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Il grande cinema di Sorrentino

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fot. Andrea Pattaro

Non c’è nessun altro regista che possa così deliziare e scioccare allo stesso tempo. Lodato e maledetto. Un genio per alcuni, un giullare per altri. Ecco Paolo Sorrentino che torna con il suo nuovo film che parla di lui più di tante interviste e biografie.

Non ci sono tanti registi cinematografici che usano la loro immaginazione. Pochi sono i seguaci di Federico Fellini, che ha sempre detto che i sogni sono l’unica e più importante realtà. Sono anche pochi i registi che si avvicinano a ogni dettaglio per inquadrarlo come artigiani. Così è Paolo Sorrentino. Elogiato da alcuni, criticato da altri per il suo cinema di grande effetto, ma privo di contenuto. Un giullare che prende in giro tutto e tutti nella corte italiana, dai politici alla Chiesa. Tuttavia ricordando le parole del suddetto FeFe: quando finisce l’immaginazione, finisce l’umanità. Per fortuna la fede in un domani migliore viene restituita dal cinema di Sorrentino, come testimonia anche l’ultimo film ”È stata la mano di Dio”, premiato alla 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, che a metà dicembre è uscito nelle sale polacche e su Netflix. Il film, che ha vinto sette premi a Venezia, tra cui il Leone d’argento-Gran Premio della Giuria, il premio Marcello Mastroianni per il migliore debutto d’attore e il premio dell’Organizzazione Cattolica per la Cinematografi a e l’Arte Audiovisiva (SIGNIS), ci porta nella città di origine del regista. Qui seguiamo la storia del giovane Fabietto Schisa (Filippo Scotti), ambientata nella turbolenta Napoli degli anni ’80, in cui arriva inaspettatamente la leggenda del calcio Diego Maradona.

Oggi Napoli è la terza città più popolosa d’Italia. Dopo la seconda guerra mondiale era una città che portava i segni dei traumi del conflitto. Sporca, trascurata, non era più quella città fastosa, a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, allora governata da spagnoli ultra-cattolici che eressero la maggior parte dei monumenti imponenti della città. Gli anni ’70 sono il periodo in cui il piccolo Paolo sta crescendo. Non sappiamo molto della vita del regista, quello che si conosce è ciò che apprendiamo dai suoi film. Sappiamo inoltre che sua moglie è Daniela D’Antonio, con la quale ha avuto i figli Anna e Carlo, e che non ha mai studiato alla scuola di cinema. Tutti gli altri fascini, traumi e sentimenti sono nascosti tra i fotogrammi dei suoi film. È il caso anche dell’ultima opera, candidata agli Oscar del prossimo anno, sul fascino di Maradona. Il regista è sempre stato innamorato della squadra del Napoli. Una volta ha ammesso che questo vero amore è scoppiato con l’arrivo di Diego Armando Maradona nel 1984. Sorrentino gli deve la vita e il motivo lo ha raccontato anni dopo in un’intervista per la televisione italiana: “nel settembre del 1986 i miei genitori volevano trascorrere qualche giorno nella nostra casetta di Roccaraso. Dissi a mio padre che avrei preferito andare a vedere il Napoli in trasferta a Empoli. Di solito papà rispondeva che ero troppo giovane per andare in trasferta ma quella volta – per qualche ragione – acconsentì. Così io rimasi a casa per andare a vedere la partita il giorno seguente mentre i miei genitori partirono. Il giorno dopo, di prima mattina, suonò il campanello. Era il custode del palazzo, mi disse di scendere. In lacrime mi annunciò che i miei genitori erano morti durante la notte. C’era stata una fuga di gas nella nostra casa di montagna. È grazie a Maradona che sono ancora vivo.

La maggior parte delle domande cui Sorrentino cerca di rispondere attraverso i suoi film arrivano dalla sua infanzia. Da bambino frequentò per cinque anni una scuola cattolica conservatrice, che aveva regole ferree. Nei suoi film, soprattutto nelle due stagioni della serie ”The New Pope”, il regista racconta ciò che lui stesso ha vissuto e osservato. Ma va oltre le grandi basiliche e gli altari ricchi di quadri e d’arte. Guarda nelle minuscole minimaliste stanze della sacrestia, in cui, oltre al letto, ci sono pochi altri elementi. Guarda negli uffici, nella canonica e ascolta le conversazioni delle persone che si celano sotto le vesti dorate. È interessato a ciò che è nascosto. In questo modo il regista smaschera sia gli intrighi all’interno della Chiesa sia quelli della Città Eterna. Roma nel film ”La grande bellezza”, il più importante della sua carriera fino ad ora, è un’amante capricciosa, una città che invecchia e che ha perso il suo lustro. Invece delle piccole e affascinanti strade, il protagonista segue i ricordi di una città che non tornerà mai più.

