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La magia del mosaico

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Nella regione di Friuli-Venezia Giulia ci sono molte città che contengono antichi preziosi patrimoni. Dai tempi passati ai giorni nostri in questa regione rintracciamo artigiano artistico molto bello fatto da una capace manodopera. Vorrei portare l’attenzione su alcune località di questa regione che vale la pena visitare. 

La più importante è sicuramente Aquileia, la città fondata dai Romani nel 181/180 a.C., che nel IV secolo fu sede di vescovato. Uno dei cronisti di quel tempo la considerò importante come Roma o Milano. In seguito Venezia e Grado nacquero come diaspora di abitanti di Aquileia, che fu al centro di continue invasioni, che culminarono con la distruzione ad opera dei Longobardi. 

Aquileia, oggi è considerata dall’UNESCO Patrimonio dell’umanità grazie ai maggiori mosaici paleocristiani. Non è possibile descrivere a parole questa bellezza visibile sul pavimento del duomo, costruito sulle fondamenta della chiesa ancora più antica. Un delicato lavoro di molte mani umane… che meraviglia! I mosaici del pavimento rappresentano animali e vegetali, che sono il risultato di una miscela simbolica del cristianesimo con la simbologia pagana. La fauna marina fatta in modo dettagliato merita un’attenzione particolare. Sul mosaico si trovano figure umane, animali e piante e tutti gli elementi sono inclusi in modelli geometrici. Nel campanile sono stati scoperti altri resti di mosaico e dalla sua vetta possiamo godere una vista sulla città. 

Dal duomo parte una strada fiancheggiata da file di cipressi: Via Sacra, che ci porta alle rovine del porto fluviale romano. Sono patrimoni culturali straordinari che devono essere maggiormente diffusi, e questo è lo scopo del mio articolo. Non consiglio questo posto solo per gli amanti di storia dell’arte o di archeologia. Vorrei stimolare chiunque ami viaggiare a scoprire lo splendore di questo posto che è un importante elemento della nostra eredità culturale. 

Un’altra città di cui voglio parlare è Spilimbergo, conosciuta come la città dei mosaici. È una delle più belle città che si trovano nelle terre friulane. Qui c’è la famosa scuola di mosaico, Scuola Mosaicisti del Friuli, che nel 2012 ha festeggiato 90 anni di vita. Dire che ci si può innamorare di questa bellissima parte d’Italia è un eufemismo. Qui si ha decisamente voglia di restare per sempre. Passeggiando per i corridoi della scuola non riuscivo a distogliere lo sguardo dalle opere fatte dagli studenti. Quest’arte è in costante crescita, tra opere sacre e altre di tema più moderno che affascinano con colori, idee e varietà di forme. Questa città resterà sempre nei miei ricordi come un luogo magico. E quando si passeggia per le strade dobbiamo fare attenzione a guardarci intorno per non perdere le molte opere artistiche disseminate nella città. Chi decide di visitare questa città proverà la sensazione d’essere in un luogo in cui il tempo si è fermato, ovviamente in senso positivo.

L’ultimo posto su cui vorrei porre la mia attenzione è Cividale del Friuli. Secondo la tradizione la città fu fondata nel 50 a.C. da Cesare e passò in seguito sotto i vari domini di Romani, Longobardi, Franchi e Repubblica di Venezia. Vale la pena visitare il Museo Archeologico che possiede una delle più grandi collezioni relative al popolo dei Longobardi esistenti in Italia e ha anche bellissimi mosaici nelle sue raccolte.

Insomma, la magia del mosaico incanta ancora. È presente in molti luoghi in Italia. Il mio obiettivo è di incoraggiare i viaggiatori più attenti a visitare questi meravigliosi posti, ricordando di cercare la bellezza che è sempre presente intorno a noi. 

Pasta con zucchine e carote (ricetta sarda)

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Ingredienti per quattro persone:

  • 500 g di penne (o casarecce)
  • spicchio d’aglio
  • una zucchina media
  • due carote medie
  • due manciate di rucola fresca
  • un po’ di parmigiano grattugiato (o pecorino)
  • peperoncino secco appena macinato
  • sale (per l’acqua per la pasta)

Preparazione:

Tagliate le zucchine e le carote a bastoncini (eventualmente potete grattugiare le verdure, usando la grattugia ad ampio spessore, in questo modo però le verdure non conservano la loro sodezza ed il piatto perde il suo gusto).

Nella padella con l’olio riscaldato mettiamo lo spicchio d’aglio ed un attimo dopo i pezzettini di peperoncino secco. Poi, aggiungiamo le carote tagliate e friggiamole per un attimo. La zucchina tagliata, il cui tempo di frittura è più breve, viene aggiunta alla fine. Inoltre, la zucchina assorbe quasi tutto l’olio d’oliva dalla padella, dunque prima di aggiungerla, fate soffriggere bene la carota. 

Continuiamo a friggere, mescolando tutto quanto ancora per un momento, non troppo lungo però. Fate attenzione a non rendere le verdure troppo morbidi (per evitare che si spezzino) nonché di non farle soffriggere troppo. A fine cottura aggiungiamo due manciate di rucola, le cui foglie è meglio strapparle con le mani per far uscire l’aroma e la sua particolare amarezza. 

