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I fantasmi del Colosseo 

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L’Anfiteatro Flavio, ovvero il Colosseo, dal momento della decadenza dell’impero romano divenne luogo ideale per evocazioni, magie e cerimonie; la sua commistione di sangue, che vi scorse a fiumi, e di natura – essendo praticamente in mezzo ai campi, e ricco di essenze vegetali anche rare – ne fece un luogo particolarmente ricercato per le pratiche occulte di negromanti, fattucchiere e stregoni di ogni epoca, e sito ideale per trovare erbe per decotti e pozioni di ogni tipo.

Nonostante la diffusa credenza popolare, a quanto pare non fu mai teatro di esecuzioni di cristiani. Eppure al suo interno avvennero fatti grandiosi e incredibili, che in qualche caso ebbero dei protagonisti davvero inaspettati. Per molti secoli dopo il suo abbandono il Colosseo fu ritenuto un luogo infestato dai demoni. Anche il celebre orafo Benvenuto Cellini vi si recò di notte, per assistere alle manifestazioni diaboliche e chiedere ai demoni di farlo incontrare con la siciliana Angelica, la cui madre aveva pensato bene di sottrarre alle sue grinfie; l’uomo era noto, fra le altre cose, per non tirarsi mai indietro davanti a una gonna che nascondesse un bel paio di gambe. Lo stesso Cellini racconta nelle sue memorie la cronaca di questo straordinario avvenimento, al quale parteciparono anche un prete-negromante, un fattorino dell’artista appena dodicenne, Vincenzo Romoli, e il domestico e amico Agnolino Gaddi, che si rese protagonista – suo malgrado – dell’allontanamento di intere legioni di diavoli…3

“Arrivati al Colosseo, il prete si mise a disegnare circoli in terra con le più belle cerimonie che immaginar si possa al mondo; e ci aveva fatto portare profumi preziosi e fuoco, e anche profumi cattivi. Come fu tutto in ordine, fece la porta al circolo e presici per mano, a uno a uno ci mise dentro il cerchio”. Il negromante affidò al ragazzino e a Gaddi la cura dei profumi e del fuoco, e pronunciò poi delle terribili invocazioni, in modo che – racconta Cellini – tutto il Colosseo si riempì di diavoli, ai quali l’artista chiese di poter rivedere Angelica. I demoni risposero.

“Hai sentito ciò che hanno detto? – disse il prete –. Che in un mese tu sarai dove lei sarà”. Ma subito dopo disse di mantenere la calma, perché le legioni diaboliche erano mille più di quelle evocate, e tra le più pericolose. Ci sarebbe voluto del tempo e molta pazienza ora, per mandarle via.

Il fanciullo, l’unico che potesse vedere i diavoli, disse agli altri che vi era “un milione di uomini terribili, tutti minacciosi”, e che erano comparsi “quattro giganti armati che cercavano di forzare il circolo magico”. La situazione sembrava precipitare. Cellini racconta che il prete, Vincenzo e Agnolino tremavano come foglie, e lui stesso iniziò a temere per la sua vita, ma non lo diede a vedere. Il ragazzino teneva la testa nascosta fra le ginocchia; quando la rialzò disse che tutto il Colosseo stava ardendo, e che il fuoco li stava circondando: “Si mise le mani sul viso, disse che era spacciato e che non voleva più vedere”.

Era arrivato il momento di agire. Cellini, su indicazione del negromante, esortò Vincenzo e Agnolino a mettere mano alla zaffetica, ovvero il cattivo profumo che negli esorcismi serviva a scacciare i demoni: “Ma Agnolo – conclude Cellini – che aveva gli occhi fuori della testa dalla paura, come si mosse fece una tale strombazzata di scoregge, con così tanta abbondanza di merda, la quale potette più che la zaffetica. Il fanciullo a quel gran puzzo e a quel rumore aveva alzato un poco il viso, sentendomi ridere, e disse che i demoni se ne cominciavano ad andare in gran furia. Rimanemmo così fin quando suonarono i mattutini, quando il fanciullo ci disse che ne erano rimasti pochi, e tutti discosti”. Malgrado l’allontanamento poco ortodosso, i demoni furono di parola. Il trentesimo giorno, sulla strada di Napoli, Benvenuto incontrò la sua Angelica.

***

Questa e molte altre storie sono contenute in “Misteri di Roma – sette notti tra storia e mito, leggende, fantasmi, enigmi e curiosità” (Studio LT2, 2013). Con prefazione di Giancarlo De Cataldo, il libro contiene fotografie, mappe e illustrazioni, oltre a dieci codici QR che rimandano ad altrettante storie. Alberto Toso Fei scrive libri sulla storia segreta delle città, tra curiosità e mistero, recuperando il patrimonio della tradizione orale: alcuni suoi volumi sono dotati di codici QR con cui l’autore “esce” dalle pagine per raccontare le storie. Ha creato il Festival del Mistero, dedicato al Veneto e ai suoi luoghi leggendari.

 