Osservando l’estetica di Sorrentino e il linguaggio che ha sviluppato sullo schermo, noteremo la sua precisione quasi artigianale. Ogni colore, ogni angolo di luce è importante nelle sue inquadrature. Sono quadri carichi di simbolismo, di riferimenti alla cultura, alla pittura e all’eredità dell’Italia. Paradossalmente il regista ha iniziato la sua avventura cinematografica solo nella vita adulta, ha studiato economia e non aveva nessuna relazione con l’arte. Ed è così ancora oggi, perché, come lui stesso ammette, odia andare a mostre, musei o teatri. Paolo Sorrentino dice senza mezzi termini: ”sono un ignorante per quanto riguarda i successi degli altri”. Quando inizia un film è convinto di fare qualcosa di nuovo, unico, fresco, ma poi lui stesso ammette che era solo un’impressione. Confessa che l’unica cosa che lo tocca è la letteratura, ma subito dopo aggiunge che ci sono pochi libri che lo influenzerebbero, soprattutto nella letteratura contemporanea. Tra quelli che può citare e consigliare c’è sicuramente Louis Ferdinand Céline.

fot. Andrea Pattaro

Paolo Sorrentino non regala solo ritratti dell’Italia, non è solo un narratore della vita del suo Paese in cui addita gli errori di fratelli e sorelle. Sorrentino è anche un regista che non ha paura di collaborare con Hollywood. Dice sempre che è stato il cinema americano a influire maggiormente durante la sua infanzia. Il primo film che ha realizzato in inglese è stato ”This must be the place”, in cui l’anziana e solitaria star con le labbra imbrattate di rossetto è interpretata da Sean Penn, attore che volle fortemente lavorare con Sorrentino. Un altro film importante è ”Youth”, la storia di due amici che ricordano con nostalgia gli anni passati.

Impossibile non notare che uno dei protagonisti nei film del regista è sempre la musica. Così è anche nel film ”Loro”, storia epica su Silvio Berlusconi, in cui Katarzyna Smutniak recita accanto all’amato attore di Sorrentino: Toni Servillo. Scri- vendo le sceneggiature Paolo ascolta continuamente musica. Nelle sue opere il regista mescola musica classica con tormentoni, spesso molto pop. E così facendo mostra di nuovo la sua forza, indipendenza, coraggio, non avendo paura di combinare stili, mondi e generi musicali diversi. In una intervista Sorrentino ha ammesso che una canzone a volte può colpire più di un brano di musica classica o della musica da film. La canzone nel suo immaginario dà senso a una scena precisa.

fot. Andrea Pattaro

Non tutti sanno che Paolo Sorrentino scrive anche libri. Nel suo curriculum ha, per esempio, ”Gli aspetti irrilevanti”, un progetto di libro in cui Sorrentino aggiunge, nella forma di racconto breve, delle biografie ai personaggi catturati nelle foto di Jacopo Benassi. Le sue descrizioni sono estremamente audaci, a volte anche sfacciate, maliziose e divertenti. Confermano anche che è facile per noi giudicare gli altri e aggiungere le nostre versioni degli eventi. Questa è un’altra prova del grande potere dell’immaginazione dell’artista. Ma Sorrentino può fare di più, può convincerci che le storie di fantasia che ha inventato possono diventare una verità in cui cominciamo a credere. È una grande arte. Questo vale anche per il suo cinema che è cinema d’autore.

Per alcuni il suo cinema è sgradevole, una trasgressione del buon gusto, una fantasmagoria, una bestemmia. Sorrentino mette a nudo le contraddizioni dell’animo italiano, distrugge statue, monumenti, muri spessissimi che da anni erano sacri. Ha il coraggio di evidenziare gli errori, di criticare, di puntare il dito contro il vuoto che si sta diffondendo nella nuova generazione smarrita tra media, politica e denaro. Il suo cinema è dimostrazione di vera arte.

traduzione it: Agata Wojtalik
foto: Andrea Pattaro

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Più articoli sul cinema italiano troverete qui.

Vellutata di fave e menta

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È ancora freddo e una vellutata calda e energetica ma non pesante è un buon piatto serale.

Ingredienti per 4 persone:
600 g di fave (anche surgelate)
1 carota
2 cipollotti
1 patata piccola
olio EV q.b.
10 foglie di menta
0.5 l. di brodo vegetale
sale e pepe

Procedimento:
Lava e cuoci le fave in acqua per 40 min., scolale e privale della buccia. Pulisci le altre verdure e sbuccia la patata, poi taglia tutto a pezzetti; falle insaporire in una padella con 3 cucchiai di olio.

Unisci al soffritto 6 foglie di menta e le fave. Mescola, versa il brodo, regola di sale e cuoci a fuoco medio per 10 min. Togli dal fuoco la pentola e, con un mixer, frulla il tutto fino ad ottenere una crema. Rimetti la pentola sul fuoco per riprendere il bollore. Distribuisci la zuppa nei piatti, condisci con un filo di olio e cospargi di foglie di menta.

Servi la vellutata ben calda con crostini di pane croccante.

16^ edizione del festival Grand OFF, iscrizioni aperte!

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Il festival Grand OFF è la più importante manifestazione che promuove i film indipendenti in Polonia e una delle più importanti al mondo in questo campo.

I più interessanti film indipendenti provenienti da tutto il mondo passano attraverso un processo di preselezione condotto da una Commissione di professionisti che poi annuncia i film selezionati all’interno di undici categorie: sceneggiatura, regia, montaggio, scenografia, miglior attrice, attore, trama, documentario, animazione e il miglior film polacco. La giuria internazionale composta da oltre 80 esperti di cinema, tra cui docenti, registi, operatori, montatori e attori provenienti da oltre 30 paesi valuta i film candidati. I premi in forma di bellissime statuette saranno consegnati durante la serata di gala del festival, che quest’anno si svolgerà il 3 dicembre a Varsavia. Prima del gala, presso la Sede della Accademia delle Belle Arti a Varsavia per tutta la durata del festival si terranno interessanti e variegate serie di proiezioni dei film.