Chiudiamo il fuoco sotto la padella, e copriamola con un coperchio per un breve momento (un minuto e mezzo, in modo che le verdure non vengano troppo cotte). In seguito aggiungiamo tutto quanto alla pasta, cotta al dente in acqua salata. Cospargiamo il piatto con il parmigiano a piacere.

La ricetta proviene dalla Sardegna, dove vengono mangiati non solo i frutti di mare o la selvaggina, ma anche delle buonissime verdure perfettamente preparate. Il piatto è ideale per le calde giornate estive.

Cartoline da Napoli

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Pulcinella

È la maschera di Napoli, una delle più popolari e antiche. Già conosciuta ai tempi dei Romani e sparita con l’arrivo del Cristianesimo, la figura di Pulcinella è risorta nel ‘500 con la Commedia dell’Arte e da allora è una delle maschere più amate del Carnevale insieme ad Arlecchino.

Scaramanzia e tombola

Magia e superstizione si mescolano fin dai tempi più remoti nell’atmosfera partenopea: ‘o munaciello, la smorfia, il corno portafortuna sono solo alcuni degli elementi distintivi delle credenze napoletane. A Napoli non c’è casa che non abbia e metta in bella vista cornicelli o ferri di cavallo, talvolta abbinati ad un crocefisso, mescolando sacro e profano. Così come la tombola alla quale i napoletani sono molto legati e di cui sanno il significato di ciascuno dei 90 numeri.

Babà, sfogliatelle e pastiera

Il babà napoletano rappresenta insieme alla sfogliatella il simbolo della pasticceria napoletana. Un dolce che stupisce per la sua morbidezza e per il suo gusto particolare dovuto al bagno nel rum. La sfogliatella invece si presenta in due varianti, riccia se preparata con la pasta sfoglia o frolla se preparate con la pasta frolla. La pastiera è una torta a base di ricotta e frutta candita, tipica del periodo pasquale è uno dei capisaldi della cucina napoletana. Ha avuto il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale campano.

Pizza Margherita

Non tutti sanno che la pizza Margherita è nata proprio a Napoli, una diffusa credenza vuole che nel giugno 1889, per onorare la Regina d’Italia, Margherita di Savoia, il cuoco Raffaele Esposito della Pizzeria Brandi inventò una pietanza che chiamò proprio Pizza Margherita (allora il termine “pizza“, sconosciuto al di fuori della città partenopea, indicava quasi sempre le torte dolci), dove i condimenti salati capitati tra le mani, pomodoro, mozzarella e basilico, rappresentavano addirittura gli stessi colori della bandiera italiana.

Il maestoso Vesuvio

Il Vesuvio è l’unico vulcano attivo dell’Europa continentale e si affaccia proprio sulla baia e sulla città di Napoli. Ha prodotto alcune delle più grandi eruzioni vulcaniche del continente, divenuto famoso per l’eruzione del 79 d.C. che distrusse la città di Pompei ed Ercolano. Anche se l’ultima eruzione risale al 1944, rappresenta ancora un grande pericolo per la città che lo circondano.

Piazza Plebiscito

Piazza Plebiscito è la piazza per antonomasia per i Napoletani. Sulla piazza, ubicata nel cuore della città, si affacciano edifici importanti quali la Basilica di San Francesco di Paola, il Palazzo Reale, il Palazzo della Prefettura e il Palazzo Salerno. È una meta imperdibile per i turisti. Completamente pedonalizzata, si presta spesso ad ospitare manifestazioni di massa o concerti.

Totò e Maradona

Napoli è molto legata ai suoi personaggi con i quali instaura un viscerale rapporto d’amore. Tra questi non possiamo non citare “il principe della risata” Totò e “il pibe de oro” Maradona. Quest’ultimo, che è stato uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, è un autentico simbolo della città partenopea per aver giocato e vinto con il Napoli. A lui sono state dedicate statue, altarini, piazze e canzoni, nonché dà il nome a varietà di pizze dolci e caffè. Totò è il grande attore comico napoletano che ha recitato in ben 97 film, quasi sempre come protagonista, di cui 92 girati tra il 1947 e il 1967. Gli è stata conferita pochi mesi fa la laurea ad honoris causa alla memoria in Discipline dello spettacolo. 

Castel dell’Ovo

È il castello più antico di Napoli ed è uno degli elementi che spiccano maggiormente nel celebre panorama del golfo, situato sull’antico Isolotto di Megaride. Una delle più fantasiose leggende napoletane farebbe risalire il suo nome all’uovo che Virgilio avrebbe nascosto all’interno di una gabbia nei sotterranei del castello. Il luogo ove era conservato l’uovo fu chiuso da pesanti serrature e tenuto segreto poiché da “quell’ovo pendevano tutti li facti e la fortuna dil Castel Marino”.

Quartieri Spagnoli

Sorgono nella parte storica della città di Napoli, costituiti, a loro volta, dai quartieri San Ferdinando, Avvocata e Montecalvario. La nascita di questi quartieri è legata al periodo della dominazione spagnola, quando si rese necessario trovare una sistemazione ai tanti militari presenti all’epoca in città. I Quartieri Spagnoli a Napoli furono subito un luogo malfamato e di perdizione, dove i soldati venivano a cercare i divertimenti, scenario di frequenti delitti e soprusi. Sicuramente oggi i Quartieri Spagnoli sono tutt’altra cosa, anche se è sempre meglio stare po’ attenti e prendere qualche precauzione.

