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Dieta chetogenica: no al fai da te!

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Di dieta chetogenica negli ultimi anni se ne è scritto e parlato molto. In parte anche perché i personaggi famosi che scelgono questo regime alimentare per rinnovare, talvolta trasformare, la propria immagine, sono sempre di più. I risultati sembrano essere miracolosi, tanto che si è creata una vera e propria moda. La parola “keto” è ovunque: dai blog ai libri di cucina, fino ai menù dei locali più di tendenza. Sempre associata all’idea di salute e bellezza.

Il più delle volte viene proposta come una dieta povera di carboidrati e ricca di grassi, facile da seguire e dal risultato assicurato. Ma è veramente così? Si può davvero dimagrire mangiando avocado, uova e pancetta? Piacerebbe a tutti ma la risposta è: no, purtroppo non è così semplice. Come al solito la verità sta nel mezzo.

Spieghiamo innanzitutto cosa si intende per chetosi. L’organismo normalmente produce energia dai carboidrati (comunemente chiamati zuccheri) se ne ha a disposizione. In mancanza di questi, deve trovare un’alternativa per portare avanti le funzioni vitali, e comincia a consumare le riserve di grasso. Come residuo metabolico della produzione energetica vengono prodotti i corpi chetonici (da cui il nome alla dieta), un antico meccanismo di difesa che l’organismo ha creato per sopravvivere ai periodi di digiuno.

La dieta chetogenica è quindi un regime alimentare che prevede una drastica riduzione dei carboidrati. Lo scopo principale è costringere l’organismo a utilizzare i grassi come fonte di energia.

Non esiste un unico tipo di dieta chetogenica, e in generale con questo termine si intendono tutti gli stili alimentari che forniscono una quantità di calorie, e talvolta di proteine, inferiore al necessario. Fra queste anche la dieta LCHF, cioè Low Carb High Fat, basso contenuto di carboidrati e grassi elevati.

Questo tipo di dieta è indicata per numerose patologie della sfera femminile (fra cui endometriosi, fibromialgia, menopausa), malattie articolari, cardiovascolari, metaboliche, alcune forme di epilessia, oltre a sovrappeso e obesità.

Il problema è che se priviamo l’organismo della sua fonte energetica preferita, cioè i carboidrati, ma introduciamo allo stesso tempo grandi quantità di grassi, il meccanismo della chetosi viene ugualmente innescato ma il corpo per funzionare non avrà bisogno di attingere alle proprie riserve di adipe. Ecco perché, quando lo scopo è la perdita di peso, è necessario mettere in atto anche una forte restrizione calorica.

In questo caso si parla di dieta VLCKD, ossia Very Low Calorie Ketogenic Diet: dieta chetogenica a bassissimo contenuto calorico. Il che si traduce con un’alimentazione normoproteica ma con consumo di carboidrati e grassi ridotto al minimo indispensabile. Questa dieta agisce in modo mirato sulla riduzione della massa grassa del soggetto, preservando la massa magra.

Gli alimenti permessi e consigliati sono tutti i tipi di carne magra, pesce, uova, le verdure non amidacee (ad esempio zucchine, spinaci, cetrioli, bietole e verdure a foglia), e grassi da condimento in quantità limitata. Banditi invece tutti i cereali e derivati (riso, pasta, farine), i legumi, la frutta, oltre ovviamente a tutti i dolci e gli alcolici. La quantità massima di carboidrati da inserire nella dieta deve essere accuratamente calcolata sulla base delle esigenze del singolo individuo.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di questo regime alimentare? Se nei primi giorni possono essere presenti alcuni sintomi come mal di testa, stanchezza, nausea, una volta attivata la chetosi riduce notevolmente il senso di fame. D’altro canto quasi tutti i cibi che mangiamo abitualmente sono composti per buona parte da carboidrati, e questa dieta non consente eccezioni: una minima quantità degli alimenti vietati farebbe arrestare il processo di dimagrimento. La perdita di peso è molto più rapida rispetto ad altri tipi di diete, ma la chetosi può essere mantenuta solo per un periodo limitato di tempo, in genere dalle 4 alle 12 settimane, poiché nel lungo termine può avere conseguenze negative per l’organismo. In altre parole, la dieta chetogenica non è ritenuta adatta a diventare un modello alimentare da mantenere nel tempo, ma solo uno degli strumenti a nostra disposizione per perdere peso.

Se ne deduce che come tutte le diete, anche (o per meglio dire soprattutto) la dieta chetogenica non è assolutamente indicata al fai-da-te. È indispensabile essere seguiti da uno specialista che sarà in grado di valutare in dettaglio le necessità personali, oltrenche indicazioni e controindicazioni che questo tipo di approccio alimentare comporta.

Qualsiasi tipo di dieta deve essere sempre accompagnata da un percorso educativo rivolto alla corretta alimentazione. Che non significa mangiare triste, anzi! Al contrario, significa essere aiutati nella scoperta di nuove abitudini e nuovi gusti, che possono e devono essere buoni, soddisfare le aspettative, ma anche sani, adatti ad essere portati avanti nel tempo per mantenere i risultati raggiunti.

In Italia gli unici professionisti che possono offrire questo tipo di prestazione sono il Medico Dietologo e il Biologo Nutrizionista, a cui si aggiunge la figura del Dietista, che elabora le diete prescritte dal medico e collabora al trattamento multidisciplinare dei disturbi del comportamento alimentare. Tre figure professionali che si completano a vicenda.

