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Sperimentazioni di cure anti-Covid con l’amantadina

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Il portavoce del Ministero della Salute, Wojciech Andrusiewicz, ha informato ieri in un’intervista a Radio Plus che sono iniziate le sperimentazioni cliniche con amantadina per il trattamento del COVID-19, perché alcuni medici “stanno cercando di introdurre la terapia con amantadina”, sebbene non ci siano dati affidabili nel mondo per quanto riguarda il suo impatto sul COVID-19. Secondo Adrusiewicz, in Polonia c’è la convinzione che la ricerca sull’amantadina dovrebbe essere attuata con forza il prima possibile, ma questo non è un farmaco miracoloso, perché i decessi avvengono anche assumendo questa medicina. Alla fine di marzo, il capo del Dipartimento e della Clinica di Neurologia dell’Università di Medicina di Lublino, il professore medico abilitato, Konrad Rejdak, ha detto a Radio Zet che circa 200 persone d’età superiore ai 18 anni avrebbero preso parte a studi clinici. L’amantadina è stata ampiamente utilizzata nella prevenzione e nel trattamento dell’influenza virale A nel 1996-2009. Ora è utilizzata come farmaco neurologico e somministrata a pazienti con malattia di Parkinson o sclerosi multipla. Gli studi clinici che saranno avviati in sette centri a livello nazionale verificheranno se il farmaco può essere utile nel trattamento del COVID-19.

https://www.pap.pl/aktualnosci/news%2C846656%2Candrusiewicz-rozpoczely-sie-badania-kliniczne-amantadyny.html

Poesia palestra di conoscenza

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Alessandro Baldacci è docente di italianistica all’Università di Varsavia e autore di testi critici su poesia e letteratura contemporanea. Si occupa soprattutto della tragedia nella letteratura europea e italiana, della poesia italiana ed europea della seconda metà del Novecento, dei temi della guerra nella letteratura e della ricezione della letteratura tedesca in quella italiana contemporanea. Baldacci, se da un lato è immerso nella dimensione del ricercatore che indaga la lettura e l’interpretazione della poesia, dall’altro è un docente intento a diffondere la sua passione letteraria tra gli studenti.

Come nasce la passione per la poesia?

Inizialmente è stata pura fame di cultura, di conoscenza, di approfondimento. Mi stavo laureando in sociologia e mentre studiavo capivo che la mia vera passione era la letteratura. Mi “regalavo” un libro di letteratura ogni volta che superavo un esame. Più leggevo libri di poesia e romanzi più capivo che quello era l’ambito a cui avrei voluto dedicarmi a tempo pieno. Scrivendo la tesi di laurea ho cercato di mettere in dialogo sociologia e letteratura. Il bisogno di approfondire la mia passione mi ha portato prima a laurearmi in Lettere, proseguendo poi con un dottorato in Letterature Comparate. Negli stessi anni ho cominciato a collaborare con la casa editrice Donzelli. Ero co-direttore di una collana di poesia. Quel periodo è stato fondamentale per me: sono entrato in rapporto diretto con diversi poeti contemporanei che apprezzo molto, come Antonella Anedda, Milo De Angelis, Franco Buffoni. Sono stati questi incontri a formarmi, a segnare in profondità il lettore di poesia che ancora oggi sono, convinto che debba continuare a dare credito alla poesia e ai poeti.

Com’è che il tuo percorso accademico ti ha portato in Polonia?

Dopo il dottorato ho cominciato a lavorare prima presso l’Università di Cassino, poi per un breve periodo all’Università di Roma. Nel 2006 ho ricevuto la proposta di insegnare letteratura italiana all’Università di Potsdam e dato che conoscevo la lingua, avendo vissuto da piccolo in Germania, mi è sembrata l’opzione migliore. Nel 2009 si è aperta la possibilità di lavorare a Stettino, da dove, dopo qualche anno, mi sono spostato a Varsavia. Insegnare all’estero è un’esperienza estremamente stimolante. Bisogna approcciarsi con gli studenti ed entrare in classe coscienti di dover fare da ponte fra diverse culture e tradizioni. Questo richiede sia al docente che allo studente la necessità di aprirsi allo spazio dell’ospitalità e dell’ascolto reciproco. Una esperienza che arricchisce in primo luogo chi è chiamato a insegnare. È questo uno degli aspetti più appassionanti di questo lavoro. In definitiva il mio percorso rappresenta il tentativo di realizzare questa voglia di conoscenza e di dialogo, e di seguire, con fiducia, la mia passione per la letteratura che mi ha portato a Varsavia, la città in cui vivo e lavoro.

Quali differenze ci sono nell’insegnamento universitario tra Italia, Germania e Polonia?

Nell’università tedesca lo spazio per italianistica si è fatto negli anni sempre più esiguo: adesso è stata praticamente assorbita dalla romanistica. In Polonia mi sono reso conto invece che lo studio della lingua e della cultura italiana continua a crescere. A Varsavia, dove insegno da diversi anni, mi piace molto il progetto che segue la facoltà. Di solito lo spazio dato alla letteratura nelle facoltà di italianistica non è molto ampio perché, prima di tutto, bisogna formare gli studenti a livello culturale e quindi l’obiettivo è quello di lavorare su alcune nozioni importanti della letteratura per poi dare il massimo impegno sul miglioramento della loro conoscenza dell’italiano. Quello che invece ho trovato qui a Varsavia, e che mi piace molto, è la forte attenzione alla letteratura e al contemporaneo, senza tralasciare il patrimonio della nostra tradizione. E questo mi fa sentire ancora più a casa. Inoltre mi accorgo di una sempre maggiore competenza linguistica degli studenti e questa è una bella sorpresa per una persona formata in Italia e che conosce come, generalmente, l’insegnamento delle lingue straniere si attesti a un livello piuttosto standardizzato. Già in Germania mi sono accorto di quanto gli studenti siano capaci di raggiungere in fretta un buon livello di conoscenza della lingua ma in Polonia la situazione è addirittura migliore: qui gli studenti del secondo anno riescono a seguire un corso tenuto interamente in italiano. Tutto ciò è ovviamente di enorme aiuto per le lezioni di letteratura che presento a partire dal terzo anno. La poesia, soprattutto se studiata in lingua straniera, non è un tema facile.

