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Parata Pride a Varsavia pensando a Kiev

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Ieri si è svolta la manifestazione dell’orgoglio LGBTQIA+. Era collegata a quella ucraina che a causa della guerra non ha potuto aver luogo. “Nell’Ucraina c’è la guerra e pertanto questa parata del Pride è straordinaria perché si unirà a noi anche la parata da Kiev. Benvenuto ai nostri amici”, ha detto il sindaco di Varsavia Rafał Trzaskowski all’inizio della manifestazione. Tra le dodici richieste degli organizzatori della parata c’è soprattutto la protezione contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, la protezione degli animali e dell’ambiente, l’apertura verso i rifugiati.

https://www.polsatnews.pl/wiadomosc/2022-06-25/warszawa-ulicami-stolicy-przechodzi-parada-rownosci-w-tym-roku-laczy-sie-z-ukrainskim-kyivpride/

Nella tana dei leoni di Sicilia

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“Senza vedere la Sicilia non si può capire l’Italia”, così scrisse Johann Wolfgang Goethe. La precisione con cui il padre del Romanticismo tedesco racchiuse la verità su quest’isola incastonata nel mezzo del Mediterraneo sembra incredibile. Una frase che coglie tutta l’essenza della Sicilia senza dirne nulla, una frase chiave, basata su contraddizioni, e quindi “siciliana” fino al midollo.

La Sicilia è un grande contrasto, a volte così forte da sembrare irreale. Ma, come ben sappiamo, la Sicilia è una metafora. La Sicilia è già stata sia scenografia che protagonista di diverse opere. Stefania Auci segue lo stesso percorso, collocando il suo romanzo in questa terra assolata e ricca di antichi miti. Fin dalle prime pagine ci troviamo di fronte al temperamento focoso di un’isola tanto bella quanto pericolosa. L’autore costruisce con grande attenzione il mondo dei mercanti dell’Ottocento che salgono rapidamente ai vertici della scala sociale e diventano una delle famiglie più ricche d’Italia. Questo successo non è dovuto a nobili natali, ma al duro lavoro, all’ingegno e al fiuto per gli affari. La famiglia Florio è originaria della Calabria, ma stanca della povertà e dei terremoti, decide di emigrare per iniziare una nuova vita. Sceglie Palermo: importante città portuale dove si incrociano le rotte commerciali dell’est e dell’ovest. La famiglia Florio iniziò con il commercio di spezie per poi diventare una delle più famose produttrici di vino. Il loro prodotto di punta, il Marsala, è oggi quasi un capolavoro della Sicilia. Ma erano i Florio che fecero di questa bevanda poco appariscente la bevanda degli dei. L’autore tratteggia con maestria il percorso di avvicinamento ai vertici dei fondatori della famiglia, Paolo e Ignazio, che trasformano a ritmi vertiginosi un piccolo negozio in un impero commerciale e, con l’ampliamento della gamma di prodotti e l’ingresso in nuovi settori (ad esempio il commercio di zolfo), in un vero e proprio potere. “I leoni di Sicilia” è un romanzo che richiede l’impegno del lettore. La storia raccontata è in stretta relazione con l’epoca e il luogo d’azione: il Sud dell’Italia ottocentesco, alle soglie dell’unificazione. Un paese in cui ci sono differenze a quasi tutti i livelli: culturali, linguistici, di classe. L’autore tratteggia fedelmente le immagini dei mercati siciliani, delle strade odorose e dei porti che si affacciano sul mare azzurro. Un mondo allettante per la sua bellezza, ma anche spaventoso e pericoloso. “I leoni di Sicilia” non può essere confinato in un romanzo storico. I destini dei protagonisti e i loro dilemmi sembrano estremamente attuali. Auci mostra anche il lato oscuro della società dell’epoca: l’ostilità verso gli stranieri, l’invidia, il pregiudizio. Gli eroi devono affrontare atteggiamenti che non sono estranei ai lettori contemporanei. Forse è per questo che i destini dei due fratelli calabresi sono oggi così vicini al lettore.

“I leoni di Sicilia” di Stefania Auci, la prima parte della saga sulla famiglia Florio, è uscita nella traduzione polacca di Tomasz Kwiecień per la casa editrice W.A.B.

Il libro “Sycylijskie lwy” è in palio nel concorso sul nostro profilo su Facebook. Vi invitiamo a partecipare!

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Ti interessa la letteratura italiana? Ne parliamo qui.

Ranking università: prima Varsavia seconda Cracovia

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Ieri la Fondazione Educativa Perspektywy ha pubblicato il ranking delle università pubbliche, università private, istituti professionali, facoltà più utili per il lavoro. tenendo conto di sette criteri. “I destinatari più importanti del nostro ranking sono ovviamente gli alunni che hanno già sostenuto l’esame di maturità, perciò pubblichiamo i risultati due settimane prima che ricevano il diploma. Vogliamo facilitare la scelta dell’università e del corso di studi ai giovani”, ha detto il fondatore della Fondazione Perspektywy Waldemar Siwiński. Tra le istituzioni accademiche pubbliche l’Università di Varsavia ha occupato il primo posto, l’Università Jagellonica a Cracovia il secondo e il Politecnico di Varsavia il terzo. L’Accademia Leon Koźmiński a Varsavia ha conquistato il primo posto nel ranking delle istituzioni private. A seguire l’Università di scienze sociali e umanistiche SWPS a Varsavia e l’Accademia WSB a Dąbrowska Górnicza. Inoltre l’Accademia delle scienze applicate Giovanni Paolo II a Biała Podlaska ha occupato il primo posto tra le istituzioni pubbliche professionali. l’Accademia delle scienze applicate a Łomża e quella a Tarnów sono ex aequo al secondo posto.