E prima di terminare, un consiglio: fuori dei percorsi prescritti dai professionisti, quello che viene spacciato per “keto” non è sempre sinonimo di salutare. Fra un estratto di frutta e una bevanda industriale senza calorie ma con edulcoranti e coloranti, scegliete sempre gli zuccheri e i prodotti naturali.

Domande o curiosità inerenti l’alimentazione?
Scrivete a info@tizianacremesini.it e cercherò di rispondere attraverso questa rubrica!

“Cagliari… and suddenly”

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La mostra “Cagliari… and suddenly” (“E improvvisamente… ecco Cagliari”) prende spunto dalla citazione dello scrittore britannico D.H. Lawrence il quale, nel suo libro “Mare e Sardegna”, definisce Cagliari una città “di pietra”, unica e sorprendente.

Torre dell’Elefante – Foto Giorgio Marturana

Prodotta da Orientare Srl e finanziata dalla Regione Autonoma della Sardegna nell’ambito del progetto Tour-Kal (Bando IdentityLAB_2 – Anno 2018 – POR Sardegna F.E.S.R. 2014/2020) si propone di promuovere il patrimonio storico-artistico della Città di Cagliari nell’ambito del turismo culturale che contempla anche il piacere di immergersi nello stile di vita locale e in tutto ciò che ne costituisce l’identità e il carattere.

Attraverso un fitto corredo fotografico, testi esplicativi in quattro lingue e video, l’esposizione intende raccontare la città da diverse angolazioni, valorizzando le bellezze artistiche e architettoniche di differenti epoche. Partendo dalla struttura storica dei quattro quartieri, il percorso si snoda per nuclei tematici che conducono il visitatore alla scoperta dei Beni Culturali e dei Musei che appartengono alla Municipalità, come l’Anfiteatro romano e la Passeggiata Coperta o la Galleria Comunale d’Arte.

Orto Botanico HBK – Foto Giorgio Marturana

Completano la descrizione della Città le bellezze naturali, lo sport, il cibo e le tradizioni culturali secolari che contribuiscono a rendere Cagliari una città unica, dove la qualità della vita è tra le più alte d’Italia.

Una mostra contenuta, ma completa, pensata per accendere curiosità e piacere per la scoperta di un capoluogo affacciato sul mare che non smette di sorprendere e di scoprirsi sempre più attrazione turistica, non solo nei mesi estivi e porta ideale di tutto il territorio sardo.

Festa di S. Efisio – Particolare abito tradizionale femminile “Sa panettera” – Foto Carlo Marras

Parte integrante della mostra è il cortometraggio “The past is never dead” appositamente realizzato per presentare in chiave storico-artistica alcune bellezze culturali della città. Il cortometraggio, lo scorso giugno, ha vinto il primo premio ai Mediastars di Milano, gli oscar della pubblicità italiana, come miglior Film nella categoria socio-culturale della sezione Tecnica Audiovisiva. Al primo premio si è aggiunto anche il premio speciale per la Direzione Creativa e per la Regia, a cura di Mario Giua Marassi.

La mostra “Cagliari… and suddenly” oraganizzata in Polonia in collaborazione con l’Associazione Shardana (FB: @ShardanaPL) sarà visitabile a partire da martedì 25 Ottobre 2022 presso l’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia (Grodzka 49, 31-001 Krakow) e da lunedì 7 Novembre 2022 presso lo spazio espositivo del centro Hala Koszyki (63 Koszykowa Street, Warsaw).

Castello di San Michele – Foto Giorgio Marturana
Veduta della città di Cagliari – Foto Giorgio Marturana
Bastione di Saint Remy – Foto Giorgio Marturana
Quartiere di Castello – Cattedrale di Santa Maria e Torre Campanaria – Foto Giorgio Marturana

Victoria Lomasko „The Last Soviet Artist”

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Victoria Lomasko
The Last Soviet Artist
A cura di Elettra Stamboulis
12 novembre 2022 – 8 gennaio 2023
Museo di Santa Giulia
Brescia

Anteprima per la stampa: venerdì 11 novembre 2022

Il Comune di Brescia, la Fondazione Brescia Musei e il Festival della pace presentano per la prima volta in Italia la personale dell’artista dissidente russa Victoria Lomasko. La mostra Victoria Lomasko. The Last Soviet Artist, a cura di Elettra Stamboulis, si terrà da sabato 12 novembre 2022 sino a domenica 8 gennaio 2023 negli spazi espositivi del Museo di Santa Giulia a Brescia.

La mostra, presentata nell’ambito del Festival della Pace di Brescia, rappresenta il terzo atto della ricerca intrapresa da Fondazione Brescia Musei con la curatela di Elettra Stamboulis nel 2019 con la mostra di Zehra Doğan, Avremo anche giorni migliori. Opere dalle carceri turche, e proseguita con quella di Badiucao nel 2021, La Cina non è vicina. Opere di un artista dissidente.

Il progetto espositivo intende presentare una vasta personale dell’artista russa con un percorso ideato specificatamente per gli spazi di Brescia, dove Lomasko trascorrerà un periodo in residenza per la realizzazione di opere site-specific, dedicato a quanto sta vivendo e osservando negli ultimi mesi. La ricerca artistica di Lomasko permette di ricostruire in modo minuzioso la storia sociale e politica della Russia dal 2011 a oggi: dalle manifestazioni anti Putin che l’artista ha disegnato dal vivo con un tratto originale e immediatamente riconoscibile, alle rappresentazioni della profonda Russia;, quella dei dimenticati e marginali, che da sempre costituiscono i suoi soggetti preferiti.

