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La decima edizione del Festival della Letteratura di Sopot sarà dedicata all’Italia e si svolgerà sia in presenza che online sul sito www.literackisopot.pl dal 19 al 22 agosto 2021. Tra le caratteristiche distintive dell’edizione di quest’anno: nuove località del festival: villa su Goyki3 e Chiesa del Salvatore, Ptasie Radio, e poi Quiz letterario, lettura della “Divina Commedia” per le strade di Sopot, gli eventi speciali per commemorare l’ottantesimo anniversario della nascita di Krzysztof Kieślowski (ci sarà il film La doppia vita di Veronica) e il centesimo anniversario della nascita di Stanisław Lem (la caccia al tesoro con la colonna sonora di Solaris). Antonio Talia, Helena Janeczek, Marco Filoni, Micol Roubini, Annalisa Camilla e gli autori polacchi saranno fisicamente presenti a Sopot. Un importante aspetto del festival sono i dibattiti, i cui argomenti sono programmati in relazione all’attuale situazione socio-politica. Il festival è organizzato da Goyki 3 Art Incubator. Durante il festival ci sarà anche un concerto di musica cinematografica italiana eseguito da Natalia Moskal con la sua band. La “Divina Commedia” di Dante Alighieri (tradotta da Edward Porębowicz) sarà diretta da Radek Stępień. Il festival ospiterà anche tradizionalmente Targi Książki (la Fiera del Libro).
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Ieri, durante una visita al porto di Danzica (attualmente in fase di ampliamento), il primo ministro Mateusz Morawiecki ha affermato che “questo porto è una grande opportunità per la Polonia”. Inoltre, Morawiecki ha sottolineato che grazie all’ampliamento del porto, la nuova capacità di trasbordo aumenterà di 1,5 milioni di TEU, il che porterà a un notevole aumento delle sue potenzialità. Il premier ha aggiunto che questo allargamento del porto è un’ottima opportunità per creare una rete integrata di varie rotte (marittime, stradali, ferroviarie), che porterà a un maggiore interesse nei confronti della Polonia, rendendola un “hub logistico di questa parte d’Europa”. Morawiecki ha osservato che l’ampliamento del porto di Danzica comporterà anche un aumento degli stipendi per i dipendenti e una crescita dei profitti delle società polacche, che diventeranno più internazionali. Infine, secondo il primo ministro, questi cambiamenti positivi consentiranno alla Polonia di diventare più indipendente dal capitale straniero.
«Essendosi principiato de seminare del rixo nel ducato di quella nostra città, et non trovandosi persona che lo sapesse conciare et redurre alla perfectione sua, hanno facto venire de Savona doi maestri apti», questo scrive Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, il 9 dicembre 1473. Ci fa così sapere che nei dintorni della città si coltivava il riso, ma che ancora non c’era personale specializzato in grado di pilarlo e quindi se ne può dedurre che la coltivazione era stata introdotta da poco.
Qualche tempo prima, nel 1468, c’erano risaie attorno a Pisa e un tal Leonardo Colto de’ Colti chiede alla signoria dei Medici – a Firenze regnava Lorenzo il Magnifico – l’autorizzazione ad allargare l’utilizzo della nuova semente ad altri appezzamenti in Toscana. Sappiamo da una lettera del 1548, che nella corte di Cosimo I de’ Medici si mangiava questo cereale.
Sull’origine del riso non ci sono dubbi: è il cereale autoctono dell’oriente asiatico, in contrapposizione al grano, cereale autoctono dell’occidente europeo. Ancor oggi la Cina consuma riso e non pane. Il medico romano Galeno lo indica come medicinale, il suo mondo conosce il riso, gli dà nome oryza, ma lo tratta come una ghiottoneria riservata ai più ricchi. I romani lo commerciano importandolo dall’oriente, ma non lo coltivano.
Sono gli arabi a portarlo in Europa, in Spagna, nella zona di Valencia, dove avevano creato uno splendido sistema di canali. Gli spagnoli cominciano a usarlo cotto in bianco per accompagnare il pesce, in sostituzione del cuscus, gli altri popoli mediterranei preferiranno metterlo nelle minestre.
Il riso e la farina di riso costituivano l’ingrediente di base per ispessire una delle minestre più diffuse del medioevo: il biancomangiare. Il nome deriva dal fatto che si trattava di un alimento candido ed era apprezzato proprio per questo, il colore prevaleva sul sapore. Il nitore era ottenuto grazie al riso, si cucinava con brodo e carne di cappone, ma ne esisteva pure una versione quaresimale, ottenuta con un qualche pesce dalla carne bianca.