Pesce fresco

A Napoli è possibile acquistare sul lungomare pesce fresco, appena pescato e ancora vivo,  soprattutto in via Caracciolo dove i pescatori hanno vari banchi.

Curiosità e credenze: Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe

Si tratta di una chiesetta situata nel centro storico della città partenopea e prende il nome da Santa Maria Francesca, la Santarella, una delle sante più amate a Napoli, chi viene qui lo fa perché desidera avere un figlio. Ebbene sì, verità o leggenda o forse miracolo, sta di fatto che chi si reca al santuario è alla ricerca di un figlio, in particolare all’interno del convento vi è una sedia ritenuta miracolosa dove le donne sterili si siedono e fanno un voto alla santa. Incredibilmente ad oggi molte donne hanno visto esaudire la loro preghiera lo testimoniano le centinaia e centinaia di ex-voto, nastri rosa e azzurri che adornano la parete del primo ambiente della casa, corredati spesso da foto dolcissime e vivaci di neonati quest’ultimi sono i segni della gratitudine delle donne devote alla Santa per aver ricevuto il “miracolo” della fecondità.

Sicilia, terra d’incanto

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La Sicilia è una terra straordinaria, esattamente fuori dall’ordinario di quello che può offrire qualsiasi altro paesaggio mediterraneo. In nessun altro luogo, infatti, sarebbe possibile immaginare una tale varietà di percorsi tematici per scoprire il territorio: un percorso archeologico, alla scoperta dei tesori più e meno nascosti, della nostra storia mediterranea; un percorso “costiero”, per visitare le più belle scogliere a picco sul mare nostrum, le isole Egadi o le Eolie, Pantelleria o Lampedusa, o incontaminate spiagge bianche dal sapore caraibico; un percorso “linguistico” per scoprire le varietà del dialetto siciliano; un percorso montano, che consenta l’esplorazione dell’Appennino siciliano, dalle Madonie ai Monti Peloritani; perfino un percorso ‘fluvio-lacustre’, alla scoperta dei fiumi e dei laghi più belli di Sicilia. E poi, insieme alla scoperta delle città e delle campagne siciliane, si immagina facilmente un itinerario turistico enogastronomico con il quale conoscere non solo la varietà e la quantità dei prodotti che, miracolosamente, nascono in quei territori, dal pistacchio di Bronte ai pomodori di Pachino, ma l’altissima qualità degli elementi costituenti la famosa dieta mediterranea.

Gli spazi dell’Isola a tre punte (Trinacria, appunto, è il nome antico dell’isola), la luce chiara che li pervade, il mare che li bagna, la campagna che li contorna, il grande vulcano vivo e attivo (“Iddu”, Lui, lo chiamano qui) che veglia, sbuffando fumo, sull’isola intera, e le città animate, i profumi inebrianti tra campagna e mare, tutto questo è una sorta di magnete turistico che attira ed avvince il visitatore con un richiamo continuo verso un territorio ancora in parte puro, intenso e autentico. Varrebbe la pena, si può dire, di fare tanti viaggi in Sicilia quanti sono i diversi itinerari tematici che si possono percorrere: ovvero, infiniti. Si potrebbe cominciare dal mare, d’estate: iniziare da una sosta a Taormina, dove guardare il mare dall’interno del teatro greco è davvero un privilegio per pochi, per poi scendere verso latitudini più basse e magari fare tappa sulle scogliere di Santa Maria La Scala, sotto Acireale, per poi allungarsi fino a giù, alle porte di Siracusa. Ortigia, il centro della città, è una sorta di miracolo sotto il cielo: equilibri barocchi che recano tracce di antico splendore (bello il palazzo Borgia, a Ortigia), e, di fronte, un mare placido che invita al viaggio. Basta girarsi alle spalle e si scorgono, in alto, il Teatro greco, l’anfiteatro romano e l’orecchio di Dioniso. Difficile uscire da Ortigia, lasciarsi alle spalle tanta bellezza, dimenticando Archimede che, di questi posti, fu geniale abitatore: di fronte, poco distanti, distese di grappoli d’uva nero d’Avola, e sterminate campagne ingombre solo di pecore e d’olivi, tra cui spunta, isolato, qualche vecchio enorme carrubo.

