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“ALBERTO E TOMMASO”

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“ALBERTO E TOMMASO”

Scena Quarta: CONCLAVE

Parigi. Gennaio 1272. Alberto Magno e Tommaso D’Aquino sono insieme in una stanza semibuia, illuminata soltanto da una luce fioca che entra da una finestra gotica di forma molto allungata.

TOMMASO: Maestro, vi porto da Parigi le ultime notizie sulla Santa Sede. I Cardinali riuniti nel Palazzo dei Papi a Viterbo non hanno ancora trovato un accordo. Ormai credo siano circa tre anni che abbiamo la “Sede Vacante”. Non è assurdo e allarmante tutto ciò?

ALBERTO: Questo dipende dall’influenza negativa dei Cardinali partigiani di Carlo D’Angiò. Sono loro che causano risse e tumulti continui. Ecco la ragione per cui già lo scorso anno Bonaventura da Bagnoregio, arrivò a sequestrare i Cardinali nel Palazzo Vescovile, facendo murare tutte le uscite. Ricorderai, quei giorni successe di tutto. Il palazzo venne scoperchiato dal popolo inferocito. Così lì dentro vi poteva entrare il sole, ci poteva piovere, vi poteva affluire l’aria fredda. Ma soprattutto non c’era più “extraterritorialità”. Dall’esterno, la gente lanciava dentro frutta, pane e acqua. Due Cardinali si sentirono male. E malgrado tutto ciò, non vi fu nessun vertice, nessuna elezione. Fino a quando, come tutti sappiamo, il primo settembre dell’anno scorso, sei Cardinali non arrivarono ad eleggere addirittura un diacono, Tebaldo Visconti, a dispetto di Carlo D’Angiò.

TOMMASO: Fosse tutto lì! Invece, ho saputo che la questione si sta ulteriormente aggravando. Siamo a gennaio del 1272 ed ancora non abbiamo la possibilità di vedere all’opera questo papa. Tebaldo Visconti, infatti, che da tempo è partito per la Siria, a tutt’oggi si trova ancora a San Giovanni d’Acri. Quando sarà richiamato in patria per essere consacrato? O meglio, quando sarà richiamato in patria per essere ordinato almeno prete per poter essere poi consacrato papa? E quale nome assumerà? Con tali presupposti, questo nuovo papa, secondo me, non promette nulla di buono. Che sia benedetto quel brav’uomo di Papa Urbano IV! Lui sì che è stato un vero pontefice, un santo!

ALBERTO: Non devi dire questo. Egli, magari… chissà. (Pausa) Vedi, Tommaso, tu adesso, rispetto a me, sei ancora giovane, ma ti posso assicurare che presto anche tu giungerai alla consapevolezza che più o meno è così che va il mondo degli uomini! E da sempre, figliolo, credimi! Questo perché la nostra vita, di noi esseri umani, è nulla al cospetto della vita eterna. Tu ora penserai che il tuo vecchio maestro ti stia dicendo cose tristi, cose che angosciano. Ma non è così. Prendi, per favore, quella Bibbia lì sopra, (Indica un tavolo) che ti leggo qualcosa in proposito. Servirà certamente ad illuminarti.

TOMMASO: (Recupera la Bibbia e la porge ad Alberto)

ALBERTO (Prende la Bibbia, la apre) Allora, vediamo. (Sfoglia qualche pagina) Ah, ecco qui! (Legge) “Vanità delle vanità, tutto è Vanità”, ossia Hebel. (Volta una pagina) E qui. (Legge) “Tutto è vanità, e un inseguire il vento”. Ciò è quanto afferma Qohelet in un suo versetto. Quindi questa nostra vita peritura, transitoria, impermanente, assurda, vacua, vuota, vana, inconsistente, simile ad un soffio, al fumo, al vapore che si dissolve, costituisce il nulla, il non-senso. E ancora Qohelet in quest’altro passo continua: (Legge) “Tutti sono diretti verso la medesima Dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere”. Sheol, ossia la Dimora di cui si parla in questo versetto, è il luogo sotterraneo grigio dove i morti sono conservati nella loro forma spettrale, simili a larve. Per cui di fronte alla prospettiva della morte che, con una voracità insaziabile tutti divora, la ricchezza, il potere, il piacere, il lavoro, la ragione, la sapienza, la scienza, non sono altro che vanità. E se certe osservazioni vengono condivise da questo pulpito (Si batte una mano sul petto), puoi ben credergli!

TOMMASO: La sapienza? La scienza?

ALBERTO: Sì, anche la scienza. Ma ascoltami, vorrei concludere! Allora, stando a quanto asserisce Qohelet, sembrerebbe non dovremmo che accontentarci di ciò che Dio ci concede, inseguendo un po’ la logica del Carpe Diem suggerita secoli più tardi da Orazio. Invece non è questa la risposta all’interrogativo della vita! Perché anche ciò è vanità. Quindi per Qohelet non ci resta che una sola via d’uscita: credere in Dio, temerLo, seguire i Suoi Comandamenti e affidarsi a Lui.

TOMMASO: E se invece cercassimo razionalmente di conquistare poco a poco la Fede in Dio, inseguendo la scienza, la sapienza, come poi, in fondo, avete fatto voi che oggi siete ritenuto un uomo straordinario in ogni campo del sapere?

ALBERTO: Arriveresti alla stessa conclusione di Qohelet e quindi alla mia stessa conclusione, quella che ti ho appena illustrato. Ma constato con orgoglio e con piacere che l’allievo ancora una volta supera il maestro nel dibattito. L’ho sempre detto io che tu, da quel “bue muto” che eri un giorno saresti diventato uno che avrà da dire una infinità di cose al mondo. Ho saputo della tua eloquenza, dei tuoi successi all’Università di Parigi. Ma ricordo, già a suo tempo il nostro Maestro dell’Ordine che ti aveva appena accompagnato da Roma qui a Colonia, nell’assegnarti a me disse: “Tommaso è un giovane riservato e discreto, ma ricco di sapere e con le idee chiare, un vero uomo di fede, dalla fede profondamente radicata, in quanto frutto di una ricerca interiore ed esterna inimmaginabile”. Oggi devo dire, aveva ragione.

