiutandosi con le mani stendere delicatamente la farcita di gruyère, e ultimare la cottura, in forno riscaldato a 185° per qualche minuto.

Impiattamento: aiutandosi con un coppapasta, posizionare al centro del piatto, un nido di cipollotti, posizionare sopra il trancio, versare la salsa di cerfoglio a giro, e completare con la fonduta di porri e qualche germoglio.

La ragazza del ”Deserto Rosso”

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Quest’anno il mondo ha detto addio a una delle icone più importanti del cinema italiano. Una specialista dei ruoli complicati, a base psicologica, la musa di Michelangelo Antonioni. Bellezza bionda con un carattere non facile, che usava un linguaggio tagliente. Parliamo della leggendaria Monica Vitti.

Roma negli anni Trenta del secolo scorso diventava sempre più importante. Il fascismo cresceva pericolosamente, e all’inizio del decennio è apparsa la “Dottrina del fascismo” di Mussolini. L’anno 1931 è quello in cui inizia le trasmissioni la Radio Vaticana e Papa Pio XI pubblica l’enciclica Quadragesimo anno, in cui esprime la sua preoccupazione per la sorte delle persone che vivono del lavoro delle proprie mani. In questo anno vengono al mondo l’otto volte campione del mondo e campione olimpico, il ciclista Guido Messina, uno dei più grandi esperti del repertorio di Verdi e Puccini, il direttore d’orchestra Nello Santi e la ragazza del deserto rosso Monica Vitti, in realtà Maria Luisa Ceciarelli.

Michelangelo Antonioni, Monica Vitti
(Mostra del Cinema di Venezia)

La ragazza cresce in una casa dove, ha ammesso dopo anni, veniva ignorata dai suoi genitori (Adele Vittiglia e Angelo Ceciarelli). Suo padre era un ispettore del commercio estero e doveva portare con sé tutta la famiglia, e quindi c’erano trasferimenti continui tra cui Messina in Sicilia. La piccola Maria Luisa soffriva questi trasferimenti e quindi si convinse che la sua infanzia fosse infelice perché cresceva giocando da sola. Nessuno le prestava attenzione, nessuno la lodava né la motivava. Con la madre, che si prendeva sempre cura della casa, ha avuto una relazione tesa, litigava con lei e spesso erano in competizione tra loro. Sentiva di essere trattata ancora peggio dai suoi fratelli maggiori. “Ho avuto genitori molto duri. I miei due fratelli avevano potere e libertà. Ero impotente e sola.” Questo fa fuggire Maria nel suo mondo, un mondo di fantasia, di amici immaginari e giochi in cui poteva sorridere. La carenza di attenzioni e le cattive relazioni con i genitori sono state ritenute il motivo principale per cui non ha mai avuto una propria famiglia e ha iniziato a cercare l’accettazione e l’interesse in persone sconosciute. È facile intuire che queste persone le ha trovate sul palco del teatro dove ha potuto provare, anche se per un momento, la sensazione di essere apprezzata.

Maria ha debuttato in teatro abbastanza presto, a quattordici anni. Fare l’attrice era una forma di evasione. Il nuovo mondo e l’esprimersi attraverso la recitazione furono per lei una salvezza. Nelle interviste, ha detto che la sua solitudine le faceva sentire una scarsa voglia di vivere. L’attrice sopravvisse ad un primo tentativo di suicidio. Recitare le ha dato l’opportunità di fingere di essere qualcun altro e fare ridere la gente. Quando Maria ha diciotto anni la sua famiglia fatica nella realtà del dopoguerra e vive in una crescente povertà, che sta colpendo tutta l’Italia. Ignorando i desideri di Maria la famiglia, con i fratelli, decide di emigrare in America. Maria rimane in Italia dove inizia e completa con successo l’Accademia Nazionale Romana di Arti Drammatiche. Fare l’attrice sta diventando per lei sempre più importante, ma ha anche dei lati negativi. La fantasia diventa un rifugio sempre più comodo. Impara a sfuggire le vere emozioni, si nasconde dietro le varie interpretazioni e tiene lontana la realtà. All’inizio degli anni 50 decide di abbandonare completamente la sua identità. Nel 1953, prende il soprannome di Monica Vitti.

I primi passi di Monica non sono speciali. È semplicemente una giovane attrice quasi anonima e sconosciuta che va in Germania con una troupe italiana e partecipa allo spettacolo “La Mandragola” di Niccolò Machiavelli. Il teatro si combina con partecipazioni in film, l’industria cinematografica le dà spazi meno attraenti, ma porta guadagni migliori. La sua carriera cresce, la televisione si aggiunge al teatro e al cinema. Durante questo periodo recita in una farsa poco ambiziosa di Feydeau, ma grazie a questo ruolo sarà notata da Michelangelo Antonioni, che ha già girato fi lm di successo; tra cui “L’amore in città”, “Le amiche” premiato al festival del cinema di Venezia o “La signora senza camelie” con l’attrice dello stesso anno di Vitti, Lucia Bose.

Monica Vitti, Michelangelo Antonioni
(Mostra del Cinema di Venezia)

La proposta che riceve da Antonioni non è quella sognata. Inizialmente, il regista decide di usare solo la sua voce, per doppiare la giornalista interpretata da Dorian Gray nel film “Il grido”. Vitti accetta ogni proposta e cerca di fare il suo lavoro nel miglior modo possibile. Un giorno, lavorando nello studio del doppiaggio, Monica non si accorge che Antonioni è entrato e sta dietro di lei ad osservarla. Quando finisce il doppiaggio Antonioni le si è avvicina e le dice: “hai un bel collo. Puoi recitare nei film”. Fu una svolta e l’inizio dell’avventura più importante della vita di Monica Vitti, non solo un’avventura cinematografica.

Monica Vitti diventa rapidamente musa e amante del regista. In questo senso, il loro rapporto era simile a quello di Jean-Luc Godard e Anna Karina, le loro controparti in Francia. Nei ricordi dell’attrice, Michelangelo era un intellettuale, estremamente sobrio e coscienzioso. Un uomo affascinato dalle donne e dagli attori sui set dei suoi film, per loro era sempre disponibile quando ne avevano bisogno. La sua origine e la sua educazione differivano notevolmente da quella della Vitti, perché Antonioni aveva avuto un’infanzia felice e per questo è stato in grado di darle ciò che non aveva ricevuto dal padre. Era circa vent’anni più vecchio di lei, è possibile che a spingerla verso di lui sia stata proprio la differenza d’età. Antonioni era un forte supporto per la Vitti e, in qualche modo, ha riempito il posto del padre.