Pochi chilometri più avanti, e si è subito dentro ai confini della riserva naturale di Pantàlica, le cui pietre hanno ispirato anche qualche famoso romanzo. A percorrere la litoranea, evitando l’antico centro di Ragusa chiamato “Ibla”, e procedendo oltre Modica, ci si imbatte in quella Punta Secca dove ha sede la famosa “Marinella” di Montalbano, il commissario creato da Andrea Camilleri.  Basta poi tagliare per Vittoria, evitando lo scempio che la modernità ha fatto con Gela, e dirigersi a Menfi, oltre la Valle dei Templi di Agrigento, attraversando Mozia, l’antica capitale del sale, per vedere paesaggi da favola: la costa, qui, è un continuo meraviglioso alternarsi di scoglio e sabbia, a contenere un’acqua sempre oscillante tra il verde chiaro e l’azzurro profondo, quasi blu. Salendo verso nord, basterebbe imbarcarsi per pochi minuti, e si potrebbero accostare i miracoli delle Egadi: Favignana, Marettimo, Levanzo, che furono teatro naturale – e ancora ve ne sono tracce – della prima guerra punica tra Romani e Cartaginesi, nel 241 a.c. L’angolo estremo di quella costa di Sicilia, di fronte alla Sardegna, ospita la riserva dello Zingaro: un luogo davvero incontaminato dove pesci di varie fogge si recano a deporre le uova per riprodursi. Da Scopello, poi, attraverso l’autostrada che porta da Palermo a Messina, passando per Cefalù, si torna al punto da cui noi siamo partiti, chiudendo il cerchio del primo viaggio, effettuato solo per costa. Ma quello che si vede sulla costa è solo un parziale assaggio di quanta bellezza, poi, è custodita per le strade interne della Sicilia: fra Templi antichi e strade medievali, moderni edifici delle grandi città e spazi aperti abitati solo dal nulla. Naturalmente, il viandante che visiti la Sicilia lungo le sue coste, avrà modo di assaggiare quelle specialità di cucina che, alla costa ed al mare, sono legate: le sarde alla beccafico o una semplice pasta alle vongole, ma cucinate dallo chef Angelo Pumilia, alla Foresteria Planeta di Porto Palo di Menfi; un risotto al Cerasuolo, rigorosamente a Vittoria; le polpettine di sgombro con pinoli e menta, da mangiare a Capo Milazzo. E, prima di lasciare la Sicilia, un cannolo alla ricotta, a Palermo, ed una granita con la brioche a Castelbuono, sopra Cefalù.

Verrebbe da dire che la Sicilia è quell’isola del mediterraneo dove lo spazio è senza luogo, e dove la storia è senza tempo. Un eterno non luogo, un miracolo dentro il quale, fra il sole e il mare, vale la pena di viaggiare almeno una volta. 

Etimologia

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L’importanza di conoscere l’origine e il significato più autentico delle parole che usiamo non è un mero vezzo culturale, ma è, al tempo stesso, uno strumento valido per costruire il nostro eloquio, per scegliere con attenzione i vocaboli e quindi per definire correttamente i confini dell’oggetto del nostro discorso. In sintesi lo studio dell’etimologia può essere sicuramente considerato anche quale tecnica per migliorare la chiarezza e l’efficacia del comunicare all’esterno il nostro pensiero. 

L’analisi etimologica delle parole è poi una straordinaria, e spesso divertente, occasione di attraversare epoche e culture trovando connessioni tra usi e costumi di popoli diversi che per secoli hanno, a vari gradi, interagito con reciproci conseguenti rapporti di osmosi socio-culturale. Attraverso questa rubrica cercheremo di solleticare la vostra attenzione su questo aspetto della semantica, che può rivelarsi inaspettatamente interessante, proponendovi ogni volta la radice etimologica di vocaboli che usiamo tutti i giorni, in polacco e in italiano. 

Sono sicuro che piano piano scoprirete il piacere di conoscere e saper descrivere la storia e i contorni di parole che fino ad oggi avete inconsapevolmente usato. Nella ricerca dei significati intrinsechi delle parole coinvolgiamo il professore di greco, latino e materie umanistiche Fabio Barbini che commenta, allargandone la visione e la comprensione, l’etimo delle tre parole proposte in questo numero: enciclopedia, scenografia e appunto la stessa parola etimologia. Vocaboli uguali in italiano e in polacco.

Enciclopedìa, singolare femminile, deriva dal latino rinascimentale encyclopaedia, corrispondente al greco ἐγκυκλοπαιδεία, formatosi da ἐγκύκλιος παιδεία, che nel greco ellenistico significava formazione di base, ma anche cultura generale fondata su discipline costituenti un solo corpo. Fabio Barbini: “in questa splendida parola va sottolineato come ἐγ-κύκλιος in greco significhi dentro il cerchio. Cerchio che sappiamo essere l’emblema della perfezione. 

Quindi ἐγκύκλιος παιδεία, significa insegnamento circolare che quindi ricomprende tutti gli ambiti dello scibile umano, la rotondità della conoscenza, rotondità che è perfezione e anche in natura possiamo affermare che il nostro occhio è attratto dalla circolarità degli oggetti. Da sottolineare come in italiano l’accento è slittato in avanti riportando le vestigia del primordiale accento greco, il polacco invece riverbera la struttura latina di cui mantiene l’accentazione”. 

Scenografia, singolare femminile, dal latino scaenographĭa, dal greco σκηνογραϕία, composto di σκηνή, scena e γραϕία, grafia, scrivere. Fabio Barbini: “qui è interessante domandarsi perché la “scena” ha questa accezione di luogo di rappresentazione spettacolare? La risposta è perché in greco σκηνή, scena, corrisponde al latino siparium, tenda, (da cui sipario in italiano), quindi si tratta del lavoro di preparazione dell’aspetto scenografico dietro la tenda. 

All’ombra della tenda si è riparati e celati, quindi σκηνή, scena e γραϕία, grafia, significa letteralmente quello che viene scritto, preparato in un luogo celato che poi si disvela allo spettatore. Grafia, dal verbo γραϕος, che era al tempo l’azione con cui si scheggiava la tavoletta di cera, ovvero si scriveva.”