Lomasko è nata a Serpukhov, a 99 km a sud di Mosca, nel 1978. Il padre, operaio metalmeccanico di questa cittadina interamente dedita alla produzione industriale, agiva come artista provocatore in segreto, e forse questa tradizione di famiglia l’ha spinta ad operare sempre con uno sguardo fortemente impegnato e anticonformista.

Diplomatasi all’Università statale di Mosca in Arti Grafiche nel 2003, Lomasko intraprende da subito una strada non confortevole che mette insieme osservazione e azione, disegno documentario e performance, attivismo e impegno personale inteso come corpo dell’artista che non sfugge all’essere parte di un gruppo. Questo aspetto caratterizza in modo trasversale la biografia artistica di Lomasko che da marzo 2022 vive in Europa, dopo aver tentato fino all'ultimo di rimanere nel proprio paese per non interrompere il proprio ruolo di testimone. L’artista infatti fa parte di un movimento globale che utilizza il disegno come strumento di resistenza e cronaca.

Considerata dalla critica e dalla stampa anglosassone come la più importante artista sociale grafica russa, Lomasko è sostanzialmente ancora sconosciuta al pubblico italiano, anche se i suoi libri sono stati da tempo tradotti in inglese, tedesco, francese e spagnolo. The other Russia ha vinto il Pushkin House Book Prize nel 2018, anche se il libro non è mai stato pubblicato in Russia. Su di lei è stato realizzato un documentario, The Last Soviet Artist diretto dal musicista e compositore Geraint Rhys, è stata intervistata ripetutamente dai media internazionali. Le sue opere sono state esposte al museo Reina Sofia di Madrid, che ha acquisito parte dell’archivio, a Basilea, a Londra ed è al momento ospite di Documenta a Kassel.

La scelta curatoriale di mostrare il lavoro che cartografa dal 2005 gli ultimi, i ribelli, i marginali di quell’immenso e complesso paese che è la Russia, risale a prima dell’avvio del conflitto con l’Ucraina. L’attacco ha reso ancor più urgente la narrazione visiva di Lomasko.

La mostra verrà presentata in presenza dell’artista a un mese dalla data della sua apertura con un incontro a Brescia, nell’ambito delle iniziative legate al Festival della Pace, che gode del patrocinio del Parlamento Europeo.

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Skira.

Con questo nuovo progetto Fondazione Brescia Musei prosegue il format espositivo dedicato alla narrazione del contemporaneo attraverso l’arte, in un dialogo col quale vengono interpretati i più significativi fenomeni storici attuali. Le mostre di Zehra Doğan e di Badiucao hanno riscontrato un grande successo di pubblico con oltre 50.000 accessi, confermando il Museo di Santa Giulia come sede di scoperta di grandi artisti internazionali inediti nel nostro Paese. L’arte contemporanea e diritti umani trovano in questa articolata iniziativa un punto di sintesi nella rivelazione di artisti dissidenti e attivisti, per lo più inediti in Occidente.

La Fondazione Brescia Musei è una fondazione di partecipazione pubblico – privata presieduta da Francesca Bazoli e diretta da Stefano Karadjov. Fanno parte di Fondazione Brescia Musei anche: Museo di Santa Giulia, Brixia. Parco Archeologico di Brescia romana, Museo delle Armi Luigi Marzoli, Museo del Risorgimento Leonessa d’Italia e il Cinema Nuovo Eden. Fondazione Brescia Musei è con la Pinacoteca Tosio Martinengo l’ente capofila della Rete dell’800 lombardo, il network fondato nel 2004 e ricostituitosi nel 2019 con il supporto di Regione Lombardia.

Fondazione Brescia Musei
Francesca Raimondi | raimondi@bresciamusei.com | +39 3318039611

Satisfashion Milano

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Il 25 settembre 2022, nei magnifici interni dell’ex monastero francescano del XV secolo I Chiostri di San Barnaba, gli appassionati della moda e del design hanno partecipato alle sfilate di Satsifahion Milano, evento organizzato da Kasia Stafanów di Mystyle-Events.

Satisfashion è un evento nato per vivere il piacere e la bellezza che la moda ci regala. Durante l’evento, diviso in quattro blocchi, sono state presentate collezioni di vari stili e tecniche.

Quest’anno hanno presentato le loro collezioni oltre venti designer e brand, tra cui Robert Czerwik, Isabella Di Matteo, Emilio Bonadio, SuitUp Milano Magdalena Arlukiewicz; Aleksander Gliwiński, Kovalowe, Bastet Fashion, Patrycja Plesiak Atelier, DK by Dorota Kuźnicka, Jagoda Kołodziej, Lea Detchema, Natalia Ślizowska, Beata Zhyvushka, Alosza – Alicja Gorczyńska, Pudu Joanna Weyna & GinAtelier – Dorota Cenecka, Pauline Oetken, Verena Sonmez, Vivien Sander, Nordkind, Yovdiy Alina, Odzieżowe Pole e inoltre un gruppo di stilisti Alwaysupporttalent di Flavia Cannata. Tutte le sfilate si sono svolte con l’accompagnamento della musica di Amish Darr.