TOMMASO: Ma, Maestro, non è certo questo che desidero sentirmi dire da uno scolastico dotto come voi, da una persona illuminata come voi. Piuttosto del superamento dei dubbi, delle incertezze che, come me, credo affliggano ogni uomo a causa della sua insufficienza. Nella casa dove vivevo con gli altri giovani sacerdoti quando, da ragazzo, giunsi qui a Colonia, questo era il tema ricorrente delle nostre conversazioni. E poi, per quanto riguarda la mia, ormai nota, avara loquacità che ho sempre manifestato in passato, ciò era dovuta al fatto che, essendomi sempre trovato davanti ad un grande uomo come voi, mi sono talmente rallegrato d’aver ricevuto e di ricevere tutte le risposte alle mie domande, che ho giustamente preferito ascoltare per attingere il più possibile dalla vostra conoscenza. Insomma ho preferito ascoltare, essere assiduo nello studio e devoto nella preghiera, piuttosto che parlare.

ALBERTO: Ma tu non hai soltanto raccolto nella memoria ciò che oggi già trasfondi negli altri con la tua dottrina, tu vi hai aggiunto del tuo, come quando asserisci “Credo per capire, capisco per credere”. Ricorda che il discepolo è sempre sullo stesso piano del suo maestro; quando entrambi si consultano, si scambiano emozioni, amore, ma anche conoscenza, saggezza, sapienza (Esce)

TOMMASO: (Segue Alberto. Appare un’orchestrina che esegue un brano musicale).

(Scena tratta dal dramma teatrale “Alberto Magno e Tommaso D’Aquino” di Alberto Macchi, Roma 2004)

La storia del gelato

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Karolina Kij

Con l’arrivo dell’estate mi ritornano in mente ricordi dei solari giorni estivi della mia infanzia, dei tempi quando con i miei cugini andavamo nel bosco a raccogliere mirtilli e fragole, nuotavamo nel fiume ed inventavamo decine di giochi e scherzi. Sento ancora l’odore del fieno che si seccava, il fresco del bosco e il sapore dei dessert estivi: fragole con panna e zucchero, brioche ai mirtilli e ovviamente… gelati. Siccome ho vissuto una gran parte della mia infanzia durante gli ultimi anni dell’epoca comunista in Polonia mi ricordo più vivamente i gelati “Bambino” che godevano di grande popolarità nella Repubblica Popolare di Polonia. I gelati prodotti nei primi anni Sessanta dello scorso secolo avevano gusti alla crema, al caffè e alla frutta. Ora, contrariamente a quell’epoca, gli scaffali dei negozi sono pieni di qualsiasi tipo di beni e non ci si può lamentare della mancanza di gelati, anche se proprio in Polonia ne vengono mangiati relativamente pochi, principalmente in primavera ed in estate. Godendo però il sapore di questo manicaretto freddo avete mai pensato alle sue origini? Secondo alcune fonti i primi ad acquisire la capacità di produrre gelati furono i cinesi che tre mila anni A. C. mettevano una miscela di neve e di salnitro attorno ad un recipiente riempito di uno sciroppo dolce. L’invenzione sarebbe stata portata in Europa dal famoso viaggiatore veneziano Marco Polo. Invece secondo altre fonti, i siciliani, per primi in Europa, attorno al XIII secolo, elaborarono il metodo di preparare gelati, e più precisamente sorbetti. Dalla Sicilia la tecnica fu esportata in Toscana e successivamente si diffuse in tutto il mondo. C’è un’altra teoria secondo cui Caterina De’ Medici, arrivando a Parigi nel 1533 quale moglie quattordicenne di Enrico d’Orléans (in seguito diventato il re di Francia Enrico II), portò con sé il suo disegnatore ed architetto Bernardo Buontalenti, alle passioni del quale apparteneva l’invenzione dei dolci. Sarebbe stato proprio Buontalenti ad inventare i gelati. Comunque il prototipo dei gelati, come ho detto prima, fu innegabilmente il sorbetto siciliano (dalla parola araba “sherbet”), fatto con succo di frutta mescolato con la neve dei monti, che in Sicilia veniva raccolta dall’Etna. Il sorbetto di neve e di frutta fu arricchito di mosto d’uva, vino e miele, e dal XVII secolo anche di burro e crema, diventando così un nuovo dessert, che non fu più sorbetto. Dalla Sicilia i gelati arrivarono presto a Parigi. Nel 1686 Francesco Procopio Dei Coltelli aprì nella capitale francese il famoso caffè Le Procope. Il locale esite tuttora (nel quartiere di Saint Germain), tuttavia è stato trasformato in un ristorante molto elegante. Si dice che Beniamin Franklin fosse talmente rapito dai gelati serviti a Le Procope che ha scritto la costituzione degli Stati Uniti quasi senza uscire dalla gelateria. La svolta nella storia del gelato arrivò nel XIX secolo quando la produzione industriale di  bevande e di gelati andò nelle mani dei piccoli artigiani del Veneto. All’inizio del XX secolo l’80% del commercio di gelati in Italia fu controllato dai veneziani che vendevano la loro merce dai carrettini dei gelati. In molte località, per motivi di igiene, fu introdotto un divieto di vendita dei gelati sulle strade, perciò i veneziani aprirono gelatterie e negozietti. Fino ad oggi molti locali sparsi per tutta la penisola appenninica portano nel proprio nome le tracce di questo passato veneziano: caffetteria Venezia, bar Rialto, ecc. Attualmente in Italia, caso unico nel mondo, il 55% della produzione di gelati è artigianale.

 

Rothko in mausoleo

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La prima impressione: perché qua è così buio? La seconda: non mi basta! La terza: quando finiremo con l’agiografia?

Ma iniziamo con ordine. Il Museo Nazionale di Varsavia è, da quando ho memoria, un po’ come un malato in convalescenza. I gestori ogni tanto si svegliano per organizzare una mostra molto importante che raduna tantissime persone: ogni azione di questo genere serve a diagnosticare l’attuale stato di salute della struttura. Il pubblico può confrontarsi con dei quadri di Vecchi Maestri oppure con opere generiche come in un manuale di storia dell’arte del periodo del PRL (“Da Manet a Gaguin”). È difficile non notare che il museo si concentri sui classici (visto che saranno tanti a volerli guardare) ben descritti (vi sarà un problema minimo con la creazione del concetto della mostra) e circondati da un’aura palpabile di opere sacre. Il museo non è tanto propenso a mettere in  mostra le opere postbelliche. Le folle che vanno in pellegrinaggio in questo tempio dell’arte ne escono deluse perché anche stavolta non c’è stata alcuna epifania.

