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Polonia, quel fatale 1939

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Tra i contributi offerti dalla storiografia italiana al dibattito concernente un argomento di così ampia e cruciale portata quale l’origine della seconda guerra mondiale, occupa una posizione di tutto rilievo il libro “Polonia 1939: sfida al Terzo Reich” della studiosa fiorentina Sandra Cavallucci, professore incaricato di Storia dell’Europa Orientale presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze ed esperta di temi riguardanti la Polonia nel periodo compreso tra le due guerre mondiali. Il volume, edito da Rubbettino, è il risultato della felice convergenza, ancor più apprezzabile in quanto non comune, tra la profonda preparazione storica posseduta dall’autrice – chi scrive ha avuto il piacere di conoscerla personalmente lo scorso giugno a Roma in occasione di un convegno dedicato al Patto Ribbentrop-Molotov – e la sua conoscenza della lingua polacca. L’obiettivo che si è prefissa Sandra Cavallucci è stato quello di ripercorrere i fatali eventi del biennio 1938-1939 dal punto di vista di Varsavia, offrendo un quadro alternativo e maggiormente equilibrato della politica estera della Seconda Repubblica di Polonia, spesso bollata dagli studiosi del periodo in questione come “sconsiderata”. Non si trattava di assolvere in toto la classe dirigente polacca né di forzare le interpretazioni storiografiche tradizionali all’interno di un approccio polonocentrico, quanto di proporre una nuova visione dell’azione diplomatica di Varsavia, più sfumata e maggiormente capace di tenere in debita considerazione le istanze e i timori polacchi dell’epoca, inquadrandoli in un contesto più ampio. L’accesso a fonti documentarie poco accessibili ha permesso all’autrice di ricostruire in modo originale ed esauriente il filo degli avvenimenti che si dipanarono nei mesi precedenti il fatidico settembre 1939, mettendo in luce aspetti spesso trascurati ma significativi del panorama internazionale quale si presentava in quel periodo.

“Nell’accingermi ad affrontare questa tematica – spiega Sandra Cavallucci – volevo scoprire perché l’élite polacca nel 1939 avesse preso certe decisioni. Molti storici hanno infatti giudicato la politica condotta da Varsavia nella seconda metà degli anni Trenta come frutto di delirio da grande potenza e dell’ambizione senza limiti di una ristretta cerchia di statisti sprovveduti. Alla classe dirigente dell’epoca è stata spesso attribuita un’inclinazione filotedesca che avrebbe poi inevitabilmente finito per ritorcersi contro la stessa Polonia. L’artefice di quella politica, il ministro degli Esteri Józef Beck, è stato generalmente giudicato in modo molto negativo. Mi sono chiesta se all’epoca quelle scelte non avessero motivazioni logiche e razionali, invece che essere espressione di follia o cecità politica. Dalla mia ricerca emerge come in realtà sia stato proprio così: la politica polacca era sicuramente mossa da una logica razionale e dalla consapevolezza delle possibili ripercussioni delle proprie scelte”.

In particolare la studiosa fiorentina pone in rilievo come la Polonia sia stata, nel 1939, l’unico Paese europeo a esprimere un netto “no” nei confronti di Hitler, ben sapendo che ciò l’avrebbe esposta ad un conflitto. Il rifiuto delle offerte del dittatore (ritorno della Città di Danzica al Reich e costruzione di un’autostrada extraterritoriale che attraverso il Corridoio Polacco collegasse la Prussia Orientale al resto della Germania in cambio di un’alleanza tedesco-polacca in funzione antisovietica) fu lucidamente determinato dalla consapevolezza che un cedimento al Terzo Reich sarebbe equivalso a fare della Polonia uno Stato satellite, economicamente dipendente ed esposto agli umori della politica germanica. Dalla ricostruzione degli avvenimenti presentata da Sandra Cavallucci si evince come la decisione polacca fu assunta autonomamente sulla base di valutazioni dettate esclusivamente dall’interesse nazionale e non fu, come invece molti storici hanno sostenuto, la conseguenza tardiva e controproducente delle garanzie anglo-francesi. In realtà Varsavia aveva espresso fin dal 1938 la sua netta contrarietà rispetto ad ogni soluzione della questione di Danzica (costituita dal Trattato di Versailles in Città Libera sotto l’egida della Società delle Nazioni) che mettesse in questione gli interessi polacchi sul Baltico, lasciando però lo spazio per un compromesso cui Hitler non si dimostrò interessato. Escludendo a priori un’alleanza militare con l’Unione Sovietica, di cui si temevano le mire espansionistiche e la possibile infezione ideologica comunista, alla Polonia non rimase che affidarsi alle promesse di aiuto delle due maggiori democrazie occidentali, Gran Bretagna e Francia. Tuttavia le garanzie offerte dai due Paesi si sarebbero rivelate del tutto prive di consistenza pratica, anzitutto per via della lontananza geografica dei due “tutori”. Tale elemento sarebbe emerso in tutta la sua tragica portata nel settembre 1939, quando la Polonia si trovò completamente sola ad affrontare l’assalto del Terzo Reich, terminato con l’ennesima spartizione del Paese, stavolta diviso tra Germania e Unione Sovietica in forza delle clausole segrete allegate al Patto Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939. Alla luce di ciò viene così correttamente evidenziato quello che fu probabilmente l’errore di valutazione più grave commesso dalla leadership polacca: non aver ritenuto possibile un connubio di interessi tra due potenze divise dalla lotta ideologica, ma che una spregiudicata Realpolitik avrebbe inesorabilmente condotto ad un accordo stipulato proprio sulla pelle della Polonia. Attraverso la puntuale ricostruzione delle reazioni di Varsavia alle iniziative delle maggiori potenze fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, “Polonia 1939: sfida al Terzo Reich” delinea quindi il quadro complessivo della situazione europea nel 1939: una brillante ed efficace rilettura “italiana” di una fondamentale pagina di storia si rivela così un valido strumento destinato ad estendere la conoscenza di un Paese ormai sempre più al centro dell’Europa.