Durante la serata, gli ospiti dell’evento hanno avuto la possibilità di sorseggiare vini e prosecco Passiamo, grazie alla generosità di TiM, partner di Satisfashion. L’organizzatore e ideatore di Satisfashion Milano è Mystyle-Events, un’agenzia di moda con sede in Germania e radici polacche e ucraine, gestita da Kasia Stefanów.

Prima dell’evento a Milano, Mystyle-Events ha organizzato, con grande successo, eventi di moda nelle principali capitali della moda, tra cui Parigi, Berlino, Roma, Leopoli, Monaco, Varsavia e Dubai.

Satisfashion Milano è stato organizzato in collaborazione con Consolato polacco a Milano.

Per ulteriori informazioni invitiamo a consultare il sito: https://mystyle-events.com/

Gli autori delle fotografie sono: Andreas Schilling i Monika Mraczek

Architettura, basilica, portico

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Per centinaia d’anni l’architettura europea (ma non solo) era influenzata dallo stile greco che divenne così popolare grazie alla sua ricezione nel mondo romano. Questo influsso è indiscutibile: lo stile greco era una fonte d’ispirazione fortissima nel Rinascimento e nell’epoca del Classicismo, ma non solo. Anche l’architettura odierna, sebbene completamente diversa, a volte prende l’ispirazione da ciò che ci è rimasto dai classici. Quando si parla dell’architettura greco-romana, è molto probabile che tante persone subito pensino agli ordini architettonici greci, come ad esempio l’ordine dorico. Va detto però che quelle colonne, così ben conosciute dalle pagine dei manuali, non sono certo le uniche cose che ci hanno lasciato i classici.

Architettura

Come sempre è un buon idea cominciare dal termine più generale: l’architettura. Che cosa è? Si può definirla come l’arte di progettare e costruire spazi fruibili ai fini dei bisogni umani. In realtà l’etimologia di questa parola è abbastanza semplice. Sicuramente si può dire che la parola sia in italiano, sia in polacco, è arrivata dal latino. Più probabilmente è anche una parola derivata dal nome della professione architetto (in latino architectus). Architectus è però una parola proveniente dall’antico greco e che è composta da due altre parole: ἀρχή (arché) e τέκτων (tékton). La prima è una parola abbastanza diffusa e che si può trovare in tantissime parole (per esempio arcangelo, arcidiocesi) e che ha il significato della principalità, originalità o superiorità. L’altra parola significa “artigiano” oppure “costruttore”. Insieme creano la parola ἀρχιτέκτων (architékton) che si potrebbe tradurre come “capo costruttore” o “primo artefice” e che indica la persona che organizza la costruzione di qualche struttura. Da questo viene architectura che significa l’abilità di concordare delle capacità materiali con le conoscenze teoriche. 

Basilica 

Conoscendo già l’origine del nome della disciplina, possiamo passare ai termini più particolari. La parola “basilica” adesso fa pensare soprattutto a un grande santuario cristiano, con almeno tre navate (come per esempio la Basilica di San Pietro in Vaticano). Può sembrare sorprendente però il fatto che il nome proprio viene da un edificio completamente diverso. Nel senso di santuario “basilica” ha preso il nome dal latino basilica, che indicava un edificio pubblico che era centro di affari e di amministrazione della giustizia. Questo tipo di edificio è stato adottato nella tarda antichità dai cristiani, che cercavano di costruire santuari capaci di ospitare molte persone, e nei secoli successivi subì varie evoluzioni. Basilica alla sua volta viene dal nome dell’edificio che era l’ispirazione per la costruzione della basilica romana: βασιλικὴ στοά (basiliké stoá), cioè “portico dell’arconte re” in Atene (βασιλικὴ vuol dire regio, principesco). L’edificio è stato molto apprezzato dai romani e poi il suo nome, usato spesso, per ellissi è diventato basilica e in questa forma si è diffuso nel territorio dell’Impero romano. 

Portico

Detto questo va spiegata anche la parola “portico” che sia in polacco, sia in italiano è venuta dal latino. L’etimologia di questa parola è abbastanza semplice: proviene dalla parola latina porticus che a sua volta deriva da porta (che nel latino aveva quasi lo stesso significato che in italiano). Alla parola porta è stato aggiunto il suffisso -icus che porta il significato di derivanza o appartenenza a qualcosa. La parola greca invece, cioè nominata prima “στοά” più probabilmente viene dalla radice *steh₂-, che significherebbe “stare in piedi”. Quindi mentre i greci si concentravano sull’aspetto della stabilità delle colonne, per i romani più importante sembrava la forma che fa venire in mente una struttura fatta dai numerosi ingressi.

Gazzetta Italia 95 (ottobre-novembre)

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La copertina della nuova Gazzetta Italia è una celebrazione dei giovani, che sono il tema della Settimana della Lingua Italiana nel mondo, e dell’amore! Sì perché aver la passione per l’Italia e la sua lingua è come vivere un grande amore.

In questo numero troverete tanti articoli dedicati alla lingua italiana tra cui l’intervista con la celebre italianista Jadwiga Miszalska professoressa all’Università Jagellonica. E poi ancora tanto cinema con un bellissimo articolo su Mastroianni e i suoi amori, e un’intervista a Damian Kocur il regista polacco premiato alla Mostra di Venezia. Di musica invece parliamo col grande virtuoso sardo Enzo Favata e con il duo polacco che ha suonato Piazzolla per il Papa.