Una situazione simile avviene nel caso della mostra di Mark Rothko. Dopo la prima campagna pubblicitaria, condotta con successo ed efficienza da tanti anni, che ha messo pure in evidenza la drammatica superficialità dei media polacchi (“come si trasportano i quadri più preziosi del mondo?”), gli spettatori polacchi finalmente possono apprezzare 17 tele e una manciata di cimeli personali esposti in alcune sale buie che fanno pensare a un portico della chiesa dove nella luce di rare lampadine si anneriscono capolavori impolverati. Con sottofondo di musiche di Mozart ci sediamo sulle panchine messe davanti ai quadri. Tutto questo, assieme alle luci soffuse, accentua il carattere teatrale della mostra. Tuttavia l’atmosfera solenne della cappella e del mausoleo sembra essere completamente artefatta.

Adesso è facile capire perché Dorota Jarecka ha iniziato la sua recensione della mostra con le parole “Ammetto la mia ignoranza: solo quando ho aperto il catalogo della mostra di Mark Rothko inaugurata ieri al Museo Nazionale di Varsavia, ho capito ciò che per molti è sicuramente una cosa ovvia come la cecità di Francesco Goya o la cattiveria di Caravaggio. Questo artista si è suicidato. Si è tagliato le vene nel 1970 nella sua bottega di New York”.

Il concetto agiografico della mostra non ci permette di omettere questo fatto e passare alle opere. Rimane solo un interrogativo su questa forzata intimità, ovvero se “avvicinare Rothko come un essere umano” abbia un senso. Se vale davvero la pena costruire una narrazione pittorica astratta,  servendosi dell’estetica dei nomi propri che assimila l’osservazione delle opere alla lettura di un romanzo poliziesco, che tende sempre a scoprire un nome, quello dell’assassino.

Prendiamo per un momento questa teatralizzazione come buona. In fondo lo stesso Rothko diceva che “il silenzio – il cui corrispondente visuale è il buio – è più adatto”. Supponiamo allora che abbiamo a che fare con un silenzio vivente, esattamente come da John Cage, dove la mancanza dei suoni significa che sentiamo almeno il doppio ritmo: il suono della respirazione e l’accompagnamento sommesso del battito cardiaco. Il silenzio pieno di vita. In questo silenzio appaiono le immagini che rappresentano la sfida, la richiesta e forse la promessa. Rothko attraverso il gioco con le nostre abitudini di percezione (cosa è il quadro, la macchia e lo spazio?) stimola fortemente i nostri corpi. Li espone alle manifestazioni drammatiche dell’emozione e del silenzio. Le tendenze mistiche presenti in forme distorte e le loro alterazioni potrebbero derivare dal surrealismo di Bataille. Egli tratta la distorsione, similmente come avviene nell’arte primitiva, come l’ingresso nella zona del sacro piena di violenza nascosta e di combattimenti. Sfida le nostre abitudini estetiche e il nostro lessico. Offende le nostre aspettative verso la pittura, la maestria e la rappresentazione. L’artista può essere inteso affermativamente come una prova per andare oltre il senso comune, la logica del significato nel gioco delle forze oppure la promessa di una nuova vita. La riproducibilità di questo gesto nelle immagini successive, compulsiva come da tutti i modernisti, è una forma di lotta con tutta la tradizione della pittura, che si stringe nella cornice non dipinta e nella nostra visione. Rothko in quel caso avrebbe voluto affermare una differenza (come Nietsche); di tutto questo scrive Lukasz Kiepuszewski nel suo catalogo descrivendo inoltre le sue influenze nell’arte polacca.

Solo che la ribellione di Rothko, sia politica che pittorica, è piuttosto dubbia. Non a caso le sue opere sono diventate dei simboli del lusso. La sua ribellione nel dipinto si esprime in una semplice sostituzione del cliché con un iperbolico linguaggio visivo che chiude la pittura piuttosto che formulare nuove opportunità. Rosalind E. Krauss chiese una volta, con la sua tipica intuizione: “La superiorità benevola è semplicemente una forma di auto-riconoscimento da parte della borghesia. Basti guardare la letteratura sugli yuppies. Ma anche questo non aiuta a capire una cosa che è molto più interessante e preoccupante e che riguarda Rothko come artista. Vale a dire: come questa banale sublimità abbia potuto nello stesso momento portare allo splendore della morte (1950) e all’evacuazione clinica nel prossimo (1965)?”

Questo è un dramma come quelli di Tonio Kröger, un borghese incapace di liberarsi dalla sua condizione sociale, che ci conduce direttamente a un momento in cui i girasoli di  Van Gogh appesi al muro indicano la presenza del water; al momento in cui il valore di un’opera viene stabilito ai sensi di un contratto bilaterale tra venditore e acquirente che riguarda la domanda e l’offerta per un bene di lusso. L’unica cosa che possiamo fare tranne accettare l’acquisto è… negoziare.

La mostra al Museo Nazionale prende parte in questo processo in cui vengono fissati i prezzi  attraverso una grande preoccupazione per il ristabilimento di un contatto diretto con il gesto originale del genio, attraverso la narrazione agiografica, la manipolazione di termini di percezione dell’immagine e la ricostruzione critica che sistematicamente omette ogni controversia nella percezione dei lavori di Rothko.

Mark Rothko. Quadri della National Gallery of Art di Washington

Il 7 giugno – il primo settembre 2013, il Museo Nazionale di Varsavia

SEBASTIANO MONTELUPI

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Sebastiano Montelupi

SEBASTIANO MONTELUPI (Campiglia/Livorno 1516 – Cracovia 18/8/1600) è un uomo d’affari e banchiere, figlio del Nobil Signore Messer Valerio Montelupi De Mari.

Nel 1557, quarantunenne, con suo fratello minore Carlo, giunge in Polonia e vi resterà fino alla morte, sotto i regni di Sigismondo II Augusto, Enrico V di Polonia (Enrico III di Valois), Anna Jagellone, Stefano I Batory e Sigismondo III Vasa. A Cracovia, allora capitale della Corona, viene soprannominato “Sebastian Wilczogórski” e grazie al suo carisma e al suo “savoir-faire” diventa in breve tempo uno dei membri più influenti della colonia italiana di quella città, malgrado sia un tipo estremamente riservato, che in genere usa parlare molto poco di sé. (Esistono, infatti, pochi documenti e pubblicazioni che lo riguardano e una sua sola corrispondenza, quella rivolta al Granduca di Toscana Francesco I, che riguarda però essenzialmente la sua attività commerciale, tutte lettere che non lasciano trapelare nulla della sua vita privata).

