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Home Blog Page 317

Emma Bonino a Wroc?aw: la Polonia ha un ruolo importante in Europa

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 Andrea Bandirali

Lo scorso 14 giugno il Ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, ha presenziato al Global Forum di Wroclaw, dove insieme al Ministro degli Esteri polacco Rados?aw Sikorski, all’ex Ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer, e al Presidente della RiceHadleyGates, Stephen Hadley ha partecipato al convegno dedicato a “La Strategia Globale Europea: una Prospettiva Transatlantica”. La sua partecipazione all’incontro è stata molto apprezzata ed inoltre è stata una nuova testimonianza del forte rilancio in atto dei rapporti italo-polacchi.

In poche settimane infatti tra Italia e Polonia ci sono stati due incontri importanti, in Polonia sono arrivati prima il Premier Enrico Letta e poi Lei Ministro, è un segnale di un  rafforzamento delle strategie tra i due paesi?

“Intanto non è una questione “di mille miglia” nel senso che non è che uno debba guadagnare mille miglia in voli aerei. È importante affermarlo perché”, spiega Emma Bonino “questo vuol dire che ci muoviamo per rafforzare in concreto le relazioni. Rapporti che guardano non solo ai partner storici dell’Italia. Nel caso della Polonia si tratta di rafforzare un legame con un partner più recente. Peraltro, mi diceva proprio l’ambasciatore, che è in discussione la data del vertice bilaterale Italia – Polonia, che sarà agli inizi dell’autunno. Quindi questo vuol dire semplicemente che c’è un’attenzione molto forte ed è un bene, perchè l’Europa non è solamente quella dei padri fondatori ma fortunatamente è diventata anche altro e continuerà ad innovarsi sempre di più. La Polonia è un nuovo membro importante con una grande storia alle spalle e con entusiasmi proeuropei che magari noi abbiamo un po’ perso, è un asset assolutamente fondamentale.”

Lei è sempre stata in prima linea sui temi dell’ambiente, purtroppo quando ci sono momenti di crisi viene penalizzata fortemente sempre l’ecologia, ma forse ci sono dei segnali di controtendenza? Noi, per esempio, qui in Polonia aspettiamo un nuovo Conto Energetico che arriverà e potrà anche dare respiro ad aziende italiane che possono investire in questo settore.

“Credo che l’unico modo serio di affrontare le sfide, a cominciare da quelle ambientali, sia guardare a livello globale ovvero alla più seria delle sfide: l’esplosione demografica a nove miliardi di persone. E questo però è un tabù di cui non vuole discutere nessuno. Perché è evidente che noi non possiamo pensare a nove miliardi di persone, o a due miliardi in più di poveri. Come valori umani dovremmo essere interessati al fatto che i bambini che nascono abbiano per lo meno i diritti di base alla sicurezza alimentare, all’istruzione e quindi al consumo energetico. Poi un aiuto importante può venire dalla tecnologia. Sono una grande sostenitrice dell’innovazione tecnologica e ricordo una volta ad un convegno che un collega arabo mi disse: “sa, quando è finita l’età della pietra non è perché erano finite le pietre. È perché qualcuno aveva inventato la ruota”. E penso che sia esattamente così, una tecnologia attenta alle nostre risorse, che sono limitate, può essere di grandissimo aiuto.”

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Federico Palmieri: “Io ho solo seguito il destino”

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Federico Palmieri è un nuovo talento del cinema italiano “cattivo”. Lo incontro in Parco Appia Antica a Roma, arriva direttamente dal cast di un video musicale “La calma” dei Libra. Nel video strilla, si arrabbia, è tutt’altro che calmo, racconta, ma in realtà è molto tranquillo, sorride, sembra quasi timido. Forse soltanto qualche tatuaggio ci potrebbe far pensare che è davvero un tipo duro, ma … non è così, il cattivo lo fa solo nei film, come del resto vedrete presto nel “Multiplex” (dal 27 giugno 2013 al cinema), “Et in nomine satan” (autunno 2013) e in una spettacolare e misteriosa serie basata sull’”Inferno” di Dante, The Sinners (uscita prevista per quest’estate in tv italiana).

Federico, “Multiplex”, il nuovo thriller italiano “all’americana” diretto da Stefano Calvagna, è appena uscito al cinema e tu sei la sua star. Senti i brividi sulla pelle vedendo il tuo volto su tutti i poster di tutti i cinema in Italia?

“Tecnicamente non sono la star ma anzi sono il meno conosciuto del cast! Il mio personaggio di “cattivo”  chiaramente viene messo in rilievo essendo un thriller”.

La trama di “Multiplex” è davvero terrificante. Un gruppo di ragazzi viene intrappolato in un cinema “maledetto” insieme a una guardia notturna, te, che nasconde un macabro segreto. Non è il tuo primo ruolo “da cattivo”. É difficile interpretare personaggi psicologicamente squilibrati?

“Prima mi documento sul tipo di squilibrio e poi vado di fantasia ed istinto, cerco di guardare la realtà con accortezza per poi riprodurla con la mia immaginazione. Per ciascun personaggio c’è un diverso tipo di preparazione ma non sono un fanatico di un solo metodo. Nella recitazione, preferisco la ricerca continua. Presto la mia anima al personaggio e poi il resto viene da sé”.

I lavori su quel film si sono svolti in soli 14 giorni, è una produzione molto veloce e giovane. Il cast com’era?

“Il cast è veramente di qualità, tutti giovani ma con un esperienza ed una maturità di set da veterani. Sul set c’è sempre stato un bel clima, tutti gran lavoratori e professionisti a partire dall’ottima regia di Stefano Calvagna, fino ad arrivare al direttore della fotografia, Dario Di Mella, una persona splendida al livello umano ed un talento che sicuramente troverà grossi riscontri tra i ‘grandi’”.

Come attore sei anche presente in vari video musicali, hai mai pensato di diventare un musicista?