Gazzetta Italia 95 vi proporrà poi arte, quella moderna di Katarzyna Jedrysik-Castellini e quella antica del grande vedutista Bernardo Bellotto in mostra allo Zamek Krolewski, motori, cucina, viaggi, fumetti, letteratura, vino e anche salute con la illuminante rubrica Nutriceutica sugli olii essenziali. Insomma mille motivi per correre agli Empik e prendere la vostra copia di Gazzetta e se sarà già finita chiamateci al 505.269.400. Buona lettura!

Silvia Rosato: il Comites a servizio degli italiani in Polonia

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Silvia Rosato è la presidentessa del Comites Polonia, ovvero dell’organismo rappresentativo della collettività italiana in Polonia. Istituiti con una legge del 1985 i Comites vengono eletti ogni cinque anni dai connazionali residenti all’estero in ciascuna circoscrizione consolare ove risiedono almeno tremila cittadini italiani iscritti nell’elenco aggiornato dell’Aire (Associazione Italiani Residenti all’Estero). Tra gli scopi del Comites c’è quello di proporre iniziative nelle materie attinenti alla vita sociale e culturale, con particolare riguardo alla partecipazione dei giovani, alle pari opportunità, all’assistenza sociale e scolastica, alla formazione professionale, al settore ricreativo, allo sport e al tempo libero della comunità italiana residente nella circoscrizione. Il nuovo Comites Polonia è stato eletto lo scorso dicembre e la presidentessa Silvia Rosato, che da quindici anni vive e lavora a Łódź, ci racconta la sua esperienza di italiana in Polonia.

Com’è successo che da Padova sei arrivata a Łódź?

Lavoravo a Bologna, parliamo del 2007, mi occupavo di progettazione e gestione di fondi europei. L’Agenzia ARPA Emilia-Romagna con cui collaboravo, mi chiese di seguire un progetto di gemellaggio con la Polonia in qualità di Resident Twinning Advisor. Accettare questo ruolo avrebbe significato trasferirmi in Polonia per l’intera durata del progetto, e non è stata ovviamente una decisione facile da prendere. Da un lato ero emozionata all’idea di fare una esperienza all’estero di due anni e di ricoprire quel ruolo, ma dall’altro ero spaventata nel lasciare i miei affetti e andare in una cittadina polacca sconosciuta dove non conoscevo nessuno. Originariamente avrei dovuto andare a Sosnowiec. Ricordo di avere digitato faticosamente quel nome sulla tastiera, uscì una sola immagine, mi chiesi dove stessi andando. Quando poi mi comunicarono che sarei andata a Łódź feci un sospiro di sollievo, avevo trovato molte più immagini! Ho amato questa città fin da subito anche nei suoi angoli più trascurati perché avvertivo una forza particolare. Ho sempre sostenuto che Łódź avesse un grande potenziale e oggi posso dire di non essermi sbagliata. Se sono soddisfatta della scelta? Mi manca l’Italia, mi mancano le mie amiche, mi mancano i tramezzini, mi mancano un sacco di cose, ma la Polonia è la mia terra adottiva e con lei ho stretto un legame molto forte che dura ormai da quindici anni.

Stai crescendo un figlio italo-polacco, quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi del vivere tra due culture?

I vantaggi credo siano soprattutto per mio figlio. Crescere tra due culture arricchisce la persona sotto molto aspetti, non solo linguistici. Ovviamente tende a predominare quella cultura in cui si trascorre la maggior parte del tempo, ma ci sono alcuni elementi che mi fanno capire come il gene italiano sia ben radicato in mio figlio nonostante tutto: si rifiuta di mangiare la pasta scotta, gli piace da matti la polenta, alza la voce quando si arrabbia proprio come sua madre, ha un’attenzione spasmodica per il look. Quali sono le complicazioni? Non ho potuto seguire mio figlio a scuola come avrei voluto e come vorrebbe fare ogni madre. Rafael ha sempre frequentato la scuola pubblica e nei primi anni in cui non conoscevo il polacco non avevo modo di interagire con gli insegnanti e molte cose non riuscivo a capirle. Quando arrivava la pagella dovevo trascrivere il testo su Google translator per capire quello che c’era scritto, quando partecipavo agli spettacoli vedevo mio figlio recitare, ma senza capire quello che diceva. Insomma, non ho potuto godere appieno di quei momenti dell’infanzia che ogni genitore custodisce gelosamente. Quello che vorrei dare in più a mio figlio è la conoscenza della storia dell’Italia, dei modi, usi e costumi della regione da cui proviene sua madre, delle diverse espressioni tipiche dialettali, insomma tutto ciò per cui siamo conosciuti e da cui veniamo, ma purtroppo le iniziative su questo fronte sono ancora poche e sporadiche e i genitori devono in qualche modo arrangiarsi.

Come hai visto svilupparsi la comunità italiana in Polonia dal tuo arrivo ad oggi?

Posso parlare, per esperienza personale, della città in cui vivo. Quando sono arrivata a Łódź nel 2007 gli italiani che conoscevo erano per lo più manager o personale dislocato che lavorava presso grandi aziende italiane come Indesit, Unicredit, General Beton. A distanza di alcuni anni con il boom delle multinazionali soprattutto nel settore dell’outsourcing, in cui lavoro anch’io da ormai nove anni, ho notato un graduale aumento di giovani italiani. Le multinazionali offrono un’opportunità di impiego anche per i neolaureati con poca o nessuna esperienza, un buon salario e soprattutto un contratto regolare cosa che in Italia sappiamo bene che non succede. La comunità italiana di oggi è composta principalmente da persone delle cosiddette generazioni x e y che spesso decidono di rimanere in Polonia e metter su famiglia. Mi aspetto quindi che negli anni a venire la comunità italiana crescerà sempre più e sarà necessario mettere a punto tutta una serie di servizi, dalla scuola ad attività sul turismo di ritorno, così come sarà fondamentale rafforzare la rete consolare per affrontare le sempre più numerose richieste.