www.albertotosofei.it

Cent’anni fa il Miracolo che fermò il bolscevismo e salvò l’Europa

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Nel giugno del 1920 l’appena rinata Polonia si trovava da più di un anno in guerra contro l’appena bolscevizzata Russia. Il Maresciallo ed eroe della Grande Guerra Józef Piłsudski era riuscito a cacciare i comunisti da Minsk e Vilnius (Wilno in polacco) e il 7 maggio era riuscito a conquistare Kiev, nella speranza di riappropriarsi di quelle terre che nei secoli antecedenti formavano la Confederazione polacco-lituana. Le truppe polacche già assaporavano piene d’orgoglio la conquista di Mosca, come nel lontano 1612. Ma in quel primo mese d’estate la situazione precipitò. Le forze dell’Armata degli Operai e dei Contadini, meglio nota come Armata Rossa, sotto la guida dei generali Michail Tuchačevskij a nord e Semën Budënnyj a sud contrattaccarono, ricacciando in meno di due mesi i polacchi alle porte di Varsavia. Ad aiutarli c’erano anche molti ex ufficiali zaristi ostili agli pšeki; così avevano chiamato quel popolo che durante i centoventitre anni di spartizione aveva dato rogne al governo pietroburghese. Molti comunisti avevano lo stesso parere: agli occhi di Lenin e Trockij, la Polonia era il simbolo della borghesia, della decaduta nobiltà feudale piena. Feliks Dzierżyński, polacco e fondatore della temuta Čeka, condivideva l’idea. E quando alle porte di Varsavia sarebbero crollate, con loro sarebbe caduta la “borghese Polonia” e la Rivoluzione portata col fucile si sarebbe estesa in Germania, in Italia, in Europa e, forse, nel mondo.
Il Maresciallo Piłsudski e i soldati polacchi, però, non si diedero per vinti. Nei giorni antecedenti alla battaglia, un efficace programma agrario aveva contrastato la propaganda rossa, col risultato che migliaia di contadini e studenti universitari si arruolarono volontari, addestrandosi in breve tempo. Negli stessi giorni, i crittografi decifrarono i segnali radio sovietici e crearono interferenze fatali per il nemico. Riuscirono, addirittura, a disturbare gli ordini di Tuchačevskij con versetti della Genesi in codice Morse. Il 12 agosto la Battaglia di Varsavia ebbe inizio. I soldati di Tuchačevskij tentarono di creare una testa di ponte nel quartiere Praga, sulla sponda orientale della Vistola, ma furono respinti da un reggimento di ulani della Quinta Armata del generale Władysław Sikorski. Budënnyj, disobbedendo agli ordini di Mosca su suggerimento del compagno Iosif Džugašvili “Stalin”, marciò su Leopoli con sogni di gloria. Il suo tentativo di catturare la città galiziana fallì miseramente. Il 16 agosto a Varsavia Piłsudski diede l’ordine ai ventimila uomini della cavalleria polacca di attaccare, supportati da Sikorski nei pressi di Modlin, e dall’Armata Blu del generale Józef Haller nelle zone settentrionali della capitale. Anche alcuni volontari della Repubblica dell’Ucraina occidentale antibolscevica assistettero i polacchi. Tuchačevskij fu costretto a retrocedere di quasi duecentocinquanta chilometri, fino al fiume Bug che oggigiorno segna il confine tra la Polonia e la Bielorussia. In totale più di centomila furono i morti, i feriti e i prigionieri. Lenin la definì “l’enorme sconfitta”, e i suoi piani geopolitici su scala europea si frantumarono. La pace fu firmata a Riga nell’ottobre dello stesso anno, e i polacchi riguadagnarono i territori occidentali delle attuali Ucraina e della Bielorussia. Il confine polacco-sovietico rimase lo stesso fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale.

Eppure di questo fatto non si discusse molto nei decenni successivi, forse a causa di conflitti ideologici, o forse per la distanza geografica (e al di sopra di tutto culturale) tra ovest, centro ed est Europa. Negli ultimi anni, fortunatamente, l’importanza della Battaglia di Varsavia è riemersa, non solo in alcuni libri di scuola, ma anche e in particolare su internet, dove milioni di persone, guardando documentari caricati in rete, rimangono increduli di fronte all’abilità di un esercito allo stremo delle forze di fronteggiare un nemico alle porte. La Battaglia è rimasta nell’immaginario polacco come uno degli esempi della missione salvifica della Polonia nella storia dell’Europa cristiana. Non bisogna dimenticare che nel pieno cuore della battaglia i reparti polacchi celebrarono, il 15 agosto come da tradizione, l’Assunzione di Maria. Una coincidenza troppo grande per passare inosservata di fronte ai credenti polacchi, i quali vedevano avanzare davanti a loro le orde atee del comunismo. Proprio per questo, in Polonia, il 15 agosto è anche il giorno delle Forze Armate. Fu il generale Haller, uno degli eroi della Battaglia, a parlare di “miracolo”. Un miracolo scorso sulle acque di un fiume.

Pompei, la vita continua

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È possibile sentire l’energia della vita mentre si cammina tra le rovine? Questa sensazione, apparentemente inadatta alle circostanze, mi accompagnava dal momento in cui, ancora camminando lungo via Plinio, stavo lanciando degli sguardi timidi oltre una recinzione in ferro moderna che separa il passato dal presente: l’antica Pompei da quella di oggi.

Ero travolta dal sentimento di appartenenza, dalla gioia di tornare in un posto vicino al mio cuore, anche se lo stavo visitando per la prima volta. Una strana sensazione di comprensione per queste mura, che sembravano ancora pulsare di vita. Come se in queste pietre antiche circolassero costantemente i ricordi non tanto del tragico giorno del 24 agosto del 79, ma piuttosto i ricordi di una semplice, vivace e rumorosa quotidianità.

Vino, labirinto di strade e domus pompeiane

Le viti verdi che crescono vicino all’anfiteatro e una ricca vegetazione sembrano essere le stesse di secoli fa. Le viti silenziose e ferme in piena armonia all’ombra del Vesuvio che veglia sull’equilibrio delle terre che lo circondano. E in effetti, nell’area chiamata Foro Boario, dove, secondo le ipotesi iniziali, si trovò un antico mercato di vendita di buoi, le successive ricerche archeologiche hanno mostrato, tuttavia, delle tracce di un vigneto di notevoli dimensioni, che è stato infatti attualmente ricostruito.

Gli archeologi hanno diviso l’antica città in nove aree, che, come si può facilmente notare, studiando la mappa, sono contrassegnate dalle strade principali della città; ed anche le vie e singoli monumenti sono stati precisamente segnati. Nella regio II, vicino all’ingresso di via Plino, crescono dei pini svettanti, come se volessero competere per dimensioni con i muri affaticati dell’antico anfiteatro. La zona della regio II è un’area di domus restaurate nel 2016: la casa di Ottaviano Quartius e la villa di Giulia Felice. La villa fu una delle prime scoperte dalle mani affaticate degli archeologi. Attualmente, la residenza impressiona con i colori vivaci dei dipinti murali e con un giardino ben curato in cui, quando aguzziamo la nostra immaginazione, risulta quasi possibile sentire ancora il rumore dell’acqua che scorre.

Le strade furono selciate con grosse pietre. I tratti di strade destinate al traffico veicolare possono essere immediatamente riconosciuti dai segni profondi creati dalle ruote dei carri pesanti. Non le vedremo invece camminando per le strade accessibili allora solamente ai pedoni: l’accesso ad esse fu impedito ai carri, a causa di tre o quattro blocchi pesanti di grandi dimensioni messi in fila. Per le strade antiche di Pompei si cammina come se si camminasse in un labirinto silenzioso, che ogni tanto svela i volti spesso commoventi della città sepolta per secoli nelle ceneri: il panificio di Popido Prisco o la casa del Fauno (a cui, a proposito, arriviamo proseguendo il vico del labirinto) è impossibile omettere o non riconoscere.