In realtà abbandona l’Italia nel 1536, appena ventenne e si trasferisce in Germania. Per un periodo lavora presso la Ditta Antinori di Norimberga dove dimostra subito la sua abilità nell’allacciare relazioni con mercanti e uomini d’affari. In breve tempo, infatti, crea una fitta rete di rapporti con moltissimi italiani, principalmente toscani, che operano nella Germania meridionale. Col passar degli anni riesce ad entrare in contatto con personaggi italiani di mezza Europa.

Sebastiano Montelupi
Sebastiano Montelupi

Quando, ventuno anni più tardi, decide di trasferirsi altrove e approda in Polonia, avendo conservato stretti rapporti con i suoi concittadini sia in Toscana che in Germania, viene immediatamente nominato da questi, loro rappresentante e procuratore a Cracovia; un incarico che presto gli procurerà popolarità e prestigio anche presso tutti quegli altri suoi conterranei che operano nelle altre regioni d’Europa mai raggiunte, ma che in quel periodo stanno attraversando una particolare fase di intenso sviluppo.

Nella capitale polacca però deve combattere la concorrenza di tutti quegli altri italiani che Bona Sforza aveva portato con sé da Bari: un nutrito seguito che comprendeva anche una schiera di mercanti, i quali col passar del tempo, inevitabilmente, si erano insediati nei più prestigiosi incarichi di Corte. Inoltre, il favore dei regnanti e la crescita sociale e culturale del paese in questo preciso momento stanno attirando dall’Italia un numero sempre crescente di artisti, letterati, architetti, artigiani, medici, religiosi, ma anche di avventurieri, imbroglioni e abili uomini d’affari.

Cracovia, poi, gode di una posizione strategica per i commerci, trovandosi all’incontro delle vie tra est ed ovest, ossia tra Russia e Germania, e tra sud e nord, ovvero sulla Vistola, tra i Carpazi e il porto di Danzica.

In Polonia, per tradizione, gli aristocratici producono cereali, ma le leggi non consentono loro di operare all’estero; allora, dal momento che invece i mercanti stranieri hanno piena libertà d’azione, questo spinge Montelupi ad approfittare di questa opportunità, per cui egli allora inizia ad intraprendere un intenso commercio di queste derrate con l’Italia e con altri paesi in Europa. Di riflesso, dati i grossi guadagni che i nobili polacchi così realizzano, si viene ad istaurare tra questi un sempre più alto tenore di vita, effetto che va ad alimentare il mercato di generi di lusso e quello finanziario.

Montelupi vigila su questi fenomeni del mercato e ne sa trarre i benefici. Ha anche acquisito parecchia esperienza per aver lavorato presso Carlo e Bernardo Soderini, i mercanti e banchieri più affermati di Cracovia.

Avendo egli accumulato cospicui capitali propri, diviene socio e azionista di alcune affermate ditte in città, comproprietario di una fabbrica di laterizi, nonché banchiere in proprio e dal 1560 la sua posizione si va sempre più consolidando grazie agli ottimi rapporti con la Corte, fino a divenire fornitore ufficiale dei regnanti.

Purtroppo però presto i suoi comportamenti spregiudicati, senza scrupoli, lo portano a subire continue citazioni in tribunale: per truffe nei confronti dei soci, per inadempienze verso i fornitori e i collaboratori, per frodi, per evasioni fiscali e finanche per abusivismo edilizio da cui, astutamente, riesce comunque ad uscirne sempre indenne, grazie alle potenti protezioni di cui ormai gode. C’è da aggiungere che peraltro Enrico di Valois nel 1574 gli concede quel “Servitoriat” che gli garantirà per il futuro una lunga serie di privilegi commerciali e la possibilità di sottrarsi alla giustizia ricorrendo, in ultima ipotesi, al diritto di appello diretto al sovrano.

Il campo di azione di Montelupi diviene sempre più ampio. Al centro c’è il commercio delle sete, dei broccati, dei velluti, dei damaschi provenienti dalle manifatture fiorentine e delle lane, del lino e del cotone prodotti in Inghilterra e in Germania. Dall’Italia importa oreficeria, vetri e cristalli, mobili, carta, libri. Con la sua ditta crea agenti nelle principali città polacche e lituane, a Vienna, in Italia, in Germania, in Inghilterra e in Ungheria. Nello stesso tempo a Cracovia mantiene la rappresentanza di diverse imprese commerciali e finanziarie fiorentine. Dal 1565, senza trascurare il commercio, incomincia a dare più impulso all’attività finanziaria. I titoli da lui emessi, arriveranno presto ad essere riconosciuti e accettati in tutta Europa; la sua banca sarà il punto di riferimento per gli ambasciatori italiani, per i legati e per i nunzi apostolici in arrivo in Polonia: Antonio Possevino riceve da lui quanto gli occorre per la sua missione a Mosca del 1581-1582. Prima insieme ai Soderini, ma poi in seguito da solo, Montelupi gestisce anche le rendite italiane degli Jagelloni, frutto dei crediti vantati dagli eredi di Bona Sforza.

Insomma, diventa sempre più ricco ed ora impiega gli ingenti guadagni realizzati particolarmente con il commercio del grano, con le importazioni di piombo, di pelli e cavalli e con le operazioni finanziarie, in investimenti immobiliari in Toscana e in Polonia, divenendo così proprietario di numerosi villaggi. Nel 1567 ottiene da Cosimo I la cittadinanza fiorentina – il che gli consentirà, tra l’altro, l’acquisto di proprietà tra Bibbona e Volterra – e da Sigismondo II Augusto l’indigenato, riconoscimento che lo equipara alla nobiltà del Regno. In quello stesso anno Montelupi, ormai cinquantunenne, sposa Urszula Baza, la giovane e splendida figlia del medico di Corte Wojciech Baza, rappresentante di una delle famiglie più illustri di Cracovia.