La Belle Aurore, la più dolce e fantasiosa pasticceria creativa Made in Italy

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Chi non ha mai visto i loro prodotti non ci crederà ma posso assicurare tutti che i loro dolci non sono i dolci a cui siamo abituati ma delle vere opere d’arte! Prima è una festa per l’occhio, dopo per il palato…Le loro torte sono uniche, personalizzate, ideali per i compleanni, matrimoni, per ogni occasione e per ogni età! La Belle Aurore nasce quest’anno a Roma, da un geniale idea di tre amici: Aurora Bonafede, pittrice e scultrice, laureata all’Accademia delle Belle Arti, Massimiliano D’Orso, maestro orafo, diplomato all’Istituto d’Arte con l’innata passione per la pasticceria e Cristina Bonafede, Interior e Fioral designer, grande estimatrice del buon gusto e del divertimento. Due sorelle e un uomo, un trio originale e dolce a cui la fantasia non manca mai. Ma vediamo come si raccontano. Aurora, Cristina, Massimiliano, è arrivato il momento della verità. Chi di voi per primo ha avuto l’ idea di creare la pasticceria più chic del mondo?

Aurora: “Cristina, erano anni che ci si ingarbugliava con la fantasia… Comunque noi non abbiamo una pasticceria, lavoriamo su ordinazione e la cosa più importante è sapere che il cake design non è un pasticcere, ma più una filosofia, una forma d’arte, dove un desiderio può prendere forma… Dove la fantasia può spaziare”.
Quanto tempo dura la preparazione di una torta così raffinata e come dividete il lavoro tra di voi? chi disegna, chi lavora per ore in cucina, chi organizza le sessioni fotografiche?
Cristina: “Siamo un team, quindi la perfezione si avvicina in ogni momento, ognuno è complementare all’altro.  Aurora si dedica al modelling, Massimo cura la struttura interna della torta, farciture, ganache varie e io arrivo con la perfezione, passo tutto sotto la mia visione puntigliosa come sempre”.

Aurora: “Nelle foto ci si diletta Cristina. E ricordo che per la realizzazione della torta servono da due giorni a una settimana circa”.

I vostri dolci sono la cosa più bella che io abbia mai visto! Da cosa vi ispirate? Da dove prendete queste meravigliose e divertenti idee?

Massimiliano: “Non so, ci vengono cosi, dalla nostra fantasia, forse perchè ancora ci sentiamo bambini… E per fortuna!”

E fate anche i corsi di cake design! Siete una rivoluzione sul mercato dei dolci! Chi di voi è il più bravo ad insegnare? Quanto dura un corso e in che consiste? Chi si può iscrivere alla lezione?
Massimiliano: “Nessuno è più bravo dell’altro, ci divertiamo in egual modo, tra il serio ed il faceto”.
Cristina: “Ai nostri corsi, può accedere chiunque, dalla bimba di 8 anni alla ultra ottantenne, non ci sono vincoli alla fantasia”.
Aurora: “I nostri corsi, li puoi trovare sia a Roma che a Ladispoli. Le date prossime sono a Roma, Milano, Ladispoli con corsi anche di modelling Christmas Cake.

Quali sono gli ordini più strani che finora avete ricevuto?

Aurora: “Troppo divertenti, quello che ci ha colpito di più è stato questo (vedi la foto sotto)”.

Quali sono i vostri dolci goal per il prossimo futuro? Vorreste allargare la vostra offerta o espandervi all’estero? Svelateci qualche segreto.
Cristina: “Non sveliamo nulla Joanna, non vi piace la sorpresa?”
Aurora: “Ci piacerebbe anche espanderci all’estero. Chissà un giorno, siamo appena cinque mesi che siamo nel settore, bravi eh?”

La bella Zakopane interessante tutto l’anno

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Ilona Rupiewicz

La città di Zakopane è una delle più attraenti destinazioni turistiche della Piccola Polonia, situata in una zona pittoresca dei Monti Tatra, al confine con la Slovacchia. All’atmosfera unica della città contribuisce la posizione geografica, un’area ricca di storia. Zakopane è stata fondata nel XVI secolo diventando ufficialmente città nel 1933. Zakopane ha il suo stile unico, chiamato appunto stile “zakopia?ski”, inaugurato alla fine del XIX da Stanis?aw Witkiewicz (padre). Architettura, cucina regionale, dialetto popolare, cultura e costumi creano un tipico folklore riconosciuto in tutta la Polonia. A Zakopane sono vissuti artisti polacchi di grande levatura: musicisti, architetti, scultori e poeti, come ad esempio: Stanis?aw Witkiewicz, Karol Szymanowski, Jan Kasprowicz o Kazimierz Przerwa-Tetmajer. Artisti ispirati dal luogo, in cui, ancora oggi, tutti i visitatori trovano spunti interessanti e modi diversi di passare il tempo. Vale la pena notare, visto che siamo nella stagione invernale che Zakopane è conosciuta come la capitale del turismo invernale in Polonia. E non c’è nulla di sorprendente poichè a Zakopane si svolgono frequentemente sfide come la Coppa del Mondo di salto con gli sci (la città ha tre trampolini per il salto), o campionati di sci di fondo e alpino. Ma la città mira in alto e ora ha deciso di proporre la sua candidatura per ospitare le Olimpiadi invernali nel 2022. In questo senso Zakopane può già vantare una grande base di alloggi, numerose piste e impianti di risalita, infrastrutture che ogni anno attirano migliaia di turisti polacchi e stranieri. Un buon numero di polacchi sceglie Zakopane como luogo di vacanza (sia d’inverno che d’estate) e decide di passare indimenticabili Capodanno negli affascinanti Monti Tatra. Penso che non sia bisogno di ricordare come dopo un giorno intero passato sulle piste da sci o in passeggiate in montagna, non ci sia niente di più piacevole che una sera in una accogliente taverna montanara, con un camino caldo, ascoltando musica e bevendo “grzaniec” (miele, vino o birra riscaldata con le spezie) e un pasto abbondante (ad esempio costina in salsa o capicollo). Ma Zakopane è attraente anche in estate, quando la città è vivace e offre ai visitatori molte opportunità di passare il tempo libero. Chi si reca d’estate può provare uno dei tanti sentieri di montagna, scalare le vette dei Monti Tatra (Kasprowy Wierch, Giewont), passeggiare per le valli vicine (ad esempio valle Chocho?owska), andare al Morskie Oko (L’Occhio del Mare è il lago che si trova nella Dolina Rybiego Potoku ad un’altitudine di 1395 metri sopra il livello del mare) o visitare il Parco Nazionale di Tatra. Le possibilità sono varie, e tutti questi luoghi sono raggiungibili con gli autobus da vari punti di Zakopane. Vale la pena inoltre ricordare che, alla fine del XIX secolo, un medico famoso, Tytus Cha?ubi?ski ha scoperto che Zakopane è un luogo particolarmente salubre grazie al suo clima unico. Pertanto il soggiorno a Zakopane è consigliato per chi vuole rigenerare il corpo e curare disturbi o malattie croniche (alla fine del XIX secolo c’erano case di cura a Zakopane per malati di tubercolosi). La città ha anche da offrire un sacco di attrazioni per le persone che amano esplorare i luoghi e conoscere il patrimonio culturale. Nella visita alla città i visitatori vedranno una serie di ville costruite in vero stile Zakopane (ad esempio villa Koliba, Atma), il cimitero storico a P?ksowy Brzyzek, la galleria d’arte di W?adys?aw Hasior e il teatro Stanis?aw Ignacy Witkiewicz (dove si può assistere allo spettacolo di questo celebre drammaturgo). Zakopane offre talmente tante attrazioni che è difficile elencarle tutte, sia in inverno che in estate. Dunque vale la pena visitare la città almeno una volta per capire che poi si deve tornare di nuovo. Da persona che visita Zakopane frequentemente e che si occupa del turismo sia nelle città d’arte che in montagna, consiglio vivamente i turisti polacchi e stranieri a provare l’esperienza di una vacanza in questa splendida località.