https://www.pap.pl/aktualnosci/news%2C1260844%2Cuniwersytet-warszawski-najlepsza-polska-uczelnia-ranking-szkol-wyzszych

Storia dell’Adriatico. Un mare e la sua civiltà

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L’idea di scrivere questo libro nacque quando Egidio Ivetic, ora professore di storia moderna all’Università di Padova, era un marinaio di leva sulla Galeb (la nave di rappresentanza di Tito). Forse proprio in quel periodo si chiarirono anche i suoi interessi scientifici che riguardano la storia dell’Europa sud-orientale e dell’Adriatico come regioni storiche e l’area di confine tra il Mediterraneo e l’Europa. Il risultato di studi pluriennali ha prodotto l’opera che è stata appena pubblicata in Polonia per la casa editrice Międzynarodowe Centrum Kultury tradotta da Joanna Ugniewska, Piotr Salwa e Mateusz Salwa.

Già il titolo attira l’attenzione, perché nonostante i molti paesi e popoli la cui storia si intreccia sulle rive di questo mare, si parla di una civiltà adriatica. Una civiltà unita dal mare, perché secondo Ivetic, l’Adriatico – nonostante confini e conflitti – è un mare che unisce. Il nome Adriatico deriva dal nome dell’antico porto di Hadria (oggi Adria), fondato dagli Etruschi sulla costa settentrionale, nella zona dell’odierna Italia. È un mare nel mare, in quanto fa parte del Mediterraneo e rappresenta un 1/5 della superficie di questo mare. Separa la penisola italiana dai Balcani quindi è un luogo fisico con una certa posizione geografica e i suoi confini. L’Adriatico segnava il confine naturale degli imperi: l’Impero bizantino, l’Impero di Carlo Magno, l’Impero ottomano, il Sacro Romano Impero, l’Impero di Napoleone, la monarchia austro-ungarica. La storia dell’Adriatico è allo stesso tempo la storia dell’Europa centrale, ma anche la storia della formazione dei suoi confini.

D’altra parte, è anche un testimone e un protagonista della storia, una fonte di conoscenza del passato. L’Adriatico nel libro di Ivetic è uno spazio simbolico in cui si vedono le comunità locali e nazionali, un luogo di contatto della terraferma e della costa, dell’Oriente e dell’Occidente, del cattolicesimo e dell’ortodossia, della cultura romana e di quella slava. La storia di Egidio Ivetic parte dalla preistoria dell’area adriatica e dal passato greco, romano-illirico e bizantino e dedica attenzione particolare a ogni città e formazione del policentrico mondo adriatico, ma trova nella vicenda di Venezia un momento centrale, quando l’Adriatico viene economicamente e culturalmente integrato dalla presenza di una potenza. Nell’opera non mancano la storia del XIX e XX secolo, i tempi della prima e della seconda guerra mondiale, il periodo della guerra fredda e il conflitto nei Balcani. Ivetic sottolinea anche l’importanza degli ultimi passaggi politici che hanno fatto dell’Adriatico un’unità strategica entro l’alleanza atlantica e una euroregione dal punto di vista amministrativo. Ed è proprio nel quadro sovranazionale europeo che l’Adriatico potrebbe ripensare e praticare una sua unità, svincolandosi dalle sovranità degli stati. Gli abitanti dell’Adriatico devono tendere, secondo Ivetic, a far emergere dal proprio passato e ad affermare nel presente una cultura adriatica, plurilingue e transnazionale. Un obiettivo arduo ma che “vale comunque lo sforzo d’essere immaginato”, perché “una cultura adriatica rimane l’unica vera alternativa allo status di periferia, di confine e margine che i contesti rivieraschi vivono da troppo tempo in riferimento alle proprie culture nazionali”.

Il libro “Adriatyk. Morze i jego cywilizacja” è in palio nel concorso sul nostro profilo su Facebook. Vi invitiamo a partecipare!

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La Polonia ha fornito all’Ucraina attrezzature militari per 1,6 miliardi di dollari

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Durante l’incontro degli ambasciatori polacchi di ieri, il presidente Andrzej Duda ha affermato che la Polonia ha fornito all’Ucraina attrezzature militare per un valore di 1,6 miliardi di dollari, tra cui 240 carri armati, 100 veicoli blindati, sistemi missilistici, fucili, munizioni ed equipaggiamento personale come giubbotti antiproiettile ed elmetti di kevlar. Duda ha sottolineato che questa azione ha lo scopo di fermare l’aggressione russa e terminare il conflitto nei territori ucraini in modo che non raggiunga la Polonia.

https://www.wnp.pl/przemysl-obronny/prezydent-polska-wyslala-do-ukrainy-sprzet-za-1-6-mld-usd,593962.html

“Botticelli racconta la storia”, dipinti italiani in mostra al Castello Reale di Varsavia