Il fauno è in realtà una statuetta di bronzo a guardia della fontana già asciutta nell’atrium spazioso. Il pavimento colorato sotto i suoi piedi ricorda una vita colorata, che probabilmente i padroni della casa hanno vissuto. Altri edifici non sono più così evidenti. I muri nudi, rovine coperte di erba non ci dicono nulla, non ci raccontano alcuna storia. Possiamo solo immaginare che stiamo dando un’occhiata dentro la casa di qualcuno. Ci viene voglia di bussare ad una porta invisibile, chiedendo: “C’è qualcuno? Possiamo entrare? Ci piacerebbe conoscere la vostra storia”. Le pareti tacciono, rivelando solo una targa in pietra che le decora con il numero della regio in cui sono collocate. 

L’area della Porta Marina ed il Foro

Vicino al tempio della Fortuna Augusta, un cane sta sdraiato per terra. Senza collare, ma certamente non randagio, sembra appartenere al luogo più delle pietre antiche, sdraiato su un tappeto di morbida erba verde tra i resti di antichi edifici. Con gli occhi socchiusi, osserva assonnato i turisti, senza interessarsi troppo. È a casa, e noi siamo passanti, ospiti di giornata. Nell’interno dell’edificio di Eumachia e degli altri in via dell’abbondanza, notiamo i papaveri che stanno fiorendo. È impossibile non fermarsi per un momento a guardarli, a non dare un significato simbolico alle circostanze che a volte raccontano del passato in modo molto più bello e commovente di molte guide.

A pochi passi di distanza, la nostra attenzione viene attirata dalla statua di Apollo. Quel dio antico, fu fermato immobile con le braccia distese, come se stesse inseguendo qualcosa di sfuggente, passato. In realtà, nelle sue mani delicate manca l’arco, con cui mirava al bersaglio in avanti, prendendo la rincorsa. Il forum racconta del potere della città. Lì, si riprende fiato, notando i templi e gli edifici dove nel passato stava fiorendo il commercio. Il cuore del foro è decorato dalla statua del Centauro di Igor Mitoraj. La scultura, per il suo carattere mitologico ed estremamente misterioso, è quasi parte integrante degli scavi, anche se li sta decorando solo da alcuni anni.

L’area del Foro e dei templi e degli edifici circostanti è la regio VII, riconosciuta come il primo agglomerato. Il modo più veloce per raggiungerla è attraverso l’ingresso di Porta Marina, che collega la settima e l’ottava area, dove nelle vicinanze del tempio di Venere sta Dedalo, un’altra opera di Mitoraj. Dedalo osserva dall’alto il presente: il viale dei Teatri della nuova Pompei, che si trasforma dolcemente in via Plinio. E mi ci ritrovo anch’io, affascinata dalla vista, nelle vicinanze della porta di Nocera, guardando le tranquille strade dell’antica Pompei, selciate in pietra ed il vigile Vesuvio.

Oggi, la nuova Pompei si fa conoscere attraverso un’accogliente via Roma, che conduce alla piazza Bartolo Longo, dove sorge il Santuario della Madonna del Rosario. Mentre il passato rimane silenzioso dietro le mura della zona archeologica, dall’altra parte, i venditori di limoni e souvenir si affollano tra le bancarelle, ed i camerieri tra i tavoli; invece il profumo di un caffè fresco o di una limonata dolce e dei piatti aromatici ci attira nei bar e nei ristoranti accoglienti. Un avvertimento della storia passata sorge accanto ad una vivace vita quotidiana di un spensierato “carpe diem”, il vecchio sta accanto al nuovo. La vita continua. 

foto: Magda Karolina Romanow-Filim

Il calcio italiano, pieno di passione, pieno di stranezze

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Ne parliamo con Piotr Dumanowski e Dominik Guziak – specialisti del calcio italiano e autori della pubblicazione “Nel paese delle divinità del calcio. I polacchi in Serie A” (Casa Editrice: Wydawnictwo Otwarte, 2020) – in un’intervista inedita per Gazzetta Italia.

Il vostro libro non è una semplice raccolta di interviste con i giocatori, non troveremo nei suoi contenuti una precisa divisione tra i club, gli ex-giocatori o i calciatori polacchi presenti adesso in Seria A. È un viaggio molto variegato e imprevedibile, composto da  aneddoti, conversazioni, citazioni, osservazioni… Tutto ciò si aggiunge ad un ritratto intrigante di uno dei campionati di calcio più vivaci del mondo.  Fin dall’inizio volevate strutturare così il vostro libro?

Piotr Dumanowski: Sì sapevamo fin dall’inizio che non volevamo soltanto una raccolta di interviste con i calciatori. Prima di iniziare a lavorare sul libro, abbiamo fatto diverse decine di viaggi in Italia, sia privati che di lavoro. Abbiamo voluto conoscere bene il paese, le persone e le specificità della Lega Italiana. Non siamo quindi partiti  da zero, avevamo una dozzina di aneddoti e avventure già impresse nelle nostre menti e sapevamo in quale direzione andare. Abbiamo puntato sul fatto di voler sollevare non solo argomenti puramente sportivi. L’Italia è un paese in cui il calcio tocca tutti gli aspetti di vita, quindi non volevamo limitarci puramente a ciò che accade sul campo o negli spogliatoi. Abbiamo cercato di differenziarlo nella sua forma e contenuti per distinguerci dagli altri libri sportivi.

DD: Da anni lavorate insieme come specialisti e commentatori presso il canale sportivo Eleven Sports. Manifestate Il vostro grande amore per la Serie A anche sul canale YT “Calcio Truck” discutendo a fondo delle singole partite. Ma perché  avete scelto proprio il calcio italiano? Cosa vi attrae? Avete la vostra  squadra preferita in serie A per la quale tifate fedelmente?

Dominik Guziak:  Prima di tutto, siamo cresciuti in un momento in cui i club italiani erano ancora i più forti al mondo. Abbiamo visto vincere la Champions sia il Milan che all’Inter, arrossendo per l’ emozione! Nel 2006, abbiamo potuto assistere a uno dei più grandi successi nella storia del calcio italiano, ovvero la vittoria azzurra del Mondiale di calcio. È stato difficile non innamorarsi di calciatori come Del Piero, Cannavaro, Totti, Buffon, Pirlo … In secondo luogo come giornalisti abbiamo avuto l’opportunità di commentare proprio questa lega calcistica prima sul canale Orange Sport e poi presso Eleven, quindi la nostra passione giovanile si è trasformata in qualcosa che in seguito potevamo unire anche alla nostra vita professionale.