“Tra poco uscirà il video dei Libra un talentuosissimo gruppo, col singolo “La calma”. La musica è sempre stata la mia seconda passione ma non ho mai pensato di fare il musicista perché questo ramo artistico è stato subito preso da mia sorella Shanna che, fin da quando aveva pochi anni, suonava diversi strumenti. Ora con il suo gruppo, i “COICOI”, sono in uscita con un album e un video che sta raccogliendo un numero molto importante di visualizzazioni in rete. Il video è stato girato dal mio amico David Petrucci con cui collaboro da un anno e faccio parte del cast dei suoi ultimi lavori, il film Hellis Silence, prossimamente nelle sale, e la serie Sinners, al debutto tra qualche settimana”.

Federico, se mi permetti, facciamo ora una piccola retrospezione. Non tutti lo sanno ma a fare l’attore sei tornato dopo tanti anni di pausa, perchè?

“Per dieci anni ho lavorato nell’abbigliamento, ho mosso i primi passi come commesso per poi diventare rappresentante di un importante brand di jeans e per appagare il mio bisogno di espressione artistica mi sono diplomato all’Accademia del Lusso come Fashion designer e cool hunter. Successivamente il caso ha voluto che si ripresentasse la recitazione nella mia vita, ho solo seguito il destino”.

Studi all’Accademia di Lusso, viaggi per New York o Londra, buoni guadagni… Valeva la pena lasciare tutto per far di nuovo l’attore?

“Tre anni fa durante l’estate mi arriva un messaggio della mia prima insegnante di recitazione, che non sentivo da dieci anni, con cui mi invitava a partecipare al laboratorio di recitazione tenuto da Joseph Ragno, uno dei veterani e fondatori dell’Actors Studio. Ero libero dagli impegni e pensai che non sarebbe stata una cattiva idea partecipare. Dal momento che nei laboratori degli americani si praticano diverse forme di rilassamento e di lavoro sensoriale, il mio scopo era rilassarmi per 10 giorni. Durante i giorni di laboratorio si stabilì subito un’intesa particolare con Joseph che oltre a riaccendere la mia voglia di recitare mi disse che sarebbe stata una follia non continuare a farlo… Così una volta finito il mio studio su Mare Dentro per il personaggio interpretato da Bardem, Joseph mi mise a lavorare in coppia con una ragazza su un testo molto particolare; non so dire bene cosa capitò ma mi innamorai follemente di quella ragazza, e perciò decisi di ricominciare a fare l’attore per conquistarla! Questa persona oltre a diventare l’amore della mia vita, mi ha insegnato moltissimo. Con lei in questi ultimi tre anni ho scritto uno spettacolo teatrale Luna Elettrica, che portiamo in scena ogni anno, ho anche girato tre film, fatto pubblicità, serie tv e corti ed ora ad un passo dall’ uscita nelle sale, momento di svolta per un attore, mi sento di doverle tutto. Non so ancora dirti se effettivamente ne vale la pena aver lasciato una carriera avviata per un mare di incertezze, ma più vado avanti e più mi incuriosisce vedere come andrà a finire questa storia…”.

Quello che non abbiamo ancora detto è la genetica… Per fare l’attore sei geneticamente programmato, nolens volens, da tuo padre, Gaetano Palmieri. Suppongo che non è mai stato facile essere il figlio d’arte…

“Mio padre era un regista di cinema, aveva una radio ed è morto come scultore a Los Angeles, sono un figlio d’arte mancato diciamo, perché non è mai stato con me, quindi non ho avuto pressioni ma solo mancanze…”.

E’ vero che per anni soffrivi di balbuzie?

“Sì, per venti anni ho sofferto di questo problema, col tempo ho imparato a vivere di escamotage nel parlare, ma la vera soluzione è avvenuta frequentando un laboratorio di ‘psicodizione’ creato da Chiara Comastri, la quale mi ha fornito gli strumenti per risolvere questo problema. Il mio sogno sarebbe creare una compagnia di attori balbuzienti e farli andare in scena senza più nessun problema!”

Lo scorso mese di giugno è stato un momento importante e fortunato nella tua vita. Dove possiamo vederti prossimamente?

“La seconda settimana di giugno è uscito Multiplex, nel frattempo è in uscita una serie, The Sinners di David Petrucci che mi vede tra i protagonisti ed in autunno uscirà nelle sale In nomine satan, film girato sulla storia delle bestie di satana, la famigerata setta di Somma Lombardo. Io interpreto Andrea Volpe, l’esecutore dei tremendi omicidi legati alla setta. La regia è di Emanuele Cerman”.

Sukces pizzy w Polsce

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Julia Szawlowska

Jeszcze dwadzieścia lat temu przeciętny Polak nie słyszał o pizzy ani o innych włoskich przysmakach. Kiedy w połowie lat 90. zaczęły powstawać pierwsze pizzerie, to chyba nikt nie przypuszczał, jak wielki sukces osiągną. Włoskie restauracje z prostą, ale za to przepyszną kuchnią, idealnie wstrzeliły się w lukę w polskiej gastronomii. Wcześniej do wyboru były albo drogie i nieosiągalne dla przeciętnych ludzi restauracje, albo proste bary mleczne. Pizzerie zapewniły smaczne i zdrowe jedzenie na dobrym poziomie i w przystępnej cenie.

O ile sukces kuchni włoskiej w dużych miastach nie dziwi aż tak bardzo, to należy odnotować fakt, że nawet w małych miasteczkach na prowincji, jeśli funkcjonuje jakaś restauracja, prawie zawsze jest to restauracja włoska. Polacy, zazwyczaj niechętni do poznawania nowych smaków, wykorzystują włoskie pomysły nawet w swoich domach. Spaghetti, pizza czy lasagna często zastępują tradycyjny obiad.