In uno dei grandi bacini risicoli della gastronomia italiana, l’entroterra di Venezia, si distingueva tra le minestre di riso (risi e bisi è la più celebre) e risotti (risotto di pesce). Il metodo di cottura era diverso: nelle minestre si mettevano assieme fin dall’inizio brodo (o acqua) e riso, nei risotti il brodo si aggiungeva man mano. Bisogna essere molto più esperti per preparare una minestra perché è necessario sapere esattamente quanto brodo sia necessario per una data quantità di riso, al fine di ottenere una minestra della consistenza voluta. Se il rapporto non è giusto vien fuori una brodaglia. Il risotto, invece, perdona gli errori: basta aggiungere un po’ più o un po’ meno brodo durante la cottura per arrivare alla densità desiderata. Questo è il motivo per cui, ormai, le minestre di riso non le fa quasi più nessuno.
Dagli ultimi decenni dell’Ottocento a metà Novecento, fino a quando non sono state sostituite da pesticidi e macchine agricole, decine di migliaia di donne (fino a 100.000), per quaranta giorni, dai primi di giugno a metà luglio, convergevano nelle zone di coltivazione del riso. Erano povere donne di ogni età, dalle bambine alle cinquantenni, arrivavano soprattutto da Piemonte, Lombardia e Veneto, ma anche da tutto il resto d’Italia, comprese le regioni meridionali. Dovevano prima trapiantare le pianticelle di riso (al tempo non si seminava direttamente nelle risaie, come oggi) e poi mondare (da cui mondine) i campi dalle erbacce. Il lavoro era durissimo, sfibrante. L’epopea delle mondine è stata immortalata in un film al tempo famosissimo, Riso Amaro, uscito nel 1949, con la regia di Giuseppe De Santis, uno dei massimi esponenti del neorealismo italiano. L’interprete femminile è una ragazza di 19 anni, fino ad allora sconosciuta, Silvana Mangano. Le parti maschili vanno ai due «belli» del cinema di quegli anni: Raf Vallone e Vittorio Gassman. Il film ha un successo straordinario e impone la Mangano come una delle sexy super maggiorate, assieme a Sofia Loren e Gina Lollobrigida, simboli della bellezza femminile italiana.
La Lombardia diffonde nell’Italia settentrionale sia il riso, sia il risotto. Quello alla certosina era il nutrimento dei monaci della certosa di Pavia nei giorni di magro. I rigidi monaci certosini ammettevano gli animali poveri, quelli derivati da catture spontanee, né cacciati né allevati, e quindi preparavano il risotto con con gamberi di fiume, rane e lumache.
Il risotto alla milanese, invece, è una preparazione di origine aristocratica. Lo indica l’abbinamento con l’ossobuco, lo dimostrano i suoi ingredienti: il midollo di bue e, soprattutto lo zafferano. Questa spezia che colora gli alimenti di giallo, simboleggia l’oro, qualcuno sostiene che abbia avuto più successo per il colore che per il sapore. Tra medioevo e prima età moderna, quando la gastronomia era soprattutto coreografia, non era così inconsueto ornare gli alimenti con foglie d’oro. Ma chi non poteva permettersi il metallo giallo, suppliva con la spezia gialla. Il cerchio simbolicamente si chiude quando Gualtiero Marchesi, celebre chef milanese, ha cominciato a servire nel suo locale il risotto con foglia d’oro.
Il veneziano Carlo Goldoni nomina il riso in alcune delle sue commedie. Per esempio i non meglio identificati «gran risi» ne I Morbinosi oppure i «cento risi co la quagietta» che propone l’oste di Chi la fa l’aspetta. Si tratta di un risotto di caccia, uno dei tanti piatti di risi della cucina veneziana. La tecnica di preparazione era quella tipica di questi piatti: si partiva da un fondo caratterizzato dalla presenza di carne di quaglia, ottenuta arrostendo i
piccoli volatili con con fettine di pancetta, salvia e rosmarino e utilizzando per il fondo solo le polpine, poi si univa il riso e lo si portava a cottura e lo si porzionava nei piatti ponendovi sopra una quaglia intera col sugo di cottura.» Nel Sior Todaro Brontolon, il taccagnissimo protagonista dell’omonima commedia, fa stracuocere il riso per fare più parte.
Una ricetta del tutto simile a quella attuale del risotto milanese si trova invece nel libro che Giovanni Felice Luraschi pubblica nel 1853. Risotto alla milanese giallo, lo chiama e prevede soffritto di cipolla, burro e midollo, poi si mette il riso, si aggiungono zafferano e noce moscata, a metà cottura si aggiunge una salsiccia e alla fine formaggio grattugiato. La ricetta successiva, riso all’italiana, prevede di fare «come sopra, ma senza zafferano, perché rimanghi bianco.»