La loro prima collaborazione è durata due anni, ci mette così tanto la produzione de “L’avventura”, film con cui Antonioni vince il Premio della giuria al Festival di Cannes. È una storia di un gruppo di amici che viaggiano verso un’isola, e allo stesso tempo una ragazza scompare in circostanze misteriose. Durante la ricerca, la sua amica e l’amante si avvicinano. Questo è un punto di svolta per entrambe le loro carriere. La proiezione del film è fischiata, ma la mattina dopo la situazione è invertita. Un gruppo di rinomati registi e critici, guidati da Roberto Rossellini, fa una dichiarazione forte: ”Consapevoli dell’eccezionale significato del film “L’avventura” di Antonioni e spaventati dall’ostilità che ha suscitato, i sottoscritti critici e rappresentanti della professione desiderano esprimere la loro ammirazione per il creatore del film”. La confusione che riguarda il primo capolavoro di Antonioni è ampiamente commentata dalle cronache dell’epoca. Per molti, è un lavoro completamente senza compromessi nella narrazione utilizzata, che in verità manca. Tensione minima, ritmo d’azione quasi congelato, paesaggi deserti; sia fisici che emotivi. I suoi eroi sono tristemente chiusi in sé stessi, incapaci di stabilire relazioni, e muoiono di noia piuttosto che vivere la propria vita.

L’anno successivo, in un sondaggio per la rivista cinematografica britannica Sight and Sound, 70 critici di tutto il mondo hanno definito “L’avventura” come il secondo più grande film mai realizzato, subito dopo “Citizen Kane” di Welles. A Berlino, Antonioni presenta “La notte” ricevendo il premio principale, l’Orso d’oro per il miglior film e il Premio della Federazione Internazionale Critica (FIPRESCI). Monica Vitti accompagna sullo schermo icone del cinema come Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau. Il rapporto di Vitti con Antonioni è ampiamente chiacchierato. Monica acquista un appartamento a Roma grazie ai guadagni per il film “L’avventura”. Michelangelo si trasferisce nell’appartamento sopra di lei, con le scale interne che li collegano. Passano tutto il tempo insieme e lavorano sui nuovi film. Nascono nuovi capolavori come “L’eclisse” e “Il deserto rosso”, il primo, premiato con una menzione speciale della giuria a Cannes, in cui la Vitti e Alain Delon sono una coppia alle prese con il passato, il secondo film invece, racconta della malattia mentale incurabile di una casalinga, interpretata eccezionalmente dalla Vitti, vince il Leone d’oro al Festival di Venezia.

Poco dopo la Vitti e Antonioni si separano, fatto che non fu facile da superare per nessuno dei due. Per la Vitti fu un periodo difficile che ebbe anche un impatto sulla sua carriera. Per reagire l’attrice torna alla commedia e al grottesco. Sceglie ruoli leggeri che le permettono di sorridere. Nel corso del tempo le arriva una proposta da Hollywood, poi un’altra ma le rifiuta tutte. Questo non significa che la sua popolarità stia diminuendo, anzi. Sui giornali, confessa che fare ridere la gente le rende grande
piacere. Diventa rapidamente una star e una specialista in questo genere. Monica è la prima donna protagonista in una commedia che fino a quel momento era stata dominata dagli uomini. I suoi due grandi successi sono soprattutto “La ragazza con la pistola” e “L’anatra all’arancia”. In questo periodo la Vitti recita in un altro film importante: “Il fantasma e la libertà” di Louis Buñuel.

Negli anni 80 la Vitti ha recitato in altri film, tra cui l’ultimo con Antonioni, ma non ha avuto molto successo. Il cinema ha avuto sempre meno da offrirle anche perché non era più così giovane. Monica così decise di tornare a teatro sia come attrice che insegnante. Questo è anche il periodo in cui l’attrice comincia a scrivere libri. Per l’ultima volta è apparsa sullo schermo nel 1990 nel film diretto da lei e intitolato “Scandalo segreto”. Il ruolo di protagonista è stato interpretato da Roberto Russo, marito della Vitti dal 1995. Dopo la diagnosi di Alzheimer è uscita dalla vita pubblica.

Monica Vitti è stata sempre coraggiosa nelle sue opinioni. Negli anni 70, ad esempio, ha cercato zdi incoraggiare le ragazze italiane a pensare alle loro passioni, alla soddisfazione della vita privata e professionale invece di sposarsi o mettere su una famiglia. Era una ribelle, a volte anche provocatrice. Evitava la stampa pensando che le interviste fossero stupide perché non riportano la verità e lei non voleva che i giornali pubblicassero frasi che lei non aveva detto. La Vitti non era una persona facile e aveva abitudini che spesso creavano difficoltà sul lavoro. Nei ricordi del famoso fotografo e addetto stampa Enrico Lucherini l’attrice era insopportabile, ribelle: “Era una spina nel fianco. Lei ha fatto il primo Photoshop con la penna: le ho mandato le foto dal set di “La ragazza con la pistola” e poi me le ha mandate tutte segnate con le modifi che. Al contrario, nei ricordi di Claudia Cardinale, la Vitti emerge come un’amica molto intima, con la quale rideva sempre molto e aveva molti argomenti comuni da discutere. Emma Marrone aggiunge che era misteriosa, malinconica e tragica allo stesso tempo.

“Io non sono come nei fi lm di Antonioni, né come mi vedete nelle commedie. Sono completamente diversa. Sono una femminista e, d’altra parte, voglio che gli uomini mi vizino, sono egocentrica ed egoista. Il mio lavoro è una psicodramma, nel senso stretto del termine. Lavoro per spingermi a vivere e a guarire. L’ho capito quando ho saputo che in alcune cliniche psichiatriche, i malati interpretano ruoli diversi come cura” ha dichiarato Vitti in una delle interviste. Gli ultimi anni la Vitti li ha passati lontana dai rifl ettori per nascondere al mondo la sua malattia progressiva. Monica Vitti è stata uno dei volti più importanti del cinema europeo del XX secolo e nella storia del cinema, fu molto di più di una splendida donna.

Tłumaczenie it: Dominika Klimaszewska
Foto: Gianfranco Tagliapietra

Quattro P, showroom e cantina

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“Ogni uomo civilizzato ha due patrie: la prima è la sua , l’altra è l’Italia. Perché solo a pensarci, tutta la cultura, tutta l’arte, tutta la conoscenza, tutto è venuto da lì…”.