Oczywiście w Polsce są również restauracje promujące kuchnię z całego świata, od Indii po Meksyk, ale to właśnie Włosi wybijają się na pierwszy plan. Można więc zapytać – dlaczego pizza i makarony w tak dużym stopniu zawładnęły sercami Polaków? Odpowiedź jest bardzo prosta: „Jest szybko, pysznie, zdrowo i na każdą kieszeń”.

Il sentiero dei Nidi d’Aquila: tra storia, natura e folklore

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Alessandro Matera

Il cosiddetto “sentiero dei Nidi d’Aquila” è un percorso lungo circa 164 Km che parte dalla città di Czestochowa, situata a 200 km a sud-ovest di Varsavia, e giunge fino alla città di Cracovia nella Polonia meridionale, coinvolgendo le regioni della Slesia e della Malopolska.

Percorribile in mountain bike o anche a piedi il sentiero conduce alla scoperta di una zona considerata la culla della cultura polacca: un’area in cui hanno trovato ospitalità i primi insediamenti umani della regione, un panorama mozzafiato costellato da antichi manieri, boschi impenetrabili, grotte dalla curiosa conformazione e rovine medievali; storia, natura e folklore si fondono a meraviglia lungo il pittoresco paesaggio che si dischiude alla vista dei visitatori.

I numerosi castelli, o le affascinanti rovine che rimangono di essi, si affacciano sul territorio circostante dall’alto delle colline su cui sorgono, proprio dalla loro posizione dominante fu coniato il nome polacco “Orle Gniazda”, tradotto in italiano con “Nidi d’Aquila”.

La storia di queste roccaforti inizia poco dopo l’anno mille, quando, per difendere i propri traffici commerciali dai pericoli esterni, i Piasti, dinastia di re e duchi che hanno governato il Regno di Polonia dai primordi quasi mitici fino al 1370, ordinarono la costruzione di diverse strutture in legno che fungevano da mura di difesa.

L’ultimo re di questa dinastia fu Casimiro III detto “il Grande”, l’unico re di Polonia a cui è stato attribuito tale appellativo e sui cui grandi meriti gli storici concordano decisamente. In effetti egli trascinò fuori la Polonia da una fase estremamente complicata: il sistema economico era in rovina, il Paese si era fortemente spopolato ed era stremato da un lungo periodo di guerre. Sotto la sua guida la situazione era migliorata del tutto, l’estensione del regno era quasi raddoppiata, iniziava un periodo di crescita prosperosa, cresceva la ricchezza e si intravedevano prospettive molto incoraggianti per il futuro.

All’intraprendenza di questo grande re si deve, in parte, la sostituzione delle mura di legno con le possenti fortificazioni in pietra insieme alla costruzione di imponenti castelli dei quali rimangono le maestose testimonianze visibili lungo il sentiero dei nidi d’aquila, a volte sotto forma di affascinanti rovine che rievocano alla mente gli echi di un epoca lontana e misteriosa, a volte nella loro interezza sopravvissuti al trascorrere dei secoli, oppure sapientemente ricostruiti e riportati al loro antico splendore.

Di tali meraviglie si può godere lungo il percorso sin dal suo punto di partenza: la città di  Czestochowa, famosa destinazione turistica, meta di pellegrinaggio da parte di numerosi fedeli che si recano ogni anno al Monastero di Jasna Gora, per prostrarsi in preghiera dinanzi al celebre dipinto della “Madonna Nera” conservato al suo interno.

Da Czestochowa in avanti i visitatori rimangono colpiti dalla forma particolare e inusuale  dell’allora inespugnabile Castello di Checiny a Kielce, o dalla sorprendente grotta naturale profonda quasi cento metri e dalle rovine di un castello medievale, luoghi di grande fascino entrambi custoditi nell’incantevole Riserva di Ostreznik.

Per maestosità e grandezza si distinguono invece le vestigia del castello di Ogrodzieniec, che con la sua enorme mole domina l’altopiano dello Jura. Qui, ogni anno, i turisti possono assistere a pittoresche rappresentazioni di tornei cavallereschi, grazie alle quali rivive l’atmosfera medievale che permeava questi luoghi nel periodo del loro massimo splendore.

Non meno affascinante è il castello di Pieskowa Skala, oggi completamente ristrutturato, situato su una collina nel bel mezzo del Parco Nazionale di Ojcow, anche se la visita più appagante è proprio quella finale, nella città di Cracovia: principale centro culturale, artistico e universitario della Polonia, ricca di monumenti, musei ed edifici storici. Delle sue origini una leggenda narra che fosse stata fondata dal mitologico sovrano Krakus, che l’avrebbe costruita sopra una caverna occupata da un drago. Cracovia è l’ultima sosta, ma non in ordine di importanza, di un percorso immerso nella natura, tra maestosi castelli e rovine che rievocano antiche storie e costumi appartenenti a molti secoli fa; un viaggio nel passato alla scoperta di luoghi misteriosi, alcuni ancora in uso, altri abbandonati, ma che ancora oggi, a distanza di centinaia di anni, destano un profondo stupore.

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Il Redentore, la festa più amata dai veneziani