Tra Italia e Polonia una relazione intensa e strategica L’ambasciatore Riccardo Guariglia racconta il suo primo anno di mandato

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Quando si dice Italia e Polonia si pensa al volo ad un antica influenza del back ground culturale italiano nella terra di Copernico, attraverso il cattolicesimo e gli innumerevoli scambi scientifici e artistici concretizzatesi in migliaia di prestiti linguistici adottati dal polacco. Una relazione che dura da secoli, che non si è interrotta neppure quando Italia e Polonia lottavano per la loro libertà di nazioni con Adam Mickiewicz a difendere la Repubblica Romana e il garibaldino Francesco Nullo a combattere per la libertà polacca. Una liason che va dal Rinascimento al Romanticismo, ma anche dalla Repubblica Popolare di Polonia, dove la Fiat 126 era uno status symbol polacco, all’odierna rampante Polonia protagonista nell’Europa Unita, in cui alcuni dei maggiori simboli di sviluppo, come il grattacielo Zlota 44 firmato da Libeskind e la seconda linea della metro che passerà sotto la Vistola a Varsavia, stanno venendo costruiti da aziende italiane. Una intensità di rapporti italo-polacchi confermata dall’ambasciatore d’Italia in Polonia, Riccardo Guariglia, che in questi giorni festeggia il suo primo anno di insediamento nella bella ambasciata di plac Dabrowskiego.

“È stato un anno intenso di attività e di soddisfazioni perché per un ambasciatore vedere un così forte susseguirsi di rapporti bilaterali significa che tra i due paesi le cose vanno bene. In questo primo anno di mandato abbiamo assistito a molti incontri istituzionali che non avvenivano da tempo, come ad esempio il vertice bilaterale italo-polacco a maggio, la visita ufficiale del Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano lo scorso giugno, la visita del presidente polacco a Napoli nel mese di novembre e poi tutta un’altra serie di incontri ad alto livello con ministri degli esteri e della difesa. E poi come non ricordare che l’Italia è stata ospite d’onore alla Fiera dell’industria della difesa di Kielce. Direi quindi che tra Italia e Polonia il rapporto non è solo intenso ma strategico.”

Un punto d’osservazione privilegiato quello di ambasciatore da cui si può capire in concreto qual è, seppur in un momento di crisi economica come è l’attuale, il livello di scambi tra i due paesi.

“Nonostante la crisi i rapporti economici tra Italia e Polonia sono molto fruttuosi e positivi. Il fatto che quando il Presidente Napolitano è venuto in visita in Polonia parallelamente a latere si sia svolto un business forum italo-polacco che ha coinvolto i due capi di stato, oltre a ministri e imprenditori dei due paesi, significa che l’attenzione sulle relazioni economiche è alta. Ma posso dare anche qualche numero che rende l’idea del volume d’affari di cui stiamo parlando, in Polonia attualmente operano 850 imprese italiane, che danno lavoro a 85 mila persone, l’Italia è il terzo partner commerciale della Polonia ed il quinto investitore diretto. La presenza italiana si nota in settori cruciali come quello dell’auto e delle infrastrutture, presenza simboleggiata dai lavori di costruzione del grattacielo Zlota 44 e della seconda linea della metro a Varsavia. I miei colleghi polacchi confermano che nel 2012 nessun paese straniero ha avuto un così intenso livello di relazioni con la Polonia come l’ha avuto l’Italia.”

Un’ampia gamma di relazioni che però non corrisponde ad un significativo numero di italiani realmente residenti nel paese?

“I dati dell’anagrafe consolare parlano di circa 3500 italiani residenti in Polonia, ma è chiaro che il volume di italiani che hanno relazioni stabili con questo paese è molto più grande”.

E tra questi italiani che operano in Polonia ci sono imprenditori di molti settori tra cui anche chi, come noi, lavora attraverso la comunicazione, soprattutto con Gazzetta Italia e Polonia Oggi, ad una promozione delle relazioni tra i due paesi. Lei che ha fatto anche un’esperienza al servizio stampa del Ministero degli Esteri come valuta questo lavoro?