Così come Henryk Sienkiewicz fu affascinato dall’Italia quando creò l’epopea “Sulla sponda luminosa”, così molti altri artisti traggono ancora oggi ispirazione da questo splendido Paese. Cultura, arte, moda, paesaggi mozzafiato, cucina deliziosa, caffè e, non per ultimo, vini pregiati. Ed è proprio dei vini che vogliamo parlare oggi. Grazie alla diversità dei climi nelle varie regioni, gli italiani sono famosi per avere la più grande varietà di produzione di vino al mondo. In ognuna delle 20 regioni del Paese si trovano marche di vino eccellenti. La cosa migliore è recarsi direttamente nei vigneti per una degustazione che permetta di conoscere meglio la tradizione e la storia dei singoli vini e produttori. Oggi vogliamo accompagnarvi per un viaggio in un luogo straordinario, che vi farà entrare in un’atmosfera veramente italiana, senza lasciare la Polonia. Mattoni rossi, tavoli di legno, massicci scaffali di metallo che si piegano sotto il peso del vino, prosciutti in stagionatura appesi, musica italiana d’atmosfera in sottofondo e un ulivo di 300 anni all’ingresso. Ecco come si presenta il nuovo showroom ed enoteca Quattro P, situato in via Waflowa 1 a Varsavia: varcando la soglia dell’ingresso si viene trasportati in una affascinante cantina ricca di vini pregiati provenienti da tutte le regioni d’Italia. Tra oltre settecento vini diversi, potrete scegliere il vostro Primitivo, Pinot Grigio o Prosecco preferito, ma scoprirete anche nuovi ceppi meno popolari. Per gli intenditori più navigati, ci sono vini come il Barolo, l’Amarone o il Franciacorta, noto come lo champagne italiano. Lo showroom Quattro P è il luogo ideale per rifornire di vino il vostro ristorante, la vostra pizzeria o il vostro hotel. I negozi di vini e di liquori specializzati troveranno qui gemme provenienti dai vigneti di cui abbiamo la distribuzione in esclusiva. Sorprenderemo anche gli altri importatori e distributori presenti in Polonia con offerte interessanti preparate appositamente per loro. La cantina, di recente apertura, è lo spazio ideale per eventi di degustazione e banchetti enogastronomici, dove un sommelier vi guiderà alla scoperta di questo paese del vino.

Anche Vito Casetti, che è uno degli ideatori di questo locale italiano, vi invita per una degustazione.

Quattro P showroom i winiarnia
ul. Waflowa 1, 02-971 Warszawa
www.quattrop.pl

Polonia paese chiave per Confindustria Est Europa

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Confindustria Est Europa (CEE) è la Federazione che riunisce le 11 Associazioni (site in Albania, Bosnia Erzegovina, Bielorussia, Bulgaria, Macedonia del Nord, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovenia, Ucraina) di imprese italiane presenti nell’Europa centro-orientale.

Maria Luisa Meroni, già Presidente di Confi ndustria Bulgaria e rappresentante di Piccola Industria presso Confindustria Lecco e Sondrio, ha assunto la Presidenza di Confindustria Est Europa a partire da dicembre 2020. Le abbiamo rivolto alcune domande in merito agli obiettivi della Federazione, con un particolare focus sulla situazione in Polonia e ai prossimi sviluppi della realtà confindustriale all’estero.

Quali sono i compiti e gli obiettivi di Confindustria Est Europa?

CEE, che conta oltre 1000 imprese associate alle rappresentanze internazionali del network, mira a rendere, attraverso l’operato quotidiano delle 11 associazioni territoriali, la presenza italiana nell’area est europea più integrata ed efficace, riconoscendo nelle caratteristiche sociali, economiche e culturali dei paesi dell’area un sistema di interdipendenza. CEE si pone come collettore delle esigenze delle aziende italiane che guardano con interesse questa area geografi ca, volendo offrire alle imprese del Sistema Confindustria un approccio nuovo e regionale ad un’area di vicinanza strategica. La Federazione fornisce una serie di servizi quali: favorire il progresso e lo sviluppo delle imprese, stimolando forme di collaborazione; rappresentare, tutelare ed assistere le imprese associate nei rapporti con le Istituzioni; promuovere iniziative per la crescita e lo sviluppo; fornire servizi di informazione, consulenza e assistenza nel contesto economico e imprenditoriale del Paese; garantire un accesso privilegiato al mercato dell’Est Europa. Confindustria Est Europa si propone quindi come garante dell’imprenditorialità italiana all’estero e del processo di internazionalizzazione, anche alla luce dei recenti sconvolgimenti dell’economia mondiale che rendono necessari dei punti di riferimento dal punto di vista dell’esperienza e del peso specifico.

Quali sono le novità della sua presidenza?

Il nostro obiettivo è proseguire il percorso di crescita che Confindustria Est Europa ha intrapreso fin dalla sua nascita. Esattamente come ho illustrato nelle linee programmatiche che ho presentato durante la mia candidatura a Presidente, intendo rafforzare ed accrescere la conoscenza e la visibilità della nostra Federazione nel Sistema Confindustriale nazionale. Intendo, in particolar modo, ampliare la risonanza delle opportunità da noi offerte alle imprese che hanno intenzione di intraprendere un percorso di internazionalizzazione.

Fondamentale è per me intensificare l’integrazione di Confindustria Est Europa nel Sistema Associativo in Italia e dunque un’interazione e una collaborazione sempre più forte con Confindustria Nazionale. Ciò è stato anche dimostrato dalla mia volontà di realizzare la prima Assemblea Generale della Federazione proprio presso la sede di Confindustria, alla presenza del Presidente, Carlo Bonomi.

Un ulteriore obiettivo è quello di rafforzare i rapporti con le istituzioni italiane che si occupano di internazionalizzazione. In questo senso è molto rilevante il lavoro svolto dalle singole territoriali di Confindustria, che intensificano le proprie attività per la realizzazione di un’efficiente Sistema Italia nel Paese di riferimento, nonché instaurando significative relazioni internazionali.

Considerato anche il mio ruolo di rappresentante di Piccola Industria presso Confindustria Lecco e Sondrio, sono convinta che le PMI rappresentino il cuore e la forza del nostro sistema industriale. Centrale si rivela dunque l’impegno delle rappresentanze internazionali di creare per le PMI opportunità, incentivando e supportando gli imprenditori ad avere il coraggio di aprirsi a nuovi mercati e a nuove sfide.

Fondamentale per me è anche attribuire valore alle reti d’impresa, come testimonia l’adesione della Federazione a RetImpresa durante il mio mandato e la collaborazione allo sviluppo della piattaforma Registry di RetImpresa. L’obiettivo è fare in modo che si possa agire trasversalmente con le aziende locali nei vari Paesi, generando sinergie e nuove opportunità.

Non da ultimo, intendo potenziare la comunicazione in misura significativa, così da rendere Confindustria Est Europa un catalizzatore ed un divulgatore di informazioni che siano di utilità alle imprese operanti nell’area, in quest’ottica si colloca la realizzazione del progetto editoriale “Guida Paesi”, che raggruppa in un unico prodotto le principali informazioni sugli 11 Paesi del network, risultato di un grande lavoro di squadra tra le rappresentanze internazionali aderenti a CEE e che attraverso il coinvolgimento degli Ambasciatori italiani nei Paesi, conferma la sinergia tra pubblico e privato e i consolidati rapporti sviluppati nell’ambito del Sistema Italia all’estero.

Qual è lo stato di forma dell’associazione degli imprenditori italiani aderenti a Confindustria Polonia?