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Nell’ambito di una proficua collaborazione tra la città di Bergamo, che l’anno prossimo insieme a Brescia sarà capitale della cultura italiana, e le istituzioni polacche sono arrivate a Varsavia sette opere d’arte dell’Accademia Carrara. Le opere dei maestri italiani del XV e XVI secolo, raramente prestate all’estero, saranno esposte per tre mesi nella Galleria dei Capolavori al piano terra del Castello nella mostra intitolata “Botticelli racconta la storia”. Protagonista della mostra è Botticelli, autore delle Storie di Virginia. Questa “spalliera” del 1500 circa è un dipinto realizzato su tavola, originariamente parte del raffinato arredamento del soggiorno di una casa patrizia appartenente a uno dei rappresentanti della famiglia fiorentina Vespucci. Tra gli altri quadri in mostra anche opere di Vittore Carpaccio e Lorenzo Lotto. La mostra è stata inaugurata ieri alla presenza dell’Ambasciatore Aldo Amati, del sindaco di Bergamo Giorgio Gori, del direttore del Castello Reale Wojciech Falkowski e di una ampia rappresentanza del mondo culturale polacco e italiano che vive a Varsavia. L’esposizione, che sarà aperta dal 21 giugno al 18 settembre è presentata nel più importante interno rinascimentale del Castello Reale di Varsavia: l’ex Camera dei Deputati. La mostra è accompagnata dal catalogo scientifico bilingue che contiene i saggi e i dettagli sulle opere in esposizione. L’evento è organizzato in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica Italiana e inserito nella celebrazione del 100° anniversario della Convenzione Commerciale tra il Regno d’Italia e la rinata Repubblica di Polonia.

Polonia Oggi

Botticelli racconta la storia

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Per le vacanze estive il Castello Reale di Varsavia ha preparato un evento che interesserà tutti gli appassionati d’arte, in particolare gli amanti del Rinascimento italiano. Per la prima volta arriveranno a Varsavia diverse opere eccezionali prese in prestito dalla collezione dell’Accademia Carrara, un’eccellente pinacoteca di Bergamo, luogo particolarmente vicino ai polacchi in viaggio verso il nord Italia. Le opere dei maestri italiani del XV e XVI secolo, raramente prestate all’estero, saranno esposte per tre mesi nella Galleria dei Capolavori al piano terra del Castello.

Il vero protagonista della mostra sarà Sandro Botticelli, autore del monumentale dipinto le Storie di Virginia. Questa “spalliera” del 1500 circa è un dipinto realizzato su una tavola, originariamente parte del raffinato arredamento del soggiorno di una casa patrizia appartenente a uno dei rappresentanti della famiglia fiorentina Vespucci (il cui figlio fu il famoso navigatore). Il dipinto, insieme alle Storie di Lucrezia (ora a Boston), è un’opera unica nell’intera produzione di Botticelli che, solo in quell’occasione, illustrò temi della storia dell’antica Roma.

Sandro Botticelli, Storie di Virginia, circa 1500

Virginia, la cui storia è interamente rappresentata in quest’opera, è stata nell’antichità, e più tardi anche nei tempi moderni (dagli inizi della cultura umanistica in Italia), simbolo di libertà e opposizione all’impunità della tirannia e del giudizio ingiusto. La sua tragica morte scatenò un moto di ribellione nel popolo romano che portò al rovesciamento dei decemviri allora al governo e, di conseguenza, all’introduzione di un sistema più resistente agli abusi di potere.

La storia descritta prima da Tito Livio e Valerio Massimo, e poi ancora da Boccaccio, ha una dimensione eterna. Tanto che anche oggi tocca problemi e questioni attuali, ovvero l’importanza dei valori fondamentali nella vita pubblica, lo stato di diritto o la dignità dell’individuo a contatto con una magistratura corrotta. La storia di Virginia – un tragico intreccio del destino di una ragazza comune con la politica, la caduta di un tiranno e di un sistema corrotto – è il motivo più importante, ma non l’unico, per visitare la mostra. La mostra presenterà anche le opere di altri grandi artisti della collezione dell’Accademia Carrara e (per la prima volta!) due straordinari acquisti del Castello Reale del 2021.

La selezione delle opere riflette la topografia dell’arte italiana di quel periodo: ci sono dipinti provenienti dai centri più importanti, dalle città che hanno sviluppato forti ambienti artistici locali, come Venezia, Firenze, Ferrara, Bergamo o Verona. La mostra presenterà opere di giganti della pittura come Giovanni Bellini, Cosmè Tura, Vittore Carpaccio, Lorenzo Lotto, Defendente Ferrari, Giovanni Battista Moroni, Jacopo Bassano e Paolo Veronese.

La mostra è presentata nel più importante interno rinascimentale del Castello Reale di Varsavia: l’ex Camera dei Deputati, invece l’allestimento che utilizza un gioco di forme geometriche e di luci fornisce al pubblico un’esperienza unica.

La mostra è accompagnata dal catalogo scientifico bilingue che contiene i saggi e i dettagli sulle opere in esposizione.

dr Mikołaj Baliszewski, curatore della mostra al Castello Reale di Varsavia

Botticelli racconta la storia. Opere dei maestri rinascimentali della collezione dell’Accademia Carrara.
21 giugno–18 settembre 2022 Castello Reale di Varsavia
La mostra è visitabile con un biglietto per la Galleria dei Capolavori

L’evento è organizzato in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica Italiana e inserito nella celebrazione del 100° anniversario della Convenzione Commerciale tra il Regno d’Italia e la rinata Repubblica di Polonia.