I piselli avevano una lunga tradizione di cibo aristocratico, da quando Colombano, il santo irlandese abate di Bobbio (Piacenza), fa crescere piselli fra gli aridi dirupi dell’Appennino. Il comasco Mastro Martino riporta una ricetta di «piselli fricti in carne salata», una sorta di archetipo dei piselli al prosciutto, e poi la moda passa in Francia, dove i piselli godono di un crescente prestigio, tanto che la corte del re Sole impazzisce per il legume verde. «Ci sono dame che dopo aver cenato col re, e bene, si fanno preparare a casa dei piselli per mangiarli prima di andare a dormire, a rischio di indigestione. È una moda, è un furore.» Niente di strano, quindi, che arrivino piselli sulla tavola del doge di Venezia, i risi e bisi del giorno di San Marco.
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Alessandro Marzo Magno
Pillole culinarie è una rubrica di approfondimento sulla storia della cucina curata dal giornalista e scrittore Alessandro Marzo Magno. Dopo essere stato per quasi un decennio il responsabile degli esteri di un settimanale nazionale, si è dedicato alla scrittura di libri di divulgazione storica. Ne ha pubblicati diciassette, uno di questi “Il genio del gusto. Come il mangiare italiano ha conquistato il mondo” ripercorre la storia delle più importanti specialità gastronomiche italiane.
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Analisti dell’Istituto Economico Polacco (PIE) hanno affermato che la riduzione delle emissioni di anidride carbonica nei paesi dell’UE ammonterà al 14% entro il 2030, grazie alla parziale abolizione delle quote gratuite e all’introduzione della cosiddetta “carbon tax alle frontiere”. Tuttavia, in altre parti del mondo, le emissioni di anidride carbonica verranno ridotte solo dello 0,3%. Il PIE ha fatto riferimento al pacchetto “Fitfor55” presentato a metà luglio dalla Commissione Europea, in cui si propone di proteggere i produttori europei dalla concorrenza straniera, principalmente da quella asiatica. Innanzitutto, il pacchetto prevede l’introduzione della carbon tax alle frontiere, e in questo caso la Commissione Europea ha presentato diverse opzioni per introdurre questo tipo di tasse a partire dal 2026, dalla tassazione sotto forma di accise alla necessità di acquistare i certificati. Tuttavia, l’opzione preferita dalla Commissione Europea è la graduale introduzione dell’obbligo di acquistare certificati da parte degli importatori. Dal 2026, la quota di importazioni soggette a tale obbligo dovrebbe crescere del 10% all’anno, raggiungendo il 100% nel 2035. Gli esperti hanno notato che il gruppo più prezioso di prodotti importati nell’UE dai settori soggetti alla nuova tassa è quello riguardante l’acciaio e il ferro, con importazioni stimate a 36 miliardi di euro, seguito dall’alluminio (17 miliardi di euro). Il PIE ha osservato che questi sono anche i principali gruppi di importazione (acciaio e alluminio) per la Polonia (rispettivamente 2,3 miliardi di euro e 2,2 miliardi di euro). Secondo gli analisti la diminuzione delle importazioni dovuta all’introduzione della carbon tax potrebbe raggiungere il 12%, e “anche le esportazioni dai paesi dell’UE potrebbero diminuire in modo simile: il calo ipotizzato potrebbe raggiungere l’11% rispetto allo scenario di base”. Secondo il PIE queste riforme comporteranno enormi costi per l’industria polacca, stimati in circa 1.128 milioni di euro nel 2030. Alla fine, gli esperti hanno notato che nel caso della Polonia, l’impatto negativo di ciascuna opzione della carbon tax sarà il più alto, soprattutto quando si tratta dei gruppi delle famiglie più povere che potranno essere esposte alla povertà energetica.
Venezia 1978, Krzysztof Zanussi, Cezary Morawski, fot. Graziano Arici
In questi giorni (nel 2018) esce nelle sale cinematografiche polacche il nuovo film del grande regista Krzysztof Zanussi, icona del cinema polacco, dal titolo “Etere“, pellicola che reinterpreta il mito di “Faust”. La trama si svolge sul territorio della monarchia austro-ungarica e dell’impero russo e racconta la storia di un medico militare che fa esperimenti scientifici per arrivare a dominare il mondo. La prima del film è stata durante il Festival del cinema polacco a Gdynia.
Abbiamo incontrato Zanussi, che lo scorso giugno (nel 2017) ha ricevuto il Premio Gazzetta Italia nella categoria cinema, nel suo storico ufficio in via Puławska a Varsavia dove per anni ha lavorato fianco a fianco con Krzysztof Kieślowski.
Ha dichiarato spesso che l’aspetto visivo ha assunto troppa importanza nel cinema, che cos’è quindi che le interessa di più nel mestiere di regista?