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Nel ricchissimo calendario veneziano di feste popolari, consolidate nei secoli tra ricorrenze sacre e profane, ce n’è una che almeno una volta nella vita tutti dovrebbero provare: la Festa del Redentore. Centomila persone, migliaia di barche a gremire il Bacino di San Marco, quaranta minuti di fuochi d’artificio, sono i numeri di una straordinaria serata veneziana in cui i più fortunati assaporano cibi tradizionali, come “l’anatra arrosto” o le “sarde in saor”, mangiati in barca o serviti su lunghissime tavolate preparate dai veneziani nei campi e lungo le rive. E perfino in questi anni di massicce invasioni turistiche della città, che in parte spogliano dell’anima autentica gli eventi lagunari, la Festa del Redentore rimane invece un baluardo di venezianità, un momento vissuto con protagonismo dal popolo serenissimo. Il Redentore si celebra ogni anno il terzo weekend di luglio, quest’anno la sera del 20 luglio ci saranno i fuochi d’artificio ed il 21 le regate di voga alla veneta. Una due giorni in cui ci si riappropria di una venezianità verace che si è invece diluita in molte altre feste veneziane oltreché purtroppo nella quotidianità di una città che fatica a trattenere residenti e attività tradizionali. Ma diamo qualche cenno storico sulla festa. Il Redentore è una manifestazione popolare che mescola, come spesso avviene nelle celebrazioni a Venezia, sacro e profano. Una festa amata dai veneziani che ancora oggi vivono “la notte famosissima dei foghi” come un appuntamento liberatorio in ricordo di quel lontano 1577 in cui Venezia uscì da una delle più gravi epidemie di peste che si ricordino. La leggenda narra come il morbo sia stato diffuso da topi (a loro volta infettati dalle pulci) scaricati nei magazzini veneziani insieme alle merci che le galere veneziane portavano dall’Oriente. E proprio in quei tempi i gatti, predatori di topi, diventarono degli animali quasi sacri per i veneziani tanto da essere addirittura importati in gran numero dalla Siria (gatti soriani) perché contribuissero a combattere il flagello. Oggi invece perfino i gatti randagi sono rarissimi in città… Ma nella tradizione veneziana si ricordano naturalmente le devozioni pubbliche al Cristo Redentore nonché il voto solenne fatto dal Doge in nome della città, di erigere un tempio magnifico qualora la Serenissima fosse scampata al totale annientamento della popolazione che tali epidemie minacciavano. Si pensi che quella famosa epidemia di peste del 1577 si portò via oltre 50.000 abitanti, tra cui anche il grande pittore Tiziano Vecellio. Scemata la peste la Serenissima volle mantenere il voto fatto dal Doge, commissionando ad Andrea Palladio la progettazione di una maestosa chiesa alla Giudecca. Posta la prima pietra del grande tempio, si costruì provvisoriamente, nella 3^ domenica di luglio, una chiesetta in legno e quindi venne gettata una lunghissima passerella galleggiante su centinaia di chiatte per unire l´isola della Giudecca a Piazza S. Marco. Da qui, in segno di gratitudine, sfilarono in processione verso il tabernacolo il Doge Sebastiano Venier alla testa delle Scuole d´Arti e Mestieri, delle Confraternite Religiose e del popolo. La chiesa definitiva fu sollecitamente portata a termine e da quattro secoli, quindi, le proporzioni classiche della chiesa del Redentore ricordano ai veneziani e agli ospiti della città il terribile dramma occorso all´allora Dominante. Una tradizione arrivata fino ai giorni nostri compreso il ponte galleggiante che oggi nel weekend del Redentore unisce la riva delle Zattere alla Giudecca. La “notte famosissima”, tra il terzo sabato di luglio e la domenica, calamita migliaia di veneziani e foresti in un Bacino S. Marco brulicante di barche ricolme di persone e piatti tipici. Fin dalla mattina del sabato dei “foghi” alcuni veneziani, quelli che solitamente s´incaricano dell´organizzazione, iniziano a preparare la cena del Redentore. C´è chi cucina per decine di commensali, chi cerca già il posto barca migliore in Bacino S. Marco e chi appende i palloncini colorati alla barca, all´altana (la famosa terrazza in legno che si può ammirare sui tetti di molte case veneziane) o alla terrazza da dove poi con gli amici si guarderanno i “foghi”. Alle 23.30 il via ai fuochi d´artificio, che illuminano di colori palazzi e acqua, nel palcoscenico più bello che l´uomo abbia mai realizzato. Come tutte le feste popolari, anche quella del Redentore si è arricchita nei secoli di manifestazioni collaterali: oltre allo spettacolo del sabato, la tradizione prevede la festa con le bancarelle e la pesca al patronato della chiesa del Redentore e le regate alla veneta che si svolgono la domenica nel canale della Giudecca che così, almeno per un giorno, non è sferzato dal moto ondoso creato dai mezzi a motore.

Il programma

SABATO 20 LUGLIO 2013

Ore 19.00 Apertura del ponte votivo che collega le Zattere con la Chiesa del Redentore all’isola della Giudecca.

Ore 23.30 Spettacolo pirotecnico in Bacino di San Marco

DOMENICA 21 LUGLIO 2013, nel pomeriggio

Regate del Redentore – canale della Giudecca:

Regata dei giovanissimi su pupparini a 2 remi

Regata su pupparini a 2 remi

Regata su gondole a 2 remi

Santa Messa Votiva presso la Chiesa del Redentore all’isola della Giudecca

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Il Palio di Siena

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Lucia Morgantetti

Luca Betti

 Se Siena può sembrare una città enigmatica ai non senesi, il Palio conferma l’unicità e la fuga dagli stereotipi di questa terra e della sua gente con tutto il suo fascino e le sue contraddizioni. Persino il grande poeta Mario Luzi, scomparso da qualche anno, definiva il Palio come “una sacra epilessia inintelligibile ai senesi stessi, pur essendo la quintessenza della senesità”

Cosa è davvero il Palio, che a un primo sguardo superficiale può sembrare solo una corsa di cavalli, anche se in una cornice particolare?

Affondando le mani nel mito troviamo come Siena stessa sia figlia di un Palio: la corsa di Aschio e Senio – fuggiti da Roma su due cavalli, uno bianco e uno nero – altro non è che un palio ante litteram. Ma abbandonando la bellezza del mito e addentrandoci nella storia inquadriamo il Palio come il momento culminante dei festeggiamenti dedicati a Maria Assunta, il 15 agosto, che vedeva i cavalli giungere di fronte alla Cattedrale dopo una corsa, senza fantini, lungo le vie della città. Nel Seicento la festa viene codificata, assume l’aspetto attuale e il suo svolgimento è circoscritto nella splendida cornice della Piazza del Campo: da allora sostanzialmente nulla è cambiato. Le diciassette contrade, una sorta di istituzioni autonome in cui è suddivisa la città, prendono parte alla Festa rispettando regole e riti ben definiti. Persino i confini tra le contrade, motivo di frequenti litigi e spesso all’origine delle attuali rivalità, furono stabili con bando della sovrana Beatrice Violante di Baviera nel 1729.