“Il dialogo italo-polacco si arricchisce di una mostra preziosa e speciale ospitata in una cornice sontuosa come il Castello Reale di Varsavia. E l’incontro Bergamo-Varsavia si impreziosisce di un altro capitolo “rinascimentale” che va ad arricchire il già voluminoso libro dei rapporti tra due città intrise di fascino. Al Castello Reale vengono presentati i maggiori artisti bergamaschi e maestri insuperabili come Bellini, Botticelli o Veronese. Bergamo, come avamposto più occidentale della Repubblica di Venezia, ha prodotto una preziosa stirpe di pittori che crearono un linguaggio artistico marcatamente realistico, orientato al quotidiano, che rivoluzionò l’iconografi a religiosa dell’epoca, segnando uno spartiacque per i successivi sviluppi caravaggeschi. È mio auspicio che siano numerosi i polacchi e gli italiani che visiteranno una mostra di altissimo valore che ha indotto a venire a Varsavia la Direttrice dell’Accademia Carrara Rodeschini, il Sindaco di Bergamo Gori e il Rettore dell’Istituto Universitario di Bergamo Sergio Cavalieri.”

Aldo Amati, Ambasciatore d’Italia in Polonia

traduzione it: Agata Pachucy
foto: Enrico Fontolan

Cibi del futuro: tra biotecnologia e agricoltura

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Che cos’hanno in comune le innovazioni della biotecnologia e le antiche tradizioni dell’agricoltura? La recente pandemia di Covid-19, unita alla crisi politica ed economica che si prospetta in Europa come conseguenza alla guerra in Ucraina, ha messo in luce un problema noto già da tempo: l’insicurezza alimentare.

Secondo l’ultimo rapporto dell’ONU si prevede entro il 2050 di raggiungere la soglia di 10 miliardi di abitanti sul pianeta. 10 miliardi di bocche da sfamare, in un pianeta le cui risorse non sono infinite. A oggi si contano ancora 850 milioni di persone che soffrono di denutrizione distribuite in 55 Paesi: l’obiettivo delle Nazioni Unite è quello di raggiungere la sicurezza alimentare entro il 2030. Per riuscirci è indispensabile cambiare a livello globale l’attuale sistema di produzione alimentare che, purtroppo, è tra i maggiori responsabili di crisi climatica, inquinamento e riduzione della biodiversità nel pianeta. Ciò significa che dalla coltivazione all’acquisto, ognuno è chiamato a fare la sua parte. Mentre la scienza è impegnata nella ricerca di soluzioni innovative, anche il consumatore finale può e deve iniziare a essere più consapevole del peso delle proprie abitudini alimentari.

La FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per Alimentazione e Agricoltura) definisce in modo preciso ciò che ci si aspetta da un’alimentazione sostenibile: “deve avere basso impatto ambientale e contribuire alla salute e alla sicurezza alimentare, per il presente e per le generazioni future. Garantire protezione e rispetto della biodiversità e degli ecosistemi, essere culturalmente accettabile, accessibile, economicamente conveniente, adeguata nel profilo nutritivo, ottimizzando nel contempo le risorse naturali e umane”. Una sfida tutt’altro che semplice!

Da un lato si investe sempre di più nel settore “foodtech” e “foodscience”, cioè lo sviluppo di nuove tecnologie per la produzione del cibo, con la possibilità di realizzare alimenti attraverso coltivazione in laboratorio di cellule animali, per produrre la cosiddetta “carne coltivata”, oppure l’utilizzo alternativo di vegetali: lo scopo in ogni caso è quello di ricreare artificialmente gusto e consistenza della carne animale. Di recente la startup israeliana Yumoja, le cui ricerche fino ad oggi erano rivolte al settore cosmetico, ha trovato la soluzione per dare la giusta succosità ai prodotti che simulano la carne, e ha brevettato il primo “sangue vegetale” ottenuto dalla microalga Ounje (parola africana che significa letteralmente “cibo”).

Mentre la tecnologia va avanti, all’agricoltura viene richiesto di fare un passo indietro, poiché le monocolture e le coltivazioni estensive hanno causato desertificazione e impoverimento del terreno.

Il Forum Economico Mondiale, insieme al WWF, ha stilato una lista dei 50 cibi del futuro, allo scopo di ispirare una maggiore varietà alimentare. I cibi sono stati scelti sulla base delle caratteristiche che meglio rispecchiano la definizione di dieta sostenibile, e fortunatamente anche sulla base del gradimento!

La lista comprende alghe, cereali, legumi e germogli, cactus (ebbene sì!), radici e tuberi, frutta, verdura, semi, funghi. Niente cose avveniristiche, anzi, la parola d’ordine è il ritorno alla semplicità. In comune hanno solo una caratteristica: sono tutti cibi di origine vegetale.

Le fonti proteiche di origine vegetale sostengono il cambiamento verso il consumo di più piante e meno animali, i legumi arricchiscono il suolo in cui sono coltivati, i funghi hanno la capacità di crescere in aree inadatte ad altre piante commestibili. Fra i cibi suggeriti sicuramente l’attenzione è catturata dalle alghe: in Occidente siamo poco abituati al loro consumo, ma gli esperti prevedono che giocheranno un ruolo determinante. Per crescere infatti richiedono meno acqua e meno energia rispetto ad altre piante, e la loro coltivazione è definita “carbonnegative”: rimuovono CO2 dall’ecosistema e sono responsabili per metà di tutta la produzione di ossigeno sulla Terra. Possono essere ricche di proteine e il loro sapore può ricordare quello della carne.

Altro elemento curioso che troviamo nella lista sono i cactus, o piante grasse. Normalmente utilizzati come piante decorative, alcuni tipi di cactus sono commestibili. Immagazzinano acqua, e per questo sono in grado di crescere anche in presenza di clima arido, e hanno un ottimo contenuto di sostanze nutritive. Foglie e fiori possono essere consumati crudi o cotti, e trasformati in succhi e marmellate. Ne è un esempio il fico d’India, diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo e, in provincia di Catania, protetto anche con il marchio DOP. Di questa pianta non si butta via niente: sono commestibili le pale, i petali dei fiori e ovviamente i frutti.