Per eccesso di visualità intendo soprattutto dei video commerciali: videoclip, pubblicità, le tv musicali. Sono discipline asemantiche che non trasmettono nessun contenuto e che puntano a stupire attraverso visuali controverse e un gioco continuo di colori e ritmi. Ma questo non è il sale del cinema. Il film nasce dal teatro e per me è soprattutto arte della parola. Nei film prima di tutto parliamo, la logica della narrazione, che discende dal teatro, non può basarsi solo sull’immagine. Quindi io con le mie considerazioni sulla visualità del cinema voglio ricordare le origini letterarie di questa forma d’arte perché ultimamente si scordano sempre più spesso. Poi, ovviamente, esagero apposta per provocare reazioni e domande dei giornalisti.
È arrivato alla regia dopo aver studiato fisica e filosofia. Da cosa nasce un percorso creativo così originale?
Jerzy Skolimowski, Krzysztof Kieślowski, Krzysztof Zanussi
Tutti nella vita cerchiamo la nostra strada provando cose diverse. Le mie scelte sono state conseguenti l’una dall’altra. Fisica mi ha sempre affascinato ma ad un certo punto ho capito che non ero fatto per diventare uno scienziato. Mi ricordo quando una volta un professore dopo l’esame mi ha detto: “Non è per caso interessato di più all’opera dell’uomo piuttosto che ai risultati del suo lavoro?“ Studiare filosofia fu così in qualche modo la conseguenza di quanto mi disse il professore. Durante il comunismo in Polonia la filosofia “vera” si studiava solo all’Università di Cracovia che dopo il 1956 ha riacquistato un po’ di autonomia e Roman Ingarden ha potuto costruire un programma basandosi sul sistema di insegnamento che si usava nei paesi occidentali e non secondo la scuola marxista. Peraltro questo tema dell’interpretazione del socialismo è una delle cose che nei contatti con l’Italia mi disturba di più. Noi polacchi avendo vissuto sulla nostra pelle i tempi in cui il marxismo era una religione nazionale abbiamo una grande difficoltà a capire come mai l’ambiente culturale italiano l’aveva accolto senza nessuna critica e in certi casi continua ancora a valorizzarlo. Ho iniziato la regia già durante gli studi filosofici e ho cercato di abbinare due impegni. Ma quando Ingarden è andato in pensione non ho più avuto interesse a continuare con la filosofia. In qualche maniera è stato un sollievo perché il dilemma tra filosofia e cinema si è risolto da solo.
Chi sono i Maestri di Zanussi?
Soprattutto Bergman, è stato il suo cinema a convincermi che potevo avere un posto in questo mondo. Tra gli autori preferiti, ancora prima di diventare regista, ci sono Robert Bresson, Buñuel e René Clair che forse oggi non sarebbe male mostrare e far conoscere a fondo alle giovani generazioni. Poi, quando ho iniziato la mia avventura di regista, ho scoperto Fellini, Antonioni, Visconti, Pasolini. L’influenza di questi maestri è stata enorme, più ancora del tanto celebrato neorealismo italiano che conoscevo ma che non mi ha mai entusiasmato più di tanto. Le opere simbolo del neorealismo mi sembravano un po’ paternalistiche e false. Gli anni del boom economico in Italia sono stati dipinti dal neorealismo come un periodo di decadenza nazionale. Ed invece al contrario in quegli anni l’Italia si stava urbanizzando e le ricadute positive degli anni Cinquanta-Sessanta, quando il Paese si è rialzato dopo gli anni della guerra, si apprezzano ancor oggi. Analizzando a fondo il messaggio del neorealismo sembrava quasi che quel movimento intendesse dire che per l’Italia sarebbe stato meglio seguire la strada del socialismo.
Nella generazione contemporanea dei registi italiani e polacchi ci sono emuli dei grandi maestri del cinema?
Siamo in ritardo di qualche settimana perché a proposito dell’Italia avrei detto Ermanno Olmi ma purtroppo è appena scomparso. La sua visione di regista mi piaceva molto. Tra gli altri registi che apprezzo c’è Edoardo Winspeare che una volta mi ha invitato a casa sua in Puglia e così mi ha conquistato. Con attenzione seguo anche le opere di Nanni Moretti anche se spesso non sono d’accordo con lui. Tanti altri grandi personaggi che conoscevo non ci sono più, sono rimasti Franco Zeffirelli e Paolo Taviani che apprezzo molto e con i quali ogni tanto ci vediamo. Purtroppo nella generazione contemporanea non vedo nessuno che abbia un proprio stile narrativo. Spesso nascono opere interessanti e poi niente, silenzio. Mi sembra che l’Italia sia in un momento di trasformazione in cui l’identità culturale è molto fluida. Prima si sapeva che c’erano dei personaggi cardine come Fellini, Verdi, Puccini, ovvero si riconoscevano maestri che avevano creato canoni di stile nelle diverse discipline. La stessa cosa mi preoccupa tra i giovani autori polacchi. Fanno uno, due film belli e poi si perdono nei lavori commerciali oppure fanno le serie sotto un altro nome. Certo ci sono nomi che spiccano, ma non vorrei fare la classifica, l’importante è che in Polonia ci sia una continuità creativa e qualitativa.