DD: Secondo voi cosa rende davvero unica la Serie A rispetto ad altri campionati? La posizione del calcio italiano è ancora alta adesso? I calciatori sognano ancora di giocare nei club italiani?

PD: La storia. La storia di grandi squadre che un tempo erano le migliori al mondo, come l’Inter di Helenio Herrera, la Juventus di Giovanni Trapattoni, il Milan guidato da Arrigo Sacchi e di grandi calciatori che hanno giocato in Italia soprattutto negli anni ’80 e ’90. Attualmente  la Serie A non è più così forte. La maggior parte dei calciatori sogna di giocare nel Real, nel Barcellona o in Premier League, ma la Serie A  gode ancora di grande popolarità nel mondo ed è un campionato che suscita interesse globale. Nessuna lega ha così tanti club che sono riconoscibili in qualsiasi parte del mondo, proprio grazie alla loro ricca tradizione, anche se questi club ora non sono più così potenti e forti come 10, 20 o 30 anni fa.

DG: Generalmente molti calciatori che sognano di giocare nei club più importanti del mondo spesso scelgono proprio la Serie A su sollecitazione di colleghi più esperti. Il campionato italiano è tatticamente molto avanzato, gli allenatori italiani sono considerati i migliori al mondo, quindi per un giocatore l’Italia  può’ diventare un’importante scuola di calcio. A tal proposito possiamo citare ancora una volta le parole di Wojtek Szczęsny, che ha ammesso nel libro che il passaggio dall’Inghilterra all’Italia gli ha salvato la carriera. In Serie A si è sviluppato come portiere e ha iniziato a prestare attenzione agli elementi che aveva trascurato in passato.

DD: Come scrivete nel vostro libro: “Le partite in Italia non durano 90 minuti, ma un’intera settimana”. Cosa significa che  nessuno capisce il calcio  come gli italiani?

DG: Il fatto che gli italiani capiscano il calcio meglio di tutti si vede benissimo durante una partita vista insieme a loro. Ad esempio in Polonia i tifosi seduti in tribuna di solito reagiscono solo in due modi: o con la rabbia dopo un’azione fallita e manifestando gioia dopo un goal. In Italia non devi guardare il campo per sapere cosa sta succedendo. Quando la palla si avvicina alla porta, l’intera tribuna inizia ad alzarsi lentamente. Le persone gridano immediatamente a chi è necessario passare la palla, quale dovrebbe essere la prossimo mossa. Questo non è un caso. I canali sportivi italiani forniscono agli spettatori durante lo studio post-partita un’analisi approfondita del gioco da parte di giocatori e allenatori di spicco. Del calcio non si parla mai in maniera semplificata e nessuno si chiede se gli spettatori in studio siano capaci di capire pienamente di cosa stiano  parlando Arrigo Sacchi o Andrea Pirlo. Infine ogni tifoso italiano è allo stesso tempo un allenatore  e ha un’opinione su molti argomenti calcistici.

PD: Anche questo è perfettamente illustrato dal vocabolario del calcio italiano. In Polonia è molto povero rispetto a quello che incontriamo in Italia. In Italia il centrocampista centrale, in base alle sue caratteristiche e ai compiti che ha in campo, può essere definito in vari modi: regista, mediano, mezzala, trequartista. In Polonia di solito non abbiamo nomi per queste posizioni, conosciute in Italia da tutti, anche dal  tifoso meno esperto.

DD: Questo è senza dubbio un momento fantastico per i polacchi in Serie A. Cosa ha contribuito a questo boom di popolarità e trasferimenti?

PD: Abbiamo posto questa domanda a ciascuno dei nostri interlocutori e la risposta è sempre stata la stessa: laboriosità, diligenza. Siamo una nazione a cui viene insegnato a lavorare sodo. I nostri giocatori sono percepiti in Italia come coloro che si allenano, affrontano coscienziosamente i compiti tattici e, cosa molto importante, non causano problemi fuori dal campo. Non ha senso nascondere che anche le questioni finanziarie svolgono un ruolo significativo. Il rapporto qualità-prezzo è molto conveniente. Un giocatore di calcio polacco affidabile può essere preso per 3-4 milioni di euro. Le squadre italiane  cercano i nostri giocatori perché così non rischiano molto.

DD: Uno dei protagnosti del vostro libro è ovviamente Wojciech Szczęsny, ex portiere della Roma, oggi uno dei giocatori principali della Juventus. C’è molta leggerezza e senso dell’umorismo nelle sue dichiarazioni, e soprattutto un sano distacco dall’etichetta di “star del calcio”, che però viene attribuita spesso ai calciatori in Italia …

DG: Per Wojtek Szczęsny il calcio è veramente molto importante, ma allo stesso tempo non ha il pallone al posto della testa, non ne è ossessionato, con lui si può parlare di tutto. Quando eravamo con lui a Torino, dopo aver registrato 3 ore di materiale per il nostro libro, abbiamo trascorso altre 3 ore insieme e abbiamo chiacchierato di argomenti completamente estranei al calcio. È una persona incredibilmente brillante e dobbiamo ammettere che le sue riflessioni sul calcio, che potete leggere nel libro, hanno anche chiarito molte questioni delle quali non eravamo consapevoli. Il portiere della Juventus ha molte intuizioni giuste e se in futuro volesse diventare un esperto ad esempio in televisione, diventerebbe probabilmente uno dei migliori nel settore. La presenza di Wojtek nelle pagine di un qualsiasi libro o in un programma televisivo trasforma una normale esibizione in uno spettacolo con battute intelligenti e prese in giro.

DD: Bartosz Salamon sembra essere un personaggio altrettanto interessante. Quando guardo le interviste con lui su YT, non posso fare a meno di ammirare come parla in italiano! Gli stessi tifosi sottolineano nei commenti che Salamon parla meglio di tanti italiani!