Se questi sono i cibi che ci aspettano, il futuro non sembra così male, a patto di coltivare il rispetto per il pianeta e tutti i suoi abitanti. Per questo oggi non vi lascio consigli culinari, ma solo una rifl essione su queste parole del Mahatma Gandhi: «La terra ha risorse sufficienti per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di poche persone».

Domande o curiosità inerenti l’alimentazione? Scrivete a info@tizianacremesini.it e cercherò di rispondere attraverso questa rubrica!

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Tiziana Cremesini, diplomata in Naturopatia presso l’Istituto di Medicina Globale di Padova. Ha frequentato la Scuola di Interazione Uomo-Animale ottenendo la qualifica di Referente per intervento di Zooantropologia Assistenziale (Pet-Therapy), attività in cui si sposano i suoi interessi: supporto terapeutico e miglioramento della relazione fra essere umano e ambiente circostante. Nel 2011 ha vinto il premio letterario Firenze per le culture di pace in memoria di Tiziano Terzani. Attualmente è iscritta al corso di Scienze e Tecnologie per Ambiente e Natura presso l’Università degli Studi di Trieste. Ha pubblicato due libri  “Emozioni animali e fiori di Bach” (2013), “Ricette vegan per negati” (2020). Con Gazzetta Italia collabora dal 2015 curando la rubrica Siamo ciò che mangiamo. Per più informazioni visitate il sito www.tizianacremesini.it

L’Aquila di Wisła e Tomba La Bomba di Bologna

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Due grandi campioni degli sport invernali, senza dubbio membri del pantheon delle figure più importanti del XX secolo, nella storia polacca e in quella italiana. Nella corsa per il posto del miglior atleta italiano di tutti i tempi, Alberto Tomba è stato sconfitto soltanto da Valentino Rossi. Nel Plebiscito per lo Sportivo più importante, in occasione del 100° anniversario della Rivista Sportiva polacca, soltanto Irena Szewińska ha superato Adam Małysz. Nel corso degli anni i due sportivi hanno vinto i più importanti premi e trofei e, nonostante abbiano due personalità completamente diverse, sono stati idoli per milioni di persone.

Credo fermamente che ognuno di noi abbia qualche dote speciale. Purtroppo solo pochi riescono a trovarla, e, dopo tanti faticosi anni di lavoro, ad estrarne un talento, “lucidarlo”, arrivando alla perfezione. Per di più, anche se facciamo una diagnosi accurata delle nostre capacità, ci manca semplicemente il coraggio di usarle bene. Ogni tanto però – benché sia impossibile indicare esattamente quando – viene al mondo un genio che scopre presto le sue potenzialità. Se aggiunge al talento e al potenziale un lavoro diligente, dedizione, migliaia di ore di ripetizioni e sacrifici, raggiungerà sicuramente la perfezione nella sua disciplina. Questo fu il caso di Mozart con il pianoforte, di Michael Jordan con la pallacanestro, di Miles Davis con la tromba. La stessa cosa è successa con Alberto Tomba e Adam Małysz con gli sci. Il primo è stato un campione di sci alpino e il polacco è uno dei saltatori con gli sci di maggior successo nella storia della disciplina. In entrambi i casi, i genitori hanno giocato un ruolo fondamentale nella loro vita, fin dall’inizio. Fu grazie alla sollecitazione di suo padre che Adam Małysz iniziò ad allenarsi con gli sci e fece il suo primo salto all’età di 6 anni. Allo stesso modo, nel caso del campione italiano, se non fosse stato per la tenacia e la determinazione di Franco Tomba, che convinse il figlio ad allenarsi con gli sci, l’Italia non avrebbe mai conosciuto La Bomba.

Adam Małysz, fot. Aleksander Nilssen
(https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/deed.en)

A parte il trampolino e la pista che in qualchemodo li accomunano, erano due persone completamente diverse. Durante la sua carriera, Małysz ha sempre evitato qualsiasi scandalo morale. Sia sul trampolino che nella vita privata è sempre rimasto lo stesso: educatissimo e pieno di rispetto per i suoi rivali. Durante le interviste ai media, la sua modestia e onestà sono rimaste uguali dall’inizio alla fine della sua carriera, fino al suo ultimo salto. È anche grazie a quella sua semplicità che ha conquistato milioni di tifosi in Polonia e nell’immaginario collettivo rappresentava un ragazzo di quartiere, in gamba, educato e ben organizzato, che, grazie a tanti anni di impegno, è riuscito a raggiungere i vertici. A soli 20 anni, nel 1997, si è sposato e pochi mesi dopo è diventato padre. Ha potuto contare sul sostegno della famiglia durante tutti gli anni della sua carriera.

Alberto Tomba, a sua volta, ha lavorato caparbiamente per il titolo del più grande animale da palcoscenico non solo nella storia della sua disciplina ma nella storia degli sport invernali in genere. Non ha mai nascosto il suo edonismo, gli è capitato di lanciare i trofei. Fuori dalle piste trascorreva il suo tempo libero divertendosi in grandi feste. Macchine veloci e belle donne lo hanno accompagnato per tutta la vita. Per tre anni i suoi fenomenali slalom furono applauditi da Martina Colombari, Miss Italia 1991, che all’età di 16 anni divenne la compagna di Alberto. La prima Ferrari invece gliel’ha regalata il padre quando La Bomba vinse il primo oro olimpico.