“Il lavoro che state portando avanti è molto importante perchè la comunicazione è un pilastro fondamentale di qualsiasi tipo di relazione. Il rapporto bilaterale tra Italia e Polonia non può fondarsi solo tra governi o tra istituzioni, ma deve essere una relazione che si radica nella società civile sia attraverso una comunicazione costante e attenta sia attraverso iniziative culturali. In questo senso sono felice di sottolineare come ci sia stato quest’anno il lancio di iniziative culturali italiane che hanno interessato e coinvolto i polacchi, ricordo la mostra del Canaletto al Castello Reale di Varsavia, la mostra sulla pittura italiana a Poznan durante Euro 2012, l’esposizione di arte contemporanea a Torun sponsorizzata da Unicredit, il concerto di jazz italiano organizzato in questo dicembre dall’Istituto di Cultura Italiano. Ma anche il 2013 sarà un anno particolarmente coinvolgente dal punto di vista delle iniziative culturali perché coinciderà con il bicentenario della nascita di Verdi e il 150° anniversario della morte del patriota garibaldino Francesco Nullo che dall’Italia venne fino qui in Polonia per aiutare i polacchi nella lotta contro la Russia. Un eroe cui lo scorso giugno il presidente Napolitano ha reso omaggio recandosi personalmente al suo monumento a Varsavia.”

Figlio di diplomatici e nato a Chicago, forse il destino aveva già scelto per lei la Polonia?

“Sì in effetti sono nato nella città americana con la più forte presenza dell’emigrazione polacca, per questo spesso scherzo con i colleghi polacchi raccontando che sono nato nella città più occidentale della Polonia”.

La nazione migliore dove nascere nel 2013? La Svizzera. Italia 21^, Polonia 33^

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L’Economist Intelligence Unit ha stilato una graduatoria composta dagli 80 Paesi del mondo che possono garantire al nascituro le migliori prospettive per una vita sana, sicura e prospera. La Polonia occupa il 33° posto di questa classifica pubblicata dal prestigioso settimanale “The Economist”, che ha incoronato Svizzera, Australia e Norvegia come i Paesi dove è meglio dare alla luce un bambino nel 2013. L’Economist Intelligence Unit è una guida alla comprensione della società globale attraverso analisi e previsioni sugli orientamenti politici, economici e di mercato di circa duecento nazioni, alla cui realizzazione collaborano alcune centinaia di esperti. Per stilare la classifica gli esperti si sono basati su innumerevoli criteri di ricerca, alcuni soggettivi, come la soddisfazione dei cittadini per la propria vita, la sicurezza del posto di lavoro, la fiducia verso le istituzioni pubbliche e altri oggettivi, come la durata media della vita, il reddito pro capite e la stabilità dei governi. L’analisi dell’EIU non è solo da considerarsi una “fotografia” dell’attuale situazione economica mondiale, ma tiene anche conto di possibili cambiamenti e, come loro stessi dichiarano nel loro sito, è una previsione a lungo termine che si estende fino al 2030, l’anno in cui i bambini nati nel 2013 raggiungeranno l’età adulta. Per quanto riguarda i paesi europei, Russia, Bulgaria e Ucraina sono le nazioni che si sono classificate peggio. L’Italia si trova al 21° posto e supera in questa classifica nazioni come Francia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo. Gli analisti hanno notato come nel volgere di una sola generazione sia cambiata notevolmente la posizione di alcune nazioni in termini di condizioni di vita. Venticinque anni fa, ad esempio, i tre Paesi vincitori non apparivano neppure nella top ten di quel periodo, mentre l’Italia era quarta. Anche la posizione della Polonia è cambiata, sfortunatamente in peggio: consultando la precedente edizione di questa classifica, che risale al 1988, scopriamo infatti come la Polonia, nonostante una grave e perdurante crisi sociale ed economica, occupasse una posizione più elevata di dieci gradini rispetto a quella attuale. Il 1988 in Polonia viene ricordato dalle cronache come “l’anno degli scioperi”, messi in atto dai lavoratori sotto la guida del sindacato indipendente “Solidarno??” contro il regime comunista. In quello specifico contesto storico, va sottolineato come in Polonia il tasso di disoccupazione comunque fosse abbastanza contenuto, la pressione fiscale non apparisse eccessivamente alta, la produzione industriale fosse concentrata nelle grandi città e molti standard relativi ai servizi necessari allo sviluppo di un bambino fossero sufficienti. I più curiosi potrebbero chiedersi dunque le ragioni di questo arretramento nella posizione di Italia e Polonia. Sulla base di un’analisi approfondita dei mutamenti geopolitici mondiali che si sono verificati dal 1988 fino a oggi, una comparazione efficace tra le due classifiche appare quantomeno ingenua e azzardata. Venticinque anni fa la situazione nel mondo era profondamente diversa da quella attuale sotto moltissimi punti di vista; nel frattempo sono avvenuti numerosi mutamenti politici di portata storica e su scala globale, in particolar modo in Europa, come la scomparsa di alcuni stati (Jugoslavia e URSS) e la conseguente riorganizzazione geopolitica dei loro territori. Dal 1988 ad oggi sono fiorite nuove economie e altre si sono consolidate, specialmente in Asia e nel Nord Europa. Le aree verdi sono diminuite a seguito dei processi di cementificazione o di desertificazione del suolo; il numero degli abitanti sul pianeta è aumentato vertiginosamente, e dai cinque miliardi registrati a metà degli anni Ottanta siamo arrivati all’impressionante cifra di sette miliardi nel 2012, ed è facile comprendere come questo incremento demografico e i fenomeni migratori ad esso correlati abbiano influito sulla distribuzione del benessere sulla geografia delle nazioni mondiali. Anche la crisi economica globale innescatasi nel 2007, intaccando la robustezza di molte economie del pianeta, ha di certo influenzato l’assegnazione delle posizioni nella classifica, penalizzando specialmente le nazioni appartenenti all’area euro. La Polonia ha sicuramente pagato il passaggio da un’economia “controllata” a una di libero mercato, che se da un lato ha aperto al Paese la via di un rilancio economico, liberandolo finalmente dalla ferrea morsa dei vincoli politici e sociali tipici del comunismo, dall’altro ha fatto emergere evidenti disparità economiche che hanno colpito diversi nuclei familiari, non più in grado quindi di assicurare condizioni di vita paritarie ai bambini che nasceranno. Il recente flusso migratorio di lavoratori dalla Polonia verso economie più ricche come quella tedesca o norvegese è una spia evidente di quanto i cittadini polacchi desiderino far nascere e crescere i loro bambini al di fuori del loro Paese natale.