L’associazione degli imprenditori italiani in Polonia è nata nel 2020, in un periodo notoriamente infausto. Ciò nonostante, Confindustria Polonia si sta affermando come una realtà rilevante, con un numero crescente di imprese associate e un radicamento
all’interno del territorio polacco a cui seguirà una sempre maggiore efficacia. Il mercato polacco è tra i più importanti in Europa, e una solida associazione come Confindustria Polonia può garantire alle aziende italiane una rappresentanza a livello istituzionale ed economico di alto livello. La Polonia è indubbiamente un Paese con grandi prospettive di crescita e sviluppo.

Quali sono i progetti in cantiere su quest’area d’Europa?

Confindustria Polonia è impegnata nella realizzazione di iniziative che coniughino lo spirito associativo e le esigenze delle aziende associate. I prossimi progetti, anche in collaborazione con le altre istituzioni del Sistema Italia in Polonia, comprendono la partecipazione ai maggiori eventi fieristici del paese, l’organizzazione di webinar ed eventi a carattere informativo, la promozione di scambi commerciali e culturali tra Italia e Polonia. L’associazione è attenta ai maggiori trend economici: sono in cantiere eventi sul futuro della filiera dell’automotive e un forum economico organizzato insieme al Sistema Italia. Tra le iniziative ricorrenti, vorrei sottolineare l’Energy Mixer 2022 (il 21 settembre), l’evento B2B dedicato ai temi dell’industria e dell’energia, e la recente pubblicazione della Guida Paese, giunta alla sua seconda edizione. La Guida Paese, oltre a costituire una fonte di informazioni dettagliate sul mercato polacco, creerà occasioni di incontro tra le imprese simpatizzanti attraverso il prossimo roadshow di presentazione.

Vista la situazione internazionale, come potrebbe cambiare il ruolo politico-economico dei paesi confinanti con l’Ucraina?

I paesi dell’Est Europa sono sicuramente i più colpiti dal conflitto, sia per prossimità geografica che per gli stretti legami commerciali con Ucraina e Russia. Il peso politico e diplomatico degli stati confinanti si è mostrato importante a livello europeo fin dai primi momenti della guerra e gli sforzi di accoglienza dei profughi ucraini sono noti alla comunità internazionale. Il coinvolgimento di questi stati, tra i quali la Polonia, ha avuto un ruolo centrale e sarà quindi un punto di partenza fondamentale per organizzare la ricostruzione dell’Ucraina, che auspico possa attivarsi al più presto. Senza dimenticare l’apporto che il know-how delle imprese italiane che operano in tali mercati può fornire all’interno del processo. Si tratta senza dubbio di un’ulteriore opportunità di crescita per un’area, quella dell’Est Europa, troppo spesso dimenticata ma che costituisce uno dei punti focali dell’attività economica europea.

Archittetura, basilica, portico

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Per centinaia d’anni l’architettura europea (ma non solo) era influenzata dallo stile greco che divenne così popolare grazie alla sua ricezione nel mondo romano. Questo influsso è indiscutibile: lo stile greco era una fonte d’ispirazione fortissima nel Rinascimento e nell’epoca del Classicismo, ma non solo. Anche l’architettura odierna, sebbene completamente diversa, a volte prende l’ispirazione da ciò che ci è rimasto dai classici. Quando si parla dell’architettura greco-romana, è molto probabile che tante persone subito pensino agli ordini architettonici greci, come ad esempio l’ordine dorico. Va detto però che quelle colonne, così ben conosciute dalle pagine dei manuali, non sono certo le uniche cose che ci hanno lasciato i classici.

Architettura

Come sempre è un buon idea cominciare dal termine più generale: l’architettura. Che cosa è? Si può definirla come l’arte di progettare e costruire spazi fruibili ai fini dei bisogni umani. In realtà l’etimologia di questa parola è abbastanza semplice. Sicuramente si può dire che la parola sia in italiano, sia in polacco, è arrivata dal latino. Più probabilmente è anche una parola derivata dal nome della professione architetto (in latino architectus). Architectus è però una parola proveniente dall’antico greco e che è composta da due altre parole: ἀρχή (arché) e τέκτων (tékton). La prima è una parola abbastanza diffusa e che si può trovare in tantissime parole (per esempio arcangelo, arcidiocesi) e che ha il significato della principalità, originalità o superiorità. L’altra parola significa “artigiano” oppure “costruttore”. Insieme creano la parola ἀρχιτέκτων (architékton) che si potrebbe tradurre come “capo costruttore” o “primo artefice” e che indica la persona che organizza la costruzione di qualche struttura. Da questo viene architectura che significa l’abilità di concordare delle capacità materiali con le conoscenze teoriche. 

Basilica 

Conoscendo già l’origine del nome della disciplina, possiamo passare ai termini più particolari. La parola “basilica” adesso fa pensare soprattutto a un grande santuario cristiano, con almeno tre navate (come per esempio la Basilica di San Pietro in Vaticano). Può sembrare sorprendente però il fatto che il nome proprio viene da un edificio completamente diverso. Nel senso di santuario “basilica” ha preso il nome dal latino basilica, che indicava un edificio pubblico che era centro di affari e di amministrazione della giustizia. Questo tipo di edificio è stato adottato nella tarda antichità dai cristiani, che cercavano di costruire santuari capaci di ospitare molte persone, e nei secoli successivi subì varie evoluzioni. Basilica alla sua volta viene dal nome dell’edificio che era l’ispirazione per la costruzione della basilica romana: βασιλικὴ στοά (basiliké stoá), cioè “portico dell’arconte re” in Atene (βασιλικὴ vuol dire regio, principesco). L’edificio è stato molto apprezzato dai romani e poi il suo nome, usato spesso, per ellissi è diventato basilica e in questa forma si è diffuso nel territorio dell’Impero romano. 

Portico

Detto questo va spiegata anche la parola “portico” che sia in polacco, sia in italiano è venuta dal latino. L’etimologia di questa parola è abbastanza semplice: proviene dalla parola latina porticus che a sua volta deriva da porta (che nel latino aveva quasi lo stesso significato che in italiano). Alla parola porta è stato aggiunto il suffisso -icus che porta il significato di derivanza o appartenenza a qualcosa. La parola greca invece, cioè nominata prima “στοά” più probabilmente viene dalla radice *steh₂-, che significherebbe “stare in piedi”. Quindi mentre i greci si concentravano sull’aspetto della stabilità delle colonne, per i romani più importante sembrava la forma che fa venire in mente una struttura fatta dai numerosi ingressi.

L’indiscreto fascino della Milano estiva

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Sono veneziana, ma vivo a Milano da quasi 33 anni. Perché mi piace vivere a Milano? Perché qualsiasi cosa tu voglia fare o mangiare, a Milano c’è. Perché scapperei da Milano domani? Per lo stesso motivo per cui mi piace vivere qui! Diciamo che spesso a Milano, restarsene a casetta diventa impresa ardua, perché questa città offre davvero tanto, a volte sin troppo.