Come costruisci i tuoi corsi per trasmettere la tua passione agli studenti?

Come detto, partendo dall’alta competenza linguistica degli studenti, posso organizzare lezioni sulle questioni a mio parere più attuali all’interno del dibattito letterario contemporaneo. L’unico ostacolo potrebbe essere rappresentato dalle difficoltà che può presentare il linguaggio poetico per degli studenti non madrelingua. Per questo in Germania preferivo concentrare le mie lezioni sulla forma del racconto, tipica della tradizione letteraria italiana e allo stesso tempo carica di minori ostacoli comunicativi rispetto a quelli della specifi cità del codice poetico. Mi sembrava che ciò garantisse a tutta la classe la possibilità di entrare meglio in relazione con il testo. A Varsavia ho cominciato sempre di più a sperimentare con gli studenti l’approccio alla poesia. All’inizio è stato un po’ rischioso perché la poesia spaventa sempre. Il linguaggio poetico è considerato spesso troppo chiuso o troppo elitario, astratto e sganciato dalla realtà. Al contrario sono convinto che la poesia sia uno degli strumenti migliori per apprendere l’italiano perché la ricchezza, il ritmo, la dinamica di una lingua è impresso nelle sue tradizioni letterarie. Tutti questi aspetti nel linguaggio poetico li troviamo intrecciati in modo ancora più stretto. In defi nitiva, quando si supera l’iniziale timore reverenziale verso la poesia e ci si confronta con il meraviglioso patrimonio lessicale e ritmico che porta con sé, i frutti sono evidenti. La poesia ha una profondità di ricerca sulla parola che è diffi cile ritrovare in altre forme espressive.

A chi vuole avvicinarsi alla poesia che percorso gli suggeriresti?

Credo che si debba partire dalla fiducia nella parola poetica. Io ho sempre diffi dato sia dell’approccio ingenuo alla poesia così come di quello eccessivamente intellettualistico, puramente tecnicistico. Il mio non è un discorso banalmente anti-metodologico. Intendersi di metrica, di fi gure retoriche e stilistiche arricchisce, potenzia il nostro sguardo sui testi. Ma ancor più importante è riconoscere il testo come un corpo vivo, come una presenza con cui entrare in relazione attiva, alla ricerca di verità che ci riguardano. La poesia ha una capacità particolare di colpirci in modo preciso e diretto, di creare un legame con il nostro vissuto, di interrogarci così come di metterci in relazione tanto con il mondo che ci sta intorno quanto con l’universo che portiamo dentro. Io mi sono appassionato alla poesia da giovane, leggendo Baudelaire – in una pessima traduzione e guardicchiando come suonava in francese – così come immergendomi per la prima volta nell’opera di Montale senza riuscire a comprendere alcuni aspetti dei suoi testi, ma sentendo in modo distinto, in quegli intrecci fra suono e senso una domanda a cui non riuscivo a restare indifferente. C’era una tensione al conoscere che si accendeva, anche quando parzialmente frustrata, e che portava a rileggere più volte lo stesso testo, o a cercare in altri libri di poesia analoghe esperienze. A lezione cerco di far passare l’idea di questa particolare esperienza del senso che avviene in un testo poetico, l’idea che non possiamo limitarci alla libera interpretazione di un’opera ma allo stesso tempo dobbiamo evitare che si crei una distanza dal testo, tale da renderlo muto. Parlare di poesia a lezione è per me un tentativo di rompere il tabù che sempre più richiude la scrittura in versi in uno spazio di marginalità, staccata dal quotidiano che vivono e sperimentano gli studenti. Il testo poetico non deve essere percepito come lontano, intellettualistico, da avvicinare solo se armati sino ai denti di teoria. Ripeto: l’ingenuità non aiuta la comprensione della poesia, ma credo allo stesso tempo nella capacità della parola poetica di parlare da sé, di mostrare sempre, in modo sorprendente, la sua attualità e le sue verità. Una cosa che dico spesso agli studenti è di non porsi verso i testi con delle domande qualsiasi. Li invito a porre domande significative, domande forti, perché il testo poi reagisce e si attiva una relazione che rende la lettura critica così appassionante.

Secondo te c’è distanza tra quello che si insegna a italianistica e la vita reale del paese?