Etimologia, singolare femminile, dal latino etymologĭa, dal greco ἐτυμολογία, composto da ἔτυμον (etimo) e -λογία -logia. Fabio Barbini: “qui si tratta di un parasinteto, parola formata dall’aggettivo etoimos, pronto, preparato ma anche vero, verace e dal nome logos. Quindi il significato più profondo della parola etimologia è l’essere l’unico discorso che per eccellenza ci consegna la verità. 

Il principe dell’etimologia è a mio avviso Socrate che attraverso la maieutica fa nascere nell’interlocutore le stigmate della verità. E poi veniamo a logos, vocabolo di straordinaria importanza che viene dal verbo greco λεγο che banalmente viene tradotto nel significato di parlare, discorrere, ma che in realtà con uno sguardo più accurato si arriva a cogliere il suo significato più profondo che è scegliere. Potremmo sintetizzare quindi etimologia come discorso sulla verità, o meglio elezione dell’autenticità.” 

La Toscana e lo stile di Silvana Olmo

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A Montecatini Terme, in Toscana, presso una delle vie graziose di questa cittadina italiana, puoi sentire il battere del polso del mondo fiabesco del Laboratorio Creativo di Silvana Olmo. Il Laboratorio è un negozio, una galleria degli oggetti vintage, ma anche uno studio di interior design. Qui nascono delle cose insolite, create dalla proprietaria che molto spesso usa le antichità recuperate, rianimate, che ritrovano nelle sue mani una vita nuova, l’anima che rispecchia la stessa sensibilità di Silvana Olmo. Sempre qui nascono i progetti degli interni e delle case intere. Delle case in stile toscano, sfumato dal carattere unico della stilista.

È una vera sfida per un nord-europeo, attraversare il mondo toscano immerso nel sole, stra-saturato dai colori, ed entrare in un interno affondato nella penombra, nel mezzo-segreto per scoprire quello che si cela. Ci vuole un’atmosfera di silenzio pazienza per leggere e capire fino in fondo il contenuto ricchissimo del Laboratorio Creativo.

Quasi tutta la superficie della parete dietro al bancale, davanti all’entrata, è coperta da un quadro imponente che una volta faceva parte dell’altare di una chiesa inglese. Sulle pareti laterali sono arazzi e vecchi dipinti. Sopra le teste dominano lampadari dalle forme fantasiose e soluzioni decorative insolite. Nei mobili antichi si celano i personaggi del mondo inconsueto di Silvana Olmo: figurini degli animali, le lepri dipinte sul lino, gli elementi decorativi recuperati da vecchi accessori.

A Silvana Olmo sin da bambina piaceva dipingere e lo faceva anche sotto l’occhio di maestri che le affidavano persino i loro registri, dove con la sua bellissima calligrafia metteva note importanti. Il desiderio di creare cose proprie le ha fatto compagnia per molto tempo finché un giorno ha deciso di uscire con la sua creatività presentandola alla gente. Ha iniziato dalla ceramica di… Boleslawiec. I piatti importati dalla Polonia hanno trovato un grande successo tra i primi clienti. E così nacque il Laboratorio Creativo. Il sogno più grande della fondatrice è stato quello di creare mentre l’interesse della gente per le cose che faceva era cresciuto rapidamente. Silvana ha iniziato a progettare gli interni, riempiendoli con oggetti rianimati e con questa atmosfera unica, irripetibile, che caratterizza tutto il suo lavoro.

Una delle realizzazioni recenti di Silvana Olmo è lo studio in una casa toscana classica. Vediamo come l’artigianato, le icone del design mondiale e l’arte plasmino insieme una composizione perfetta. La stanza fa parte della casa di Alessandro Rosano, fondatore e proprietario di un’azienda produttrice di orologi realizzati in legno recuperato. Il rispetto per le materie prime e per la natura è una caratteristica nobile comune per Silvana Olmo e per il suo cliente. Il frutto di questa collaborazione e dell’amicizia lo notiamo in questo spazio stupefacente. Il mobile protagonista, la scrivania diventa qui quasi un simbolo. La postazione di lavoro del padrone di casa è stata realizzata in legno recuperato dai vecchi pali veneziani che piantati in laguna subiscono un rapido degrado e devono essere sostituiti dopo qualche anno. Con lo stesso legno della scrivania ideata da Silvana Olmo Alessandro Rosano produce anche orologi esclusivi, firmati da WeWOOD. Ecco perché il piano della scrivania è una specie di insegna, di bigliettino da visita della mission del padrone di casa, e gli orologi sono una delle varie forme nelle quali lui stesso esprime il suo rispetto per la natura. La sua azienda, infatti da anni si occupa della forestazione del mondo piantando gli alberi su tutti i continenti.

Lo studio presenta una deliziosa combinazione cromatica. L’effetto cromatico enfatizza in maniera fantastica la luce toscana, assolutamente unica, tipica e addirittura magica. È la stessa che penetra i quadri rinascimentali, ben conosciuti a tutti, è la luce che ammorbidisce le linee e fa nascondere nella profondità della prospettiva qualcosa di segreto.