Avete presente quando siete in un posto dove non c’è niente da fare e vi viene voglia di tutto quello che non potete avere?! Ecco, a Milano succede proprio il contrario: si può fare di tutto, e a volte si vorrebbe dimenticarlo e starsene a piedi nudi sul divano, davanti ad un bel film.

“Cavolo, fino al 11 di settembre c’è la mostra del grande fotografo David LaChapelle al Mudec in Via Tortona, quasi quasi ci vado oggi, prima che me lo dimentico e me la perdo!”

Non si può rischiare di perdere la mostra “I believe in miracles” in cui, un ex ragazzino bullizzato scappa dal Connecticut e, arrivato a New York, viene subito notato da un certo Andy Warhol che lo aiuta diventare un grande fotografo e un grande regista pop.

Le 90 opere, e la video installazione in mostra, sono una vera e propria ondata di energia positiva e di fi ducia verso il futuro che ci aspetta.

Non lontano dal Mudec c’è l’“Osteria dei binari” uno dei miei ristoranti preferiti, avvolto in un verde giardino e, attenzione attenzione!, aperto anche ad agosto, quindi perfetto per le calde giornate estive.

Se dovessi fare una lista dei miei ristoranti preferiti a Milano non basterebbero 5 pagine, quindi per questa volta cercherò di limitarmi a quelli aperti anche ad agosto.

A proposito di giardini, se venite a Milano prenotate un pranzetto al “Lu bar”, in Via Palestro, dietro al parco di Porta Venezia. È una vecchia villa, immersa anche questa nel verde, e non vi dico altro per non rovinare la magia di quando ci entrerete per la prima volta.

Eh sì, perché a Milano di posti magici, che forse non ti aspetti di vedere in una grande metropoli, ce ne sono tanti, e tra questi, un posto che amo, è l’idroscalo.

L’idroscalo è a soli 8 km dal centro di Milano, dietro l’aeroporto di Linate, e, per i milanesi, spesso diventa un’ottima alternativa antitraffico per il fine settimana. Bello andare in Liguria, ma se in circa 48 ore di fine settimana, devi rischiare di passarne 6 in macchina, a volte è quasi meglio non partire e rifugiarsi in un laghetto artificiale dove, a differenza di quello che pensano in tanti, l’acqua è pulitissima.

All’idroscalo si può ovviamente camminare, correre e andare sui pattini, ma anche arrampicarsi sui più grandi gonfiabili d’Italia (mooooolto divertenti anche per noi adulti), andare in canoa, fare wakeboard e surfare, ovviamente contro corrente. E se non avete voglia di fare niente? Vi affittate un lettino al Gud Beach e ve ne state al sole, magari leggendo un buon libro (magari preso alla libreria Colibrì, dietro a Duomo).

Non spargete la voce, ma, con 15 euro di tesseramento annuo, si può accedere al “Wakeparadise Milano”, che niente ha da invidiare a certi centri sportivi che si vedono nei film americani, attori compresi (diciamo che sul molo, tra surfisti e “wakeboardisti”, i bei fisici non mancano).

Da brava veneziana a me, per essere felice, l’acqua basta vederla, quindi, anche se lì sarebbe meglio non tuffarsi, un altro posto che amo molto a Milano sono i navigli, dove ogni ultima domenica del mese fanno un bellissimo mercatino dell’antiquariato.

I navigli sono pieni di negozietti carini, di bar, di ristorantini di tutti i tipi e per tutte le tasche e, soprattutto, c’è sempre vita, anche ad agosto, quando alcune zone della città si svuotano.

Che poi, diciamocelo, ma Milano, in estate, secondo me diventa quasi più bella.

Alla fine degli anni ’90, quando lavoravo come PR per una delle due squadre di calcio di Milano, a metà agosto dovevo organizzare l’accoglienza e la cena di gala per il trofeo Berlusconi, ossia per la partita Milan-Juventus (così avete capito per quale squadra lavoravo) quindi ero costretta a rientrare a Milano dalle vacanze entro e non oltre il 10 di agosto. Ci ho messo poco a capire quanto Milano fosse più bella ad agosto: tantissimi posti aperti, zero traffi co e zero code.

Chi abita a Milano ha le sue abitudini, come in tutte le città: c’è chi da una vita ama fare colazione con cappuccio e brioche al solito bar, magari da Marchesi in Galleria Vittorio Emanuele, da Martesana in Via Giovanni Cagliero, da Biancolatte in Via Turati, al Sant’Ambroes in Corso Matteotti, in uno dei 5 panifi ci di Davide Longoni, o chi, come me, ama cambiare e provare posti “nuovi”, come la ormai non più nuova Sissi in Piazza Risorgimento, non lontano dal Pandeus, altro posto molto frequentato dalla prima colazione fino a tarda sera, il Pavè in Via della Commenda , o da Gelsomina, dove non puoi non assaggiare, e fi nire, il loro mitico maritozzo con la panna.

Arrivi a Milano con i fi gli!? Nessun problema, perché anche con i ragazzi ci sono un sacco di cose divertenti e interessanti da fare. Iniziate portandoli in alto sulle guglie del Duomo e fate loro vedere Milano dall’alto.

E se fa troppo caldo? Tutti ai bagni misteriosi in Via Carlo Botta: ai grandi una birretta fresca al Gud, bordo piscina, e ai ragazzi costume da bagno e crema protettiva.

Se poi al wakeparadise dell’idroscalo preferite qualcosa di più “culturale”, che vada bene per tutta la famiglia, vi mettete in macchina, in un’oretta e mezza arrivate a Stresa e vi fate un bel giro nelle splendide isole Borromee.

A settembre la città si riaccende, i milanesi tornano dalle vacanze e riparte il can can degli aperitivi, dove rivedersi e sfoggiare la tanto ambita abbronzatura.

Dove ci vediamo? Vediamoci al Radetzky, all’Ombra de Vin, al Pandeus, al Bobino…

Mi ero segnata un sacco di posti da suggerivi, di cose da fare, ma ho di nuovo finito lo spazio, perdindirindina, uffa!

A questo punto vi resta solo una cosa da fare: la valigia!
Milano vi aspetta!

Alfa Romeo Montreal – Bella figura

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Il “Fare bella figura”, cioè “fare una buona impressione”, se vogliamo realizzarlo in stile italiano, si raggiunge cominciando con un’acconciatura disinvolta ma perfetta, occhiali eleganti, selezione di colori e taglio di vestiti, per finire con calzatura adatta all’occasione. Anche il modo in cui le maniche della camicia vengono arrotolate in una giornata calda e l’esposizione di un orologio sofisticato o di un braccialetto, sono importanti.