Ogni contrada ha un suo “parlamento”, l’assemblea generale che elegge il “governo”, con a capo un Priore: questo ne gestisce ogni aspetto durante l’anno, coadiuvato da uno staff di persone che, come in un vero governo, hanno precisi incarichi. Con esclusione della gestione della corsa del Palio, che è affidata direttamente dall’assemblea della contrada a un Capitano e a due “tenenti” o “mangini” che lo affiancano nel difficile compito di definire le strategie per conseguire la vittoria o per determinare la sconfitta della contrada avversaria. Qui le differenze tra Siena e la società sono marcate: le cariche sono elettive, durano in genere due anni (possono esserci differenze tra contrada e contrada), ma sono assolutamente gratuite. Anzi, visto che la contrada si sostiene con le donazioni volontarie di chi ne fa parte (i “protettori”, che pagano una quota annuale) spesso chi ha incarichi di prestigio contribuisce con cifre maggiori rispetto ai semplici contradaioli.

Le Contrade come le conosciamo oggi sono rimaste immutate dal 1729. Precedentemente erano molte di più ma da quell’anno la Governatrice Violante Beatrice di Baviera sancì con un “Bando sui confini” l’attuale suddivisione della città all’interno delle mura. Siena è oggi suddivisa in 17 Contrade che corrispondono a 17 territori della città. I nomi delle Contrade sono: Aquila, Bruco, Chiocciola, Civetta, Drago, Giraffa, Istrice, Leocorno, Lupa, Nicchio, Oca, Onda, Pantera, Selva, Tartuca, Torre, Valdimontone.

Ogni Contrada è contraddistinta dai propri colori. Le insegne delle Contrade non furono sempre come quelle che oggi conosciamo. I più importanti cambiamenti, specialmente nel colore della bandiere, avvennero dal secolo XVI al secolo XVIII. Poi si stabilizzarono. I colori subirono modifiche a causa dei moti politici e delle denominazioni delle diverse epoche, oppure a seconda del sentimento d’orgoglio e del capriccio delle Contrade. Qualche esempio? L’Onda aveva la bandiera bianca e nera, ma nel 1713, in occasione di una solenne riappacificazione con la rivale Torre, decise di cambiare il nero con il colore del mare. La Tartuca nel 1847 aveva un’insegna gialla e nera, ma la cambiò in gialla e bianca (i colori del Vaticano) sull’ondata degli entusiasmi per le riforme concesse da Pio IX; due anni dopo, delusa dal Papa, tornò alle tinte originali. Infine, nel 1858 mutò il nero con il turchino, perché i senesi in Piazza fischiavano la sua comparsa, in quanto il giallo e il nero erano i colori dell’Impero. L’Oca nel 1546 aveva un’insegna tutta verde. Nel 1702 fece la bandiera tricolore; ma, per gli eventi politici seguiti alla Rivoluzione Francese, nel 1799 dovette togliere il rosso, che rimise diversi anni dopo. Più famoso è il cambiamento che fu imposto all’Oca dal 1849 al 1859 per ordine di Leopoldo II di Lorena: la Contrada dovette cambiare il rosso con il rosa, perché la sua bandiera era troppo “patriottica”.

Nel 1947 un gruppo di senesi ha fondato il Comitato Amici del Palio con la finalità di mettersi a supporto del Palio da innumerevoli punti vista che vanno dal miglioramento di alcuni aspetti della festa fino alla sua divulgazione.

Nel 1981, poi, si è sentito il bisogno di dare vita ad un organismo come il Consorzio per la Tutela del Palio che controllasse, senza fini speculativi, l’immagine del Palio in Italia e nel mondo.

Il Palio di Siena si corre il 2 luglio e il 16 agosto. La corsa del Palio consiste in 3 giri di Piazza del Campo, su di una pista in tufo tracciata all’interno dell’anello sovrastante la conchiglia. È importante sapere che, ad ogni Palio, corrono solo dieci delle diciassette Contrade, con un meccanismo di sorteggio che avviene almeno venti giorni prima. Corrono di “diritto” le sette Contrade che non hanno corso il Palio dell’anno precedente nella stessa data; le altre tre vengono sorteggiate tra le dieci che invece vi avevano partecipato. Si comincia dalla Mossa, formata dai canapi – due grosse funi – all’interno dei quali si dispongono 9 contrade in un ordine stabilito da un sorteggio. La decima contrada, entrando al galoppo, e per questo la decima posizione viene definita “rincorsa”, determina la partenza. Ottiene la vittoria la contrada il cui cavallo, anche senza fantino, arriva primo al termine dei 3 giri. Anche se la corsa  dura solo poco più di un minuto la Festa vera e propria si snoda in quattro giorni intensi, ricchi di vari appuntamenti, la cui preparazione dura tutto l’anno.

Il premio per la vittoria è un drappellone di seta dipinta. In origine il “pallium “ era il drappo di stoffa preziosa, adornato di preziosi pelli di vaio (una sorta di scoiattolo) che nel medioevo costituiva il premio per la corsa. Poi, con la regolamentazione della Festa, a fianco del drappo di stoffa che le contrade usavano per addobbare gli altari della propria chiesa, ma che talvolta vendevano come un qualunque oggetto di valore, viene dato un drappo dipinto. Il più antico è conservato dalla contrada dell’Aquila ed è del 1719. Questo drappo a partire dalla fine dell’Ottocento presenta alcuni elementi essenziali ben determinati: in alto la Madonna, al centro un motivo allegorico, che spesso fa riferimento all’evento a cui viene dedicato il Palio stesso, e gli emblemi delle contrade che prendono parte alla corsa.