Una volta i film erano anche un grido di libertà, ovvero un gesto di rivolta contro il sistema, forse adesso i giovani non hanno nulla a cui ribellarsi?
Ce l’hanno più che mai! La società di oggi è caduta nel culto del consumismo e, secondo me, sta andando verso l’autodistruzione. Il ruolo dell’artista oggi è gridare forte affinchè questo non accada. Non esiste un tempo nella storia in cui l’umanità possa dire d’avere raggiunto il paradiso sulla terra. E la convinzione che possa realizzarsi una società ideale è il sogno che ci stimola nella ricerca e nell’evoluzione.
E Lei come vive la realtà di oggi?
Da sempre vivo in un’atmosfera di trasformazione. Sono nato prima della guerra, ho passato l’infanzia nello stalinismo e da qualche anno vivo in un paese indipendente con l’economia libera. Sono stati tutti cambiamenti importanti e profondi. Inoltre mi calo sempre nelle realtà dei paesi in cui giro i miei film. Al mondo di oggi invece guardo con occhio critico e forse con un po’ di delusione. La mia generazione ha vissuto la grande esperienza della vittoria di Solidarność, una trasformazione pacifica che ha permesso di cambiare un intero sistema sociale senza atti di violenza. È stata una diffusa rivolta delle masse contro il marxismo sovietico da cui forse la Polonia è uno dei paesi che ne è uscito meglio. Ma questa bella trasformazione sta venendo sprecata, e questo mi provoca una certa delusione perché non siamo una nazione così bella come sembrava potessimo diventare.
Quali valori trasmettere quindi ai giovani perché continuino a migliorare la situazione del paese?
Di sicuro in un mondo così versatile come quello di oggi bisogna cercare ciò che è durevole perché questo riporta un certo equilibrio. Mi invitano spesso agli incontri con i giovani imprenditori ai quali ripeto sempre di ricordarsi le parole delle nonne, ne traggono più profitti che da quello che gli dicono i vari personal coach. Le cose che si dicono nei workshop sono spesso superficiali e prive di valori veri. Osservo quei giovani che attraverso una promozione professionale sono riusciti ad entrare in una civilizzazione sviluppata ma che dal punto di vista culturale sono persi. I valori sono durevoli e immutabili, cambia solo il modo della loro attuazione. Bontà, verità e bellezza oggi sono solo declinati diversamente ma in realtà sono sempre gli stessi valori aristotelici che non vanno messi in discussione.
foto: Maciej Szczesniak (foto dal film), Graziano Arici
Non senza motivo questo modello fa la sua comparsa proprio adesso: il colore della sua vernice corrisponde chiaramente alla valle Chochołowska ornata dai crochi fioriti, anche se scommetto che il proprietario dell’originale, lo sceicco del Qatar Nasser Al-Thani, non abbia mai visitato quella zona. Ai fan della musica rock il titolo odierno probabilmente ricorderà il gruppo musicale Guns N’ Roses, ed è giusto così, perché la Lamborghini è piena di energia come le loro composizioni ed è molto apprezzata dal pubblico degli acquirenti come il disco “Appetite for distruction”, ossia il miglior album di debutto di tutti i tempi (soltanto negli USA 18 milioni di copie).
Volgeremo sempre la nostra attenzione sull’individuo con il mazzo di rose e non diversamente accade quando vediamo una Lamborghini. Grazie all’aerodinamica e all’enorme potenza, si tratta di automobili che esigono molta attenzione da parte del guidatore, che, se manca di prudenza, può provocare danni notevoli, come una rosa meravigliosa ma piena di spine afferrata sconsideratamente. Possiamo trovare un paragone ulteriore osservando la molteplicità di varietà di questi fiori, in modo simile al modello Aventador prodotto dal 2011 con l’infinito elenco di versioni successive. Ecco alcuni modelli: il primo è stato l’LP700-4, e successivamente l’LP700-4 Roadster, l’LP750-4 Superveloce, l’S Coupè, l’SVJ e l’SVJ Roadster. Inoltre vi sono le serie limitate prodotte sulla base dell’Aventador ossia il Veneo, ovviamente anche nella versione Roadster, l’LP720-4 50o Anniversario, il modello di un anniversario successivo era l’LP700-4 Pirelli Edition e quello più nuovo, l’ibrido Sia’n. Le aziende che con grande piacere mettono a punto l’Aventador per mezzo del tuning, conseguendo più o meno successo, sono: DMC, Mansory, Oakley Design, Novitec, LB-Works e molte altre. Ovviamente l’Aventador è un’automobile costosa, tuttavia, considerando la quantità dei modelli prodotti, perde un po’ della sua unicità, suscitando forse il desiderio di fornirgli un tocco di eleganza in più. Se vi sto annoiando passo subito a mostrare in che cosa consiste questa vera originalità. Il Kadupul (no, non è una super-car) fiorisce in Sri Lanka soltanto una notte all’anno, e la sua bellezza scompare all’alba oppure quando viene reciso. Il leggendario tulipano Semper Augustus, che nel XVII secolo ha condotto alla rovina la maggioranza degli olandesi benestanti, ed attualmente è visibile soltanto sulle vecchie stampe. L’orchidea Shenzhen Nongke, ibrido delicato creato da scienziati cinesi, che fiorisce una volta ogni 4-5 anni, e che all’asta nel 2005 è stata venduta per circa 230.000 USD.