Spera d’avere subito un figlio a cui lasciare un giorno tutta la sua ricchezza accumulata, invece ciò non accade. Per sopravvenute precarie condizioni di salute di sua moglie, nel timore di non poter avere figli chiama presso di sé suo nipote ventenne, Valerio, figlio di una sua sorella e di Matteo di Iacopo Tamburini. Valerio, che si dimostra presto molto abile nel mondo degli affari, si dimostra la persona giusta, quindi destinata ad ereditare la sua enorme fortuna.

Nel 1568 Montelupi acquista il palazzo sulla piazza del Mercato di Cracovia, che negli anni amplierà, facendone non solo la sua residenza privata, ma anche la sede centrale di tutte le sue attività commerciali e finanziarie ed in seguito l’ufficio centrale delle Poste.

Oggi il nome di Montelupi è legato in modo particolare alla lunga gestione in Polonia del servizio postale regio, che Sigismondo I alla morte di Bona Sforza, aveva istituito per poter meglio seguire gli affari e il contenzioso legati all’eredità materna. Il servizio gli viene affidato nel 1568 ed egli lo gestirà insieme con suo nipote Valerio. Il servizio, prevede due tratte: una verso Vilnius e una verso Vienna e Venezia. A Montelupi spetta un rimborso spese e un compenso annuo, con l’obbligo di provvedere all’organizzazione delle stazioni di posta e con l’impegno di coprire il percorso tra Cracovia e Venezia e viceversa in dieci giorni; e da Cracovia a Vilnius e ritorno in tre settimane. Alla morte di Sigismondo II gli sarà rinnovato l’incarico anche da Anna Jagellone e dal re Stefano Batory.

Dopo parecchio tempo dalle nozze, essendo ancora senza figli, pensa di contattare il famoso astrologo inglese John Dee per chiedergli consiglio, perché è sempre più convinto che sua moglie sia rimasta vittima di qualche stregoneria, di qualche maleficio. Costui lo rassicura: ma purtroppo il 12 luglio del 1586, a soli trentacinque anni, ella muore.

Montelupi in questi ultimi anni ha rapporti con tutti gli italiani che per qualsiasi ragione sostano a Cracovia, come Francesco Pucci, Agostino Doni, Pietro Franco, o il nunzio Giovanni Andrea Caligari. Familiarizza principalmente con i gesuiti, facendo donazioni in denaro e procurando arredi sacri per la loro chiesa; devolve una generosa somma di denaro all’Arciconfraternita della Misericordia e al Monte di Pietà, per sostenere l’assistenza ai bisognosi.

Negli anni ottanta frequenta lo scrittore Annibale Rosselli, trasferitosi a Cracovia nel convento di San Bernardino e finanzia il terzo dei dieci volumi del suo “Commento al Poimandres di Ermete Trismegisto”, edito a Cracovia nel 1586, a condizione che sia dedicato a Francesco I di Toscana. Sì, perché i suoi rapporti con Francesco I non sono occasionali; è sua costante cura, certamente per interesse, quella di informarlo circa i fatti di Polonia, e più in generale, dell’Est d’Europa: nel 1573 e nel 1587 Francesco I, infatti, essendo marito di Giovanna d’Asburgo – quindi cognato di Sigismondo II Augusto – è nella rosa dei pretendenti al trono polacco.

Montelupi muore senza aver mai più rivisto la sua patria. Viene sepolto a Cracovia ed oggi le sue spoglie si trovano nella Chiesa di Santa Maria Vergine. Sulla sua tomba, opera del fiorentino Santi Gucci, appare lo stemma dei De Mari, la sua famiglia d’origine, uno stemma simile a quello che ha sempre campeggiato sul suo palazzo di Cracovia. Hanno scritto su di lui Laura Ronchi De Michelis in Dizionario Biogrrafico degli Italiani e Danuta Quirini-Pop?awska.

Rubrica “Italiani in Polonia nei Secoli” a cura di Alberto Macchi, Drammaturgo e Regista teatrale a Roma e a Varsavia, con il contributo della Dott.ssa Angela So?tys Storica dell’Arte presso il Castello Reale di Varsavia.

Open the door

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Il progetto Open the Door consiste nell’apprendimento delle lingue attraverso lo scambio di conoscenze ed esperienze tra scuole, università, PMI ed istituzioni. Finanziato dal programma Leonardo da Vinci Educazione e Cultura dall’Unione Europea, coordinato dall’Università di Gazi (Turchia), ha come partner la società CORE Sp. z o.o. (Polonia) e altri 8 partner in tutta Europa.

Secondo il “quadro strategico europeo per l’istruzione e la formazione” le competenze linguistiche sono uno dei parametri più importanti al fine di avere una buona carriera. Studenti e dipendenti dovrebbero comprendere tutta la terminologia utilizzata nei documenti tecnici nel loro campo di lavoro. Con questo progetto si vuole sviluppare la capacità linguistica dei partecipanti con il lavoro di squadra tra colleghi di diversa nazionalità e scambiando esperienze ed idee.

Chiunque può partecipare al progetto attraverso le informazioni pubblicate sul sito web, seminari internazionali, workshop, pubblicazioni e attività in loco.

 

Il ruolo di Palermo nella nascita della letteratura italiana

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Nei numeri precedenti abbiamo parlato della storia millenaria della città di Palermo e delle squisitezze gastronomiche per cui è famosa in Italia e nel mondo. Oltre ad essere una città moderna e quindi perfetta per fare shopping o per divertirsi, il capoluogo siciliano è ricchissimo anche di monumenti storici e luoghi di interesse artistico e culturale; passeggiando per le vie del centro storico si deve stare continuamente con il naso all’insù per contemplare le numerosissime chiese e le antiche facciate dei palazzi costruiti lungo le strette vie della città. Nella verde e soleggiata Piazza Indipendenza, poco distante dalla splendida Cattedrale, si trova il Palazzo Reale, oggi sede dell’assemblea regionale e per secoli dimora dei vari sovrani della città. All’interno di questa reggia fortificata è presente un osservatorio astronomico e soprattutto l’incredibile Cappella Palatina, una basilica del XII secolo interamente decorata in oro e mosaici bizantini; assieme al Duomo di Monreale, una visita alla Cappella Palatina è assolutamente d’obbligo se si visita questa città.