Yurj Buzzi e la nuova campagna pubblicitaria Martini 2013

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Rosso o bianco? Nato nel 1847 a Torino. Non ha bisogno di presentazioni. Martini è uno dei marchi italiani più famosi nel mondo. Un drink dei sogni, ‘gustoso e pieno di vita’ inventato da due sperimentatori, Alessandro Martini, commerciante di vini e Luigi Rossi, un erborista. Martini, un nome che gira il mondo insieme ai suoi indimenticabili spot pubblicitari. Ricordiamone la storia. Negli anni 1847-1912 lancia lo slogan “La fortuna aiuta gli audaci”, nel 1930-1960 “Il Jet Set. Con ghiaccio”, nel 1960-1999 “La dolce vita… Sempre e ovunque” e negli anni 2000 famoso “Luck is an attitude: lo è sempre stato”. Martini, sempre elegante, di classe, per diventare l’icona del mondo viene associato con i volti delle star del cinema mondiale come Charlize Theron, Naomi Campbell, Sharon Stone, George Clooney.

L’ultimo testimonial della campagna publicitaria mondiale è Yurj Buzzi. Chi è Yurj? Nato a Vigevano è un attore di teatroe che dopo aver fatto la sua esperienza in tv e al cinema,  “Distretto di polizia”, “Oggi sposi” (2009), e in alcuni spot pubblicitari come quello di Telecom Italia, Tim con i tre baci con Elisabetta Canalis, diventa il testimonial di Martini 2012 (reg. di Peter Thwaites, spot Martini Royale reg. di Jordan Scott). E il 2013 comincia con una sorpresa, Martini lancia una nuova campagna pubblicitaria, che uscirà già a Natale, diretta a conquistare i nuovi mercati mondiali arricchita con un volto femminile di una dolcissima attrice spagnola, Barbara Gonzalez. Di questo e altro, esclusivamente per Gazzetta Italia, parlo con Yurj Buzzi direttamente da Londra.

Rosso o bianco?

“Martini Royale”.

Che tipo di Martini drink berrei al Capodanno 2012?

“Metà parte martini secco, meta parte martini bianco, tanto ghiaccio lime e menta (sorride)”.

 Sei attore e poeta… raccontaci i tuoi successi prima di diventare il testimonial mondiale di Martini?
“Prima di realizzare un sogno c’e’ un percorso da gustare,  attraverso esperienze e piccoli successi che formano il tuo background. Ho iniziato con il teatro, poi alcune esperienze nel cinema e nella televisione italiana (che decisamente lasciano poco spazio ai talenti esordienti). Attraverso la scrittura (il mio libro di poesie che contiene anche un monologo teatrale ‘La mia vita su di un cactus’) ho trovato/sperimentato una deliziosa terapia, poi la realizzazione di un sogno con il brand Martini (diventare un volto internazionale). Quindi la scelta di trasferirmi a Londra per condividere questo secondo anno con il brand da testimonial, migliorando il mio inglese per “rilanciare i sogni più lontano”.
Come sei stato scelto? “Il concorso era internazionale “Martini kisser casting”, il brand era alla ricerca del nuovo testimonial mondiale che rappresentasse al meglio lo spirito “luck is an attitude”. Il primo step era mostrare un video di sessanta secondi presentandosi (io ho scritto e filmato con un mio amico regista esordiente, la mia presentazione come fosse un piccolo spot in BN); questo biglietto da visita mi ha permesso di arrivare alla fase finale che consisteva in un casting direttamente con il regista dello spot Peter Thwaites e tra i 35 finalisti provenienti da tutte le parti del mondo ho vinto io! Perchè? Semplicemente perchè altre volte ho perso e ho sempre avuto il coraggio di provarci ancora finchè non è arrivato il mio momento!”.
Hai mai conosciuto il tuo predecessore, George Clooney? Sicuramente sei stato paragonato a lui mille volte…
“Sono stati fatti molti paragoni con Clooney, che non ho mai incontrato. Questo spot è diverso ma non perde il gusto della sensualità, anzi, il tutto è amplificato dall’attitudine, che ognuno può riscoprire in se stesso e condividere con gli altri”.
Cosa ti ha dato quest’ esperienza con Martini? “È stato un anno di viaggi, colori, sapori, emozioni differenti, questa esperienza mi ha fatto crescere a livello professionale (confrontandomi con professionisti internazionali) e anche a livello personale. Poi, certo, anche a livello economico mi sento più sicuro e non angosciato come in passato della rata dell’affitto incombente!”
Il nuovo concorso per il testimonial femminile Martini lo ha vinto Barbara Gonzalez. Cosa ci puoi raccontare di lei?
“Ero nella giuria di questo nuovo concorso Martini Royale casting, e ho avuto modo di conoscere la maggior parte delle ragazze che hanno partecipato al concorso, tra le quali Barbara Gonzalez una ragazza spagnola, ex ginnasta, che a Milano ha vinto il concorso Martini Royale Casting aggiudicandosi il ruolo di testimonial femminile per il brand’’.
Ma ora, Martini a parte, parliamo degli altri tuoi progetti. Ho visto sul tuo sito che stai lavorando ad una piece teatrale intitolata “Da qui non scendo”. Ci racconti di più su quei “attimi del silenzio interiore”?
“Da qui non scendo” è un monologo teatrale che ho scritto nel 2008 e fa parte del mio libro “La mia vita su di un cactus”. Il monologo in questi anni ha subito molte trasformazioni/evoluzioni: partendo dal “bambino che alberga in noi” che spesso si sente trascurato e non riesce più a divertirsi come un tempo, quindi il silenzio che ci rigenera ma nello stesso tempo ci imprigiona, la paura di vivere la felicità, gli amori le delusioni, la ribellione nei confronti di tutto e tutti … poi la rinascita oppure la voglia di farla finita … “buttare fuori” tutto questo, per poi forse vivere o ri/vivere sicuramente non da soli, condividendo il più possibile per sentirsi almeno una volta vicini alla felicità”.
In questo momento vivi a Londra. Come mai questa scelta?
“Londra è la stessa da sempre da quando ci ho messo piede per la prima volta circa 11 anni fa … coinvolgente e nello stesso tempo distaccata, “punzecchia” i tuoi sogni stimolandoli e nello stesso tempo è lì a chiederti sempre il resoconto a fine giornata, non ti lascia in pace questo suo essere impertinente. Tutto questo però ti permette di esprimerti nel miglior modo possibile, poichè tutto si può ottenere, basta rischiare e credere fortemente in te stesso. Ho scelto di trasferirmi a Londra dopo un lungo periodo di riflessione in questo anno, nel quale ho sofferto più del solito ‘la cattiva energia’ che ci contamina in Italia in tutti i campi (teatro, cinema, musica, commercio, ricerca, etc etc etc…). Mi disturba ‘il pressapochismo dei professionisti’ o presunti tali che non concedono opportunità ai giovani lavoratori che desiderano esprimersi, senza questo primo fondamentale step che è la libertà di espressione ed un lavoro quindi che ti permetta di vivere decentemente, tutto il resto è pregiudicato è ‘morte interiore’… ecco non volevo questo e sono partito! Auguro a tutti la miglior strada possibile, alla ricerca della libertà di espressione”.
Quali sono i luoghi londinesi che frequenti di più, posti che ti hanno rubato l’anima?
“Adoro le contaminazioni, nel market di Brixton (south london) puoi trovare ‘alcune radici’ che sembrano appartenere alla tua storia (colori, immagini, suoni, raggae, jazz e jam session); poi i club più esclusivi di Londra dal BromtonClub al Play Boy Club ti ‘ridisegnano’ un’atmosfera da film ‘irreale e magica’ quanto basta. Adoro scegliere un film introvabile presso il BFI (British film Institute) e godermelo in santa pace su un piccolo divanetto, una passeggiata next to the river ‘tube Waterloo’ …! Per quanto riguarda l’anima, (dopo essermi ‘cibato’ di immagini, emozioni ed energia di questi meravigliosi posti),  me la ruba sempre la casa nella quale mi trovo (ora in south London) al mio ritorno a scrivere o meditare”. Non ti manca Roma o la Puglia, dove hai studiato e dove vivono i tuoi? E a Londra ci vorresti passare tutta la vita? “Per citare una persona che stimo, Carmelo Bene … ‘Noi siamo in quello che ci manca’ …! In quella malinconia (dell’essere mancato) troviamo la forza di vivere in posti diversi, ora è Londra, per dieci anni è stata Roma, e poi? Poi forse mancheremo ancora … ?”.