Ritorniamo alle rose. Per un semplice mazzo della varietà Juliet creata nel 2006 bisogna pagare circa 90 sterline britanniche rispetto ai prezzi del passato…, mentre David Austin ha dedicato 15 anni e 3 milioni di sterline per coltivarla. Tra poco sarà maggio, quando le rose iniziano a fiorire, quindi vale la pena visitare il roseto più esteso della Polonia nel Parco della Slesia presso Chorzów, fonte di incredibili esperienze per il nostro senso dell’olfatto. Se cercate di provare sensazioni estreme in questo ambito, vi invito a Sangerhausen in Germania dove si trova il roseto più grande del mondo (15 ettari con 8.300 varietà tra 75.000 cespugli di rose). In Italia, tra migliaia di stupendi giardini, a Cavriglia vicino ad Arezzo troverete la collezione privata di rose più grande del mondo: il Roseto Botanico di Cavriglia “Carla Fineschi”, dove tra maggio e giugno potete vedere 7.000 fiori originali.
Tuttavia è difficile giungere in quei luoghi con una qualche versione dell’Aventador a causa della sua bassa altezza da terra. La carrozzeria dell’Aventador è stata progettata da Filippo Perini rifacendosi alla serie di automobili dell’azienda di Sant’Agata Bolognese, a cui diede inizio nel 1971 il modello rivoluzionario Countach secondo l’idea di Marcello Gandini. Tuttavia in questo modello le linee fortemente tratteggiate e le superfici tese creano un affascinante gioco di luci e ombre, fornendo all’automobile una silhouette più aggressiva, che rimanda al bombardiere F-117 Nighthawk, il primo aereo ad essere prodotto in serie difficilmente intercettabile dai radar. Infatti, l’autista potrà sentirsi come un pilota della US Air Force, poiché questa automobile raggiunge: i 100 km/h in 2,9 secondi, 200 km/h in 9 secondi e 300 km/h in 24 secondi dopo la partenza. Immaginatevi il carico, quando a tale velocità decidiamo di fermarci premendo con tutte le forze il pedale del freno, e riuscendovi in appena 7 secondi. La vettura deve queste sue accelerazioni, oltre che alla potenza del motore, anche alla ultra leggera (70 kg) e compatta scatola del cambio del sistema ISR; ad alcune persone, tuttavia, danno fastidio gli strappi che accompagnano l’inserimento di ogni marcia. Il motore che genera fino a 690 Nm della coppia motrice, può anche assordarci, perché quando con l’auto ferma si fa girare il motore a 6.500 giri, verremo colpiti da più di 120 decibel, e per questo motivo la polizia londinese già più volte ha multato gli sceicchi che si mettevano in mostra così (ricordiamo che il limite oltre cui vi è un danno per la salute è di 85 dB). La struttura dell’Aventador è basata su un’innovativa monoscocca realizzata in fibra di carbonio, che unisce un’estrema leggerezza (148 kg) con il massimo livello di rigidità e sicurezza.
Il 28.02.2011, giorno della presentazione, Stephan Winkelmann, allora presidente di Automobili Lamborghini, ha affermato: “L’Aventador rappresenta un salto di due generazioni dal punto di vista del design e della tecnologia, è il risultato di un progetto totalmente nuovo, ma contemporaneamente è la continuazione diretta e coerente del valore del marchio Lamborghini. È estremamente originale nel suo design e nella efficienza delle sue prestazioni, senza compromessi nei suoi standard e nella sua tecnologia, e indubbiamente italiano nel suo stile e nella perfezione”. Anche la denominazione si riferisce alla tradizione aziendale, questa volta è un omaggio al toro che nel 1993 durante una corrida a Saragozza ha dimostrato enorme coraggio, così da ricevere il premio Trofeo de la Peña la Madroñera. Per quanto riguarda la sigla, LP700-4 significa: “longitudinale posteriore” ossia il motore posizionato longitudinalmente e centralmente, avente una potenza massima di 700 cavalli e con il “4” indicante che la trazione della vettura è a 4 ruote motrici. Abbiamo a disposizione tre modalità di guida: Strada, Sport e Corsa, e dal modello S del 2016, in aggiunta, l’Ego, ossia la possibilità di impostare le proprie personalizzazioni.