Non credo. E allo stesso tempo non mi convince il concetto di utilità applicato ad un percorso di studi. L’utilità è un criterio ambiguo. Per utilità si intende spesso utilità immediata, che può essere una trappola. Credo maggiormente nei percorsi più indiretti, più lunghi, non immediatamente produttivi, e che invece alla fine risultano estremamente efficaci e formativi. Spesso sento domandare a cosa serva oggi una formazione universitaria umanistica. Ora, se andiamo a vedere a livello europeo cosa chiedono molte aziende, scopriamo che sono ricercate prevalentemente persone con una preparazione umanistica perché si tratta di una formazione flessibile che ci rende capaci di entrare in relazione con tutti gli aspetti del lavoro, oltreché della vita. La cultura umanistica offre dunque una formazione a tutto tondo che si integra con gli altri saperi e che ci mette nelle condizioni di farli interagire in modo virtuoso. Tutto sta nell’apertura mentale della persona. Non bisogna immaginare la letteratura come uno spazio in cui rinchiudersi ma nemmeno pensare che la sua utilità possa essere quantizzata. Io ho sempre avuto sfiducia verso le richieste di utilità. Mi ricordo che ad uno dei tanti convegni a cui ho partecipato mi chiesero: “Ma a cosa serve la poesia?”, io fortemente irritato risposi orgogliosamente: “In realtà non serve a niente, ma nel suo non servire a niente serve a tutto”. A volte esiste una utilità che puoi spendere solo in un settore e che ti rende povero altrove. La letteratura è quel qualcosa che ti rende positivamente problematico e ti apre alle potenzialità del conoscere, il conoscere vero, profondo, formante e determinante.

E quindi qual è lo scopo ultimo dell’insegnamento?

Lo sforzo di un insegnante non deve essere quello di fornire un pacchetto completo e poi di dire: “ecco, con questo puoi vivere”. Non saprei farlo. Un insegnante dovrebbe piuttosto trasmettere la passione del ragionare e permettere allo studente di sperimentare in modo libero le sue potenzialità. La formazione deve essere una pratica molto aperta perché è una particolare forma di dialogo. Non è un pacchetto che si passa dal docente allo studente, ma un complesso di stimoli, prospettive, di sentieri appena accennati che poi lo studente è chiamato a sviluppare autonomamente. Io ad esempio ho sempre percepito la letteratura come la grande possibilità di conoscere sé stessi tramite la parola altrui, e mi auguro che le nostre studentesse e i nostri studenti sapranno far fruttare le nozioni che gli offriamo, al di là dell’utilità immediata, per andare oltre. Questo è il bello nell’insegnare, non dominare o invadere eccessivamente lo studente ma indicargli un orizzonte di crescita e di sviluppo, che è solo suo.

Il settore turismo chiede via libera a riaperture per il ponte di maggio

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Marcin Mączyński, segretario generale della Camera di commercio dell’industria alberghiera polacca, ha riassunto l’anno in corso e l’anno scorso come persi per l’industria alberghiera. C’è però la possibilità di generare entrate durante il lungo fine settimana di maggio, ma il governo ha bisogno di una decisione anticipata per revocare le restrizioni prima della fine di aprile. Come ha sottolineato, sono molti i punti interrogativi sui prossimi mesi o sulla situazione nella seconda metà dell’anno. “Tutto indica che la terza ondata d’epidemia si fermerà presto ed il programma di vaccinazione accelererà in modo significativo. “Non riesco ad immaginare una situazione in cui durante le vacanze le strutture avranno limiti od altre restrizioni pretestuose sulle loro attività”, ha detto. Maczynski ha aggiunto che gli hotel sono completamente preparati a fornire servizi in regime sanitario ed i ristoranti degli hotel sono pronti per essere aperti in sicurezza. Mączyński spera che il traffico turistico inizi a pieno ritmo a giugno. “Ne abbiamo tutti bisogno: industria e visitatori”, ha osservato ed ha aggiunto che la Camera di Commercio e dell’Industria alberghiera polacca richiede una rapida attuazione di soluzioni d’aiuto e condizioni ragionevoli per questo aiuto. “Chiediamo anche l’abbandono della tassa sul sussidio annullato nell’ambito dello scudo PFR 1.0, perché gli albergatori non hanno i mezzi per pagare un tale prelievo, poiché le loro aziende portano perdite mese dopo mese”, ha sottolineato l’esperto. A causa dello sviluppo dell’epidemia, dal 20 marzo al 9 aprile di quest’anno, gli hotel in tutto il paese rimangono chiusi (ad eccezione degli hotel dei lavoratori, nonché degli hotel per i medici, gli autotrasportatori o i soldati). Rimangono chiusi, tra gli altri ristoranti (possibile solo asporto), cinema, palestre, fitness club, piste da sci, piscine, saune e solarium.

https://www.pap.pl/aktualnosci/news%2C846299%2Cdla-turystyki-wielkanoc-jest-stracona-ale-majowka-z-szansa-na-przychody

Fratelli Carli, l’olio che profuma di Liguria

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La Liguria è una delle regioni italiani più famose: scogliere pittoresche, splendidi borghi su sfondi rocciosi e il mare attraggono turisti da tutto il mondo.

E proprio qui, nel 1911 è stata fondata l’azienda di famiglia Fratelli Carli che si occupa di produzione d’olio d’oliva. Fin dall’inizio l’azienda era strettamente legata al suo luogo d’origine, visto che la Liguria è una delle regioni più importanti per la tradizione di olivicoltura in Italia. Fratelli Carli è testimone da oltre un secolo delle ricchezze di questa tradizione, tramandando di generazione in generazione la conoscenza e le esperienze necessarie per realizzare prodotti d’alta qualità, tipici della cucina mediterranea. Oggi è la quarta generazione della famiglia Carli a dirigere l’azienda: Gran Franco Carli, nipote del fondatore dell’azienda Carlo Carli e suoi figli: Carlo e Claudia Carli, impegnati in degustazione, scelta di ingredienti, creazione di miscele d’olio e in marketing.

Fratelli Carli si concentra sulla produzione d’olio d’oliva, sviluppando sempre di più la varietà di prodotti, con conserve e altre specialità mediterranee legate alla tradizione culinaria ligure, basate su buon olio d’oliva. In più, si producono anche vini e cosmetici (ovviamente a base d’olio d’oliva).