Cosa vuol dire per te essere attore?

“Viverlo, senza definire ‘l’essere attore’. Si fa un lavoro da attore e poi si torna a vivere senza la necessità di definirsi sempre”.

Tra i vari tipi di teatro contemporaneo, cosa sceglieresti come attore e come spettatore/lettore: teatro simbolista, teatro dell’avanguardia, teatro epico di Brecht, Cricot 2 di Kantor, teatro dell’assurdo di Becket e Ionesco, teatro di poesia di Annunzio o teatro nel teatro di Pirandello…o altro?

“Non prediligo un genere, e tenendo conto che la parola teatro proviene dal greco théatron che significa spettacolo e dal verbo théaomai che significa vedo … Io adoro osservare dal vivo a prescindere dal testo e dalla forma”.

Prima hai menzionato il tuo primo libro edito nel 2008 da G. Laterza e intitolato “La mia vita su di un cactus” contenente 32 poesie ed un monologo teatrale. Da quanto tempo scrivi poesie?

“Io ho iniziato a scrivere circa 10 anni fa per necessità … Voglia di estrinsecare sensazioni che precedentemente esponevo ad ‘alta voce solo a me stesso’ … È stato risolutivo, scoprire una terapia che risana i miei stati d’animo spesso instabili. Il mio primo libro è una raccolta di pensieri in ‘questa cactus di vita’, nella quale ogni giorno ci conficchiamo e ci estirpiamo spine, oppure ci conficcano e ci estirpano spine … (quelle spine di amori, delusioni, amicizie, rapporto genitori figli, incomprensioni, vittorie o semplicemente ‘scoperte/consigli’, come in questa poesia: ‘Si possono possedere molte chiavi, ma nessuna serratura da aprire, in quel caso gettatele, sono solo un peso’. YB .

La maggior parte dei poeti mondiali parla d’amore. Per Lorca “muoiono d’amore i rami” quando parla di Lolita bagnandosi nel fiume,  per Baudelaire “amore è molto simile a una tortura o ad un operazione chirurgica”, invece Neruda muore d’amore per uno suo sorriso, e per te, cosa vuol dire amore?

“Amore è ‘non pensarlo possibile, finire così, intensamente’. YB”.

Hai detto che la scrittura è il tuo hobby terapeutico. Cosa scrivi in questo momento?

“Ho scritto, ma non è stato pubblicato “Il libro che scriverò” … un unico flusso di pensieri senza titolo e senza indice … poichè l’indice è nelle vostre mani come un libro, come la vita!”.

Il tuo nome ha origine russa, tua mamma era innamorata del dott. Zivago, i personaggio creato dal grande scrittore Pasternak?

“No, molto più semplicemente attratta dallo spazio con Yuri Gagarin“.

Sei mai stato in Polonia? Hai mai collaborato con dei attori polacchi tipo Kasia Smutniak? “Purtroppo non sono mai stato in Polonia e mi piacerebbe molto visitarla e collaborare con attori polacchi sarebbe molto interessante”.

Se dovessi ricominciare da capo, che vorresti fare da grande? Ci sveli qualche tuo sogno nel cassetto?