Per alcuni mesi dell’anno, quasi tutti i paesi del mondo cercano di presentarsi alle altre nazioni dal lato migliore, in questo modo “italiano”. Si tratta ovviamente dell’esposizione mondiale EXPO, evento inaugurato dalla Great Exhibition di Londra nel 1851, che quasi ogni anno richiama milioni di visitatori, ma a causa degli orrendi costi di investimento, non porta mai profitto economico. Questo è stato il caso della mostra del 1974 [5,6 milioni di visitatori] nell’americana Spokane, famosa soprattutto per il fatto che per la prima volta nella storia, il 19 giugno 1910, si celebrava la festa del papà. Questo non cambia il fatto che Spokane è la città più piccola tra quelle che hanno organizzato questo evento fino ad oggi. Non è stato diverso nella più grande di queste città, Shanghai nel 2010, nonostante il numero record di visitatori [73 milioni]. L’edificio più famoso associato all’EXPO è, ovviamente, la Torre Eiffel del 1889, l’Atomium di Bruxelles del 1958 o l’EUR romano, anche se la mostra del 1942 non ha avuto luogo.

Tra questi lasciti c’è l’Alfa Romeo Montreal, i cui due prototipi bianchi sono stati mostrati dagli italiani nel padiglione “Man the Producer” all’EXPO 67, a Montreal. Le Alfa sono arrivate in Canada all’ultimo momento e sono state esposte tra due lastre di enormi specchi, che ripetevano il loro riflesso all’infinito. Nove mesi prima [quasi come in natura!] prima dell’EXPO canadese, il management dell’Alfa Romeo era rimasto sorpreso dalla proposta di presentare, quale unica casa automobilistica al mondo invitata, un’auto raffinata e originale, destinata però all’uso quotidiano. La sfida è stata affrontata, ma per mancanza di tempo i milanesi non potevano costruire tutto da zero, così decisero di utilizzare il telaio della Giulia Sprint GT e tutta la meccanica della Giulia 1600 TI, mentre lo studio Bertone fu incaricato di realizzare la carrozzeria. Questo era abbastanza interessante perché l’allora presidente dell’Alfa Giuseppe Luraghi era critico nei confronti della Lamborghini Marzal, che avevano mostrato qualche settimana prima alla fiera di Ginevra. Bertone si affidò a Marcello Gandini, che aveva già in portafoglio una splendida Lamborghini Miura e aveva saputo come mostrare al mondo l’unicità dello stile italiano. Con questo progetto ha confermato tutto il suo genio, l’artigianalità e il senso del bello, che si sono concretizzati in modelli successivi realizzati nel suo album per schizzi, di cui abbiamo già scritto su Gazzetta Italia: Lamborghini Miura e Diablo, Lancia Stratos, nonché la Fiat X1 / 9.

C’era così poco tempo che i prototipi presentati non avevano nemmeno un nome, ma dopo la gioia dei visitatori, e quindi la scelta di iniziare la produzione in serie, nonostante la tradizionale nomenclatura “numerica” dell’Alfa Romeo, il management dell’azienda ha deciso di rendere omaggio alla città in cui questo modello ha rubato il cuore di tanti, ecco perché il monogramma MONTREAL cromato è stato posizionato sul… coperchio del posacenere.

Tuttavia, avrebbe potuto essere peggio con il nome, molto peggio. Il 5 maggio 1960 a Parigi, Mosca è stata scelta come organizzatrice dell’EXPO 67, perché i russi erano molto determinati a mostrare le conquiste dell’Unione Sovietica nel 50° anniversario della rivoluzione bolscevica. Fortunatamente, a causa della mancanza di fondi, gran parte dei quali probabilmente assorbiti dal blocco di Berlino Ovest e dalla costruzione del famigerato muro, il Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica alla fine del 1961 ritirò l’URSS dall’organizzazione EXPO, altrimenti oggi avremmo, orrore degli orrori, Alfa Romeo МОСКВА!

Tre anni dopo la presentazione canadese nella fabbrica di Arese e negli stabilimenti di Bertone a Caselle Torinese e Grugliasco iniziò la produzione in serie del modello Montreal, ma questa era un’auto completamente diversa.

L’interno è stato ridisegnato completamente, sono state aggiunte le feritoie pneumatiche per le luci frontali, è stato modificato anche il tipo dei cerchi e soprattutto il motore V8 che – derivato dal modello sportivo Tipo 33 e la cui potenza è stata ridotta da 270 a 200 CV – è stato posizionato sotto il cofano. Tuttavia, senza modificare le dimensioni dell’auto è stato necessario montare questo enorme motore sotto un cofano convesso, nascondendolo sotto una falsa, e quindi chiusa, presa d’aria NACA. Bertone protestò personalmente per questi cambiamenti, ma alla fine il suo badge rimase a Montreal, e oggi possiamo ammirare l’auto in vernice verde nella Collezione Bertone in zona “Volandia”, proprio accanto all’aeroporto di Malpensa. Purtroppo, per mancanza di spazio, le vetture lì presentate, spesso anche uniche come l’Alfa Romeo Bella del 1999, sono messe troppo strette, come nel caso della Montreal, visibili solo frontalmente. Al Museo storico dell’Alfa Romeo di Arese la Montreal si può vedere [in arancione] in tutto il suo splendore, e si possono ammirare anche i famosi V8 dell’Alfa Romeo. Purtroppo al momento non ci sono prototipi dell’Expo canadese in mostra, entrambi sono nascosti nei vasti magazzini del museo, forse da qualche parte accanto agli elettrodomestici, che Alfa Romeo un tempo produceva.

Per massimizzare il potenziale del motore da rally Autodelta, la squadra sportiva Alfa Romeo ha cercato di apportare molte modifiche affinché Montreal potesse apparire anche nel motorsport. Sfortunatamente, l’auto era troppo pesante e troppo lenta in curva, quindi rimase una Gran Turismo. Lo dimostrarono in grande stile due giornalisti della rivista Quattroruote nel 1972, che percorsero in solo 20 ore il percorso a traffico aperto da Reggio Calabria a Lubecca sul Mar Baltico (2574 km)!

Montreal, nonostante sia stata posizionata nel segmento delle auto meno prestigiose con optional full equipment, ovvero con aria condizionata, vernice metallizzata e alzacristalli elettrici, era più costoso della Jaguar Type E, della Ferrari Dino o della Porsche 911S.