È incredibile come il raggiungimento della perfezione assoluta, in qualsiasi campo, influisca sulla percezione generale di una persona. Da un lato, leggendo degli eccessi di Tomba, apprendiamo che da qualche parte, lontano da noi, esiste un mondo, inaccessibile alle persone comuni, in cui vivono le star, quelle reali non i protagonisti dei film di Martin Scorsese: personaggi che vivono una vita nellaversione premium. Hanno tutto: lo splendore, la gloria, l’adorazione, attirano gli sguardi peccaminosi delle belle donne e si lanciano in feste che durano fino al mattino. Dall’altra parte apprezziamo però anche la modestia, l’evitare le luci dei riflettori, e la vita normale, ovvero quello a cui ci ha abituato Adam Małysz. Due maestri assoluti ma anche due persone completamente diverse.

L’inizio del millennio fu un periodo di “malyszomania”. Włodzimierz Szaranowicz, nella sua famosa lode dedicata all’Aquila di Wisła, lo ha definito (con una voce rotta e piena di commozione) l’idolo della crisi e un fenomeno sociale. E così è stato davvero. Sebbene il calcio sia senza dubbio lo sport che gode di maggiore popolarità in Polonia, né anni fa Zbigniew Boniek, né ora Robert Lewandowski hanno avuto una così grande influenza sulla società polacca, e non hanno portato una così grande gioia collettiva con il loro lavoro, come lo ha fatto Małysz. Quando il 10 febbraio 2002, durante i Giochi Olimpici di Salt Lake City, Adam Małysz si sedette sulla barra di partenza, davanti ai televisori raccolse oltre 20 milioni di telespettatori, il che fino ad oggi rimane un record irraggiungibile. Nonostante non abbia mai vinto un oro olimpico, i successi, la carriera e la sua personalità hanno messo le basi per le medaglie olimpiche di tutti i saltatori polacchi, Kamil Stoch in testa. Małysz è diventato campione del mondo ben quattro volte. Ha vinto quattro medaglie olimpiche e quattro coppe del mondo. Continua a occupare il primo posto nella classifica mondiale di tutti i tempi, e nell’ultima stagione di gare è arrivato terzo nella classifica generale della Coppa del Mondo.

Alberto Tomba dopo le sue spettacolari discese a Calgary nel 1988 è diventato “il re dello sci”. Non senza motivo: quelli sono stati i migliori Giochi Olimpici nella sua carriera. L’italiano ha vinto l’oro sia nello slalom classico che nello slalom gigante: fu un vero genio degli sci. Ma fuori pista, ha vissuto come le grandi rockstar. La storia ricorda molti atleti eccezionali che non hanno dato, diciamo, il miglior esempio nella loro vita privata. Il fantastico James Hunt diventò Campione del Mondo di Formula 1 nel 1976, anche se fuori pista si comportava come Keith Richards. Tuttavia, vinse il titolo solo una volta e non ripeté mai il grande successo di quella storica stagione. Tomba La Bomba, invece, è stato il primo sciatore alpino nella storia a difendere la medaglia d’oro alle Olimpiadi francesi del 1992. Ai suoi tre dischi d’oro olimpici ha aggiunto due argenti per lo slalom di Lillehammer e Albertville. Inoltre, ha dominato la Coppa del Mondo di Sierra Nevada, terminando in modo simile alle finali delle Olimpiadi a Calgary, con due medaglie d’oro appese al collo. Nella sua carriera è salito sul podio ben 88 volte. La sua carriera, proprio come quella di Adam Małysz, è finita quando è arrivato al vertice.

Le prossime Olimpiadi inizieranno nel 2026. Spero sia il momento della nascita del prossimo campione di sci. Del resto, il mondo non ama il vuoto, e grazie ai veri campioni dello sport, noi, comuni mangiatori di pane, viviamo una vita parallela, assistendo con grande passione negli stadi, o anche davanti ai televisori, alle sfide delle varie competizioni. Spero che alle Olimpiadi di quest’anno, sia gli atleti polacchi che quelli italiani, ci daranno molti motivi di gioia.

traduzione it: Dorota Kozakiewicz-Kłosowska

Non solo gioielli, l’ambra di Danzica nell’arte antica

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Il Museo dell’Ambra di Danzica si presenta come un gabinetto delle curiosità, come si usava in epoca moderna quando veniva chiamato kunstkamera. Una stanza piena di arte, oggetti particolari e creazioni della natura. In quel periodo minerali, scheletri, animali impagliati, conchiglie esotiche, godevano di grande popolarità. I prodotti di ambra erano pregiati tanto quanto i nautilius, cioè i molluschi cefalopodi tetrabranchiati, che servivano, accanto alle corna di narvalo o le uova di struzzo, alla produzione di coppe sofisticate.