PD: Abbiamo scherzato noi stessi dicendo che Bartek parla l’italiano meglio di molti giocatori italiani. Ad esempio, Francesco Totti, è  stato colto più volte sul fatto che non usa correttamente il congiuntivo. Salamon è  di certo lontano dallo stereotipo del calciatore. La lettura è la sua passione. Deve aver letto dozzine di libri italiani. Usa spesso nello spogliatoio parole che i suoi colleghi italiani non conoscono e lo guardano come se fosse un alieno. Vive in Italia da oltre 10 anni, ecco perché è stato il migliore e il più maturo nel raccontarci lo stile di vita italiano, i rituali, le abitudini e i vizi italiani. Mostra anche i lati più oscuri del vivere in Italia, che noi, come molti dei nostri spettatori, conosciamo soltanto dal punto di vista del turista, guardiamo il Belpaese attraverso una sorta di lente rosa. La conversazione con Bartek ci ha permesso di descrivere la vita quotidiana italiana in un modo molto veritiero.

DD: Durante la lavorazione sul libro è capitata una delle trasferte più spettacolari degli ultimi anni: Krzysztof Piątek è passato dal Genova al Milan. In Italia il sacro si mescola al profano e la scelta del polacco è stata descritta dal Corriere della Sera in categorie papali! Il pistolero era ovunque e tutta la Polonia seguiva con il fiato sospeso l’euforia del giornalista sportivo Tiziano Crudeli, ripetendo dopo di lui ogni settimana “Pio pio pio”! L’avventura in Serie A non è durata  a lungo per Piątek, ma a suo modo è stata indimenticabile …

PD: Neanche gli italiani si ricordano una storia così spettacolare come quella di Piątek. Quando eravamo nella redazione de La Gazzetta dello Sport, i giornalisti locali non riuscivano a ricordare qualcosa di simile. Un ragazzo apparso  dal nulla, che lotta per il titolo di capocannoniere, segna in quasi tutte le partite e sorpassa pure Cristiano Ronaldo in questa classifica a fine  stagione. I giornalisti italiani si lamentavano del fatto di non avere più idee per i prossimi articoli su Piątek, ma i tifosi erano curiosi,  volevano leggere. Nessun polacco ha mai dominato così tanto i titoli dei giornali italiani. Sono stati solo “cinque minuti” e oggi a nessuno in Italia manca Krzysiek Ma nessuno mai prima ha avuto dei “cinque minuti” così intensi.

DD: Nel vostro libro scrivete anche degli stadi italiani, che in molti casi non sono il massimo dell’avanguardia Il San Paolo a Napoli è stato maliziosamente paragonato una volta ad… un cesso. Come appare questo aspetto nei vostri occhi? Avete il vostro stadio preferito in Italia? E quale stadio può vantarsi della platea migliore durante il campionato?

DG: Non incantiamoci, tranne alcune eccezioni, gli stadi italiani non differiscono molto dal Colosseo romano nell’ambito della struttura tecnica. La Juventus, l’Udinese e il Frosinone hanno costruito strutture moderne negli ultimi anni, ma la lista finisce qui. Molte volte durante la nostra trasmissione, cerchiamo di riderci sopra, scherzare un po’, perché cosa puoi dire durante una partita messa in dubbio da un temporale che allaga l’impianto e crea un  lago nel bel mezzo del campo? Ma agli stadi italiani non possiamo negare una cosa: hanno un’anima. Quando sentiamo che tra qualche anno il leggendario San Siro verrà demolito per far spazio a una nuova costruzione siamo dispiaciuti. Non c’è altro stadio in cui  il tifo di quasi 80 mila fan sia così impressionante D’altra parte siamo consapevoli che sotto questo aspetto la Serie A è molto indietro rispetto alle altre leghe e qualcosa deve cambiare. Altrimenti questi stadi crolleranno.

DD: Delfini in piscina, maiali in casa, feste fino all’alba, vita da sballo… Qual è l’aneddoto più divertente che avete sentito sui calciatori che giocano in Serie A, che riflette perfettamente il carattere specifico, a volte grottesco, di questa lega?

PD: È difficile scegliere il migliore. Ci sono molte storie che conosciamo, ma non è corretto condividerle in pubblico. Inoltre, non vogliamo fare troppi spoiler a coloro che vorranno leggere il nostro libro. Possiamo solo garantire che i giocatori sanno davvero divertirsi, soprattutto in Italia. Ciò che ci ha scioccato è stato quello che ci ha detto Bartosz Salamon. Solo pochi anni fa sulla stampa italiana c’era una rubrica che descriveva “gli episodi notturni” dei calciatori italiani nei club di Milano. Un inviato  della redazione aspettava fuori della discoteca e relazionava sui calciatori avvistati su chi tornava in  in hotel, quando, in quali condizioni e in quale compagnia. A quanto pare i tifosi italiani adorano questo tipo di lettura, e poi anche per gli stessi giocatori è stato un gran bel divertimento parlarne negli spogliatoi. Ciò illustra perfettamente lo status dei giocatori di calcio in Italia.

DD: Attualmente siete una delle coppie di commentatori più famosa in Polonia. Quando è nata la vostra collaborazione e come si sviluppa il vostro dialogo quando commentate gli incontri dal vivo?

PD: Ad essere sincero è stato frutto di una coincidenza, ovvero quando il nostro capo Patryk Mirosławski ha deciso che gli sarebbe piaciuto avere delle coppie permanenti. Entrambi commentavamo le partite di Serie A già in Orange Sport, quindi naturalmente ci hanno messi insieme. Poi c’è stata l’idea di un podcast dedicato alla Serie A e di scrivere un libro insieme.

DG: Inoltre, dopo aver commentato congiuntamente centinaia di partite, è più facile creare una interazione narrativa. Intuitivamente sappiamo già quando faremo delle pause, come reagiremo ai gol, non ci interrompiamo a vicenda. Questo può essere paragonato a ciò che ha detto Wojtek Szczęsny nel nostro libro. Per lui è più facile giocare quando al centro della difesa bianconera c’è la coppia Bonucci-Chiellini, con cui ha maggior confidenza per averci giocato insieme più spesso, perché sa cosa aspettarsi da loro, come motivarli, come ognuno di loro reagisce in situazioni specifiche. Insomma il feeling tra di noi ci aiuta moltissimo.

Cartoline da Roma

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Lapide Leopardi

Roma è sempre stata un luogo di attrazione per gli artisti di tutto il mondo. Accolti in una città, multietnica e multiculturale (già ai tempi dell’Impero Romano).

Fontanelle

L’acqua è un elemento fondamentale di questa città. Attraversata da un fiume: il Tevere (anzi due perché c’è anche l’Aniene), l’acqua è stato elemento di civiltà e di salute (i Romani ovunque siano arrivati hanno costruito acquedotti e sistemi fognari). Le grandi fontane romane sono meravigliosi giochi d’acqua e dimostrazione di potenza politica ed economica.