Qual è il ruolo del Comites nella comunità italiana e perché fin dall’inizio ci hai dedicato attenzione ed energie?

Il Comites è una istituzione pubblica a servizio dei connazionali per raccogliere le loro istanze e i loro bisogni e tradurli, per quanto possibile, in azioni concrete. Quando nel 2015 decisi di candidarmi non ero pienamente consapevole di cosa avrebbe significato. Era la prima volta che il Comites si insediava in Polonia, eravamo un

In foto i consiglieri del Comites: Adamo Giuseppe, Arlotti Giovanni,
Bonaventura Stefano, Bruzzone Alessandro, Bucci Silvio, Caldarella Mariano, Defraia Alberto, Failla Michele, Macheda Filippo, Morelli Fabio, Pesoli Paola, Rosato Silvia.

gruppo di dodici persone ognuno con le proprie competenze e il proprio bagaglio esperenziale, ma nessuno, compresa la sottoscritta, sapeva esattamente cosa avremmo dovuto fare. Ora sono al mio secondo mandato e a differenza di sette anni fa questa volta ho accettato l’incarico nella piena consapevolezza dell’impegno, della dedizione e della responsabilità che richiede. Sono sempre stata attiva nell’associazionismo e nel volontariato fin da quand’ero ragazza. Per un periodo avevo interrotto, ma arrivata in Polonia ho ripreso e quando mi è stato chiesto se volevo candidarmi per il Comites non ho esitato a lanciarmi in questa nuova esperienza. L’idea di essere di aiuto per i connazionali e di mettere a punto dei progetti di utilità sociale è il mio solo leitmotiv.

Quali sono i programmi di questo nuovo Comites?
Il nostro programma è strutturato in sette punti: 1) organizzare e patrocinare attività di promozione della lingua, della cultura, della storia e delle tradizioni italiane e tutto ciò che concerne il Made in Italy; 2) fornire un servizio informativo, di supporto ed assistenziale qualificato su temi pensionistici, fiscali, legali e contributivi; 3) continuare e potenziare il servizio di assistenza psicologico gratuito ai connazionali in difficoltà; 4) avviare un tavolo di concertazione con i vari stakeholders e decision makers italiani e locali per implementare dei percorsi di studio bilingue italo-polacco sperimentali nelle scuole pubbliche; 5) migliorare la comunicazione rinnovando il nostro sito web e il vademecum digitale e potenziare l’uso dei social per espandere la visibilità del Comites e raggiungere una più ampia utenza; 6) diffondere le informazioni sulle procedure burocratiche esistenti per renderle maggiormente fruibili ai connazionali e proporre dei miglioramenti e semplificazioni; 7) realizzare una campagna di sensibilizzazione per l’iscrizione AIRE.

foto: Natalia Zdziebczynska

40 anni del Dipartimento di Italianistica dell’Università di Varsavia

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Nel febbraio del 2022, il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Varsavia ha compiuto 40 anni. Tuttavia, prima che la più longeva italianistica in Polonia diventasse un Dipartimento autonomo, ha fatto molta strada seguendo i sogni e realizzandoli, ovvero sviluppando l’indipendenza e costruendo la maturità.

La storia del Dipartimento risale ai primi anni Settanta quando, nel 1971, fu istituito il Dipartimento di Filologia Italiana presso l’Istituto di Filologia Romanza dell’Università di Varsavia. A quel tempo, gli studi si svolgevano in condizioni che potremmo definire intime, quasi casalinghe, dato che il gruppo di studenti era composto da una decina di persone e le difficoltà da affrontare in quel periodo erano ben diverse dalla realtà odierna: inizialmente si tenevano poche ore di insegnamento d’italiano e, a causa della carenza di materiale didattico, gli strumenti di base erano solo lavagna e gesso. Tuttavia, grazie alla collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura, studenti e dipendenti già allora poterono usufruire delle borse di studio in Italia per migliorare le loro competenze grazie a cui la comunità di italianisti varsaviani si sviluppò in modo dinamico.

Nel 1982 il Dipartimento di Filologia Italiana è stato trasformato nell’autonomo Dipartimento di Italianistica. Questo è avvenuto per iniziativa del professor Krzysztof Żaboklicki, che precedentemente era il capo del Dipartimento di Filologia italiana e poi il direttore del Dipartimento di Italianistica.

Fin dall’inizio le lezioni si sono svolte in via Oboźna 8, nel palazzo ben noto a molte generazioni di italianisti, dove il Dipartimento aveva a disposizione (ed ha ancora) aule al terzo piano. Negli anni successivi alcune delle lezioni e delle conferenze si svolgevano anche a Bednarska 2/4, Karowa 18, nel Palazzo Tyszkiewicz-Potocki, nell’ex Biblioteca Universitaria, in Krakowskie Przedmieście 1 e nell’inestistente oramai edificio in via Browarna 8/10. Dal febbraio del 2017, parte delle lezioni si svolgono nella nuova sede della Facoltà di Lingue Moderne in via Dobra 55, dove, a partire dall’anno accademico 2022/23, saranno trasferite tutte le unità della facoltà.