Il fatto che i fiori possano essere meravigliosamente collegati alle super-macchine, è stato dimostrato recentemente dalla youtuber più popolare nel settore automobilistico, un’australiana che si presenta come “Supercar Blondie”, la quale ha fatto coprire la sua Lamborghini Gallardo con vernice blu scuro avente tematiche floreali.
Il modellino in scala realizzato da FX Models, ramo professionale dell’azienda di giocattoli Welly, ad un prezzo ragionevole offre un prodotto di buona qualità e di precisa elaborazione. Tuttavia si differenzia dall’originale del Qatar per a mancanza dello spoiler posteriore e dei monogrammi NA sulle porte. Il colore ovviamente è questione di gusti personali, a me affascina “la ciliegina sulla torta”, quale è uno deglispecchietti laterali.
W. Shakespeare ha scritto: “Tra tutti i fiori, mi sembra che la rosa sia la migliore”, aggiungo che la rosa viola significa: amore a prima vista.
Anni di produzione: 2011-2021 Esemplari prodotti: circa 12.000 esemplari Motore: V 12 Cilindrata: 6498 cm3 Potenza/RPM: 691 KM / 8250 Velocità massima: 350 km/h Numero di cambi: 7 Peso proprio: 1831 kg Lunghezza: 4780 mm Larghezza: 2030 mm Altezza: 1136 mm Distanza interasse: 2700 mm
foto: Piotr Bieniek
traduzionie it: Milena Trezzani
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Il direttore della Camera di Commercio Polacca per l’Industria del Legno Rafał Szefler sostiene che le aziende polacche dell’industria del legno non saranno in grado di sostenere finanziariamente la concorrenza con gli intermediari internazionali per via delle limitate risorse di legno grezzo, e per questo motivo ritiene necessario il divieto di esportazione di legname. Szefler ha spiegato che la difficile situazione in realtà è iniziata a maggio, quando i prezzi della materia prima alle aste di sistema sono aumentati inaspettatamente fino al 200 o 300%. Il direttore della Camera di Commercio Polacca per l’Industria del Legno ha sottolineato che “a lungo termine nessuna azienda polacca sarà in grado di sopportare un tale livello di prezzo, perché il prodotto finito dovrà coprire i costi della sua produzione”, e i clienti non saranno più propensi a pagare un tale prezzo. L’esperto ha informato che sia negli USA che in Cina la domanda di legno è ancora in crescita e queste potenze economiche sono disposte ad acquistare questa materia prima ovunque e a qualsiasi prezzo. Tali pratiche incutono timore nelle aziende polacche che iniziano a chiedere il divieto di esportazione di legno grezzo basandosi sul modello rumeno e croato. Tuttavia, stando alle parole di Szefler, finora i loro appelli non sono stati accolti dal governo.
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La mostra è il risultato di una sessione fotografica congiunta effettuata nella città di San Pellegrino Terme, situata nel mezzo delle Alpi Bergamiche in Valle Brembana. I fotografi Laura Lerario e Arkadiusz Sędek l’hanno visitata nei primi giorni di giugno, cercando di catturare la sua bellezza unica e la natura vivace che la circonda.
“Fu proprio nella città di San Pellegrino Terme che Giuseppe Tomasi di Lampedusa decise di scrivere “Il Gattopardo”, uno dei più famosi romanzi italiani, sulla base del quale fu realizzato il celebre film di Luchino Visconti con Claudia Cardinale”, spiega il curatore della mostra Michał Jedynak. Il famoso Grand Hotel, il primo in Italia con l’elettricità, è stato uno dei primi ad ospitare la regina italiana Margherita di Savoia, la cui trisnonna era polacca e che, come il nostro artista, proveniva dai dintorni di Kielce. E sui gradini del magnifico Casinò in stile Liberty, oggi una lussuosa SPA, Federico Fellini ha girato le scene del suo primo lungometraggio a colori, in cui sua moglie Giulietta Masina interpretava “Giulietta degli Spiriti”. Tutti conoscono l’acqua S. Pellegrino, che ha lì le sue sorgenti e il principale impianto di imbottigliamento”.
Laura Lerario e Arkadiusz Sędek hanno catturato l’atmosfera della città, con le caratteristiche atmosfere Liberty, la natura incontaminata e con il motivo principale ovvero l’acqua. Da qui il nome della mostra: San Pellegrino – La Capitale dell’Acqua.