“In questa intervista ho gia ricominciato da capo. Ho ricordato le mie origini  e ora rileggendomi, ritrovo ‘l’eterno bimbo’ che non sa cosa realmente vuole fare, ‘forse tutto, quando ride’; ‘forse nulla, quando e’ capriccioso’  … oppure semplicemente sognare ancora un po’, che aprendo quel cassetto ci sia ancora tanto spazio …”.

Il Metano ti dà una mano? La svista del Protocollo di Tokio che pesa milioni di tonnellate di CO2

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Edoardo Zarghetta

Parafrasando la nota pubblicità di Italgas degli anni Novanta, sembrerebbe di no, il metano non aiuta l’ambiente; almeno secondo i pareri del UNEP (UN Environment Program) e IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), le due agenzie delle Nazioni Unite in materia ambientale. Il dibattito riguarda gli accordi di Kioto e Doha sulle emissioni, basati su una proiezione di incremento delle particelle di CO2 nell’atmosfera che non prende in considerazione il rilascio di gas metano che avviene dal disgelo delle calotte polari dovuto al riscaldamento del pianeta. Tutto nasce con l’inquinamento atmosferico: quando bruciamo combustibili fossili produciamo CO2 che a sua volta, grazie all’effetto serra, riscalda l’atmosfera e gli oceani, attivando lo scioglimento dei ghiacciai perenni dei poli. Oggi scopriamo che il problema del metano contenuto nel ghiaccio polare non è da meno. I poli funzionano come un freezer: nel periodo in cui il ghiaccio si è formato (durante l’ultima era glaciale) ha incamerato il gas metano allora presente nell’atmosfera, occupandosi di trattenerlo fino al proprio disgelo, è utile ricordare che questo gas è venti volte più efficace del CO2 nel trattenere il calore nell’atmosfera quindi è altrettante volte più dannoso per l’ambiente, a causa dell’effetto serra che provoca. Per tanti anni, lo studio del fenomeno del rilascio di metano dal ghiaccio dei poli non è stato affrontato in modo serio, per via dei costi e della complessità dei monitoraggi necessari a livello inter-governativo. Tra i paesi che condividono territori polari alcuni sono economie emergenti (Russia e Cina), notoriamente poco sensibili al problema del riscaldamento del pianeta. Ora grazie allo studio delle due agenzie sopra menzionate, si inizia a comprendere che le emissioni di metano indotte dal fenomeno del riscaldamento del pianeta potranno essere equivalenti a 135 Gt di CO2 nel 2100 (1 Giga tonnellata è pari a 1 miliardo di chilogrammi), o anche il 39% di tutte le emissioni. Inoltre, l’arrivo di queste inaspettate emissioni coincide con il nuovo record storico di 390.9 (ppm) di CO2, registrato nel 2011 dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO). Nonostante ciò gli scienziati consigliano di non perdere fiducia nel Protocollo di Kioto. Val bene ricordare quanto detto da Andrea Correa do Lago, capo della delegazione brasiliana per le negoziazioni sul CO2: “Se i paesi ricchi, che hanno i mezzi finanziari, la tecnologia, una popolazione stabile, un buon ceto medio, non pensano di riuscire a contenere le emissioni per ridurre il riscaldamento globale, come possono essi pensare che i paesi emergenti arrivino a farlo?” Questo è il motivo per cui il Protocollo di Kioto deve essere tenuto valido altrimenti si finirebbe in un “far west” senza riduzioni di emissioni da parte di nessuno. Speriamo pertanto che i prossimi accordi globali non contengano vistose “omissioni di emissioni” come in precedenza, grazie ai nuovi dati che la scienza sta fornendo ai leader delle Nazioni Unite.

 

Gli USA come la carrozza di Cenerentola?

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Matteo Massardi, CFA

Il ruolo dello Stato nelle economie di mercato è da sempre un argomento di accanita discussione. Democrazie compiute e consolidate sono riuscite a concretizzare situazioni estreme: da un lato il modello scandinavo con uno Stato pesante e deputato a compiti numerosi, dall’altro il modello americano dove allo Stato si chiede di fare poco, il meno possibile.

Questo almeno fino al 2008, fino allo scoppiare della crisi quando, di fronte al ritracciamento di indicatori critici per la classe politica (numero di occupati e ricchezza prodotta in un anno), lo Stato viene chiamato a fare di più. Molto di più di quanto si era mai immaginato: salvare interi settori industriali (il comparto degli automakers negli Stati Uniti), garantire interi comparti finanziari (intermediari bancari e sistemi di pagamento), aumentare la protezione offerta dagli ammortizzatori sociali (sussidi e sgravi fiscali).

Qualunque sia il giudizio sul risultato di questo esperimento di politica economica espansiva – le opinioni lasciano il tempo che trovano non essendo possibile in economia ripetere una prova di laboratorio – l’unica cosa certa è che il costo sostenuto dalla macchina pubblica, sotto forma di accresciuto deficit da finanziare, rimane. E, di solito, va pagato.

L’accresciuto deficit americano si è tradotto in una violenta accellerazione dello stock di debito che si è già avvicinato rapidamente al precedente limite nominale consentito dalla legge (ceteris paribus, il nuovo tetto sarà raggiunto grosso modo nella primavera prossima).

Consapevoli di questa dinamica, e sulla scorta di uno sgradevole downgrade, lo Stato americano aveva predisposto dei meccanismi di aggiustamento automatici che – in assenza di diversa indicazione dal legislatore – subentreranno automaticamente alla fine del 2012.

Questa sorta di rientro forzato dall’emergenza di spesa si può per comodità suddividere come:  1) riduzioni automatiche nella spesa pubblica per la Difesa; 2) riduzioni automatiche nella spesa pubblica per settori diversi dalla Difesa e riduzioni nella remunerazione di alcuni settori del comparto Sanità; 3) eliminazione di numerosi (piu di 80) sgravi fiscali di varia foggia e genere; 4) eliminazione del sussidio di disoccupazione di emergenza e di alcuni sgravi sul reddito da lavoro dipendente (la tassazione a carico del dipendente in busta paga era stata ridotta dal 6.2% al 4.2% per gli anni 2011 e 2012).