Le prime kunstkamera furono create nel XVI secolo e furono predecessori dei musei. Il Museo dell’Ambra, situato in un antico mulino, il più grande dell’Europa medievale, costruito dai Cavalieri Teutonici nel 1350, si presenta come se fosse un’enorme kunstkamera con le peculiarità del mondo naturale e la qualità dell’arte degli artisti di Danzica dal Medioevo alla Contemporaneità. L’ambra e quelli che la lavorano sono l’orgoglio di Danzica e la sua tradizione secolare ha contribuito alla fama della città in tutta Europa. L’ambra di Danzica era un oggetto del desiderio per re, magnati e aristocrazia laica ed ecclesiastica. Il suo uso era ben noto nell’artigianato artistico e nella medicina. Già nel Medioevo Plinio il Vecchio lodava l’ambra nel suo trattato “Storia Naturale”, notando che “tra gli oggetti di lusso, la sua valutazione è così alta che una statuetta d’uomo in ambra, per quanto piccola, supera il costo di uomini viventi e in forze [schiavi]”. A Danzica già nel Medioevo, intorno al X secolo, nacque il diritto sull’ambra, che apparteneva ai principi ai quali i pescatori pagavano un tributo. Fu proprio in quel periodo che si stabilirono i primi laboratori che producevano piccoli ornamenti, principalmente rosari, croci e perline per collane. Con il tempo, si specializzarono nella fabbricazione e nell’intaglio di scatole, cornici per posate, statuette di Madonne e altri santi, così come i bassorilievi di scene mitologiche e bibliche. I lavoratori dell’ambra di Danzica cominciarono a realizzare bellissimi gioielli, impugnature di armi, altari domestici, armadi, scatole, pipe, pettini, cofanetti e interi mobili. La storia della Camera d’Ambra è probabilmente nota a tutti. L’ambra era ed è ancora un oggetto di ammirazione, interesse e desiderio.

“Perline dorate come il sole”

Omero scrisse dell’ambra come se fossero delle perline ma, visitando la più grande collezione di ambra al mondo, si scopre che di perline ce ne sono poche. Invece è pieno di pezzi di diversi chili in tutte le sfumature di giallo, marrone, arancione, rosso corallo, rosso argilla terra rossa, bianco latte e verde. Alcuni di loro trasmettono la luce come il vetro, altri assomigliano al miele denso: di grano saraceno, di tiglio, di facelia, leggermente cristallizzati oppure di consistenza liquida. Includono striature di sostanza appiccicosa, bianco latte, solidificata in giallo paglierino trasparente, al loro interno nascondono licheni, foglie, minuscole particelle di fiori, steli e persino delicate piume di uccelli. Altri pezzi sembrano una massa liquida con la forma irregolare di una lacrima o di una pane con un deposito di particelle marroni che cadono sul fondo e sulle pareti della forma. La vita immersa nell’ambra sembra essere una vita reale, un frammento misterioso che stiamo sbirciando attraverso un vetro dorato, che distorce gli arti di una lucertola, le zampe di un ragno o le ali di un’ape. I pezzi d’ambra celano al loro interno bruno-rossastro forme vorticose, come nuvole intrappolate. Molti di essi sono opachi, monocolore o strettamente integrati, composti da pezzettini multicolori di varie texture: l’ambra varia da profonda e compatta, apparentemente satura di pigmento opaco, a delicata, trasparente come un vetro di cristallo. Livellata ogni volta fino alla perfezione della superficie liscia della scatola o del frontale del cassetto creando un motivo insolito e unico.

Moderni lavoratori dell’ambra di Danzica. Cofanetti, candelabri, cabinet.

Il periodo del massimo splendore e di maggior prosperità dell’artigianato dell’ambra nelle terre di Danzica fu dalla seconda metà del XVI secolo alla prima metà del XVIII secolo. La prima Gilda degli artigiani dell’ambra fu creata nel 1477. Per diventare membri bisognava essere cittadini, avere un atto di matrimonio e presentare un certificato di battesimo. La Gilda imponeva una vita morale e la partecipazione alle cerimonie religiose, che rispettava anche le mogli dei lavoratori dell’ambra. Kazimierz Jagiellończyk ha contribuito allo sviluppo dell’artigianato concedendo alla città zone ricche di depositi di ambra come Mierzeja e l’Isola di Sobieszewo. “L’età d’oro di Danzica”, a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, fu il periodo della massima diffusione dei prodotti in ambra nelle corti principesche e reali di tutta Europa e divennero i regali diplomatici più preziosi per i papi, sultani, zar e governanti regionali. Il legato pontificio Commendoni che soggiornò a Danzica durante il regno di Zygmunt August menziona nelle sue note: spettacolari cofanetti, cucchiaini e gabbie per uccelli. Mentre navigava Jan III Sobieski ricevette dagli abitanti di Danzica una corona scolpita da un singolo pezzo di ambra. Nel Museo dell’Ambra, tra migliaia di oggetti esposti, si trovano quelli che presentano l’antica maestria degli artigiani. Uno di questi fornisce un cabinet del 1724 di Johann Georg Zernebach. Il mobile è datato e firmato all’interno: “Danzig/28. Julius/Ao 1724/ Johan George/Zernebach”.