Tuttavia, non i prezzi e le vecchie soluzioni tecniche portarono la fine della produzione di questo modello. Come per molte grandi Gran Turismo, questo è stato causato dalla crisi petrolifera globale. C’è da aggiungere che anche i sindacati, che in quegli anni erano in costante conflitto con la dirigenza Alfa Romeo, fecero la loro parte. Cosa sia successo lo si può vedere confrontando i volumi di produzione. Nel 1972, cioè un anno prima della crisi, dal nastro uscivano dalla fabbrica 2.377 vetture, mentre nel 1973, quando OPEC impose le sanzioni sul petrolio, ne uscirono dalla fabbrica solo 302. Negli anni successivi, fino al 1977, quando la produzione finì, solo 578 di queste GT entrarono nel mercato. Per un’altra vettura stradale, equipaggiata con un motore V8, Alfa Romeo ci ha fatto aspettare fino al 2007, quando iniziò la produzione del modello 8C, limitato a 500 esemplari.

Montreal rimane una delle vetture più emblematiche nella storia dell’Alfa Romeo. Inoltre, considerando quanto importante e prestigiosa era la missione che doveva compiere, la mia collezione dovrebbe includere il modello AutoArt, dove tutto è aperto, comprese le tendine mobili dei fari, e il tutto è completato da favolosi dettagli. Purtroppo ho pensato a lungo alla scelta del colore [probabilmente vi sorprenderò, oggi sceglierei il marrone AR 825], finché tutte le copie sono semplicemente scomparse dal mercato. Perché i loro prezzi su ebay a questo punto partono da 2,5k. pln, devo accontentarmi della versione chiusa di KK-Scale che è presentata qui. Non è male e sono felice di vederla, ma AutoArt è dentro la mia testa come un ago da agopuntura.

Anni di produzione: 1970-1977
Esemplari prodotti: 3925 pezzi [+ 2 prototipi 1967] Motore: V-8 90°
Cilindrata: 2593 cm3
Potenza/RPM: 200 KM / 6500
Velocità massima: 220 km/h
Accelerazione: 7,1 s
Numero di cambi: 5
Peso: 1270 kg
Lunghezza: 4220 mm
Larghezza: 1672 mm
Altezza: 1205 mm
Interasse: 2350 mm

Tekst i foto: Piotr Bieniek
Tłumaczenie it: Alicja Wierzbicka

L’immaginario sensuale di M.B. Morgan

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M.B. Morgan è un’autrice polacca che vive in una piccola città vicino a Cracovia. Per formazione: politologa, giornalista, sommelier. Per passione: scrittrice di romanzi, blogger, traduttrice e viaggiatrice. Ha lavorato nel settore finanziario per diversi anni, ma ora ha deciso di concentrarsi sulle sue passioni, realizzandosi, tra l’altro, come scrittrice. Durante i suoi viaggi, ritorna spesso in Italia, paese in cui ha trascorso oltre due anni della sua vita, assorbendo con tutti i sensi la cultura locale della “dolce vita”. Una cultura che rimane invariabilmente una delle sue più importanti ispirazioni per la scrittura.

L’anno scorso hai esordito con il romanzo “Celebrità”.

Si. Dico spesso che “Celebrità” è, in un certo senso, il “figlio della pandemia”. Poco prima che scoppiasse, ero abbastanza impegnata con diverse collaborazioni legate alla professione di sommelier. Stavo anche pensando di avviare un’attività, di organizzare dei viaggi enogastronomici in Toscana e Piemonte. Sfortunatamente, la situazione che abbiamo dovuto affrontare tutti quanti ha messo in discussione i miei piani abbastanza rapidamente. Da questa frustrazione assieme alla nostalgia per l’Italia e per lo stile di vita italiano, è nato “Celebrità”, un romanzo leggero e piacevole con un forte accenno al viaggio, alla cucina e al vino, le cose che amo di più. A quel tempo, non pensavo affatto che sarebbe stato possibile pubblicare questo
libro, e se qualcuno mi avesse detto che un anno dopo avrei atteso altre tre anteprime, mi sarei messa a ridere.

Come mai questo interesse per l’Italia?
Sono stata in Italia per la prima volta nel 2009. Era il penultimo anno dei miei studi e mi sono innamorata subito di tutto ciò che intendiamo con l’espressione “italianità”. Tornata in Polonia, ho iniziato subito ad imparare la lingua, ascoltavo la radio italiana
senza sosta, e ogni volta che avevo tempo e soldi li spendevo subito per viaggi anche brevi in Italia. Tuttavia, questo non mi bastava, così finalmente nel 2011 ho deciso di andare in Italia per un periodo più lungo. Ho lavorato come ragazza alla pari per il primo anno, vivendo con una stupenda famiglia italiana nella pittoresca Genova. Sono stata molto fortunata perché non solo ho incontrato delle persone meravigliose, ma anche perché il loro appartamento si trovava proprio sulla spiaggia di Boccadasse. Inutile dire che una camera con vista sul mare era il mio sogno diventato realtà.

Cosa ti ha affascinato di più del Bel Paese?
Le persone. Il loro atteggiamento verso la vita, la loro sincerità e la loro capacità di godere delle piccole cose. In Italia ho imparato l’importanza della nostra vita quotidiana, non solo il conto alla rovescia per il fi ne settimana o le vacanze. Gli italiani, come nessun altro, riescono a deliziarsi di un tramonto apparentemente ordinario o di un bicchiere di vino bevuto in compagnia di amici. Ed è proprio questa atmosfera che volevo catturare in “Celebrità”.

Quindi è da qui che il vino entra nella tua vita? La professione di sommelier non è molto popolare in Polonia?

Purtroppo no, ma anche questo sta cambiando di anno in anno. Il vino è entrato nella mia vita in modo del tutto naturale. Il mio compagno di allora era piemontese, e lì il vino è, più o meno, affare di tutti. In breve tempo sono riuscita a stabilire contatti con aziende vinicole interessate a un “supporto” in termini di marketing e di aiuto per entrare nel mercato polacco. È stato da loro che ho imparato le basi della produzione, della degustazione, dopodiché il vino è diventato una mia passione. Dopo essere tornata in Polonia, ho iniziato a frequentare i corsi per sommelier, raggiungendo il livello WSET3. Ho anche avviato un blog e ho iniziato a scrivere i racconti dei miei viaggi enologici.

Il tuo secondo libro non è così idilliaco e facile da leggere come “Celebrità”, perché?

Sì, è vero. “Insegnami ad amare” è anche una storia d’amore, ma un po’ “più profonda”, che fa riflettere. In esso ho mostrato un volto completamente diverso dell’Italia, che potrebbe sorprendere chi conosce questo Paese solo superficialmente. Dopotutto, le cose non sono sempre serene in Italia, e come persona che ha lavorato lì per un po’ con l’etichetta di straniera e che si è anche circondata in gran parte di altri immigrati, penso di poter dire qualcosa al riguardo. Naturalmente, non voglio etichettare nessuno. Gli italiani sono persone meravigliose, ma, come in ogni paese, si possono trovare anche persone un po’ meno “simpatiche”, come il padre della mia protagonista. In ogni caso, l’Italia mi è servita più che altro come sfondo, per mostrare come il razzismo, ad esempio, sia ancora un grosso problema al giorno d’oggi.