Questa luce regna nelle case toscane e costituisce uno dei componenti essenziali di ogni interno, non meno importante dei mobili, degli arredi o della gamma coloristica. Nello studio disegnato da Silvana possiamo notare un gioco sublime con questa luce la quale sembra di essere catturata dalla stilista e modellata agilmente lungo lo scaffale retroilluminato con una barra led.

Lo splendore degli interni toscani è racchiuso nella semplicità e nella fedeltà ai canoni architettonici. Ogni stanza in questa casa è arricchita con le strutture di travi di legno, tipiche dei soffitti toscani. Il cuore del salotto è un camino robusto, indispensabile in una casa rustica, decorato di pietra grezza anche quella sempre presente in una dimora toscana classica. I pavimenti sono rivestiti con la terracotta, le pareti trattate con un intonaco a calce colorato in pasta di tonalità calde. Colpisce l’utilizzo esclusivo delle materie prime naturali. Nessuna nota stonata, niente materiali sintetici.

Le stanze sono spaziose e non sovraccaricate di arredi. I mobili costituiscono gli oggetti di utilità per eccellenza: posti a sedere, tavoli, qualche mobile più piccolo che fa da appoggio per l’illuminazione e un po’ di oggettistica decorativa. Veramente e letteralmente ricchi sono soltanto i lampadari veneziani. Il resto del lusso consiste in una composizione virtuosa basata sulla naturalezza e sulla modestia.

“Non andare a Venezia”, esposizione di Beata Malinowska-Petelenz

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“Non andare a Venezia”

Perché non si dovrebbe più andare a Venezia? O almeno non come in tanti hanno fatto fino a oggi. Perché Venezia sta affondando. Viene calpestata da folle di turisti e navi da crociera giganti che provocano spostamenti d’acqua che colpiscono le fondamenta della città. Le foreste dell’Amazzonia si restringono ogni giorno, e la cattedrale di Notre Dame è bruciata davanti agli occhi del mondo digitalizzato e piangente online.

I viaggi oggi, sia quelli reali sia virtuali, sono l’essenza dell’identità del XXI secolo. Da molto tempo ormai non assomigliano a spedizioni romantiche alla ricerca di una nuova terra. Oggi luoghi che all’epoca erano desiderabili e unici, sono ampiamente accessibili e troppo consumati, e poi rovinati dal turismo di massa. Per questo Beata Malinowska-Petelenz invita i visitatori a un viaggio paradossale: seguendo le tracce intrecciate da disegni e fotografie. Rinunciando al colore, si concentra su forme inalienabili e dettagli che creano l’identità del luogo. Mostra spazi soggetti ad un’evoluzione naturale, ma soprattutto quella del post-consumo. Così, l’autrice propone un viaggio attraverso i luoghi che attraggono. E ci invita a…non andare a Venezia.

L’autrice:

Beata Malinowska-Petelenz – architetta, pittrice, autrice di libri. I suoi lavori, solitamente eseguiti in disegno e con tecniche miste, sono stati presentati in Polonia, Germania, Austria e Giappone; tra cui 21 mostre personali. Collabora con artisti dei nuovi media. Si concentra sul colore (o consapevole della sua assenza), sulle strutture organiche e sull’architettura. Vive e lavora (Facoltà di Architettura dell’Università di Tecnologia di Cracovia) a Cracovia.

Mostra:

Non andare a Venezia, Beata Malinowska-Petelenz, disegni e foto.

Vernissage: 9.01.2020, alle 19:00

Galeria Trzecie Oko, Cracovia ul. Bocheńska 5

Squadra curatoriale: AP KunstArt Fund

 

Val d’Orcia: gli effetti del Buon Governo nella campagna toscana

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Devo dire che dall’inizio del mio Erasmus a Siena, la città non mi ha risparmiato sensazioni estetiche. Già dalla prima serata sono rimasta stupita dal suo clima medievale, un po’ magico. Era l’inizio di ottobre, i festeggiamenti dopo il Palio stavano per finire, Siena pian piano cadeva nel sonno invernale… Nei seguenti mesi ho seguito i corsi universitari e ho goduto della bellezza della mia nuova piccola patria.

L’Italia è il paese che vanta piu siti UNESCO (50), invece la provincia di Siena e il luogo più “premiato” d’Italia, il che la rende il leader assoluto nella categoria! Nella lista del patrimonio mondiale troviamo infatti: centro storico di Siena, borghi medievali di San Gimignano e Pienza e la valle del fiume Orcia ovvero Val d’Orcia.

Il punto panoramico da cui si può ammirare la valle pittoresca si trova a Pienza in Viale s. Caterina. Li troviamo anche una targa che dice: “Val d’Orcia, paesaggio culturale patrimonio mondiale dell’Unesco. La Val d’Orcia è un eccezionale esempio del ridisegno del paesaggio nel rinascimento, che illustra gli ideali di buon governo e la ricerca estetica che ne ha guidato la concezione. Celebrata dai pittori della scuola senese, la Val d’Orcia e divenuta un’icona del paesaggio che ha profondamente influenzato lo sviluppo del pensiero paesistico.”