Per quanto riguarda l’olio Fratelli Carli ci propone miscele selezionate di olive di prima qualità provenienti dai paesi mediterranei: Italia, Spagna e Grecia. È di particolare qualità l’Olio d’Oliva Extra Vergine DOP Riviera Ligure dei Fiori, ottenuto interamente da olive taggiasche e prodotto nel frantoio dello stabilimento Fratelli Carli. L’azienda possiede 13 ettari di zona di coltivazione, nella quale vengono coltivate circa 3000 olive taggiasche. Un altro olio molto particolare è Olio d’Oliva Monocultivar Taggiasca ottenuto dallo stesso cultivar d’oliva. Nell’offerta dei Fratelli Carli troviamo poi: Olio Delicato, Fruttato, Olio 100% Italiano, Tradizionale e l’Olio d’Oliva Extra Vergine Bio di agricoltura biologica. Non mancano neanche oli aromatizzati, spremuti a freddo con erbe e spezie naturali, come basilico e peperoncino, che insieme formano un vero concentrato di sapori mediterranei.

Grazie alla stretta cooperazione con trasformatori selezionati, Fratelli Carli ci offre altre specialità della cucina italiana: olive taggiasche, crema di olive, pesto genovese tipico della Liguria a altri condimenti, sughi, dolci e creme di frutta, ma anche prodotti di pesce. La Liguria è, dopo tutto, una regione costiera e la sua cucina è in gran parte basata su piatti di pesce. Allora possiamo provare filetti di tonno bianco di prima qualità (apprezzati per il sapore delicato e la consistenza di ventresca), ma vi troveremo anche sardine, sgombro e filetti di acciuga, una specialità ligure. Vengono pescati nel Mar Cantabrico (tra Francia e Spagna) e salati subito dopo la pesca per mantenerli freschi. Le acciughe sono lavorate a mano, sfilettate e confezionate, e poi viene aggiunto olio d’oliva. Tutti i prodotti ittici di Fratelli Carli provengono dalla pesca sostenibile.

Vale la pena sottolineare che nel 1992, a Imperia, Fratelli Carli ha fondato il Museo della Storia delle Olive. Il Museo si trova in una villa in stile Liberty degli anni Trenta situata proprio accanto al reperto più prezioso: gli ulivi che vi crescono fin dalla fondazione dell’azienda. Nel museo sono stati raccolti vari oggetti di valore, strumenti di lavoro, artefatti di siti archeologici, vecchie lampade ad olio, autentiche ricostruzioni delle tecniche di produzione antiche, bottiglie, anafore, contenitori per olio d’oliva di qualsiasi tipo. La mostra sottolinea l’importanza dell’olio d’oliva per arte, cultura, economia, agricoltura, insomma per l’intera cultura mediterranea. Il museo ci permette di viaggiare nel tempo e nello spazio, di immergerci nella storia dell’olio d’oliva, della sua nascita, del culto, della sua importanza in tutte le maggiori culture di Mar Mediterraneo.

Nel Museo Fratelli Carli si può ammirare una delle collezioni private più preziose in Italia. Il Museo registra oltre 25.000 visitatori l’anno. La mostra è arricchita con la parte moderna, molto popolare, per i bambini, dove il “Professore Olio” spiega tutti i dettagli legati all’olio: i diversi colori del cultivar di olive, poi passo a passo il processo di produzione dell’olio e, alla fine, come degustare l’olio d’oliva.

In estate si può passare del tempo nel giardino davanti al museo, degustando gli antipasti locali, vi si svolgono anche concerti e spettacoli teatrali.

Ricetta fresca ligure
Spaghetti mollicati alle acciughe

Ingredienti per 4 persone:
320g Spaghetti vermicelli o chitarra
100g mollica del pane
8 Filetti di Acciuga all’Olio di Oliva
Prezzemolo
Peperoncino
Sale
2 spicchi d’aglio

Fate cuocere la pasta al dente in molta acqua salata. Nel frattempo in una padella mettete 4 filetti di acciuga in 4 cucchiai d’olio d’oliva. In altra padella mettete un cucchiaio d’olio d’oliva e soffriggete la mollica del pane frantumata. Cotta la pasta versatela nella padella con acciughe, aggiungete pane fritto, prezzemolo finemente tagliato, peperoncino e altri 4 filetti di acciuga. Potete aggiungere anche spicchi d’aglio tagliati. Alla fine condite con l’olio d’oliva Carli.

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traduzione it: Justyna Bryłka

[Aggiornamento 01.04.2021] Situazione attuale in Polonia rispetto all’epidemia di COVID-19

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In Polonia questa settimana si sono registrati ancora nuovi casi, con il numero dei malati attivi e delle terapie intensive occupate in forte crescita. Anche per quanto riguarda le prime settimane di aprile sono previsti numeri ancora in crescita.

Il numero complessivo dei casi attivi è salito a 421.126 (settimana scorsa 381.105), di cui in gravi condizioni 3.143 (settimana scorsa 2.620), ovvero circa lo 0,7% del totale.

Gli ultimi dati al giorno 25 marzo 2021 mostrano un numero di nuovi casi nelle ultime 24 ore su 109.400 test di 35.251 nuove infezioni registrate e 621 morti. Il numero delle vittime nell’ultima settimana è stato alto e in crescita, ovvero 2.805 morti (nella settimana precedente si erano registrati 2.472 morti).

Il Voivodato della Slesia (5.997), la Masovia (4.806), la Grande Polonia (4.056), la Bassa Slesia (3.309) e la Piccola Polonia (3.067) sono i Voivodati maggiormente interessati da nuovi casi.

numeri dell’epidemia sono in crescita e le strutture sanitarie polacche rimangono sotto pressione. Sono attualmente occupati 31.811 letti da pazienti COVID-19 su 41.272, mentre sono 3.143 le terapie intensive attualmente occupate su 4.013.