Sotto la guida del prof. Krzysztof Żaboklicki, poi del prof. Piotr Salwa, della prof.ssa Joanna Ugniewska-Dobrzańska, della prof.ssa Elżbieta Jamrozik e adesso della prof.ssa Hanna Serkowska, il Dipartimento di Italianistica ha creato e continua a sviluppare costantemente nuove reti di ricerca, impegnandosi in programmi scientifici e didattici internazionali. Una pietra miliare nella formazione degli italianisti è stata l’adesione nel 2000 al programma Socrates-Erasmus che promuove lo scambio della comunità accademica dei paesi europei. Il ricco numero di università partner del Dipartimento di Italianistica (nell’anno accademico 2021/22 sono 45 le convenzioni con centri accademici, sia in Italia che in altri paesi europei) permette a tutti gli italianisti interessati di viaggiare e approfondire le proprie competenze.

Erasmus+ non è l’unico programma che permette agli studenti di filologia italiana di Varsavia di conoscere istituzioni esterne o straniere. Nel novembre del 2014, il Dipartimento di Italianistica ha iniziato la collaborazione con l’Università di Siena nell’organizzazione di formazione ed esami DITALS, un certificato che conferma la competenza in didattica dell’italiano a stranieri, sottolineando così l’importanza della formazione delle future generazioni di insegnanti della lingua italiana.

Dal 2018 il Dipartimento organizza Summer School dove, oltre ai docenti di Italianistica, sono invitati a collaborare specialisti italiani dell’ambiente socio-economico. Inoltre, nell’anno accademico 2020/21 nell’ambito dell’Alleanza 4EU+, gli studenti del Dipartimento hanno collaborato con l’Università degli Studi di Milano, la Sorbonne Université e l’Università Carolina di Praga, prendendo parte a un programma pilota volto a sviluppare e sperimentare un approccio innovativo all’apprendimento della cultura e della lingua straniera.

Durante le celebrazioni del 40° anniversario, si è deciso di rinunciare alla tradizionale forma del convegno scientifico a favore di un incontro che ha riunito la comunità degli italianisti polacchi. Nel suo discorso di apertura, la prof.ssa Hanna Serkowska ha sottolineato che:

Oggi il nostro Dipartimento è in buona salute soprattutto perché stiamo costantemente mettendo in atto il principio
della dinamica della regina di cuori di Alice nel Paese delle Meraviglie. “Qui, per restare nello stesso posto, devi correre più velocemente che puoi”. Rimanendo in costante movimento per anni e, inoltre, correndo il più possibile, siamo riusciti a cambiare magnificamente. Qui è già in atto un’altra legge della dinamica della relatività, grazie a cui la nostra italianistica è riuscita sia a maturare che a diventare saggia – il Dipartimento e i suoi studenti sono infatti ben noti tra gli italianisti nel mondo e benvenuti negli scambi internazionali – che a ringiovanire: il nostro team è ora composto prevalentemente da giovani e giovanissimi.

Durante l’incontro, organizzato in forma ibrida, sono stati condivisi i ricordi legati alla storia del Dipartimento e gli ospiti intervenuti hanno preso parte ad una discussione sulla condizione dell’italianistica polacca. Dove stiamo andando? A questa domanda risponderanno le prossime generazioni di italianisti.

tekst: Patrycja Stasiak
tłumaczenie it: Agata Pachucy

Piotr Salwa: la modernità delle Artes Liberales

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Nel fervore economico e architettonico di Varsavia, simbolo dello straordinario recente sviluppo della Polonia, incontrare il professor Piotr Salwa equivale a concedersi una pausa culturale, un’oasi intellettuale nel mezzo dell’efficientismo materico che aleggia in città. Già professore di scienze umanistiche presso il dipartimento di Italianistica e poi della facoltà Artes Liberales, Piotr Salwa, apprezzato studioso della letteratura italiana, è stato anche per sette anni direttore dell’Accademia Polacca delle Scienze di Roma.

Com’è nato il suo rapporto con la lingua e la cultura italiana?

In modo assolutamente casuale! Vicino a casa mia, in via Nowowiejska, negli anni Sessanta aprirono una sala di lettura italiana. All’epoca in Polonia i paesi occidentali non potevano avere dei veri e propri istituti di cultura, prerogativa concessa solo ai paesi socialisti. Un’amica di mia madre mi mandò in quella sala di lettura a chiedere delle informazioni. Lì lavorava Renata Machulec che con grande entusiasmo mi parlò delle attività che facevano ed in particolare dei corsi gratuiti di italiano. Così mi iscrissi, eravamo in pochi perché allora nessuno pensava di viaggiare fuori dal paese e l’interesse per la lingua del Bel Paese era piuttosto limitato, dato che l’italiano non veniva insegnato nelle scuole e i libri e i giornali italiani non si trovavano. Come insegnante avevamo Ludovico Tulli uno di quegli italiani che negli anni incerti del dopoguerra preferirono emigrare. Tulli scelse la Polonia e ci rimase a vita. Dopo l’esperienza alla sala di lettura in via Nowowiejska, conclusi gli studi liceali, scelsi la facoltà di lingue romanze, dato che Italianista ancora non c’era.

La prima volta in Italia?