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Gli “ideali di buon governo” richiamano gli affresci di Ambrogio Lorenzetti, datati all’anno 1338-1338, che si trovano nel Palazzo Pubblico a Siena. Lorenzetti nelle sue opere rappresentò le allegorie di buono e cattivo governo e gli effetti di essi in città e nella campagna circostante, che dovevano ispirare il Governo dei Nove a governare bene a Siena, ma anche istruire il popolo sui vantaggi del buon governo. È uno dei primi esempi d’arte laica di tematica civica, complessa e ricca di simboli. Il Buon Governo di Lorenzetti doveva personificare le tre virtù teologiche: Fede, Speranza e Carità, e le quattro virtù cardinali: Giustizia, Temperanza, Prudenza e Forza. E infatti, ai tempi del Governo dei Nove Siena visse un periodo di grande splendore, interrotto purtroppo dall’epidemia di peste nera, che impedì alla citta di tornare alla potenza precedente. Il morbo vanificò inoltre i piani di espansione della Cattedrale di Siena, che doveva essere un elemento di rivalità con Firenze.

Sotto il Governo dei Nove, tutti i cittadini di Siena seppero la propria posizione nella gerarchia, ognuno faceva il proprio mestiere. In città governava la Tranquillità (personificata da un angelo), che garantiva la sicurezza. Fu ovviamente un’utopia, diversa dalla realtà, però fino al giorno d’oggi a Siena, se ci guardiamo intorno, nel centro oppure guardando dalla Piazza del Mercato verso la Villa il Pavone e Monte Amiata, oppure uscendo da Porta San Marco che domina la campagna toscana, vediamo un’incredibile armonia delle forme e la proporzione divina tra l’uomo, inserito nella natura, e la tecnica, intesa come infrastrutture di vario tipo.

Se c’e qualcosa che mi ricordo particolarmente bene dal mio soggiorno in Toscana, sono proprio i paesaggi idilliaci. Siena è una cosiddetta ‘città giardino’, creata a misura d’uomo. Si inserisce perfettamente nel paesaggio della zona, non ingombrandolo troppo e non rovinando l’atmosfera di potenza medievale con complessi residenziali moderni, intromissioni che invece molte città, come per esempio Perugia, non sono riuscite a evitare.

Non avendo più raggiunto l’importanza precedente, Siena paradossalmente ne ha tratto vantaggio, rimanendo immutata nella sua perfezione. Gli effetti del buon governo del Governo dei Nove si sono diffusi nella zona e sono visibili in tutta la provincia, fino al confine con l’Umbria. Le buone pratiche tratte da questi tempi remoti, ma anche la grande autonomia di Siena e dei senesi, hanno permesso alla città di mantenere la sua forma per secoli. La cinta senese, cioe un tipo locale di cinghiale, di cui si producono i salumi Cinta Senese DOP, immortalata 700 anni fa negli affreschi di Lorenzetti, ancor oggi è un animale caratteristico della regione e testimonia il suo carattere originale.

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La Val d’Orcia con il suo paesaggio pittoresco dà un’impressione fuori dal tempo, trasferendoci in un mondo idilliaco e in un clima emozionante. I suoi vasti campi verdi assomigliano a tappeti fatti da artiginali con tanta cura, e ci stupiscono con la loro bellezza non forzata. La flora del luogo è dominata dai cipressi, così indispensabili alla campagna toscana; in altre regioni italiane vengono percepiti come cattivo auspicio e associate strettamente ai cimiteri, qui, però, si inseriscono perfettamente, provocando muta ammirazione. Qua e la, tra l’erba e cipressi, si puo notare qualche villa isolata sulla collina, che completa questa immagine favolosa. Ma sul tema di Val d’Orcia non bisogna soffermarsi troppo a lungo: VA SEMPLICEMENTE VISTA!

foto: Katarzyna Kurkowska

Delizie dell’Elba. Schiaccia briaca.

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L’Isola d’Elba, la terza isola più grande italiana, è un luogo perfetto per rilassarsi. Belle spiagge, paesaggio montuoso, varia flora e fauna, bel clima, ricca storia locale, nonché una cucina squisita e dei vini gustosi rendono questo posto unico, dove ogni turista troverà qualcosa che gli piace. Quest’isola toscana situata tra la penisola appenninica e la Corsica, è conosciuta soprattutto per il fatto che proprio là Napoleone fu esiliato nel 1814. Però la storia dell’Elba risale a molto prima della nascita dell’antica Roma, e le tracce sono tuttora visibili a occhio nudo. La sua lunga e intensa storia si riflette nella ricchezza delle tradizioni, tra cui quelle culinarie.

La cucina locale ha tanti ammiratori soprattutto grazie alla sua semplicità. Non troverete qui delle salse complicate e complesse né dei piatti fortemente speziati. La base di molti piatti è l’olio d’oliva con l’aggiunta di erbe locali e di frutta e verdura: basilico, rosmarino, finocchio, prezzemolo, pepe, salvia, alloro, capperi, limone. La cucina è quindi molto leggera e originale, esprimendo le caratteristiche della cucina italiana, soprattutto di quella toscana, ma non solo. È inoltre possibile notare gli elementi della cucina ligure, napoletana, siciliana, sarda, nonché di quella più orientale. Tutto questo è legato ad una turbolente storia dell’isola ed alle numerose incursioni. Dunque non ci sorprendono delle combinazioni interessanti di prodotti, come ad esempio, nel caso del dolce tipico chiamato schiaccia briaca: un dolce di una pasta secca fatto a base di vino.