Per contrastare la pandemia sono state varate nuove restrizioni su tutto il territorio polacco a partire dal 27 marzo e valide per il periodo delle feste pasquali, fino al 9 aprile 2021.

Tutto il territorio polacco è zona rossa con obbligo di mascherine nei luoghi pubblici, anche all’aperto.

Sono chiusi bar, ristoranti, palestre, centri commerciali, hotel, teatri, musei, piscine e aree sportive salvo eccezioni in casi particolari. Ristoranti, bar e caffetterie possono effettuare il solo servizio con consegna a domicilio o da asporto.

Prosegue la campagna vaccinale che conta attualmente 6.270.976 vaccinazioni per COVID-19 in Polonia, di cui 4.231.313 prima dose e 2.039.663 seconda dose.

Per quanto riguarda gli sposamenti, resta in vigore l’obbligo di quarantena di 10 giorni per gli ingressi in Polonia, anche da paesi europei salvo presentazione di test COVDI-19 negativo PCR molecolare o test antigenico effettuato nelle 48 ore precedenti l’ingresso.

Per gli ingressi in Polonia da paesi al di fuori dell’area Schengen è prevista la quarantena automatica obbligatoria, fino alla presentazione di un test negativo effettuato in Polonia successivamente all’ingresso, ad esclusione delle persone vaccinate per il COVID-19.

Si raccomanda di limitare gli spostamenti e monitorare i dati epidemiologici nel caso di viaggi programmati da e verso la Polonia, per il rischio di possibili nuove restrizioni sui voli e gli spostamenti.

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Informazioni per i cittadini italiani in rientro dall’estero e cittadini stranieri in Italia tra cui le risposte alle domande:

  • Ci sono Paesi dai quali l’ingresso in Italia è vietato?
  • Sono entrato/a in Italia dall’estero, devo stare 14 giorni in isolamento fiduciario a casa?
  • Quali sono le eccezioni all’obbligo di isolamento fiduciario per chi entra dall’estero?
  • E’ consentito il turismo da e per l’estero?

Per gli spostamenti da e per l’Italia a questo link le informazioni del Ministero degli Esteri:
https://www.esteri.it/mae/it/ministero/normativaonline/decreto-iorestoacasa-domande-frequenti/

La situazione Polonia verrà aggiornata all’indirizzo: www.icpartners.it/polonia-situazione-coronavirus/

Per maggiori informazioni:
E-mail: info@icpartnerspoland.pl
Telefono: +48 22 828 39 49
Facebook: www.facebook.com/ICPPoland
LinkedIn: www.linkedin.com/company/icpartners/

Economic and Banking Outlook di marzo sulla Polonia, il report di Banca Intesa Sanpaolo

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Economia reale
L’economia polacca ha resistito relativamente bene all’impatto della pandemia COVID-19 2020, con il PIL reale in contrazione del 2,7%, si tratta della migliore performance tra i paesi dell’Europa centrale. Nel 2021 si prevede che l’economia rimbalzi del 3,6% e acceleri ulteriormente al 4,5% nel 2022 (o forse anche superiore grazie ai progetti di investimento finanziati dal bilancio dell’UE e i fondi dell’UE di Next Generation). Ci sono chiaramente dei rischi che, a causa dell’attuale deterioramento della situazione epidemiologica, la crescita annuale possa essere inferiore alle previsioni. Le misure restrittive per contenere la diffusione di COVID-19 dureranno probabilmente più a lungo di quanto ipotizzato in precedenza e freneranno l’attività economica fino a fine aprile e forse anche maggio. Tuttavia si può prevedere che una volta recuperata l’operatività, con l’eliminazione delle restrizioni e la ripresa dei settori dei servizi, particolarmente colpiti dagli effetti economici delle misure di distanziamento sociale, la domanda sarà tale da far recuperare il tempo perduto. Nel frattempo, la ripresa rimarrà ancorata al settore manifatturiero a cui è stato risparmiato il blocco e che ha ottenuto buoni risultati rispetto ad un anno fa.
Mercati finanziari
Si prevede che la banca centrale polacca (NBP) nel 2021 e nel 2022 lasci il tasso di riferimento al minimo storico dello 0,1%, dov’è da maggio 2020. L’inflazione è probabile che rimanga superiore all’obiettivo della banca centrale del 2,5% per il prossimo futuro, spinta dal rialzo in corso dei prezzi energetici. Lo zloty è in aggiunta particolarmente debole sul mercato in presenza di un forte rialzo dei rendimenti americani e potrebbe spingere la NBP a intervenire. Entrambe queste variabili (prezzi del petrolio e rendimenti USA) sono in gran parte legate a fattori esterni e sono quindi fuori dal controllo della politica monetaria locale. Sul tasso di cambio si ritiene tuttavia che ci siano in prospettiva le ragioni perché lo zloty torni a livelli più forti, intorno a 4,4 zl rispetto all’euro, ma è improbabile che ciò accada quest’anno.
Settore bancario
Dopo una fase di stallo nel 2020, è probabile che il volume dei prestiti ricomincerà a crescere dal 2021. I prestiti al settore non finanziario, che ha subito una contrazione insieme al crollo degli investimenti dovuti alla pandemia, dovrebbero riprendere con il concretizzarsi della ripresa economica. Nel mercato dei depositi, i volumi, al contrario, dovrebbero rallentare venuti meno per le famiglie e le imprese i fattori straordinari che con lo scoppio della pandemia hanno alimentato la forte dinamica dei risparmi (mancanza di opportunità di spesa durante i blocchi indotti da COVID e motivi precauzionali a causa delle incertezze economiche indotte dalla crisi). Nonostante il rallentamento, tuttavia, la crescita dei depositi è ancora attesa al di sopra di quella dei prestiti. Il rapporto prestiti/depositi pre-COVID, ancora sopra il 90% nel 2019, si prevede rimanga su un livello più confortevole intorno all’80%.