San Pietro

Per chi è romano è un punto di riferimento, anche visivo, du questa città. Non bisogna essere obbligatoriamente cattolici per considerare San Pietro come una parte di noi stessi.

Filetti di Baccalà

Piatto della cucina giudaica, è un must! Da provare assolutamente. Ottimo antipasto prima di una pizza ed altri fritti.

Pasquino

E’ una delle statue parlanti di Roma (tradizionalmente sei) su cui, fin dal XVI secolo, i Romani affiggevano (e continuano tuttora ad affiggere) messaggi anonimi, contenenti per lo più critiche e componimenti satirici contro i governanti.

Pasolini

Attraverso i libri e i film ha raccontato questa città. La città del boom economico, la Roma delle borgate, del sottoproletariato. Uomo di idee e di contraddizioni, poeta, artista complesso di cui sentiamo la mancanza, sopratutto della sua forza critica intellettuale.

Il Maritozzo con Panna (il Quaresimale)

Già al tempo dei Romani esistevano delle pagnotte che venivano addolcite con l’aggiunta di miele e uva passa ed il Maritozzo sembrerebbe derivare da questa antica specialità. Sembra che nel Medioevo si mangiasse soprattutto in Quaresima, preparato in modo leggermente diverso: la pezzatura era minore, il colore più scuro, l’impasto arricchito con uvetta, pinoli e canditi. “Er santo maritozzo”, detto anche Quaresimale, era una delle poche deroghe concesse al digiuno del periodo.

Totti

E’ uno dei simboli contemporanei di Roma, insieme al Colosseo e a San Pietro, al di là della fede calcistica, rappresenta la “Meglio Gioventù” di questa città. Ha scelto di rimanere nella squadra dove è cresciuto contro ogni convenienza, sportiva ed economica.

Il centro storico

Passeggiare per le strade del centro di Roma, guardando luoghi che sembrano casette del presepe o usciti dai racconti del Belli o Trilussa. Il silenzio, i colori, la sporcizia va oltre il pittoresco. Trovo rilassanti queste stradine, fermarsi al forno per mangiare un pezzo di pizza rossa (al pomodoro) ancora calda o bianca ripiena di mortadella.

Alberto Sordi

E’ Roma e la romanità, a è anche la storia d’Italia attraverso il cinema, i suoi film sintetizzano mezzo secolo di storia del Bel Paese dal dopoguerra al 2000. Una delle frasi che meglio descrivere Albertone è: “La nostra resltà è tragica solo per un quarto: il resto è comico. Si può ridere su quasi tutto”.

foto: Enrico Carretta

Niccolò Machiavelli tra storia, mito e stereotipi

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Intervista ad Alessandro Campi

Forse non tutti sanno che Machiavelli è uno degli autori italiani più conosciuti e letti in tutte le lingue, polacco compreso. E anche per queste ragioni gli Istituti Italiani di Cultura di Cracovia e Varsavia hanno pensato di allestire una mostra sul pensatore fiorentino, una sorta di viaggio nel tempo e nello spazio che comincia in età rinascimentale e arriva ai giorni nostri, che parte dall’Italia e comprende il mondo intero, dove Machiavelli ha finito per assumere un ruolo da protagonista anche nella cultura popolare di massa, come dimostra la sua presenza nel mondo dei fumetti, dei video games, della pubblicità, della musica e della letteratura. “Il sorriso di Niccolò, l’immagine di Machiavelli nei secoli tra storia e mito” è un’esposizione che ripercorre la figura di Machiavelli attraverso i ritratti e le immagini del fiorentino realizzate e pubblicate nel corso dei secoli: dipinti, stampe, cartoline, fumetti, affreschi, medaglie, carte da collezione, grafiche, francobolli, monete, busti, caricature, ecc. Una mostra (svoltasi a Cracovia lo scorso ottobre ed in programma all’Istituto di Cultura di Varsavia dal 12.12.2019) curata dal professore dell’Università di Perugia Alessandro Campi che ci racconta la genesi dell’iniziativa.

Alessandro Campi: Niccolò Machiavelli è stato una delle grandi figure rinascimentali italiane che però col tempo è stato trasformato in icona del cinismo del potere. Gli scritti del “Segretario Fiorentino” hanno rappresentato nella storiografia storico-politica un punto cardinale per la conoscenza del mondo moderno e per l’analisi del potere, svelato nei suoi più reconditi gangli e nelle sue rappresentazioni istituzionali, tanto da creare degli archetipi storiografici, come il machiavellismo, per evidenziare e svelare le forme della politica con le sue strategie e contraddizioni. Ma questa illuminante opera è anche la causa dello stereotipo appiccicato alla figura di Machiavelli. Se a questo aspetto aggiungiamo il suo essere un sostenitore della laicità del potere e del valore della Repubblica rispetto alla oligarchia medicea allora capiamo perché per almeno due secoli dalla sua morte sia stato sostanzialmente considerato un autore maledetto, anche perché le sue opere, troppo franche e dirette per l’epoca, furono volutamente scritte in una straordinaria prosa volgare fiorentina scelta che contrastava anche con i dettami della Chiesa che, soprattutto dopo la riforma protestante, aveva fatto dell’uso del latino la bandiera dell’adesione al cattolicesimo.”

Ci spiega la scelta del titolo dell’esposizione “Il sorriso di Niccolò”?

Machiavelli è comunemente associato ad un volto che esprime furbizia, malizia, ad un sorriso enigmatico, spesso i suoi ritratti scadono nella rappresentazione di una persona che non ispira fiducia, questo perché, come dicevamo prima, si è voluto identificarlo nel potere che raggiunge i suoi obiettivi senza scrupoli confondendo quello che Machiavelli lucidamente analizzava con quella che era la sua personalità. Machiavelli fu uno straordinario psicologo del potere, da lui descritto in modo cristallino, ma personalmente fu un uomo che non cercò, né tramò, per avere più potere anzi dopo 12 anni quale alto funzionario della Repubblica fiorentina fu messo all’angolo dai Medici. Riguardo al tema della raffigurazione va poi sottolineato che tutti i suoi ritratti sono postumi, dipinti dopo la sua morte. L’immagine storicamente ritenuta più verosimile è quella del dipinto dell’artista Santi di Tito nato dopo la morte di Machiavelli e fatto prendendo come base la maschera funeraria del fiorentino, anche se su questo dipinto e sulla sua attribuzione personalmente nutro alcuni dubbi.”