La storia della schiaccia briaca è legata al paese di Rio Marina e risale ai secoli XIII-XVI, quando l’Elba, quale isola attraente sotto ogni aspetto (nel sottosuolo c’erano giacimenti di numerosi minerali, tra cui il ferro), fu molte volte attaccata dai saraceni ed è passata spesso sotto il dominio di vari regni, città e famiglie nobili italiane. La schiaccia briaca è un dolce fatto soprattutto da una pasta secca, senza l’uso di lievito né di uova. Però tra i suoi ingredienti troviamo uvetta, pinoli, mandorle, e quindi, diversi tipi di frutta secca e noci, in altre parole i sapori che ci fanno pensare subito al Medio Oriente. Grazie alla mancanza di lievito e grassi animali, il dolce può essere conservato più a lungo. In questo modo schiaccia briaca è un dolce perfetto per le gite al mare, sia per i pescatori sia per i turisti. 

Il suo colore rossastro è dovuto all’aggiunta di vino rosso locale, Aleatico, a cui si riferisce il nome del dolce. L’espressione “schiaccia briaca” può essere tradotta come “una pasta ubriaca”. E proprio grazie al contenuto di questa bevanda dolce e secca, il pasto guadagnò l’apprezzamento dei monarchi ottocenteschi dell’Elba. Recentemente, al dolce viene aggiunto più zucchero, una volta quasi introvabile sull’isola, di solito sostituito dal miele, nonché da Alkermes, un liquore rosso che rende il colore della pasta ancora più intenso ed il suo aroma ancora più dolce. 

Vale la pena ricordare che l’Aleatico viene prodotto dal moscato, un vitigno rosso di origine greca, che è possibile trovare anche nel Lazio e in Puglia. La storia della produzione di questo vino risale ai tempi antichi. Apparentemente era l’unica consolazione di Napoleone durante il suo famoso esilio. Nonostante il contenuto di questa bevanda nel dolce, gli abitanti dell’Elba consigliano di servirlo a parte. Il sapore di schiaccia briaca si unisce perfettamente con questo vino rosso che grazie ad un ricco e composto bouquet garantisce delle incredibili sensazioni dell’odore e del gusto. 

Invece il liquore Alchermes è una specialità toscana, le cui origini risalgono al Medioevo. Una volta era considerato un elisir di longevità. Il suo nome deriva dalle parole arabe e persiane usate per descrivere l’origine di un colore rosa intenso della bevanda, originariamente realizzato dalle cocciniglie di insetti. Come inventori del liquore vengono considerati i membri della famiglia Medici. Caterina de ‘Medici persino lo portò con lei in Francia, dove divenne noto come il “liquore dei Medici”. 

Schiaccia briaca che collega i valori più importanti per gli abitanti di Elba, è diventata il simbolo dell’isola e uno dei prodotti più riconoscibili. Difficile trovare un dolce simile nelle altre regioni.  Oggi schiaccia briaca è disponibile in quasi tutti i supermercati locali e negozi con i prodotti regionali. La sua popolarità e apprezzamento, non solo tra gli esperti di cucina, sono dimostrati dal premio assegnatole nel 2010 durante le “Olimpiadi dei sapori dei parchi” che si svolsero nell’ambito del Festambiente, il festival nazionale di promozione dei migliori prodotti delle regioni italiane. A tutti coloro che vogliono visitare questa isola pittoresca suggeriamo quindi di non perdere l’occasione di provare questa specialità locale. 

La bevanda amata e bevuta da tutto il mondo

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Stiamo assistendo ad un «rinascimento» dei vini italiani, che accompagnano piatti e cene solenni e, nel caso di vini frizzanti, anche colazioni. Inoltre, è stato scientificamente dimostrato che proprio il vino frizzante migliora la memoria e previene gli effetti di malattie come l’Alzheimer o il Parkinson. È interessante notare che nel 2015 sono stati proprio gli italiani ad aver prodotto più vino. In particolare vale la pena menzionare una delle maggiori sfide per i vinificatori, cioè il vino leggermente frizzante.

Il nome “vino frizzante” è stato usato per la prima volta per descrivere il vino nel 1908. Grazie alle sue qualità di gusto e beneficio per la salute, questo tipo di vino è diventato amato da tutto il mondo! Non senza motivo, dato che in quantità moderate è benefico per la salute dei nostri corpi. I vini frizzanti contengono i polifenoli, ovvero antiossidanti che aiutano a ridurre i danni causati dai radicali liberi. Grazie a questo non solo prevengono problemi cardiaci, come l’ictus, ma anche abbassano la pressione. Il vino frizzante viene di solito consumato durante grandi feste di nozze, anniversari, compleanni ed eventi familiari. Inoltre, per molti è difficile immaginare il Capodanno senza le bollicine. È anche un’idea originale per un regalo elegante che andrà bene sia con le portate principali che i dessert.

Per concludere, vale la pena sapere che bere il vino frizzante in moderazione aiuta a mantenere forma impeccabile. Può avere persino la metà delle calorie possedute da altri tipi di vino e, siccome lo beviamo da bicchieri più piccoli rispetto ai vini tradizionali, si riduce anche il volume della bevanda consumata.

Vorremmo augurarvi FELICE ANNO NUOVO in compagna di amici e del vino frizzante italiano!