In assenza di un diverso accordo politico, questi aggiustamenti automatici, avrebbero dovuto assicurare la salvaguardia del bilancio pubblico mediante risparmi di spesa/maggiori entrate stimate per il 2013 grosso modo in 500 miliardi di dollari.

Tuttavia, ecco che all’avvicinarsi della attivazione automatica di questi meccanismi di salvaguardia di bilancio, ci si accorge che il sottrarre 500 miliardi di dollari dal bilancio pubblico non lascia indifferente il settore privato ed il livello di attività complessiva del Paese.

Nasce il fiscal cliff. Una rupe, un dislivello nel livello dei due indicatori critici per la credibilità della classe politica: livello di occupazione e ricchezza annua prodotta. Molto più importanti ed immediati che la salvaguardia della solvibilità del bilancio pubblico per la quale, pare, c’è sempre tempo. Il burrone fiscale, ci viene detto, si pagherà in termini di minori occupati (circa 3.4 milioni di posti di lavoro) e meno ricchezza prodotta (un calo del 2.9%) alla fine del 2013. La tentazione al rinvio è quasi irresistibile. Se non fosse che, all’interno dei documenti di analisi prodotti dal Congressional Budget Office, si legge che per ognuno dei 500 miliardi di dollari di deficit da finanziare la ricchezza annua del paese crescerà in media di soli 300 miliardi di dollari (il cosidetto moltiplicatore fiscale, stimato a 0.6).

E che ognuno dei posti di lavoro salvaguardati costerà circa 4 milioni di dollari di deficit da finanziare. Non male. Nelle fiabe la mezzanotte è la mezzanotte e la carrozza di Cenerentola ritorna una zucca. Nel caso degli Stati Uniti invece la realtà superera’ la fantasia ed un rinvio verrà concordato. Il ballo continua.

Ref:    Congressional Budge Office – Economic Effects of Policies Contributing to Fiscal Tightening in 2013 – November 2012

 

DMP, vernissage tra arte e legge

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Arte e legge è l’interessante binomio scelto dallo studio legale internazionale Derra, Meiers & Partners (DMP) per inaugurare i nuovi uffici in ulica ?urawia 26, nel cuore di Varsavia. Il vernissage della mostra di John Abbagnale –  allestita nella nuova sede di DMP che offre anche assistenza legale in italiano – è stata l’occasione per l’avvocato Robert Lewandowski per presentare ad un nutrito gruppo di manager, imprenditori e colleghi venuti dalla sede tedesca dello studio DMP le potenzialità dello studio legale Derra, Meiers and Partners che proprio in questi giorni ha ricevuto il riconoscimento “ACQ Law Awards 2012”, ovvero studio legale dell’anno in Polonia. Per il pittore italiano è stata invece l’opportunità di esporre per la prima volta a Varsavia i suoi dipinti che mostrano influenze d’arte moderna che vanno dal surrealismo, al cubismo fino all’astrattismo. Nato a Castellammare di Stabia, dopo un lungo girovagare che ne ha influenzato la cifra artistica John Abbagnale si è fermato, trovando nuovi stimoli e ispirazione, a Varsavia, città che l’ha più volte spinto ad interpretarne il particolare landscape di moderna capitale europea. Un entusiasmo ed una forza espressiva che emergono dalle opere dell’artista italiano tanto quanto dalle sue parole: “La cosa peggiore”, ama ripetere Abbagnale “è un talento sprecato, se una persona ha talento deve spenderlo come un miliardario che vuole andare in bancarotta.’’

“Jak jest zbudowany plemnik”, “Come è fatto lo spermatozoo”,

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“Jak jest zbudowany plemnik”, “Come è fatto  lo spermatozoo”,  è il titolo della conferenza che si è tenuta nella sede dell’Istituto Italiano di Cultura lo scorso 4 dicembre. Relatore d’eccezione il Prof. Massimo Mazzini, Prof Ordinario di Zoologia alla Facoltà di Scienze dell’Università della Tuscia e attualmente esperto scientifico presso  l’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia. Il Prof. Mazzini, usando un linguaggio semplice e chiaro, ha guidato il numeroso pubblico presente in sala in un viaggio alla scoperta della cellula germinale maschile partendo dalle osservazioni dello scienziato olandese Antoni  van Leeuwenhoek che nel 1677, osservando ad un rudimentale microscopio un campione di eiaculato di un paziente affetto da sifilide, descrisse  per primo quelli che egli stesso chiamò  “animalculi”. Solo con l’avvento del microscopio elettronico, quasi 300 anni più tardi,  è stato possibile studiare gli spermatozoi, la loro morfologia e la loro funzione in modo più approfondito e dettagliato. A partire dai primi anni Settanta  il Prof  Mazzini, avvalendosi delle nuove tecnologie, si è dedicato allo studio delle cellule germinali del regno  animale. Ci ha presentato quindi, attraverso  il racconto delle sue ricerche iniziate a Siena sotto la guida del Prof. Baccetti  e proseguite in varie università italiane e all’estero, una carrellata di bellissime immagini molte delle quali da lui stesso realizzate. Un’indagine comparativa su numerosi modelli di spermatozoi presenti nel regno animale, partendo dal modello classico di spermatozoo. Il relatore ha illustrato quindi i processi evolutivi che hanno portato lo spermatozoo a divenire aflagellato, biflagellato, immobile ad assumere a volte forme aberranti. Le varie morfologie, la struttura interna, i difetti e le malformazioni di molti spermatozoi rappresentanti tutti i phyla animali. Alla fine della relazione le numerose domande, alcune tecniche e altre di pura curiosità, hanno portato i presenti ad una riflessione sul processo di evoluzione di  questa cellula nel tempo e soprattutto sugli effetti negativi che il cambiamento dell’ambiente, dovuto in particolar modo all’inquinamento da metalli pesanti come il piombo, il mercurio, l’alluminio, produce sulla sua funzionalità tanto da compromettere in modo significativo la fertilità maschile. Una conferenza scientifica quindi ricca e interessante condotta dal relatore in modo stimolante e accattivante che ha permesso ad un pubblico attento e interessato di conoscere più a fondo questa cellula che è alla base della vita sul nostro pianeta.