Un sorriso, quasi un ghigno, che ha attraversato i secoli facendo di Machiavelli una icona pop della furbizia.

Questo è dovuto al fatto che Machiavelli è associato esclusivamente a “Il Principe”, ovvero la sua più nota opera che appunto contiene l’efficacissima descrizione del potere. Un’opera di grande valore che è stata poi banalizzata diventando una sorta di manuale per la vittoria declinabile in qualsiasi campo, in particolare nel mondo anglosassone sono fiorite una serie di pubblicazioni che citano e utilizzano “Il Principe” quale vademecum per vincere una guerra, una partita di tennis o educare i figli. Parallelamente la forza dello stereotipo cinico appiccicato a Machiavelli ce lo fa comparire in vari personaggi all’interno di fumetti, pubblicità e videogiochi, per esempio Machiavelli è ben noto ai giovani essendo il nome dato ad un sicario della famosissima serie di videogiochi Assassin’s Creed. Una deriva pop associata al fatto che Machiavelli è un nome evocativo e conosciuto a tal punto dall’essere diventato un aggettivo e dire “macchiavellico” ha una ben determinata accezione. Questa fama sarebbe anche accettabile e perfino divertente se fosse affiancata dalla conoscenza del valore di Machiavelli che, nell’ottica dell’eclettismo rinascimentale, fu un grande genio italiano al pari di Ariosto, Dante, Petrarca: politico, letterato, stratega, poeta, storico. Scrisse una delle più belle commedie del teatro italiano “La mandragola” oltre a tante novelle tra cui la nota favola dell’arcidiavolo Belfagor. 

Da dove nasce la sua passione per Machiavelli?

Insegnando storia e pensiero politico Machiavelli è sempre stato per me una figura rilevante. Poi da quando mia moglie 15 anni fa mi regalò un’edizione antiquaria de “Il Principe” è diventato anche il protagonista della mia grande collezione. Oggi posseggo oltre 2000 edizioni contemporanee de “Il Principe”, che è il libro italiano più tradotto al mondo insieme a “Pinocchio”, tra cui anche una decina in polacco. Ma i materiali raccolti sulla figura di Machiavelli sono tantissimi e a breve saranno pubblicati su una banca dati online dall’evocativo nome “machiavelliana” che sarà dedicata a tutti gli studiosi e appassionati di questa grande figura del Rinascimento italiano.

Erbe aromatiche, profumo d’estate

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Sono a cena con amici, si parla di cucina indiana, e una conoscente mi dice: “Io utilizzo tanto le spezie in cucina, anzi tantissimo, ne uso di diversi tipi: paprika, curry… rosmarino, basilico, menta…”.

Davvero, ho sentito bene? Qui si è fatta un po’ di confusione! Tolta la paprika, che è l’unica vera spezia dell’elenco, il curry che è un masala, tutte le altre invece sono erbe aromatiche!

Quali sono le differenze tra spezie e erbe aromatiche, e come imparare a riconoscerle? 

La prima grande differenza sta nell’aspetto, anche se purtroppo siamo abituati ad acquistare i sacchettini già essiccati e polverizzati, quindi la maggior parte delle persone non saprebbe riconoscere la pianta di provenienza. Le spezie però derivano dalla lavorazione di diverse parti della pianta, come bacche, radici, semi, cortecce e rizomi, che necessitano di varie lavorazioni per sprigionare il loro particolare gusto. La cannella, ad esempio, si ottiene essiccando la scorza dell’albero di cinnamomo, i chiodi di garofano sono boccioli floreali essiccati, e il pepe nero è prodotto dal frutto acerbo della pianta omonima.

Le erbe aromatiche invece si ottengono solitamente dalle parti verdi delle piante, quindi le foglie, e possono essere consumate subito, senza bisogno di essiccazione, che viene effettuata solo nel caso le si voglia conservare nel tempo.

La parola spezia deriva dal tardo latino species, cioè “cosa (alimento) speciale”. Speciali perché tutte provengono da terre lontane, con clima tropicale, soprattutto Africa e Sud Est Asiatico.

Tutte o quasi: zafferano, zenzero e cumino sono coltivabili anche in Italia. Le erbe aromatiche sono molto più diffuse, si accontentano di un clima mite e di poca terra, e quindi si prestano ad essere coltivate con gran facilità, negli orti ma anche in balconi, davanzali, finestre!

Passando all’aspetto per noi più interessante, ovvero la cucina, la principale caratteristica delle spezie è quella di conferire gusto: possono rafforzare il sapore di un piatto o anche stravolgerlo completamente. Le erbe aromatiche invece, lo dice la parola stessa, donano aroma, profumo, e hanno un gusto molto più delicato.

Si assaporano meglio se adoperate fresche, aggiungendole nei piatti a freddo oppure a fine cottura, per conservare al meglio l’aroma. Tuttavia una volta essiccate si possono conservare a lungo e consumare tutto l’anno: in questo caso sarà meglio farle rosolare in una padella con un filo di olio caldo, per sprigionare nuovamente il loro profumo.

Quali erbe aromatiche preferire? Sono tantissime, non rimane che dare spazio alla fantasia, alla voglia di sperimentare e assaggiare!

Merita il primo posto il basilico, il re delle erbe nella cucina italiana: qualche foglia fresca non può mancare sulla pizza, ma anche nei sughi per la pasta, e da provare fresco nelle insalate, dove accompagna bene i pomodori ma anche gli agrumi. Ricco di minerali e nutrienti tra cui vitamina K, vitamina C, oltre che di magnesio, calcio, ferro, acido folico e acidi grassi omega 3. È facile farlo crescere in casa o sul balcone, in posizione soleggiata e riparata, per avere disponibili le foglie fresche. Ottimo nella panzanella, ricetta tipica del centro Italia: piatto unico preparato con pane raffermo, pomodori maturi, cipolla e basilico fresco, tutto tagliato a pezzetti e condito con olio extravergine, sale e pepe. Una curiosità: anche nell’orto, basilico e pomodori vanno sempre coltivati vicini, in quanto il suo aroma risulta sgradito ai parassiti, e quindi difende i frutti della pianta.