Inizialmente il drappellone, detto anche affettuosamente “cencio”, dai contradaioli, era un semplice stendardo processionale, con gli elementi decorativi ridotti ai minimi termini. Assume in seguito caratteristiche di dipinto vero e proprio quando la commissione viene affidata – siamo nell’ultimo ventennio dell’Ottocento – ai puristi senesi. Lentamente, come uno specchio del tempo, inizia a riflettere i gusti estetici e diviene inizialmente di gusto liberty, per poi confrontarsi con le tematiche sociali, patriottiche, civiche nel dopoguerra fino a mostrarci una enorme luna applicata su serigrafia nel palio del 1969, dedicato appunto alla conquista del nostro satellite da parte dell’uomo. È questo un palio di profonda cesura. Successivamente, con una forte accelerazione, il cencio diviene opera d’arte contemporanea, ed è spesso affidato a artisti di fama internazionale tra cui Guttuso, Folon, Mitoraj, Botero.

Ma a Siena, quando si tratta di vincere il Palio, non conta come è dipinto e da chi è dipinto. Un modo di dire frequente è “anche bianco, ma daccelo!”

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HANNA SUCHOCKA ŻEGNA SIĘ Z WATYKANEM

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Hanna Suchocka była pierwszą w historii kobietą sprawującą urząd premiera RP. To za jej kadencji został podpisany w 1993 roku konkordat regulujący stosunki Polski ze Stolicą Apostolską.

W Watykanie przywitał ją Jan Paweł II – na jego ręce złożyła listy uwierzytelniające. Było to 3 grudnia 2001 roku. Reprezentowała Polskę w czasie trzech pontyfikatów. Była tu w momencie śmierci papieża Polaka, wyboru jego kolejnych następców oraz jego beatyfikacji.

Spośród działalności Hanny Suchockiej na szczególne wyróżnienie zasługują prace podejmowane przez nią od 1994 roku w Papieskiej Akademii Nauk Społecznych oraz towarzyszenie Janowi Pawłowi II w sierpniu 2002 roku podczas jego ostatniej pielgrzymki do Polski. W maju 2006 roku udała się do Polski z Benedyktem XVI.

We Włoszech głośny stał się list protestacyjny, jaki Hanna Suchocka skierowała do redakcji dziennika “La Repubblica”, w którym opublikowano artykuł “Sieroty Wojtyły, polski dwór żegna się z Rzymem”. Autor artykułu pisząc o polskich współpracownikach Jana Pawła II wyraził opinię, że Benedykt XVI będzie się ich stopniowo pozbywał. W reakcji na ten tekst ambasador stwierdziła, że wyraźnym zamiarem tej publikacji jest postawienie w złym świetle polskiego środowiska kapłanów pracujących w Rzymie.

Ambasador RP organizowała także spotkania o charakterze politycznym, na przykład debatę przewodniczących Polsko-Rosyjskiej Grupy do spraw Trudnych Adama D. Rotfelda i Anatolija Torkunowa w październiku 2011 roku w Rzymie. Obaj przewodniczący mówili o wzajemnych kontrowersjach wokół zbrodni katyńskiej i różnych spojrzeniach na przyczyny katastrofy smoleńskiej. Rok później uczestniczyła w międzynarodowym sympozjum na temat pedofilii wśród duchowieństwa zorganizowanego z udziałem biskupów ze 110 krajowych konferencji episkopatów oraz przełożonych 30 zakonów na Papieskim Uniwersytecie Gregoriańskim w Rzymie.

Ambasador Suchocka zasłużyła się nie tylko na polu dyplomatycznym. W sposób szczególny leżała jej na sercu promocja polskości. Zaowocowało to wieloma koncertami i innymi wydarzeniami kulturalnymi. Zorganizowała recital chopinowski pianisty Piotra Palecznego w Rzymie. Zaprosiła również górali, którzy w rzymskim Teatrze Capranica wystawili operę o wizytach Jana Pawła II na Podhalu.

Po śmierci polskiego papieża i w oczekiwaniu na włączenie go do grona błogosławionych, kierowana przez nią placówka zorganizowała wiele upamiętniających go uroczystości. W salonach ambasady niedaleko placu Weneckiego z jej inicjatywy prezentowano prace polskich artystów inspirowane nauczaniem Jana Pawła II. Hanna Suchocka, ceniąc również kulturę włoską, objęła mecenatem koncert młodego pianisty Francesco Pianicciego, który skomponował utwory na podstawie wydarzeń z życia Jana Pawła II.

O swojej misji w Watykanie Hanna Suchocka mówi, że próbowała nadać stosunkowo młodej, bo istniejącej od 1989 roku, ambasadzie rozmach oraz że w dużej mierze udało jej się sprostać temu wyzwaniu.

Podczas audiencji pożegnalnej 10 czerwca papież Franciszek dziękował Hannie Suchockiej za jej liczne działania i zaangażowanie na forum dyplomatycznym. Po audiencji polska ambasador podkreślała m.in. ogromną serdeczność Ojca Świętego, któremu przekazała swoją książkę “Rzymskie pasje” mówiąc, że jest w niej zawarta jej miłość do kościołów rzymskich.Swój urząd pełnić będzie do 30 czerwca 2013 roku. Pozostanie jednak w kontakcie ze Stolicą Apostolską, nadal będąc członkiem Papieskiej Akademii Nauk Społecznych. Następcą Hanny Suchockiej na stanowisku ambasadora RP będzie Piotr Nowina Konopka.

 

Dall’autostop al carpooling, avventura o pericolo?