Nel 2021 al festival Grand OFF sono stati arrivati 4183 film da oltre 120 paesi.

La selezione della 16^ edizione del festival Grand OFF prosegue fino al 30 giugno 2022.

Accettiamo i film:
– completati dopo il 1 gennaio 2020.
– creati senza sostegno professionale durante l’intero processo della produzione (salvo sostegno da parte delle scuole cinematografiche e artistiche)
– di durata massima di 45 minuti.

Invia la tua candidatura tramite la piattaforma
https://filmfreeway.com/GRANDOFFWORLDINDEPENDENTFILMAWARDS

Il regolamento del concorso è disponibile qui
https://www.grandoff.eu/index.php/en/festival/regulations

Esplosione di metano nella miniera Pniowek: 5 morti, 20 feriti e 7 dispersi

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Mercoledì notte, poco dopo mezzanotte, nella maniera di carbone Pniówek a Pawłowice nel voivodato Silesia, durante i lavori di estrazione del carbone è scoppiato il metano. L’esplosione ha avuto luogo 1000 metri sotto terra dove si trovavano i 42 minatori. Subito sono partiti i soccorsi per salvarli. Dopo tre ore dalla prima esplosione il metano è esploso per la seconda volta. L’attuale bilancio è tragico: 5 morti 20 feriti di cui 9 in gravi condizioni mentre non si ha notizia di altre 7 persone. I lavori di soccorso per trovare gli operai scomparsi vanno molto lentamente per colpa delle pessimi condizioni atmosferiche e il rischio di una uova esplosione del metano. Ieri alla miniera è arrivato il primo ministro Mateusz Morawiecki insieme con il ministro della salute Adam Niedzielski per fare le condoglianze ale famiglie. Oggi sul luogo della tragedia si recherà il presidente Andrzej Duda.

https://www.pap.pl/aktualnosci/news,1164538,trwa-akcja-ratunkowa-w-kopalni-pniowek-miejsce-tragedii-odwiedzi-prezydent

Il 19 aprile di 79 anni fa iniziava l’Insurrezione del ghetto di Varsavia

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Settantanove anni fa, il 19 aprile 1943, i membri della resistenza ebraica insorsero contro i nazisti, che avevano deciso di liquidare il ghetto di Varsavia. Quello della capitale polacca era all’epoca il ghetto più grande creato dal Terzo Reich e già nell’ottobre del 1939 ospitava oltre trecentomila persone, a cui se ne sarebbero aggiunte altre decine di migliaia. Gli ebrei ivi residenti vivevano in condizioni terribili, la fame era onnipresente, e la vista di cadaveri lungo le strade era cosa ordinaria. Il 22 luglio 1942 i nazisti diedero inizio alle deportazioni nei campi di sterminio. Nel giro di due mesi il 75 per cento circa della popolazione venne condotta a Treblinka e nel ghetto restarono circa sessantamila persone. La consapevolezza che le autorità tedesche volevano procedere al totale sterminio della popolazione del ghetto cambiò il carattere della resistenza ebraica al suo interno. Il 28 luglio 1942 nacque il primo nucleo dell’Organizzazione ebraica di combattimento (Zob), che si sarebbe poi allargata, e a cui si aggiunse anche l’Unione combattente ebraica (Zzw). Le due formazioni collaborarono nei giorni della rivolta. All’insurrezione partecipò circa un migliaio di combattenti mal equipaggiati, i quali tennero testa per quasi un mese a oltre duemila soldati tedeschi della Wehrmacht, delle Ss e di alcune divisioni ucraine, lituane e lettoni, che potevano contare su carri armati e artiglieria. La rivolta, nonostante gli appelli del governo polacco in esilio a Londra, non condusse a reazioni da parte degli alleati. Szmul Zygielbojm, membro del Consiglio nazionale polacco, si suicidò l’’11 maggio 1943 per protestare contro la loro ignavia. L’insurrezione venne definitivamente sedata dalle truppe del generale Jurgen Stroop il 16 maggio 1943. In segno di vittoria, Stroop ordinò di radere al suolo la Grande Sinagoga di Varsavia. Da stamattina a Varsavia in giro per la città si trovano tantissimi volontari che regalano i narcisi gialli, il simbolo di quel tragico evento storico. Questa iniziativa viene fatta da 10 anni dal POLIN Museo della storia degli ebrei polacchi.

Polonia Oggi

Sulle tracce del commissario Montalbano

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Piazza Duomo e chiesa di San Giorgio in fondo

La mia fascinazione per la Sicilia è iniziata con “Il padrino”, ma la vacanza di quest’anno sull’isola non sarebbe stata possibile senza il mio commissario preferito: Montalbano.