Il cabinet è un mobile di lusso con una o più parti, spesso posto su una base oppure appoggiato su un comodino. Serviva a custodire gli oggetti più preziosi come gioielli, documenti, denaro, artefatti, oppure altri tesori con un significato particolare per il proprietario. Veniva chiuso con portine oppure incernierato orizzontalmente, fra i vari usi serviva anche per scrivere. Dietro la chiusura a ribalta c’erano inseriti spesso: cassetti, scatole e nascondigli. I cabinet erano decorati con miniature su vetro, intarsi, mosaici, ornamenti di avorio, ambra, metalli, e la superficie di legno, o di altro materiale, era intagliata. Gli interni erano rivestiti di specchi, tessuti, lacca, avorio e dipinti. Il cabinet di Zernebach è un oggetto in ambra con degli elementi di metallo, avorio e mica. Sul fronte possiede un paio di porte chiuse a chiave con coperture interne d’argento. Le facciate delle porte sono decorate con rilievi di osso su mica. Sopra il cabinet troviamo un rilievo di putto su delfino. Un putto in osso, molto artistico, seduto su un delfino mentre soffia un corno adorna anche la parte superiore del mobile. Le pareti e le facciate sono state create da forme fini e simmetriche dell’ambra multicolore creando i disegni dalle sfumature diverse: dal giallo sbiancato attraverso il colore del miele e del sole, leggermente più chiari, fino alle tonalità più decise, con toni del marrone scuro, rosso ciliegia e rosso rossastro. Tutti i colori sono molto caldi, e gli elementi intagliati in osso bianco-latte contrastano fortemente con essi. L’artigianato nella creazione del cabinet è incredibile. Ogni singolo elemento del mobile è stato preparato con grande precisione. Le piastrelle d’ambra sono state unite e abbinate in modo da formare un insieme strutturalmente uniforme con colori diversi. La simmetria preservata permette di vagare liberamente tra i numerosi dettagli del mobile. Dopo aver aperto la porta, l’interno rivela due file di piccoli cassetti e lo spazio tra di essi a forma di nicchia semicircolare. Le sue pareti interne sono coperte di specchi e la base è fatta di piastrelle quadrate in diverse tonalità di ambra in un motivo a scacchiera. Il mobile sembra un pezzo di gioielleria decorato con ornamenti a spirale, colonne, capitelli, vasi, accessori d’argento, un busto di donna e altri ornamenti. È un capolavoro del più alto artigianato dell’ambra e dopo averlo visto, non c’è da meravigliarsi che i prodotti della Gilda di Danzica fossero ricercati dai potenti di tutto il mondo.

Tra i reperti moderni, i più accattivanti sono gli scrigni d’ambra foderati di velluto, completi anche di carte di flirt in ambra, un medaglione con l’Adorazione dei Pastori in ambra siciliana, una scatola decorata sul coperchio con una scena tra amanti, altari domestici, statuette della Madonna, cucchiaini, spille, manici di posate e altri oggetti. Uno spazio separato nel museo è dedicato ai misteri della Camera d’Ambra. È una delle opere d’arte più ricercate al mondo. È stata realizzata trecento anni fa e si è persa durante la Seconda Guerra Mondiale. La Camera d’Ambra, che misura 10,5 per 11,5 metri, è stata realizzata dai maestri di Danzica su progetto dello scultore e architetto Andreas Schlüter. Fu commissionata dal re Federico Guglielmo I di Prussia e successivamente regalata allo zar Pietro I di Russia come segno di amicizia e conferma dell’alleanza. Fu montata a San Pietroburgo tra il 1743 e il 1746, su richiesta della figlia di Pietro I, Elisabetta. Circa un decennio dopo, la Camera fu spostata dal Palazzo d’Inverno al Tsarkoye Selo, il che obbligò a cambiamenti nella sua decorazione e dimensione. Prima della Prima Guerra Mondiale iniziò la conservazione degli arredi mobili, e durante la Seconda Guerra, nel 1941, dopo la cattura di Tsarskoye Selo da parte delle truppe tedesche, la Camera fu consegnata alle collezioni d’arte reale. Il suo custode era il dottor Alfred Rohde, ma quando l’Armata Rossa bombardò Królewiec, nella città bruciata, il lavoro artigianale di Danzica non fu trovato. Il dottor Rohde morì nel 1945 e non rivelò alcuna informazione sulla Camera. Da allora ci sono state molte ipotesi sulla sua scomparsa. Si crede che sia andata bruciata o che sia stata nascosta nelle montagne Sowie o nel complesso del Castello di Książ e in molti altri posti. Alcuni credono che sia affondata con la nave “Wilhelm Gustloff” o con il piroscafo “Karlsruhe”. Ci sono ancora diversi luoghi dove la Camera d’Ambra potrebbe essere oggi e ogni ipotesi ha i suoi sostenitori. Nel 2007 sono stati creati degli oggetti quale riproduzione di quelli originali. Entrambi sono presentati in vetrine speciali del museo. Uno di essi raffigura la “Caduta di Faeton”, l’altro: le “Lacrime di Hellad”.

Ambra contemporanea di Danzica

L’ambra del Baltico è resina fossilizzata di alberi di conifere che crescevano nelle zone umide della Scandinavia e del Mar Baltico più di 40 milioni di anni fa. Due guerre mondiali hanno distrutto l’industria europea dell’ambra e nessun laboratorio è sopravvissuto a Danzica. Dopo la Seconda Guerra Mondiale molti artisti hanno cercato di far rivivere il mestiere, ma inizialmente sono stati creati solo oggetti decorativi ed elementi di costumi. Oggi i lavoratori dell’ambra di Danzica sono di nuovo conosciuti in tutto il mondo. Creano secondo i metodi tradizionali nello stile dei loro predecessori, ma usano anche metodi contemporanei. Trai i prodotti di Danzica ci sono altari, come l’altare interamente d’ambra nella chiesa di S. Brigida, gioielli moderni, elementi di costumi d’avanguardia, sculture contemporanee e utensili. Basta passeggiare lungo la via Mariacka a Danzica per vedere oggetti insoliti decorati con ambra e gioielli artistici in vetrine esposte sui ciottoli secolari. Oltre all’unico Museo dell‘Ambra a Stary Młyn, “l’oro del nord” è reso famoso dalle fiere AMBERIF e AMBERMART, dalla cattedra di ambra presso la Facoltà di Biologia, Geografia e Oceanografia dell’Università di Danzica, da una mostra al Museo Archeologico e dagli eventi durante l’annuale Fiera Dominicana. Molti percorsi dell’arte contemporanea portano a Danzica: la capitale mondiale dell’ambra.

foto: Anna Cirocka
traduzione it: Judyta Czekajewska

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