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Magdalena Radziszewska

Finalmente è arrivata, lungamente attesa da tutti, l’estate! Strade immerse nella luce del sole, il cielo azzurro e la bava del vento fanno venir voglia di vivere e…viaggiare. L’estate è la stagione in cui normalmente viaggiamo di più. In montagna o al mare, in un paese esotico o in qualche lago non lontano dalla città, non importa dove. L’importante è la possibilità di staccare dalla vita quotidiana, dimenticando i problemi quotidiani e cambiando ambiente. Come ha scritto il poeta Kazimierz Wierzy?ski “Solo il mondo visto viaggiando vale qualcosa” (Tylko ?wiat przew?drowany jest co? wart). I viaggi istruiscono l’uomo, ampiano i suoi orizzonti e gli fanno vedere il mondo in un altro modo, si capisce tutto più chiaramente di quello che ci circonda. Per qualcuno viaggiare significa soprattutto conoscere altri popoli con le loro diverse abitudini, modo di vivere e cultura. Sono proprio i contatti con altre realtà a cambiare la nostra concezione del mondo, mentre noi stessi diventiamo molto più ricchi d’esperienza.

Ma ognuno ha il suo modo di viaggiare. Tutto dipende dalle nostre propensioni e dal carattere del viaggio che vogliamo compiere. Si dice anche che spesso a fare di un viaggio un’avventura indimenticabile possa contribuire la scelta di farlo in…autostop. Un modo di spostarsi vecchio come il mondo, da alcuni visto però come un sistema discutibile e pericoloso. Qual’è la verità?

Fino a trenta, quaranta anni fa in Polonia viaggiare facendo autostop era la norma, molte persone sceglievano quel modo di muoversi viste la pessime condizioni delle strade in quel tempo. E il fatto che avere una macchina fosse un lusso unito alla rarità con cui passavano i bus interurbani stimolavano la scelta dell’autostop. I giovani si mettevano lo zaino in spalla e aspettavano sul ciglio della strada, esponendo un cartello con la destinazione desiderata, e bastava questo per trovare facilmente un passaggio. Quelli che viaggiavano facendo autostop avevano anche dei “libretti d’autostoppista”, un tipo d’assicurazione che aveva anche dei talloncini che gli autostoppisti davano agli automobilisti nelle varie tappe del viaggio, e che poi gli automobilisti mandavano al centro turistico PTTK, dove venivano sorteggiati dei premi. Era un tipo di competizione tra autostoppisti ed in più, i libretti dopo tanti anni sicuramente diventavano degli ottimi souvenir. Gli autombilisti aiutavano gli autostoppisti molto volentieri. Di solito erano persone simpatiche, affamate di avventure vacanziere. Purtroppo, molto è cambiato da quei tempi. Al giorno d’oggi, con un alto grado di delinquenza non abbiamo fiducia nella gente e l’idea di viaggiare in macchina con uno sconosciuto fa rizzare i capelli! Nonostante tutto ci sono sempre però ancora molte persone che viaggiano con l’autostop e lo considerano un’avventura molto interessante che rende i loro viaggi indimenticabili. Su internet si possono trovare dei portali per autostoppisti in cui si cercano compagni di viaggio, ci si scambiano ricordi o si danno consigli utili a chi non è ancora esperto.

Ma tutto in questo mondo si evolve, anche viaggiare facendo autostop. È nato anzi un nuovo fenomeno: il carpooling, detto anche e-autostop. E ci sono specifici portali internet che si occupano dell’organizzazione di trasporti collettivi con una viva attenzione alla tutela dell’ambiente e nell’occasione di risparmiare i soldi sia dei viaggiatori che degli automobilisti. Uno di tali portali è carpooling.com. È la più grande piattaforma in Europa che rende possibile per automobilisti e viaggiatori progettare un trasporto collettivo. Chi vuole compiere un viaggio in questo modo si registra sul portale e lì può trovare delle persone che si recano nella stessa direzione. L’idea di questa iniziativa è soprattutto limitare l’emisione del CO2 nell’atmosfera, e nello stesso tempo promuovere trasporti collettivi come confortevole maniera di viaggiare che dà la possibilità di diminuire le spese e di stringere amicizie interessanti. Il carpooling è quindi un esempio di una nuova forma di viaggiare facendo autostop. Il rischio collegato con viaggiare in questo modo è più basso, visto che non si sale in una macchina qualsiasi, con persone totalmente sconosciute, ma si viaggia con qualcuno con cui si è già stabilito un contatto online.

Il portale carpooling.com possiede già otto versioni in altrettanti paesi, tra cui la Polonia (www.carpooling.pl) e l’Italia ( www.carpooling.it). Pronti a partire?

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Cosa hanno in comune Stevie Wonder, Celine Dion e Tina Turner?

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Matteo Mazzucca

autore: Matteo Mazzucca

Speech Level Singing significa “cantare come parlare”. È una tecnica che consente di cantare in modo rilassato e naturale lungo tutta l’estensione vocale, rimanendo in perfetto equilibrio tra i registri vocali, senza dannose tensioni muscolari, senza “break” vocali.

Ho conosciuto la tecnica Speech Level Singing quando mi è capitato tra le mani un libro di canto scritto da Seth Riggs, il vocal coach più famoso negli USA.

La storia di Seth Riggs è incredibile ed affascinante: partendo da studi sul Belcanto italiano, Seth ha ideato una tecnica di canto innovativa ed eccezionale, adatta ad ogni stile di canto: lo “Speech Level Singing”. Seth Riggs ha insegnato questa tecnica a grandi stelle come Stevie Wonder, Michael Jackson, Ray Charles, Celine Dion e Tina Turner, aiutandole a raggiungere un enorme successo.

Dopo una breve ricerca su internet, ho scoperto che Seth Riggs ed i suoi collaboratori hanno creato una scuola internazionale per insegnanti di canto, volta a formare istruttori certificati del metodo Speech Level Singing.