Ho passato le piovose serate di maggio a guardare tutti gli episodi, disponibili in Polonia, di questa serie televisiva cult della RAI che è stata girata negli anni 1999-2021 sulla base dei racconti di Andrea Camilleri, lo scrittore che ha trascorso l’infanzia e la giovinezza a Porto Empedocle, il prototipo di Vigàta, la cittadina dove Salvo Montalbano, insieme a un gruppo di suoi colleghi del commissariato della Polizia di Stato, cattura assassini, combatte i mafiosi e risolve ogni tipo di casi criminali. Come si addice a un vero italiano, il commissario non può fare a meno del caffè, ama il buon vino ed è un grande buongustaio della cucina siciliana. E nonostante la sua lunga relazione con la sua amata Livia, che vive a Genova, ha un debole per le altre belle donne. Ogni episodio è una storia a sé, condotta perfettamente da Camilleri, ambientata nel mitico commissariato, nella casa del commissario, per le strade di incantevoli di cittadine come Scicli, Modica, Ragusa e Noto e tra uliveti e vigneti. Il ruolo di Salvo Montalbano è interpretato dall’ottimo Luca Zingaretti, un allievo, ai tempi della scuola, di Camilleri. Lo scenario della serie è la quintessenza di questa meravigliosa isola che invita a partire per un viaggio sulle orme dell’iconica figura del commissario.

Marinella cioè Punta Secca

È a Punta Secca, un piccolo borgo di pescatori sulla costa meridionale della Sicilia, che si trova la famosa casa di Montalbano, affacciata sulla spiaggia, con caratteristiche terrazze su entrambi i piani. È lì, col sottofondo delle onde del mare, che il commissario beve il caffè mattutino, riceve telefonate per questioni importanti e mangia deliziose pietanze preparate dalla sua governante Adelina. Oggi c’è un albergo nella casa del commissario, e davanti ad esso tutto il giorno si possono incontrare turisti che si recano spesso a Punta Secca solo per vedere i luoghi della loro amata serie tv. La spiaggia vuota, che vediamo nella serie, in estate diventa piuttosto affollata e rumorosa.

La casa del commissario è a pochi passi dal faro che campeggia nella sigla iniziale della serie. E da lì non è lontano un altro luogo cult: la trattoria Enzo a Mare, dove di solito Salvo pranza a mezzogiorno e naturalmente: “non parla quando mangia”. Qui tutto, sia dentro che sulla terrazza, sembra proprio come nel film. Ci si può sedere ai tavoli noti dai fotogrammi della serie, e il menù degustazione servito, composto principalmente da pesci, frutti di mare e il miglior cannolo che ho mangiato in Sicilia, soddisferà tutti i buongustai.

Scicli: un centro di comando

Il luogo principale dell’azione della serie è il commissariato di Vigàta in cui Catarella e il vice Mimì (di solito più preoccupato per le sue conquiste amorose che per le complicate indagini) aspettano ogni mattina il commissario con nuove notizie. Per fortuna c’è anche il bravo ispettore Fazio che è affidabile, leale e fornisce sempre le informazioni necessarie.

Il commissariato di Vigàta è in realtà Palazzo Municipio, sede del municipio di Scicli, e il sindaco stesso risiede nell’ufficio di Salvo Montalbano. Questa incantevole cittadina barocca in provincia di Ragusa, così come Noto, Modica, Ragusa e altre cinque città, è stata iscritta nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO nel 2002. Lungo la strada principale, la via Francesco Mormino Penna, nota per le sue riprese cinematografiche, troveremo non solo il commissariato, ma anche altri luoghi associati alla serie come una farmacia e chiese barocche.

Scicli era quasi vuota in un caldo pomeriggio d’agosto. Davanti alla Chiesa di San Giovanni Evangelista si accumulavano gli invitati al matrimonio, e proprio dietro la farmacia nota dalla serie, l’allestimento delle tavole e le loro decorazioni per la festa erano quasi pronte. Ogni condominio lungo la zona pedonale di Scicli è una perla barocca, e una passeggiata per la cittadina non è solo un viaggio nell’immaginaria Vigàta, ma anche un’occasione unica per immergersi nell’atmosfera siciliana della cittadina di cui lo scrittore italiano Elio Vittorini nel suo libro “Le città del mondo” scrisse che potrebbe essere la città più bella del mondo. Continuando la passeggiata per Scicli vale la pena vedere anche la Chiesa di San Bartolomeo la cui collocazione in una valle rocciosa con il panorama della città alta sullo sfondo è una delle viste più emblematiche della serie.

Ragusa, Modica, Noto cioè Vigàta e dintorni

Ragusa, una delle più belle città siciliane, a volte è parte di Vigàta nella serie. Come molte altre, la città fu distrutta durante il terremoto del 1693. Gli abitanti con determinazione non solo hanno costruito una nuova città, ma ne hanno ricreato fedelmente anche la sua parte vecchia, Ragusa Ibla. Se si viene da queste parti merita salire le strade tortuose e le scale sulla terrazza di osservazione accanto alla bellissima chiesa di Santa Maria delle Scale. È da qui che si gode una vista mozzafiato sulla nuova città, conosciuta anche dalla serie sulle avventure del commissario Montalbano.