Polonia Oggi

Colomba

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Detto con parole contemporanee la colomba pasquale è uno spin off, un diversamente panettone utile ad allungare la stagione dei dolci natalizi. La novità era stata sperimentata da Motta negli anni Trenta, ma la consacrazione è datata 1953 e a diffonderla è stata la veronese Melegatti. Il quotidiano di Verona, “L’Arena” scrisse: «Il pandoro viene maritato».

Il pandoro era stato inventato e brevettato da Domenico Melegatti a fine ottocento, aveva depositato il brevetto il 14 ottobre 1894. Il pasticcere veronese aveva denudato, spogliandolo da glassa, mandorle e granella di zucchero, il “nadalin”, ovvero l’antico dolce natalizio tipico della città e, una volta aggiunti uova e burro, permettendogli di lievitare fino a tre volta l’altezza originaria.

Con la colomba torna invece all’antico: l’impasto è più simile a quello tradizionale della focaccia e viene ricoperto con la glassa. La novità è data dalla forma: una specie di volatile, in modo da ricordare la colomba bianca che annuncia la Pasqua e proprio colomba il nuovo dolce viene chiamato. In realtà quello di allungare la stagione produttiva era un po’ un cruccio di tutti i produttori di panettoni e pandori: il picco delle vendite era Natale, per affrontarlo bisognava assumere personale stagionale, ma passate le festività la produzione precipitava. A questo fine la milanese Motta aveva concepito il Buondì: un dolcetto monoporzione, una specie di panettoncino tascabile, che poteva costituire la merendina per i bambini nelle scuole. Anno di nascita del Buondì? 1953, lo stesso della colomba della Melegatti; non è affatto un caso.

La colomba Motta, riprodotta nel 1930 anche in un manifesto pubblicitario del grafico Marcello Dudovich, non sembra aver avuto il successo che poi arriderà a quella della Melegatti, imitata dagli altri produttori.

Pasqua è la festa dei dolci con le uova, alti, soffici; la ragione è molto semplice: le galline in primavera riprendono a fare le uova. Inoltre c’è gran voglia di tornare ai cibi di grasso dopo le privazioni a cui si è stati costretti durante la Quaresima.

Oggi abbiamo completamente perduto il senso di queste stagionalità, anche perché siamo abituati a trovare sempre tutto nei banchi dei supermercati.

I cristiani, invece, possono usare il lievito e quindi il dolce tipico pasquale molto spesso la focaccia, declinata in modo diverso secondo le regioni. A Torino e in Piemonte si prepara una ciambella lievitata e decorata con le ciliegie sotto spirito e sempre una ciambella conclude il pranzo pasquale a Bologna. A Genova si preparano, i cavagnetti, ovvero cestini di pasta che racchiudono un uovo sodo, molto simili alle titole triestine, così come un uovo sodo si può trovare nella scarcella pugliese che viene confezionata a forma di ciambella oppure di treccia. Quella che a Genova si chiama torta pasqualina non è tuttavia un dolce, ma una torta salata che all’interno di un involucro di pasta contiene erbaggi cotti e uova. A Trieste, ma anche nell’Istria croata e slovena nonché nella Stiria austriaca, il dolce tipico pasquale è la pinza, una focacciona ricchissima di burro e uova che si mangia a metà mattina per accompagnare il prosciutto cotto al forno, con senape e rafano fresco grattugiato, mescolando, dolce, salato e piccante. A Firenze e in Toscana il dolce pasquale è lo zuccotto, un semifreddo fatto con pan di Spagna, ricotta, panna e cacao che la leggenda vuole sia stato invenzione di Bernardo Buontalenti, il geniale architetto al servizio della corte dei Medici.

Ad Ascoli Piceno, nelle Marche, a Pasqua si mangia la pizza di formaggio, una focaccia salata fatta col formaggio e le uova, un tempo se ne usavano quaranta, uno per ogni giorno di quaresima e si cominciava impastare e far lievitare un paio di giorni prima. Anche a Roma si consuma per Pasqua un focaccia salata (ma senza formaggio nell’impasto), la pizza cresciuta, ovvero lievitata che accompagna salumi e uova sode. Il dolce pasquale di Napoli, invece, è una meraviglia della pasticceria: la pastiera, una delle eccellenze italiane in assoluto. Nella forma assomiglia a una crostata, ma è ripiena di ricotta e grano cotto nel latte, aromatizzata con cannella e vaniglia. A Salerno la si fa col riso al posto del grano. Il successo di questa bontà dolciaria è stato tale che oggi la pastiera si trova tutto l’anno e non più solo a Pasqua.

A Palermo e in Sicilia la Pasqua è contrassegnata dalla cassata, un dolce di origine araba, ed è fatta con ricotta, frutta candita e glassa, mentre nell’altra grande isola, la Sardegna, a Pasqua si mangiano le formaggelle, ovvero dolci preparati con ricotta o formaggio (dipende dalle zone), uvetta, zafferano e arancio. C’è da dire che molti di questi dolci pasquali, non dappertutto per fortuna, sono stati abbandonati a favore della colomba già confezionata.