Vale la pena ricordare che il Palazzo Reale nasconde un segreto che solo i più attenti osservatori sapranno cogliere: in pochi infatti sanno che l’ingresso di Piazza Indipendenza non è la facciata principale del Palazzo Reale, ma è in realtà il retro della reggia. L’ingresso principale si trova in Piazza del Parlamento, in una zona solitamente poco frequentata dai turisti e riservata al transito degli addetti ai lavori dell’Assemblea regionale. Proprio su questa facciata si trova un piccolo bassorilievo quasi invisibile ad un primo momento alla vista. Eppure questo bassorilievo, poco notato e poco osservato, ricorda uno dei momenti più significativi della storia e della cultura della Sicilia, in quanto fa riferimento alla “Scuola Poetica Siciliana” sorta alla corte di Federico II di Svevia, intorno alla metà del XIII secolo. Su di esso è raffigurato il grande imperatore circondato da quanti contribuirono alla nascita della prima espressione di poesia in volgare che avrebbe costituito le fondamenta della letteratura italiana che oggi conosciamo. Il bassorilievo, opera dello scultore Silvestre Cuffaro, riproduce un passo del De vulgari eloquentia (il paragrafo 12 del libro primo), nel quale Dante riconosce i meriti storici e culturali di questa scuola, nata e fiorita grazie a Federico II proprio nelle stanze del Palazzo Reale. Il passo dice: “Poiché è manifesto che il volgare di Sicilia si attribuisce rinomanza al di sopra degli altri, per il fatto che tutto ciò che gli Italiani poeticamente compongono si chiama siciliano, e per il fatto che parecchi maestri, di quel paese nativi, troviamo aver cantato con gravità”.

Sono stati davvero tanti i “maestri” che pur vivendo in una reggia, tra lusso e ricchezza, non trascorsero la loro esistenza in modo pigro; personaggi come Guido e Oddo Delle Colonne, Jacopo e Rinaldo D’Aquino, Jacopo da Lentini, Pier Delle Vigne, Stefano Protonotaro e tanti altri che, pur essendo funzionari o notai di corte, frequentarono le stanze del Palazzo Reale stringendosi attorno a un imperatore che volle e seppe creare la prima scuola poetica in volgare italiano. Pur essendo stata definita “siciliana” perché prodotta in Sicilia, quanto fatto da questa scuola ebbe una portata culturale straordinaria che travalicò i confini geografici dell’isola. Basta solo pensare che la scuola poetica siciliana ha creato il sonetto che è diventato il componimento lirico breve per eccellenza della poesia italiana. Leggendo le incisioni sul bassorilievo troviamo ancora una frase che racchiude l’importanza della città di Palermo nella storia della lingua dello stivale: ”Da questa antica reggia grazie all’illuminato genio di Federico II volarono i primi canti in volgare italiano”.

Il bassorilievo è stato scolpito nel 1950, a settecento anni dalla nascita della scuola poetica siciliana;  a questo proposito, lo scultore ha scolpito anche due piccoli cerchi all’interno dei quali rispettivamente si legge «Ai poeti del 1250» «I poeti del 1950». Quello era il periodo in cui il parlamento regionale siciliano veniva costituito (1946) e iniziava i lavori (1948); eppure i padri della Regione siciliana quando si decise di scolpire una targa non pensarono di promuovere le imprese di qualche personaggio appartenente alla storia politica dell’isola, ma scelsero di celebrare un evento culturale che sta a fondamento non solo della storia della Sicilia, ma di tutta quanta la storia dell’Italia.

Oltre i fornelli e le scrivanie

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Lo scorso 10 giugno abbiamo partecipato all’inaugurazione della mostra “Oltre i fornelli e le scrivanie” presso l’Istituto Italiano di Cultura. Evento organizzato grazie alla disponibilità di un gruppo di italiani che si ritrova unito sotto la stessa musa, esplorando diverse tecniche di realizzazione delle opere ed esprimendo in modo creativo la loro voglia di andare oltre il quotidiano e la routine.

 

Adriana Calovini, pittura

Andrea Rassler, ceramica

Anna Maria Sacchini, ricamo

Anna Maria Schifano, pittura

Antonio Saccone, pittura

Elisabetta d’Ettorre, ceramica

Stefania Paglia, ricamo

Patrizia Pezzolato, pittura e patchwork

Eleonora Saccone, disegno e ceramica

Tymon Nowosielski, fotografia

Giulio Melone, poesia

Patrizia Fagiani, fotografia

FOTO!

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Niko il bambino moldavo

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Inizio a preoccuparmi avvicinandomi alla mezz’età del fatto che sento di dare un senso alla mia vita nel momento in cui intraprendo la decisione di compiere un viaggio. Chi ha avuto la pazienza di leggere i miei precedenti articoli , saprà che mi riferisco a questa sfida con me stesso dove mi sono prefisso di visitare almeno 100 stati sovrani prima di passare a migliore vita. Organizzare la logistica di un viaggio è diventato per me una vera e propria passione e affino le mie tecniche di volta in volta.

Un viaggio in moto esige un’ulteriore cura al dettaglio e alla prevenzione degli imprevisti. La decisione di visitare la Moldavia e parte dell’Ucraina presentava già dall’inizio un problema non da poco. La mia assicurazione casco, copre tutti i paesi dell’Europa tranne la Moldavia e l’Ucraina! Ho deciso di rischiare lo stesso integrando la  mia polizza con una polizza della Europe Assistance (usando quella italiana). É bene prevedere lo scenario più nero; si sa… prevenire è meglio che curare!

La  Moldavia è uno dei paesi più poveri del vecchio continente. Una ex repubblica sovietica senza sbocchi sul Mar Nero, con una popolazione emigrata in gran parte in Italia e in Germania. Già le prime ricerche sul web, rivelavano dati poco confortanti su questo paese. La mia proverbiale testardaggine fa si che, presa la decisione, non si torna indietro.

Dopo aver appurato nella loro sede consolare di Varsavia semi deserta VOTO 4,  che non servono nè patente internazionale (chi me lo ha fatto fare a perdere tempo e denaro per un documento valido un anno?) nè traduzioni dei documenti della moto, io e Michele Failla, amico fraterno, decidiamo il fatidico giorno della partenza.