Il rosmarino purtroppo non si presta ad essere coltivato in vaso, mentre nelle località mediterranee cresce spontaneo lungo le scogliere: il suo nome infatti deriva dal latino rhus e maris, ovvero arbusto di mare. Immancabile nelle cotture al forno con qualsiasi ingrediente (carne, pesce ma anche patate e verdure) e nelle salse per marinatura. I fiori freschi possono essere utilizzati per aromatizzare le insalate o i piatti più delicati. Da sempre utilizzato in fitoterapia per le sue numerose proprietà benefiche: depurativo per il fegato, efficace per tutti i disturbi intestinali, ha anche un’azione energizzante, e quindi è utile in caso di esaurimento psicofisico, stanchezza, depressione. In inverno lo si può consumare in un decotto, con azione tonica e digestiva. Usato per risciacquare i capelli, stimola i follicoli piliferi alla ricrescita e previene la calvizie precoce e l’alopecia.

La salvia, pianta conosciuta fin dall’antichità per le sue proprietà salutari, era ritenuta addirittura magica e in grado di resuscitare i morti! Di certo al giorno d’oggi sono state dimostrate le sue proprietà antisettiche, antinfiammatorie e diuretiche. Possiede anche un’azione ipoglicemizzante: un infuso a stomaco vuoto di salvia è utile nella cura del diabete, perché riduce il tasso di glicemia nel sangue. Non solo: tensione nervosa, cattiva digestione, crampi, disturbi mestruali e vampate di calore sono alcuni dei sintomi per cui si rivela preziosa. In cucina è molto utilizzata nella cottura al forno, insieme al rosmarino. Le foglie fresche diventano molto golose se immerse in una pastella preparata con farina di ceci e birra (acqua frizzante per chi preferisce evitare gli alcolici) e successivamente fritte, per un antipasto davvero particolare.

La mia preferita per l’estate: la menta. Rinfrescante, digestiva, strofinata sui denti aiuta a combattere e prevenire l’alitosi, e può essere utile anche in caso di nausea e vomito. Si conoscono oltre 600 varietà di menta, fra cui le più apprezzate sono la piperita e la marocchina. Buonissima nelle ricette sia dolci che salate, oltre che per aromatizzare il tè, le tisane e le bevande estive: mettete qualche foglia fresca in una caraffa d’acqua, insieme ad una fetta di limone e magari un po’ di zenzero fresco, e avrete un ottima bevanda dissetante. Ottima anche tagliata a striscioline per le insalate estive a base di verdure e legumi: provatela con zucchine e melanzane crude, tagliate a fettine sottili e lasciate marinare qualche ora con olio extravergine d’oliva e succo di limone. Oppure in un’insalata di ceci, sedano, foglie di menta e spicchi di limone tagliati a pezzetti!

Domande o curiosità inerenti l’alimentazione? Scrivete a info@tizianacremesini.it e cercherò di rispondere attraverso questa rubrica!

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I pompieri polacchi già in azione a Beirut

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

I pompieri polacchi che giovedì sono arrivati a Beirut stanno costruendo la base dove già sventola la bandiera polacca. Il loro gruppo è sotto gli ordini del Ministero della Difesa Libanese e dell’Ambasciata RP a Beirut. Prima di cominciare i lavori, i pompieri sono stati sottomessi ai test per COVID-19. Dopo aver ricevuto i risultati ogni gruppo saprà su quale territorio dovrà lavorare. L’aereo PLL LOT con i pompieri, medicine e preparati medici è arrivato a Beirut giovedì verso le ore 02:00. Come informa il Comandante generale della Stazione Statale dei Pompieri (PSP), nadbrg. Andrzej Bartkowiak, nel gruppo ci sono 39 pompieri da varie città della Polonia, quattro paramedici chimici e quattro cani specializzati. Il gruppo è preparato per 7 giorni di lavoro costante. Il capo del gruppo, bryg. Mariusz Feltynowski ha diretto anche le operazioni di salvataggio dopo i terremoti a Haiti e a Nepal. Paweł Jabłoński, il Vice Direttore del Ministero degli affari esteri, ha confermato che oltre al gruppo dei pompieri, dalla Polonia è partita anche una compagnia di 11 persone dal Centro Polacco di Aiuto internazionale, composta da medici e specialisti in missioni umanitarie. Le ultime informazioni riportano che, la cifra di persone morte a causa dell’esplosione, è cresciuta di 135 e circa 5 mila sono stati i feriti. L’esplosione era talmente forte che è stata percepita a Cipro, distante 200 km da Beirut. Come causa diretta viene indicata l’esplosione di 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio, precedentemente confiscato dallo Stato.

[Aggiornamento 6.08.2020] Situazione attuale in Polonia rispetto all’epidemia di COVID-19

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Mentre nel mondo ci si avvicina ai 20 milioni di contagi con oltre 700.000 morti da inizio epidemia, si registrano ancora nuovi casi e numeri in sensibile crescita anche in Polonia, che ha visto nelle ultime settimane un notevole incremento dei casi giornalieri.

Il 6 agosto è stato registrato il record di 726 nuovi casi da inizio epidemia.

Il numero complessivo dei casi attivi è salito a 12.099 (settimana scorsa 9.679), di cui in gravi condizioni 72, ovvero circa l’ 1% del totale.

Complessivamente i numeri dell’epidemia rimangono sotto controllo e senza pressione eccessiva sulle strutture sanitarie polacche, ma l’aumento dei casi ha portato il Governo polacco a prendere provvedimenti in 19 aree particolarmente colpite, dove saranno rinforzate le misure di prevenzione con 9 zone rosse e 10 zone gialle.

I Voivodati interessati dalle restrizioni sono la Slesia, Małopolskie, Wielkopolskie, Łódzkie, Podkarpackie e Świętokrzyskie. La Slesia resta l’area con più contagli, ovvero 17.299 dall’inizio dell’epidemia.

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Informazioni per i cittadini italiani in rientro dall’estero e cittadini stranieri in Italia tra cui le risposte alle domande:

  • Ci sono Paesi dai quali l’ingresso in Italia è vietato?
  • Sono entrato/a in Italia dall’estero, devo stare 14 giorni in isolamento fiduciario a casa?
  • Quali sono le eccezioni all’obbligo di isolamento fiduciario per chi entra dall’estero?
  • E’ consentito il turismo da e per l’estero?

Per gli spostamenti da e per l’Italia a questo link le informazioni del Ministero degli Esteri: situazione al 31 luglio 2020

La situazione Polonia verrà aggiornata all’indirizzo: www.icpartners.it/polonia-situazione-coronavirus/

Per maggiori informazioni:
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