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Alessandro Marzo Magno

Pillole culinarie è una rubrica di approfondimento sulla storia della cucina curata dal giornalista e scrittore Alessandro Marzo Magno. Dopo essere stato per quasi un decennio il responsabile degli esteri di un settimanale nazionale, si è dedicato alla scrittura di libri di divulgazione storica. Ne ha pubblicati diciassette, uno di questi “Il genio del gusto. Come il mangiare italiano ha conquistato il mondo” ripercorre la storia delle più importanti specialità gastronomiche italiane.

Sejm: scontro politico sulla Convenzione di Istanbul

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Martedì il progetto “Tak dla rodziny, nie dla gender” (“Sì alla famiglia, no al gender”) relativo alla opposizione della Convenzione di Istanbul e l’impegno del governo polacco ad iniziare i lavori sulla convenzione internazionale sui diritti della famiglia è stato rivolto a proseguire i lavori nelle commissioni parlamentari. Il Sejm ha respinto due richieste una riguardante il rigetto del progetto e la seconda di un rinvio alla seconda lettura del progetto. In tal modo il progetto è arrivato ai lavori delle Commissioni di Giustizia e dei Diritti umani ed Affari Esteri. A favore del rigetto hanno votato 188 deputati, contro 250 (tra cui 3 deputati di KO, Coalizione Civica). A favore della seconda proposta, invece, 40 deputati (la maggioranza di destra), contro 400 deputati. La prima lettura del progetto “Tak dla rodziny, nie dla gender” si è svolta a metà marzo. Nelle preparazioni della proposta sono stati coinvolti Chrzescijanski Kongres Spoleczny (il Congresso Cristiano Sociale) e l’Istituto Ordo Iuris. La Convenzione del Consiglio d’Europa del 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica mira a proteggere le donne da tutte le forme di violenza e discriminazione. Marek Jurek, rappresentante di Chrzescijanski Kongres Spoleczny ha affermato che l’opposizione a questa convenzione europea difende la Polonia “dall’ideologia gender” che è presente nel progetto europeo. In conformità con la versione polacca della convenzione sui diritti della famiglia dovrebbe essere istituito un gruppo che si occupi di svilupparla. La sua parte la farebbero, tra l’altro, i rappresentanti dei ministeri degli Affari Esteri, Giustizia o i rappresentanti delle famiglie e delle chiese. Durante il primo dibattito in marzo, KO, Lewica (la Sinistra) e il movimento Polska 2050 non hanno votato in favore di questo progetto. Il governo di Morawiecki ha invece deciso di continuarlo. Come hanno spiegato i rappresentanti del governo, la Polonia vuole fare le leggi che difendono le donne dalla violenza, ma la Convenzione di Istanbul non permette alla Polonia di rimanere imparziale nei confronti delle sue credenze e della visione del mondo.

https://www.pap.pl/aktualnosci/news%2C843262%2Csejm-obywatelski-projekt-tak-dla-rodziny-nie-dla-gender-trafil-do-prac-w

Nuove regole per entrare in Polonia: quarantena obbligatoria eccetto per chi ha test negativo e vaccinati

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Il Viceministro delle Infrastrutture Marcin Horała ha informato della modifica delle regole di quarantena per le persone che entrano in Polonia da oggi. La quarantena sarà obbligatoria per chi arriva dall’area Schengen, non la fa se il test è negativo e fatto entro le 48 ore dall’arrivo, invece le persone che vengono in Polonia dalla zona non-Schengen sono soggette a quarantena senza eccezioni. Il portavoce del governo Piotr Müller ha sottolineato che il numero delle persone infette cresce dinamicamente non solo in Polonia, ma anche in altri paesi, e pertanto il governo ha deciso di armonizzare e modificare le regole di quarantena. Müller ha confermato che i guariti e le persone vaccinate contro il COVID-19 saranno liberi dalla quarantena.

https://www.pap.pl/aktualnosci/news%2C842670%2Cobowiazkowa-kwarantanna-dla-podroznych-przybywajacy-do-polski-wyjatek-dla

Genova per noi

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Possiamo pianificare un viaggio a Genova immaginando di entrare in contatto con un’atmosfera simile a quella delle cittadine della Costa Azzurra. Ma un certo disappunto attende i viaggiatori, quando in loco si rivela che si tratta di una città antica, uno dei maggiori porti d’Europa, nel passato e tuttora, un porto pieno di topi, strade oscure, vicoli sospetti, che è meglio non frequentare durante la notte, o anche il giorno. Genova nel suo carattere ricorda più Napoli che la geograficamente vicina Nizza. Naturalmente c’è un lato bello e nobile della città, e sono le due diverse facce che ci permettono di averne le impressioni migliori.

La costa sul mar Ligure è un mondo affascinante da esplorare e scoprire. Il capoluogo della provincia è ovviamente Genova che, come una madre iperprotettiva, concentra lungo il mare tutti i suoi bambini, da La Spezia a San Remo alla banchina di Ventimiglia. Quando entriamo a Genova da nord ci aspetta una traversata fra le montagne, e quando ci arriviamo con il treno dal lato di Pavia, appena prima di Genova si tendono colline, valli, ponti sopra precipizi, simili a quelli dei dintorni di Hogwart. E non a caso alla fine dell’anno scorso, come attrazione per i piccoli, sui binari è stato messo il Genova Hogwarts Express, un treno d’epoca, in cui ci si può sentire come un amico di Harry Potter. Ma non abbassiamo questa meta al livello di un modellino turistico, perché la città ha cento cose in più da offrire.