La prima tappa da Varsavia a Leopoli presenta come unica incognita la frontiera polacco-ucraina. Il meteo ci sorride e arriviamo al punto x freschi come le rose. Ma come nei film di Fantozzi, la nuvoletta dell’impiegato, ci propina una mostruosa coda di svariati chilometri! Che fare? Uno sguardo di intesa basta per prendere la decisione di sorpassare la coda di oltre 5 km e con le facce di bronzo ci presentiamo in “pole position” e ci ritroviamo con un povero cittadino ucraino che in macchina ci dice di aver fatto oltre 6 ore di coda! VOTO 3

Leopoli, visitata già per Gazzetta Italia prima di euro 2012, è sempre bella, musicale, densa di iniziative culturali, e con una classe derivatagli dai secoli di storia. VOTO 8 con raccomandazione di visitarla.

Le strade che portano da Leopoli a Chisinau, capitale della Moldavia, ricordano vagamente quelle di un rally per auto fuoristrada. Le buche sono spesso voragini, in moto si sa, l’equilibrio può anche essere precario, e trovarsi una buca in uscita da una curva con aggiunta di ghiaia e olio seminato dai camion/carretta che circolano è stata un’emozione che avrei preferito non provare! Voto all’anas locale 1.

Arrivati al fatidico cartello Chisinau urlo con tutta la mia forza dentro il casco per la gioia. Dedico subito questa mini conquista al mio caro zio scomparso in un incidente poco tempo fa e sento la sua presenza che mi dà una pacca sulla spalla! In fondo è stato lui ad insegnarmi a guidare all’età di 12 anni nelle sue terre agricole, fuori dai contesti stradali. R.I.P zio Vincenzo.

A Chisinau iniziamo a girare nelle vie del centro che appaiono molto dignitose e larghe come quelle di Varsavia. Ci imbattiamo anche in una protesta nei confronti del sindaco della città durante un suo comizio. La sera è il momento che rivela in tutto il suo squallore lo stato in cui versa il paese. Le strade principali sono scarsamente illuminate, e si ha una inquietante sensazione di mancanza di sicurezza. Come se non bastasse ad un certo punto da un tombino escono una miriade di scarafaggi proprio sotto i miei piedi! Voto 2 .  Proviamo la mamaliga, corrispettivo della polenta ma il nostro palato non rimane estasiato. Visitiamo la più vasta collezione di vini del di Milesti Mici a pochi passi da Chisinau. I vini sono custoditi in oltre 200 km di gallerie sotterranee scavate nel calcare (parecchio tempo prima vi era il mare). Voto 7

Cerchiamo di capire il loro modo di ragionare ma non sempre si dimostrano aperti e cordiali. In un centro commerciale deserto anche il sabato, parliamo con il cuoco di una pizzeria che ci dice che il paese non dando prospettive per il futuro è rimasto vuoto e privo della forza lavoro. La gente guadagna 150 euro al mese e non riesce a tirare avanti.

Durante la ricerca pre partenza avevo scoperto una storia sconcertante di bambini moldavi abbandonati dalle mamme che andavano a lavorare come badanti in Italia. Contatto subito don Sergio, responsabile della struttura salesiana Mamma Margherita a Chisinau. Arriviamo in taxi in questa zona periferica della città e troviamo i bambini che giocano a pallone nel cortile. Dopo un po’ ci viene incontro don Sergio insieme a don Livio e  un prete salesiano polacco. Don Sergio parla in maniera pacata con un piacevole accento padovano. C’e’ molto da fare lì e qualsiasi iniziativa privata ma anche di donazione di aziende è ben vista. Dentro di me sento una frustrazione che fa apparire tutte le mie priorità banali rispetto al bisogno di affetto e non solo che hanno questi bambini. Visito la struttura con Niko, un bambino stupendo, con degli occhi che sorridono, un sorriso disarmante. Quando mi prende la mano per portarmi in giro mi sciolgo totalmente. Non dormirò le seguenti notti sogni tranquilli pensando a quella  dolce creatura abbandonata da genitori a volte scriteriati a volte mossi dalla disperazione. Penso a quelle centinaia  di coppie italiane che non possono avere figli e che sognano un’adozione. Questo mondo è pieno di contraddizioni ma mi riprometto di organizzare per Natale un’azione umanitaria per portare a questi bambini l’aiuto delle aziende italiane che qui in Polonia producono milioni di euro di profitti.

Il resto del viaggio continua a sud direzione Odessa evitando accuratamente la Transistria teatro di conflitti e problemi burocratici e molto ostile verso gli stranieri.

Odessa è una città che consiglio a tutti! A parte le scalinate di fantozzziana memoria, il posto ricorda un concentrato tra Riccione, Jesolo e all’Ibiza club sembra di scorgere il Briatore con donne da sooognooo. Pieno di giovani , ragazze statuarie e soprattutto il mare, anche se nero.

Ci aspettano oltre 1300km di  strada per fare ritorno a Varsavia. Li dividiamo in 2 tappe e ci fermiamo a Rivne. Poco lontano da lì, visitiamo un famoso tunnel dell’amore che ha ispirato registi asiatici per i loro film. Si tratta di una ferrovia dismessa dove si è creato un arco di vegetazione verde che da appunto l’impressione di un tunnel. Voto 8 anzi 7 perché le zanzare mi hanno letteralmente assaltato.

Nella mia scala di giudizio la Moldavia è al penultimo posto di gradimento davanti solo al Belize e non la consiglio con tutta sincerità.

Continuo ad inseguire i miei sogni di viaggi  e vi racconterò le highlands scozzesi a Settembre….. se Dio vuole.