A Siena nel 1970 grazie ad una borsa di studio. Fu una bella esperienza in una scuola in cui insegnavano italiano agli stranieri con i docenti dei licei senesi. Ci tornai due anni dopo per dare l’esame fi nale. Invece a Torino, anzi in giro per il Piemonte, passai circa un anno dopo la laurea, facevo da interprete ai polacchi che andavano ad imparare i processi produttivi della Fiat per lavorare poi negli stabilimenti della Slesia. Dal punto di vista culturale e linguistico è stata un’immersione totale: altri polacchi non ce n’erano e se non parlavi italiano semplicemente non mangiavi. Tornato a Varsavia feci il dottorato e poi nel 1976 ottenni il posto di docente all’università.

Dopo anni tanti anni di docenza ad Italianistica è passato alla facoltà di Artes Liberales.

La facoltà di Artes Liberales è nata da un’idea di Jerzy Axer un classicista innamorato tra l’altro del Rinascimento che ha voluto riproporre il concetto di studi umanistici interdisciplinari e col tempo unire materie letterarie con studi scientifi ci. All’inizio Artes Liberales era solo un istituto ma ora è una vera e propria facoltà all’interno dell’Università di Varsavia in cui si può fare anche il dottorato. Il concetto alla base di Artes Liberales è bellissimo: approcciare il mondo avendo attenzione alla sua complessità. Gli studi si concentrano tra l’altro sui paesi mediterranei valorizzando la cultura classica, il latino, il greco antico e moderno.

Ovvero l’esatto opposto della recente moda dello spingere, e quasi del costringere, lo studente a dedicarsi subito a una qualche specializzazione che gli faciliti l’entrata diretta nel mondo del lavoro. Mi pare si tratti di un approccio produttivo che sì è diffuso a cascata anche in Europa, con forme di insegnamento che rincorrono la scorciatoia di un profitto immediato, trasformando le università in esamifici e il processo di valutazione in una fredda sequela di test e di quiz.

Nella costruzione del patrimonio intellettuale individuale bisogna partire dalle basi: la conoscenza verso le culture antiche, l’apertura mentale, l’approccio dialettico che stimola la capacità di ragionare. La specializzazione è importante ma deve innestarsi su una base culturale solida perché le necessità del lavoro, e quindi le specializzazioni, cambiano, mentre la cultura resta e ci consente di essere sempre al passo con i tempi. Oggi si sta riscoprendo l’importanza della capacità di ragionamento individuale, lo dimostra anche il fatto che tante aziende multinazionali sono pronte a fare dei corsi di specializzazione ai nuovi assunti che invece devono mostrare capacità dialettiche, idee, fantasia e apertura mentale. Quindi studi fino a pochi anni fa bistrattati, come filosofia, ora sono rivalutati e molto apprezzati perché
formano nel profondo gli studenti. Studiare Artes Liberales è quindi una scelta di grande modernità.

Lo studio della lingua e della letteratura italiana è una scelta moderna?

Direi di sì, verso l’italiano c’è sempre un grande interesse e nel tempo le facoltà si sono moltiplicate. Negli anni Settanta del secolo scorso c’erano solo corsi a Varsavia, Cracovia e per un periodo Wroclaw, poi l’attenzione verso l’italiano è esplosa e oggi per studiarlo a Varsavia si può scegliere tra Italianistica, Linguistica Applicata, Artes Liberales e l’Università Wyszynski, a Cracovia la Jagellonica e la Pedagogica, e poi c’è Italianistica a Wroclaw, Stettino, Danzica, Poznan, Torun, Lublino, insomma l’offerta è ampia per lo studio di una lingua che, anche se si parla praticamente solo in Italia, rimane il verbo della cultura artistica, musicale, architettonica, ragione per cui è la quarta più studiata al mondo.

L’autore che preferisce insegnare?

Sicuramente Boccaccio e la novellistica in genere anche se naturalmente parlare di Dante e Petrarca è sempre molto gratificante.

Gli autori moderni che consiglia?

Umberto Eco naturalmente e poi alcuni meno noti e diversi tra di loro come Giorgio Bassani e Achille Campanile. Di attuale consiglio anche la lettura del libro “Storia dell’Adriatico, un mare e la sua civiltà” di Egidio Ivetic che apre una finestra su questa straordinaria parte d’Europa, un mare in cui da secoli si confrontano popoli e culture. Libro che ora potete leggere anche in polacco.

E se dovesse scegliere una città italiana?

Quando gli studenti mi chiedono consigli su dove fare l’Erasmus o una esperienza di lavoro consiglio le medie città come Padova o Pisa, e magari un’azienda a gestione familiare, è in questa dimensione che si capisce meglio la cultura italiana. Io, ad eccezione di Sardegna e Basilicata, ho visitato tutta l’Italia. Le mie esperienze di studio e professionali mi hanno fatto conoscere bene Siena, Torino, Firenze dove c’ho passato due anni di studio, Venezia dove andavo spesso alla Fondazione Cini e poi naturalmente Roma dove ho lavorato sette anni. Vivevo nel quartiere Nomentano e ogni giorno andavo all’Accademia Polacca delle Scienze in Piazza Venezia. Ma sono sincero, se dovessi scegliere una zona in cui vivere direi il Veneto che è pieno di città meravigliose come Vicenza e Verona, secondo me è la regione in cui la gente è più gentile e poi adoro l’accento veneziano e veneto. Tante volte ho chiesto al professore veneziano Alberto Rizzi, che ha lavorato sei anni a Varsavia, dove poter fare corsi di dialetto, ma lui mi ha sempre risposto che non ho speranza, perchè se non ci nasci non riesci ad impararlo!