Incuriosito e desideroso di apprendere la tecnica delle star, ho deciso di studiare gli insegnamenti del vocal coach americano, iscrivendomi al corso istruttori che si tiene periodicamente in Irlanda. Ho così incontrato i più grandi vocal coach del mondo, sono diventato insegnante certificato del metodo di Seth Riggs ed attualmente insegno questo metodo a Varsavia con grande passione.

Lo Speech Level Singing è una moderna evoluzione del Belcanto italiano. Seth Riggs è stato infatti allievo del grande tenore italiano Tito Schipa. Gli stessi principi belcantistici sono rimasti intatti e sono stati sfruttati dalle più grandi star della musica moderna. Tito Schipa ha detto del canto: “Si canta come si parla, aggiungendo alla parola la melodia.”

Questa tecnica innovativa sta avendo molto successo in Polonia. Nel mio studio di Varsavia incontro ogni giorno giovani aspiranti cantanti. Inizialmente si avvicinano allo studio del canto con timidezza, ma grazie all’efficacia del metodo ormai diffuso in tutto il mondo, acquistano velocemente la tecnica e la sicurezza dei cantanti esperti.

E’ questo per me un motivo di grande soddisfazione, che mi stimola a continuare lo studio ed il perfezionamento del metodo Speech Level Singing. Oltre che a Varsavia, insegno il metodo anche su internet in video-conferenza a studenti e studentesse di tutta la Polonia e di altri Paesi.

Organizzo periodicamente alcuni incontri gratuiti finalizzati a valutare le potenzialità vocali di ogni studente. Mi piace dialogare con i miei allievi sulle tematiche legate al canto attraverso il mio profilo su Facebook.

www.lekcje-spiewu.com  www.lezionidicanto.net

Matteo Mazzucca
Matteo Mazzucca

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Trendy Warsaw, Ewa Solonia: „Polscy mężczyźni muszą zmienić look”

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Dziennikarka, bloggerka, ale przede wszystkim bohaterka warszawskiego życia underground, Ewa Solonia zasila szeregi „Trendy Warszawy” , czyli tego wibrującego, nieprzewidywalnego świata niespokojnych warszawian oddanych najróżniejszym sztukom i pasjom. Rozproszona społeczność, która wciąż się powiększa i ożywia noce nad Wisłą na trasie pomiędzy placem Zbawiciela a Soho Factory, zaglądając do tysięcy galerii sztuki i setek alternatywnych sklepów modowych, które zaczynają charakteryzować to miasto jako jeden z najbardziej “cool” przystanków w Europie.

Dla Ewy Solonii początek przygody z modą ma włoskie korzenie, prawda?

Odkąd byłam małą dziewczynką moja ciocia wysyłała mi ciuchy z Włoch, co zdecydowanie bardzo na mnie wpłynęło, na tyle, że z biegiem lat nauczyłam się kochać i eksperymentować z połączeniami i związkami stylów, kolorów, tkanin. Nadal pamiętam mój pierwszy autentyczny look ze stretchowymi spodniami z lycry i paznokciami pomalowanymi białym lakierem, czułam się jak królowa mody. Ale pasja do poszukiwania i eksperymentowania prowadzi nieuchronnie do ryzyka i przesady, tak jak wtedy kiedy mając 13 lat zaprezentowałam się na urodzinach przyjaciela ubrana jak bohaterka clipu Michaela Jacksona „ Dirty Diana” . W końcu musiałam poprosić mamę, żeby przywiozła mi parę normalnych jeansów…

Kiedy zaczęłaś projektować własne ciuchy?

W miarę tego jak rosłam, zamawiałam u mamy ciuchy, które ja projektowałam, a ona szyła. Wciąż pamiętam lniane koszulki z narysowanymi rycerzami z XV wieku lub t-shirt zainspirowany szpitalem psychiatrycznym. Jednak moją pierwszą prawdziwą kolekcję zaprojektowałam po tym jak zdobyłam dyplom.

Co jest elementem charakterystycznym twojego stylu?

Znakiem szczególnym moich ubrań są często malowane elementy dekoracyjne. Moją filozofią jest myśl, że ciuchy powinny łączyć modę i sztukę w bardziej dosłowny sposób, ponieważ dla mnie moda jest sztuką. I dlatego sprzedaję moje dzieła, bez rozróżniania, zarówno w galeriach jak i na targach mody.

Mocny styl do zaproponowania Warszawie, która wydaje się chętnie przyjmować artystyczne bodźce.

Wydaje się, że Warszawa ma ambicje, aby doścignąć Mediolan i inne europejskie stolice w dziedzinie mody. Tutaj utwierdza się styl mocno awangardowy, powiedzmy bardziej look Bjork, niż Madonny. Warszawianie lubią pokazywać się jako oryginalni i eklektyczni i ma tu miejsce ciągły rozkwit projektantów, a wydarzenia poświęcone modzie robią furorę.

Teraz przedstawiłaś nową linię zadedykowaną przede wszystkim mężczyznom, dlaczego?

Moja kolekcja nazywa się „Polski len” i ma za zadanie gloryfikować prostotę i praktyczność wzbogacając ją ekstrawaganckimi elementami. Wyobrażam sobie polskich mężczyzn, którzy uwielbiają komfort i cieszą się wakacjami. W ten sposób moje ciuchy są dostosowane do chwil relaksu, czy to na plaży, w górach, na kempingu, czy na rowerze. Użyłam naturalnych i przewiewnych tkanin, które w Polsce często są niedoceniane. Powiedzmy, że skupiam się na mężczyznach, ponieważ kobiety zawsze były w stanie dobrze się ubrać. Czuję natomiast potrzebę przyczynienia się do polepszenia looku polskiego mężczyzny, który naprawdę tego potrzebuje! W tym zakresie polscy mężczyźni powinni bardziej podpatrywać wygląd mężczyzn we Włoszech.

Aby uzyskać informacje na temat kolekcji Ewy Solonii:

www.facebook.com/SoloniaCity

mail: solonia@tlen.pl

www.soloniacity.blogspot.com