La Mostra si avvale del patrocinio del Console Onorario d’Italia a Cracovia Katarzyna Likus e dal Sindaco della Città di Cracovia Jacek Majchrowski. Insieme al Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, Dott. Ugo Rufino, è stata aperta da Vittorio Milesi, Sindaco di San Pellegrino Terme e Robert Piaskowski, Plenipotenziario del Sindaco di Cracovia per la Cultura. La Mostra è stata creata dalla italiana GE Communication Company e dalla polacca MIC-ART di Michał Jedynak. Resterà aperta presso l’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia fino al 17 settembre 2021.
In Polonia questa settimana si sono registrate ancora nuove infezioni da COVID-19, il numero complessivo dei casi attivi è 153.521 (settimana scorsa 153.305), di cui in gravi condizioni 54 (settimana scorsa 62),ovvero circa lo 0,035% del totale.
Gli ultimi dati mostrano 126 nuove infezioni registrate su 37.400 test effettuati, con 9morti da coronavirus nelle ultime 24 ore.
Il numero delle vittime nell’ultima settimana è stato di 40 morti, in calo rispetto ai 56registrati nella settimana precedente.
In nessuna regione polacca sono stati registrati più di 20 nuovi casi nelle ultime 24 ore e la situazione nelle strutture sanitarie polacche èsotto controllo, con 329 malati di COVID-19 ospedalizzati e 54 terapie intensive occupate.
Prosegue la campagna vaccinale in Polonia, attualmente sono state effettuate 33.280.946vaccinazioni per COVID-19, di cui 17.894.628 prima dose e 15.386.318 seconda dose, oppure Johnson & Johnson.
L’obbligo di indossare la mascherina rimane solo nei luoghi pubblici al chiuso.
Sono aperti al pubblico bar e ristoranti, anche al chiuso, e sono consentite riunioni fino a 150 persone, sono aperti hotel, centri commerciali, negozi, saloni di bellezza, parrucchieri, musei e gli impianti sportivi, anche al chiuso.
Ogni attività è sottoposta a regime sanitario e sono previste limitazioni sul numero massimo di persone consentite, in linea generale 1 persona ogni 10 m2, con norme di distanziamento per limitare le occasioni di contagio.
In Polonia e in Europa è attivo il passaporto vaccinale europeo, che consente maggiori libertà di circolazione all’interno dell’UE.
Per quanto riguarda gli sposamenti, resta in vigore l’obbligo di quarantena di 10 giorni per gli ingressi in Polonia, anche da paesi europei salvo presentazione di test COVDI-19 negativo PCR molecolare o test antigenico effettuato nelle 48 ore precedenti.
Per gli ingressi in Polonia da paesi al di fuori dell’area Schengen è prevista quarantena automatica obbligatoria, fino alla presentazione di un test negativo effettuato in Polonia successivamente all’ingresso, ma non prima di 7 giorni dal momento dell’ingresso nel paese. Sono escluse dall’obbligo di quarantena le persone vaccinate per COVID-19 con vaccini approvati dall’EMA.
Si raccomanda di limitare gli spostamenti e monitorare i dati epidemiologici nel caso di viaggi programmati da e verso la Polonia.
Per spostamenti all’interno dell’UE, si raccomanda di verificare le restrizioni nei singoli paesi sul portale: https://reopen.europa.eu
Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl
“Se il sistema ferroviario diventa più veloce e con più capacità sarà destinato a sostituire il traffico aereo sulle distanze brevi”, afferma Przemyslaw Paczek, CEO della società tecnologica Nevomo che lavora sulle tecnologie per la levitazione magnetica e hyperloop. In un’intervista, il presidente ha rivelato come sta andando la cooperazione di Novemo sulla scena internazionale. A metà giugno abbiamo collaborato con Rete Ferroviaria Italiana (RFI), il terzo gestore di infrastrutture ferroviarie dell’Unione Europea. Come ha detto il Presidente, la cooperazione è iniziata già nel 2019, tuttavia, a causa della pandemia tutto è stato ritardato. Nel 2021 è stato comunque firmato il contratto. Da un lato, l’Italia ha un mercato del trasporto merci molto competitivo con una velocità media dei treni di circa 120 km/h. Paczek descrive l’intero processo così: “la cooperazione con l’Italia riguarderà tre settori. Il primo è quello di analizzare la rete ferroviaria italiana per determinare dove sarebbe possibile sviluppare la tecnologia magrail (i sistemi per la levitazione magnetica). Il secondo è l’acceleratore tecnologico, che sono i loro suggerimenti, che potremmo utilizzare per migliorare ulteriormente questa tecnologia. La terza sarà la fase dei test che dovrebbe innescare i processi di certificazione e omologazione necessari per consentire l’implementazione commerciale della tecnologia.”