L’accostamento tra una celebrità compiacente e un immigrato che ha attraversato un vero e proprio inferno per raggiungere l’Italia è stato piuttosto audace.

Fin dall’inizio ho pensato di basare questa storia sui contrasti, che sono numerosi. Naturalmente ero preoccupata del fatto che affrontare temi difficili come il razzismo o l’emigrazione clandestina in un libro che è, per così dire, una storia d’amore potesse non essere ben accolto, ma guardando le recensioni posso dire a cuor sereno che è stata una buona decisione. Soprattutto ora che questi temi sono così attuali anche nel nostro Paese.

L’azione del prossimo romanzo sarà ambientata in Italia?

Nel terzo libro ho “tradito” per un attimo l’Italia a favore della Grecia, ma posso già annunciare che la prossima uscita porterà i miei lettori ancora una volta nella penisola appenninica. E questa volta sarà finalmente la mia amatissima Liguria. Non vedo l’ora!

Dieta chetogenica: no al fai da te!

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Di dieta chetogenica negli ultimi anni se ne è scritto e parlato molto. In parte anche perché i personaggi famosi che scelgono questo regime alimentare per rinnovare, talvolta trasformare, la propria immagine, sono sempre di più. I risultati sembrano essere miracolosi, tanto che si è creata una vera e propria moda. La parola “keto” è ovunque: dai blog ai libri di cucina, fino ai menù dei locali più di tendenza. Sempre associata all’idea di salute e bellezza.

Il più delle volte viene proposta come una dieta povera di carboidrati e ricca di grassi, facile da seguire e dal risultato assicurato. Ma è veramente così? Si può davvero dimagrire mangiando avocado, uova e pancetta? Piacerebbe a tutti ma la risposta è: no, purtroppo non è così semplice. Come al solito la verità sta nel mezzo.

Spieghiamo innanzitutto cosa si intende per chetosi. L’organismo normalmente produce energia dai carboidrati (comunemente chiamati zuccheri) se ne ha a disposizione. In mancanza di questi, deve trovare un’alternativa per portare avanti le funzioni vitali, e comincia a consumare le riserve di grasso. Come residuo metabolico della produzione energetica vengono prodotti i corpi chetonici (da cui il nome alla dieta), un antico meccanismo di difesa che l’organismo ha creato per sopravvivere ai periodi di digiuno.

La dieta chetogenica è quindi un regime alimentare che prevede una drastica riduzione dei carboidrati. Lo scopo principale è costringere l’organismo a utilizzare i grassi come fonte di energia.

Non esiste un unico tipo di dieta chetogenica, e in generale con questo termine si intendono tutti gli stili alimentari che forniscono una quantità di calorie, e talvolta di proteine, inferiore al necessario. Fra queste anche la dieta LCHF, cioè Low Carb High Fat, basso contenuto di carboidrati e grassi elevati.

Questo tipo di dieta è indicata per numerose patologie della sfera femminile (fra cui endometriosi, fibromialgia, menopausa), malattie articolari, cardiovascolari, metaboliche, alcune forme di epilessia, oltre a sovrappeso e obesità.

Il problema è che se priviamo l’organismo della sua fonte energetica preferita, cioè i carboidrati, ma introduciamo allo stesso tempo grandi quantità di grassi, il meccanismo della chetosi viene ugualmente innescato ma il corpo per funzionare non avrà bisogno di attingere alle proprie riserve di adipe. Ecco perché, quando lo scopo è la perdita di peso, è necessario mettere in atto anche una forte restrizione calorica.

In questo caso si parla di dieta VLCKD, ossia Very Low Calorie Ketogenic Diet: dieta chetogenica a bassissimo contenuto calorico. Il che si traduce con un’alimentazione normoproteica ma con consumo di carboidrati e grassi ridotto al minimo indispensabile. Questa dieta agisce in modo mirato sulla riduzione della massa grassa del soggetto, preservando la massa magra.

Gli alimenti permessi e consigliati sono tutti i tipi di carne magra, pesce, uova, le verdure non amidacee (ad esempio zucchine, spinaci, cetrioli, bietole e verdure a foglia), e grassi da condimento in quantità limitata. Banditi invece tutti i cereali e derivati (riso, pasta, farine), i legumi, la frutta, oltre ovviamente a tutti i dolci e gli alcolici. La quantità massima di carboidrati da inserire nella dieta deve essere accuratamente calcolata sulla base delle esigenze del singolo individuo.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di questo regime alimentare? Se nei primi giorni possono essere presenti alcuni sintomi come mal di testa, stanchezza, nausea, una volta attivata la chetosi riduce notevolmente il senso di fame. D’altro canto quasi tutti i cibi che mangiamo abitualmente sono composti per buona parte da carboidrati, e questa dieta non consente eccezioni: una minima quantità degli alimenti vietati farebbe arrestare il processo di dimagrimento. La perdita di peso è molto più rapida rispetto ad altri tipi di diete, ma la chetosi può essere mantenuta solo per un periodo limitato di tempo, in genere dalle 4 alle 12 settimane, poiché nel lungo termine può avere conseguenze negative per l’organismo. In altre parole, la dieta chetogenica non è ritenuta adatta a diventare un modello alimentare da mantenere nel tempo, ma solo uno degli strumenti a nostra disposizione per perdere peso.

Se ne deduce che come tutte le diete, anche (o per meglio dire soprattutto) la dieta chetogenica non è assolutamente indicata al fai-da-te. È indispensabile essere seguiti da uno specialista che sarà in grado di valutare in dettaglio le necessità personali, oltrenche indicazioni e controindicazioni che questo tipo di approccio alimentare comporta.

Qualsiasi tipo di dieta deve essere sempre accompagnata da un percorso educativo rivolto alla corretta alimentazione. Che non significa mangiare triste, anzi! Al contrario, significa essere aiutati nella scoperta di nuove abitudini e nuovi gusti, che possono e devono essere buoni, soddisfare le aspettative, ma anche sani, adatti ad essere portati avanti nel tempo per mantenere i risultati raggiunti.

In Italia gli unici professionisti che possono offrire questo tipo di prestazione sono il Medico Dietologo e il Biologo Nutrizionista, a cui si aggiunge la figura del Dietista, che elabora le diete prescritte dal medico e collabora al trattamento multidisciplinare dei disturbi del comportamento alimentare. Tre figure professionali che si completano a vicenda.

E prima di terminare, un consiglio: fuori dei percorsi prescritti dai professionisti, quello che viene spacciato per “keto” non è sempre sinonimo di salutare. Fra un estratto di frutta e una bevanda industriale senza calorie ma con edulcoranti e coloranti, scegliete sempre gli zuccheri e i prodotti naturali.

Domande o curiosità inerenti l’alimentazione?
Scrivete a info@tizianacremesini.it e cercherò di rispondere attraverso questa rubrica!