Ragusa delizia con un’architettura attentamente pensata. Le strade strette e affascinanti sono così italiane che probabilmente non potrebbero esserlo di più. E, cosa molto strana, non ci sono molti turisti o macchine parcheggiate nei vicoli caratteristici. Qui si può apprezzare la vera atmosfera barocca della città. Modica è diversa, mecca turistica del cioccolato, in cui sono state girate tante sequenze della serie. Sono arrivata qui nel tardo pomeriggio e ho trascorso la maggior parte del tempo nella lunga fila per la famosa Antica Dolceria Bonajuto, dove dal 1880 si produce il cioccolato più famoso d’Italia. L’intero processo produttivo si basa sulla ricetta azteca, e il cioccolato stesso è composto solo da semi di cacao pressati a temperature piuttosto basse e zucchero, senza aggiunta di latte o grassi, processo che gli conferisce un gusto forte e caratteristico. Tuttavia la mia debolezza per i dolci ha fatto sì che sfortunatamente non avessi abbastanza tempo per esplorare la città, ma ci tornerò sicuramente.

Le riprese della serie sono state realizzate anche nella capitale del barocco siciliano, cioè a Noto. Sulla scalinata che conduce alla monumentale facciata della cattedrale di San Nicolò le sculture di Igor Mitoraj, che fanno parte della promozione della città, sono una piacevole sorpresa. Durante il viaggio sono stata accompagnata dalle parole del brillante libro sulla Sicilia “Neve rossa sull’Etna” di Jarosław Mikołajewski e Paweł Smoleński: “torniamo per Noto, una città in cui sono stato tante volte e che ora mi fa la stessa impressione di sempre: una cinecittà barocca, una decorazione costruita per le esigenze di un western controriformato. Ampi viali, grandi facciate, dietro di loro un bel niente. Questa decoratività ha la sua terribile giustificazione: nel 1693 Noto, insieme a diverse decine di città, è stata distrutta dal terremoto. Presumibilmente sono morte allora sessantamila persone. (…) Noto è stata ricostruita con il massimo slancio, da qui il tardo barocco, come in America Latina.”

Per me Noto è una città perfetta, soprattutto per le passeggiate serali quando i colori delle facciate cambiano con i raggi del sole al tramonto e quando cala la notte si possono ammirare le bellissime luci che illuminano questa architetture barocche. Inoltre si possono gustare deliziose prelibatezze in una delle vicine trattorie bevendo un bicchiere del miglior vino siciliano. Si vorrebbe gridare: che questo momento duri!

Panorama di Ragusa

Ma la Sicilia del commissario Montalbano e di Andrea Camilleri non sono solo le città della barocca Val di Noto. Comprende anche i loro dintorni, strette strade asfaltate e sabbiose circondate da caratteristici muri in pietra, uliveti, boschetti di mandorle e vigneti. Vale la pena vagare per questi luoghi, ad esempio dalla strada principale che collega Ragusa a Noto, e perdersi da qualche parte nella campagna siciliana. Vale la pena fermarsi per far passare un gregge di pecore per la strada, scoprire case, fattorie e incantevoli terre desolate, come ad esempio negli episodi: “Il giro di boa”, “L’odore della notte” o “Una lama di luce”. Questa Sicilia resta a lungo nella memoria, e nelle sere d’inverno si possono rievocare ricordi assolati e caldi, proprio come il sorriso di Angelica sulle pagine del libro: “E lei gli sorrise. Era come se il sole che stava per tramontare cambiasse idea e tornasse di nuovo in cielo” (Andrea Camilleri “Il sorriso di Angelica”).

foto: Magdalena Matyjaszek
traduzione it: Paulina Przybyłek

“Lessico famigliare” finalmente tradotto in polacco

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Dopo quasi 60 anni, nel maggio del 2021, i lettori polacchi hanno finalmente potuto leggere “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg nella loro madrelingua. La traduttrice del libro pubblicato dalla casa editrice Filtry è Anna Wasilewska che è nota ai lettori polacchi per le numerose traduzioni dall’italiano e dal francese. Durante la chiacchierata con la traduttrice cercheremo di rispondere alla domanda cruciale: perché questo libro è importante anche oggi?

Cominciamo dalla domanda fondamentale. Perché, di tutti i libri di Natalia Ginzburg, è Lessico famigliare ad essere stato tradotto in polacco?

Anna Wasilewska: Lessico Famigliare è il libro più conosciuto della Ginzburg. Il romanzo è stato un gran successo. Nel 1963 ricevette il prestigioso premio Strega nonostante nella competizione ci fossero autori come Primo Levi, Beppe Fenoglio e Tommaso Landolfi. Con grande sorpresa, anche della stessa autrice, il libro batté la concorrenza. In realtà, è possibile invertire la sua domanda e chiedere perché uno dei libri più importanti del Novecento italiano, che da 60 anni resta tra i bestseller, viene pubblicato solo oggi. Vale la pena sottolineare che Lessico famigliare ebbe fino alla fine del XX secolo 54 edizioni ed anche oggi è uno delle letterature scolastiche. Quando due mesi fa ho detto a Paola Ciccolella (ex direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura a Varsavia) che Lessico famigliare sarebbe stato pubblicato in polacco, ha esclamato “è uno scandalo che lo si faccia solo ora!”. Per anni il libro sembrava difficile da tradurre perché contiene un po’ di dialetto milanese e triestino e anche un peculiare codice di linguaggio usato dalla famiglia Levi. Non penso che l’assenza della traduzione polacca di questo libro possa essere spiegata in altro modo, per esempio legato all’atmosfera antisemita dopo il 1968. Anche perchè “Il giardino dei Finzi-Contini”,di tema ebraico, pubblicato in Italia nel 1962, fu tradotto in Polonia solo due anni dopo l’edizione italiana.