La Repubblica di Genova, come dobbiamo chiamarla storicamente, nella sua epoca d’oro rivaleggiava con la potente Venezia, ma per quanto quest’ultima sia rimasta un gioiello turistico, Genova invece non tiene a questo titolo, anche se non mancano le attrazioni. Fu la Repubblica di Genova dal X secolo praticamente fino alla fine del XVIII secolo, quando Napoleone seppellì definitivamente la sua longeva indipendenza. Anche se Genova nominò i propri Dogi a somiglianza di Venezia, il destino della città restò nelle mani private della nobiltà e della ricca borghesia (si può dire in mani mercantili). Interessi egoistici prevalsero sulla struttura sociale della città. Non so se fino ad oggi vicino ad uno dei palazzi si trova una vetrina con dentro un manifesto informativo su “L’araldica dei genovesi”, che mostra una decina tra più di tremila blasoni delle famiglie aristocratiche genovesi. Vale la pena aggiungere che, fino al XIII secolo, Genova fu la città più popolata d’Europa occidentale, la potenza marinara ed urbana della repubblica crebbe (come, tra l’altro, testimoniò nel corso dei secoli uno dei più alti e vecchi fari che fino ad oggi sovrasta la città) e diventò un pericolo per Pisa e Venezia. Il commercio fiorì e gli esperti marinai offrirono i loro servizi alle corti europee, tra questi c’era Cristoforo Colombo. La casa di Cristoforo Colombo si trova in Piazza Dante, vicino a Piazza de Ferrari, nel quartiere San Vincenzo, quasi all’incrocio di tre quartieri centrali, vicino alla Mole (dove si trova la cattedrale ed il labirinto di stretti vicoli) e San Carignano. La presunta casa di Colombo, oggi museo della vita del grande genovese, dopo tanti rifacimenti e ricostruzioni è una prova coraggiosa per la nostra immaginazione.

Venezia ha il Canaletto e il Tiepolo nell’arte della pittura, la scuola genovese invece si illumina nella luce e nei personaggi dinamici di Alessandro Magnasco, un pittore del tardo barocco, che anche se lavorò soprattutto in Lombardia, nacque e poi morì in solitudine a Genova. Girando per la città pensiamo inevitabilmente ai pittori che non immaginiamo in un contesto come quello genovese, prima o poi siamo destinati ad entrare in contatto con Van Dyck e Rubens. Il primo partì dall’Inghilterra nel 1621 e rimase in Italia fi no al 1627 ma passò la maggior parte del tempo a Genova, dove studiò intensamente la pittura italiana. Lasciò il proprio segno soprattutto come ritrattista della nobiltà genovese. Rubens invece, fu interessato nell’architettura dei palazzi, i suoi panorami li pubblicò nel 1622 in un album magnifi co “Palazzi di Genova”, le edizioni attuali di quella pubblicazione si possono comprare nel negozio di souvenir nella famosa via Garibaldi, dove si trovano anche i palazzi ritratti. In precedenza, circa dal 1550 questa via fu chiamata Strada Nuova ed era un effetto della pianifi cata attività urbanistica, di cui si occupò Galeazzo Alessi, formatosi a Roma e molto influenzato da Michelangelo. A Genova bisogna anche fare una passeggiata lungo “Le Strade Nuove ed il complesso dei Palazzi dei Rolli”, un percorso iscritto nella lista UNESCO, dove si trovano decine di palazzi famosi. Sono senz’altro da vedere: il Palazzo Reale, il Palazzo Bianco, il Palazzo Rosso, il Palazzo Doria-Tursi (Doria è, accanto a Spinola, una delle famiglie locali più famosi). In quest’ultimo si può vedere la sala di Niccolò Paganini, dove in una delle vetrine si trova il violino del brillante “diavolo” della musica.

“[…] Genova tutta colore.
Bandiera. Rimorchiatore.
Genova viva e diletta,
salino, orto, spalletta […]”

scrisse Giorgio Caproni nella sua lunghissima “Litania”. Franco Marcoaldi, cui ringrazio per la promozione di quest’opera, disse che fu un brano forte, ritmico, quasi musicale ed a percussione. Caproni, uno dei più importanti poeti italiani ci passò gli anni della sua giovinezza, e poi scrisse un inno bellissimo per la città, che ogni volta richiama nei suoi lavori come una bussola autobiografica.

Per quanto riguarda Genova ho sentimenti contrastanti: Van Dyck; un biscotto al cioccolato in una pasticceria il cui arredamento e i dipendenti sembrano arrivare dai tempi di un viaggio di Iwaszkiewicz; la focaccia fatta da Michela, da cui alloggiavamo; un allarme bomba in via Garibaldi, dove incontro una polacca che vive qui da tanto tempo e lavora come carabiniere, e con cui faccio una chiacchierata; le piccole piazze tra i palazzi come quello in Piazza San Matteo; i vicoli stretti che non si dovrebbe frequentare; i dintorni del porto; le prostitute; i mercatini con giornali vecchissimi; il pesto in un locale sospettoso, dove la gente sembra sentirsi più a proprio agio che a Roma; il ristorante nel centro dove nessuno parla l’inglese e dove prendono da qualche parte la mia carta di credito; la vista splendida del Corso Solferino ed un sacco di altre cose. Scrivo tutto questo e mi rendo conto che posso continuare a tirare fuori le memorie come Caproni nella “Litania” che ha mai fine. Infine di sera nelle vicinanze di Piazza Corvetto (dove si trova la pasticceria menzionata prima), risuona nelle orecchie “Genova per noi” di Paolo Conte. Allora va bene, si può concludere così il viaggio, anche se non sono d’accordo on il verso “Genova, dicevo, è un’idea come un’altra”.

traduzione it: Joanna Boruc
foto: Guido Parodi