 

La crisi oscura l’eccellenza italiana nel fotovoltaico

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Edoardo Zarghetta

C’è un paese che fa meglio della Germania in Europa? L’Italia nel settore della generazione fotovoltaica. In Italia più che altrove, l’elettricità generata dalle fonti rinnovabili è realmente competitiva rispetto alle fonti fossili come dimostra il rapporto mensile di Terna, l’operatore della rete elettrica nazionale. Nel mese di aprile 2013 la produzione netta di elettricità da fonti rinnovabili in Italia ha coperto il 35,6% della domanda totale. Nel solare in particolare, a fine 2012 funzionavano in Italia 478.331 impianti fotovoltaici, per una potenza installata di 16.420 MW e 18.862 GWh di energia prodotta nell’anno. Ad aver fatto meglio di noi è solo la Germania, dove con circa 32 GW la potenza installata. Le regioni con maggiore potenza installata in ordine decrescente sono: Puglia, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte, Lazio, Sicilia e Marche. Un sito interessante al riguardo è il “contatore fotovoltaico” che misura in tempo reale il numero di installazioni e potenza http://atlasole.gse.it/atlasole/

Qual’è il futuro per il settore fotovoltaico in Italia? Entro il 2016 è attesa in Italia la svolta secondo cui l’energia generata dal fotovoltaico dovrebbe diventare più economica della corrente elettrica distribuita dalla rete. E poi? è possibile prevedere l’ulteriore crescita? Secondo alcuni studi per coprire il consumo energetico elettrico italiano sarebbero necessari 1861 chilometri quadrati di pannelli solari pari allo 0,62% dell’intero territorio nazionale (supponendo un efficienza del 17,1% e 8 metri quadri kWp). Una delle questioni che riguardano un possibile utilizzo su così vasta scala dell’energia fotovoltaica è relativa alla produzione di grandi quantità di moduli fotovoltaici, che comporterebbe la necessità di reperire materiali rari e il dover lavorare, in fase di fabbricazione, anche grossi quantitativi di sostanze tossiche. Ma anche altre tecnologie rinnovabili pongono dei quesiti ambientali quando vengono analizzate nel loro “ciclo vitale completo”. Basti pensare alla critica avanzata da diversi fronti alle turbine eoliche, che sono costruite in acciaio e per quali è necessario realizzare enormi basi in cemento armato per la loro installazione. Vari studi hanno rilevato che sarebbe necessario far operare le turbine per diversi mesi per recuperare le emissioni di CO2 rilasciate nell’atmosfera nelle fasi di costruzione e installazione delle turbine stesse. La verità resta che le fonti rinnovabili offrono tra le più basse emissioni per kWh nel panorama energetico globale; ed in ogni caso il fotovoltaico si dimostra centrale nella politica delle energie rinnovabili in Europa, come dimostrano anche i recenti dazi anti-dumping imposti alla Cina sull’importazione nell’UE di pannelli fotovoltaici, celle fotovoltaiche e wafer di importazione cinesi. E gli Italiani sono all’avanguardia nel settore fotovoltaico per capacità installata. Con il persistere della crisi economico-politica, se da un lato potrebbero venir meno gli incentivi statali alle installazioni, i consumatori saranno sempre più attirati dal risparmio in bolletta poiché un impianto fotovoltaico sfruttato in maniera ottimale riesce a ridurre la bolletta elettrica di circa il 50% sui consumi annuali. Per il fotovoltaico installato in casa (o in azienda) si possono calcolare in maniera precisa la quantità di risparmio giornaliero, mensile o annuale ottenibile grazie all’autoconsumo immediato e grazie alla vendita del surplus alla rete sempre più persone sono in grado di valutare l’investimento per l’installazione prima di procedere. Ciò vuol dire che la contrazione dei consumi di elettricità, la crescita della capacità installata e loro maggiore efficienza, ma soprattutto la discesa dei prezzi dei pannelli, pongono l’Italia in prima fila a livello globale per il raggiungimento dell’obiettivo noto come “grid parity” ossia quando prezzo del kWh prodotto dal sistema FV uguale o inferiore a quello acquistato dalla rete.

L’Aquila ferita torna a volare a Varsavia

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In una serata organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, Città dell’Aquila ed ENIT, presso il prestigioso edificio in ul. Marsza?kowska 72 sede dell’Istituto lo scorso 17 giugno abbiamo assistito all’inaugurazione della mostra fotografica di Luca Del Monaco su L’Aquila e il suo territorio. “Selezionare trenta foto per rappresentare il nostro territorio ci sembrava impossibile ma insieme all’Assessore Lelio De Santis e agli organizzatori dell’evento, siamo riusciti ad esprimere il punto di vista di tutti noi; sia sul profilo del territorio, che in quello artistico-fotografico” dice Del Monaco.

L’Aquila e il suo territorio, Provincia d’Europa, questo il titolo dell’evento. S.E. Riccardo Guariglia, Ambasciatore d’Italia in Polonia e l’Assessore al Turismo Lelio De Santis hanno aperto la presentazione insieme a Paola Ciccolella, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia.

“Invitiamo anche i polacchi a visitare il nostro splendido territorio” annuncia l’Assessore De Santis, “vorremmo inoltre promuovere la candidatura di L’Aquila capitale europea 2019. invitando a sostenerci”.

Un fortissimo terremoto ha travolto L’Aquila alle ore 3:32 del 6 aprile 2009.

Palazzi, chiese, opere d’arte, case, posti di lavoro sono andati perduti in una notte sola. Ora L’Aquila è risorta dalle macerie e annuncia di essere pronta a stupire, infatti le fotografie esposte suggestionavano con i paesaggi, l’arte e con le specialità regionali come i confetti di Sulmona, tradizione portata avanti ininterrottamente per generazioni.

Per chi non conosce il confetto, è costituito da un’anima di mandorla intera rivestita da un sottile strato di zucchero. Oppure c’è il tartufo con oltre 30 qualità solo in Abruzzo, tra cui il pregiatissimo bianco. E ancora, lo zafferano dell’Altopiano Navelli, prodotto italiano a denominazione di origine protetta (DOP).

La fontana delle 99 cannelle, uno dei simboli della città, sono uno dei particolari catturati da Luca Del Monaco. La fontana è costituita da 93 diversi mascheroni in pietra e sei cannelle singole. Novantanove, secondo la tradizione, sono i castelli che nel XIII secolo fondarono L’Aquila.

Per non dimenticare, sono state incorniciati alcuni scatti del 2009, a ridosso del terremoto. Calcinacci, macerie, insieme a strutture intere crollate, e’ il triste ricordo di questo tragico evento.

A seguito della presentazione si è svolto il concerto dell’ensemble cameristico i Bricconcello. La soprano Patrizia Cigna, il tenore Leonardo De Lusi, il violoncellista Pierluigi Ruggiero e la pianista Lucrezia Proietti si sono esibiti con melodie di Verdi, Piatti, Liszt e Braga.

Un evento arricchito il giorno seguente con una conferenza sul turismo e l’incontro con gli operatori del settore. Una “due giorni” piena di impegno per la Città dell’Aquila a Varsavia, per rilanciare mete turistiche all’insegna della cultura e della natura, in una della più belle regioni d’Italia: L’Abruzzo.