Cosa significa per Lei il lessico famigliare?

Esattamente quello che significa in generale: il codice del linguaggio creato dalla famiglia Levi, usato entro la loro “tribù” (questa parola appare spesso nel romanzo). Quasi ogni famiglia, o gruppi di persone legate tra loro, hanno un loro proprio modo di parlare. La famiglia Levi non fece eccezione e usava un codice nel quale singole parole spesso avevano un signifi cato diverso dal normale. Questo permetteva di formare delle relazioni immediate da espressioni specifiche. Ginzburg scrisse: Quelle frasi sono il nostro latino.

Un lessico è un insieme di espressioni caratteristiche per una famiglia. C’è stata qualche espressione particolarmente difficile da tradurre?

Sì, una che proviene dal dialetto e su cui ho riflettuto qualche mese. Si tratta di una filastrocca ripetuta da Mario, fratello di Natalia. L’espressione Il baco del calo del malo a prima vista sembra priva del significato ma in realtà non è così. Basta sostituire la vocale a con la u e la frase diventa il buco del culo del mulo. Volevo rendere questa infantilità, trivialità e semplicità. Mi venivano in mente varie espressioni ma nessuna sembrava accurata. Cercavo di trovare una filastrocca fino a quando finalmente mi sono resa conto che è possibile parlare al contrario. Perciò nella versione finale ho riorganizzato delle sillabe e ho creato l’espressione zapu, kapu, dapu, facile da decodificare per un lettore polacco.

Rimanendo sulle questioni linguistiche, ho una domanda relativa al ruolo del traduttore. Fin dall’inizio del libro appare l’espressione negrigura, tradotta da Lei come murzyństwo. Secondo Lei, un traduttore dovrebbe essere fedele all’originale oppure adattare il linguaggio al contesto moderno?

A quel tempo la parola negrigura non aveva un carattere razzista. Il padre di Natalia Ginzburg lo usava per descrivere una persona goffa oppure maleducata. La stessa domanda me la fece uno storico italiano, indicando un esempio della traduzione inglese nella quale la parola negrigura fu cambiata. Io non ho optato per tale intervento per non falsificare il testo. Non possiamo censurare la letteratura, attribuendo alle parole dei significati e connotazioni moderne.

Anna Wasilewska, fot. Renata Dąbrowska

La narrazione di Natalia Ginzburg può sembrare quella di una persona che resta in disparte. Quindi possiamo definirla una descrizione obiettiva della famiglia oppure quando un pensiero attraversa la sensibilità di una persona, la narrazione inizia ad essere soggettiva?

Il libro basato sulla memoria non può essere obiettivo e anche quando sembra esserlo è soltanto il risultato del gioco letterario. È vero che la narratrice si pone in secondo piano, ma lei stessa muove i fili. Natalia Ginzburg decide quando i personaggi appaiono sul palcoscenico e quando lo lasciano. I ritratti dei membri della famiglia sono descritti per sommi capi. Non hanno una profondità psicologica. Sono dipinti dalla scrittrice nelle pose e nei gesti caratteristici. Il romanzo è sempre una costruzione. Ginzburg scelse la forma dei ricordi. Tuttavia il modo nel quale li compone, li srotola come il nastro di una pellicola, saltando nel tempo, accendendo le luci su alcuni eventi e ignorandone altri, dà testimonianza della sua presenza. Nella memoria ci restano sia cose importanti che futili.

Possiamo dire che la stessa storia, raccontata da un’altra persona, per esempio dal fratello di Natalia, sarebbe significativamente diversa dalla versione che possiamo leggere oggi?

Ogni storia raccontata da un’altra persona sarebbe diversa. Quando quattro persone sono testimoni di un evento, ascoltiamo quattro testimonianze diverse. La memoria funziona come “il telefono senza fili”. Ogni persona memorizza una situazione in modo diverso e presenta la sua interpretazione, cioè cambia la frase originale. Anche il proprio ruolo nell’evento viene memorizzato in modo soggettivo. Per esempio Giuseppe Levi, padre di Natalia Ginzburg fu sorpreso per il modo nel quale lo ricordò Natalia: Non mi ero reso conto di arrabbiarmi così tanto!

Non possiamo classificare questo libro come saggistica. Anche quando l’autrice evoca figure di persone legate alla politica italiana, è una sua scelta. Allo stesso tempo, quando parla della seconda Guerra Mondiale, non usa un pathos eccessivo. Invece quando descrive il mondo rinchiuso tra le quattro mura di casa, dal punto di vista di una bambina, lo fa in modo realistico. Secondo Lei questo è un valore di Lessico Famigliare?

È proprio grazie a questo che il libro mantiene ancora oggi il suo significato. Non serve usare parole ridondanti per descrivere la grande sofferenza, questa è la forza della letteratura. Non ci vuole nient’altro.

Olga Tokarczuk nominata al Premio Booker

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

La scrittrice polacca, Olga Tokarczuk è stata nominata per la terza volta al Premio Booker, un premio che viene dato ogni anno alla migliore traduzione di libri in inglese. Tokarczuk ha già ricevuto questo prestigioso premio nel 2018 per il suo libro intitolato “Bieguni”, tradotto in inglese da Jennifer Craft come “Flights”. Un altro suo libro invece, “Prowadź swój pług przez  kości umarłych” è stato nominato, ma non ha ricevuto nessun premio. Quest’anno ad essere nominata è stata l’opera più famosa di Tokarczuk, “Księgi Jakubowe”, sempre nella traduzione di Jennifer Craft. Il nome del vincitore (o della vincitrice) verrà annunciato il 26 maggio.

https://www.pap.pl/aktualnosci/news%2C1149153%2Cksiegi-jakubowe-olgi-tokarczuk-na-krotkiej-liscie-miedzynarodowej-nagrody

 

Grande progresso delle università polacche nella classifica mondiale QS

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Secondo la prestigiosa classifica mondiale QS dell’azienda britannica Quacquarelli Symmonds, le università polacche stanno progredendo e sono in ottima posizione, rilevabile dal sito: https://www.topuniversities.com/subject-rankings/2022 . Il portavoce della KRASP (conferenza dei rettori universitari delle scuole polacche) il professor Wiesław Banyś ha informato che 23 università polacche sono risultate tra le migliori del mondo, 6 più dell’anno scorso. Dall’analisi risulta che l’università di Varsavia ha ottenuto il miglior successo. Gli istituti polacchi continuano a lavorare per aumentare la qualità degli studi scientifici ed il livello educativo. E’ importante il quadro generale legale e finanziario determinato dalle scelte del governo polacco che influisce sul funzionamento delle università e la collaborazione internazionale grazie ad iniziative della commissione europea. Un sostegno significativo al progresso delle università polacche deriva anche dalle agenzie quali il centro nazionale della scienza, il centro nazionale della ricerca e dello sviluppo, la fondazione per l’educazione polacca e l’agenzia nazionale di scambi culturali accademici.

https://forsal.pl/lifestyle/nauka/artykuly/8398196,duzy-awans-polskich-uczelni-w-prestizowym-qs-world-university-ranking.html

Natasha Pavluchenko, moda e arte tra Tursi e Bielsko-Biała

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fot. Marcin Kruk

“Non bisogna abitare a Varsavia per creare ciò che si vuole, ciò che si sente e per farsi strada nel mondo della moda”. Così disse una volta a un giornalista a Roma, sorseggiando un caffè accanto alla Fontana di Trevi, la stilista Natasha Pavluchenko che da oltre 20 anni vive e lavora nel Sud della Polonia, a Bielsko-Biała, e le cui collezioni ogni anno vengono presentate ad Altaroma e quest’anno per la prima volta alle sfilate di International Couture nella Città Eterna.

Stilista, illustratrice, designer. Una bielorussa con radici polacche. La sua avventura con la moda è iniziata quando Pavluchenko aveva 17 anni. All’epoca studiava al Fashion Design Institute of Modern Knowledge di Minsk, dove Pavluchenko ha creato la sua prima collezione. Il suo bisnonno, negli anni precedenti la prima guerra mondiale, gestiva con successo una bottega sartoriale nel centro storico di Varsavia. Quindi il destino spinse la famiglia a Est in un territorio che oggi è Bielorussia. Grazie alla partecipazione e alla vittoria nel concorso Smirnoff Fashion Awards a Mosca (2001), Natasha ha avuto l’opportunità di prendere parte al Fashion Show internazionale di Dusseldorf, dove è stata acclamata ”La rivelazione del 2002.” I concorsi e le rassegne di moda vinte successivamente non hanno fatto altro che confermare il suo talento, la sua tecnica sartoriale di altissima qualità e la sua visione moderna della moda.

Jan Popławski con la famiglia (il bisnonno di Natasha)

A Bielsko-Biała Pavluchenko è arrivata per caso ma si è legata a questa città per sempre. È stato proprio nel suo atelier di Bielsko-Biała in cui sono state realizzate le creazioni ammirate in Portogallo, Russia, Spagna, Germania e Azerbaigian. In occasione del 90° anniversario di Fiat Auto Poland, Pavluchenko ha progettato gli interni della Fiat 500 mentre i suoi progetti di mobili di design sono stati ben accolti alla fiera di Parigi. Una sua creazione è stata indossata da Ewa Puszczyńska, la produttrice del premiato film ”Ida” (diretto da Paweł Pawlikowski), alla serata di gala degli Oscar a Hollywood. Recentemente la stilista ha creato anche i costumi teatrali per lo spettacolo ”Kwartet” della Warszawska Opera Kameralna, diretta da Alicja Węgorzewska.

Natasha Pavluchenko veste le star del cinema e della TV, le manager delle grandi aziende e tutte coloro che amano la marca Neo Couture, disponibile sul web. La marca è stata creata diversi anni fa per le donne che apprezzano lo stile individuale, il taglio irripetibile e i tessuti di altissima qualità. Dopo aver realizzato centinaia di sfilate, la stilista ha iniziato a cercare delle ispirazioni e forme d’espressione nuove che avrebbero dato sfogo alla sua
creatività.

Durante il suo soggiorno nella città di Tursi, nella regione Basilicata nel Sud Italia, la stilista ha trovato l’ispirazione nel Santuario medievale di Santa Maria di Anglona, osservando gli ornamenti degli altari locali. Dopo essere tornata in Polonia, Pavluchenko ha studiato i motivi ornamentali con i quali erano decorati gli altari per oltre un mese, esaminando le loro origini, i colori e la storia. Nasce così ”Maria d’Anglona”, una collezione senza tempo che dà inizio ad una nuova linea creativa e dimostra che la moda può essere ispirata dall’arte in quanto essa stessa può diventare arte: “Definisco questa collezione un progetto perché non voglio limitarmi soltanto all’ambito della moda”, dice Natasha. “Volevo mostrare che la storia a cui spesso non prestiamo attenzione può diventare una fonte d’ispirazione per qualcosa di moderno”.

“Maria d’Anglona”, intitolata così in onore della Madre di Dio, patrona delle terre locali, è stata presentata per la prima volta ad Altaroma, nella capitale italiana, nel gennaio 2020. Il progetto è stato sostenuto dal sindaco della città, Salvatore Cosma, dal vescovo locale, dalla comunità di Tursi e dagli imprenditori della regione. Il risultato finale ha superato ogni aspettativa. L’organizzatrice delle sfilate di moda a Parigi, a Pechino ed a Roma, Maria Cristina Rigano, poco dopo la presentazione della collezione, ha affermato che si tratta di un progetto in cui è la storia a diventare moda.

Continuando la linea creativa lanciata e trovando un’altra ispirazione negli interni della chiesa più antica di Bielsko-Biała, dedicata a San Stanislao, la stilista ha creato qualche mese fa una collezione completamente nuova, ispirata alla città in cui vive e lavora: “Biała/Everlasting per me è una collezione insolita, una sorpresa cromatica. È un simbolo di amore, purezza ed eternità. Il colore della collezione deriva dal nome della città in cui vivo e creo, una città con un’anima straordinaria e una storia sorprendente”, afferma la stilista.

fot. Michał Obrycki

La collezione ha avuto la sua prima mondiale alle sfilate AltaRoma svoltesi sulla grande terrazza dell’Hotel romano D.O.M., nella storica via Giulia. Pavluchenko ha presentato una collezione creata esclusivamente in bianco, il che è una novità per quanto riguarda le sue creazioni. L’Ambasciatrice di Polonia in Italia, Anna Maria Anders, presente alla sfilata, ha dichiarato: “È una moda che diventa arte e che attinge alla storia di Bielsko-Biała, alla tradizione tessile della città, alla sua architettura, elaborate e mostrate al mondo. È fantastico che si possa scoprire la storia polacca in questo modo e avvicinarla all’Italia”.

La creazione della collezione ha coinvolto le autorità cittadine, in primis, il sindaco della città, Jarosław Klimaszewski, il quale ha dichiarato che Biała/Everlasting racconta in primis purezza, natura e lavoro, ovvero i valori su cui si basa l’identità e la storia di Bielsko-Biała. La creazione della collezione fa parte del 70° anniversario dell’unione delle due città, che da centinaia di anni si trovano sulle sponde opposte del fiume Biała.

Durante le celebrazioni di settembre del 30° anniversario del Triangolo di Weimar, organizzate insieme alle Ambasciate di Francia e Germania nei giardini dell’Ambasciata della Repubblica di Polonia in Italia, gli ospiti hanno potuto ammirare entrambe le collezioni per la prima volta. L’interesse che le collezioni hanno suscitato tra il pubblico straniero ha dato vita ad un’altra idea, rivolta in gran parte ai giovani: alunni, studenti e diplomati delle scuole d’arte.

Cogliendo la sua esperienza e il talento delle persone che la stilista ha convinto a collaborare, le autorità di Bielsko-Biała hanno deciso di organizzare un festival che unisce la moda e l’arte: UrBBan Fusion. Art & Fashion Festival.

Natasha Pavluchenko debutta così in un ruolo nuovo, quello di direttrice artistica del Festival. Ma nella sua mente si sta già creando una nuova collezione, che unisce la moda e l’arte con delle ispirazioni estremamente originali.

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UrBBan Fusion. Art & Fashion Festival, (1-3.12.2021) a Bielsko-Biała, riguarda la tradizione tessile della città e unisce i vari tipi di arte in un unico spazio. Le fotografie d’artista sono state presentate da Roman Hryciów e Michał Obrycki e le collezioni di moda sono state quelle degli studenti della Szkoła Artystycznego Projektowania Ubioru di Cracovia. Le collezioni Maria D’Anglon e Biała / Everlasting di Natasha Pavluchenko sono state parte delle performance che univano moda, musica, danza e arti visive. Vi hanno partecipato le attrici e cantanti Anna Guzik, Marta Gzowska-Sawicka e la cantante Luna. L’evento è stato diretto da Jacek Bończyk e condotto da Conrado Moreno. Il team di Maciej Maniewski si è occupato delle acconciature. Le masterclass sono state condotte dagli esperti e dai professionisti della moda: Maria Cristina Rigano, Manuel Perrotta (IFN), Rafał Stanowski, dott. Paulina Żmijowska e Natasha Pavluchenko. La giuria del concorso di moda, destinato ai giovani fino a 31 anni, è stata composta da rappresentanti provenienti da Polonia e Italia. Il Festival è organizzato con il patrocinio mediatico di Gazzetta Italia. Maggiori dettagli su: www.urbbanfusion.com 

traduzione it: Olga Ćwiklak vel Ćwiklińska