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La vera ricetta della Carbonara!

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Stiamo parlando di uno dei piatti più famosi della cucina italiana, una vera icona, una bandiera assoluta del Bel Paese, ma anche forse il piatto più massacrato, goffamente imitato e a volte stravolto ai limiti dell’offesa alla nazione: LA CARBONARA.

Le origini di questo piatto sono incerte, esistono diverse ipotesi, la più accreditata delle quali riconduce ad una origine laziale, tuttavia alcune particolarità tecniche nella sua preparazione sono quasi sicuramente riconducibili ad una genesi napoletana della ricetta. Per gli appassionati di cucina italiana ecco le ipotesi più accreditate riguardo la sua origine.

I Carbonari Appenninici

Si racconta che la provenienza del termine, arrivi da un piatto tipico dei carbonari, per la facile reperibilità e conservazione degli ingredienti, tipici della zona. La carbonara sarebbe in questo caso quindi l’evoluzione del piatto detto, cacio e ova, di origini laziali e abruzzesi, che i carbonari usavano portare con loro precotti anche il giorno prima e consumati di solito freddi, con il solo utilizzo delle mani. È importante ricordare come il pepe nero, elemento fondamentale della ricetta, ricordi la polvere del carbone che ci riconduce appunto all’Appennino Laziale.

Ipotesi Angloamericana

La carbonara non viene mai citata nel manuale di cucina romana, pubblicato nel 1930. Il piatto è stato registrato per la prima volta nel periodo immediatamente successivo alla seconda Guerra mondiale , subito dopo la liberazione di Roma nel 1944, quando nei mercatini arrivò il bacon portato dalle truppe angloamericane. Secondo questa versione, sembrerebbe che durante la guerra , i soldati americani in Italia, mescolavano gli ingredienti a loro più familiari e che riuscivano a reperire più facilmente, e cioè uova, pancetta e spaghetti, dando cosi l’idea ai nostri cuochi per la ricetta vera e propria che si sarebbe sviluppata solo più tardi. A favore di questa storia resta il fatto che non esistono tracce documentate con certezza della ricetta prima del 1944.

Ipotesi Napoletana (secondo me la più accreditata)

Un’altra ipotesi ricondurrebbe l’origine della Carbonara alla cucina napoletana unica tra le cucine regionali italiane che usa per condire alcune pietanze tecnica e ingredienti identici a quelli della carbonara. Che consiste nell’aggiunta dopo la cottura di uno sbattuto di uova, formaggio, e abbondante pepe nero con una successiva rapida mantecatura. Questa tecnica, riportata in diversi ricettari antichi e moderni, è tutt’oggi molto diffusa nella cucina napoletana e viene adottata nella preparazione di numerose ricette tradizionali di pasta o carne.

Comunque lasciando perdere le chiacchere, qui di seguito la ricetta considerata “originale” e che dovrebbe servire da indicazione per preparare una Carbonara come si deve, ovvero senza panna!

Ingredienti per 4 persone

Pasta di grano duro (spaghetti o maccheroni) 400 grammi
Guanciale 150 grammi, questo ingrediente difficile da trovare in Polonia può essere sostituito dalla pancetta affumicata, ma i puristi lo considereranno un atto abominevole.
Olio extra vergine di oliva.
4 rossi d’uovo (mi raccomando vogliamoci bene solo uova BIO).
100 grammi di pecorino (se non lo avete potete usare del parmigiano, tollerato ma sconsigliato dai puristi).
Pepe nero macinato fresco.

Come vedete ingredienti e ricetta sono semplici ma purtroppo la carbonara è male imitata in tutto il mondo, per questo sottolineo rigorosamente: VIETATO USARE LA PANNA.

Preparazione: tagliamo il guanciale (o la pancetta) a listarelle e mettiamolo a soffriggere in padella con l’olio d’oliva quando diventa croccante togliamo dal fuoco. Nel frattempo mettiamo a cuocere la pasta che scoleremo al dente, tenendo da parte un po’ d’acqua di cottura, poi facciamo saltare la pasta in padella con il guanciale per insaporirla. Versiamo la pasta in una terrina calda e aggiungiamo i rossi d’uovo ed il pecorino grattugiato, mescolate subito energicamente o l’uovo diventerà strapazzato, nel caso fosse troppo asciutta, ma meglio farlo sempre, aggiungiamo un po’ di acqua di cottura che legherà la salsa dandole cremosità.
Aggiungiamo pepe nero macinato a volontà e buon appetito!

Consigliato (obbligatorio) un buon bicchiere di vino rosso corposo, meglio se dei colli laziali.

Marco Ghia – Akademia Kulinarna Whirpool

Emiliano Castagna e Marco Ghia
Emiliano Castagna e Marco Ghia

La diffamazione in internet Il caso Italia

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Bruno Fiammella

(Pubblicato  sito www.filodiritto.com)  Per citazioni indichiamo anche anche il sito www.fiammella.it)

L’epoca in cui viviamo è caratterizzata da molteplici cambiamenti dettati dalla imperante rivoluzione della cosiddetta information technology. Essa ha condizionato tanto il nostro ” modus vivendi ” da mutare radicalmente i nostri costumi, le abitudini, le nostre condizioni di vita e di lavoro rendendo possibili e fattivamente realizzabili, alcuni comportamenti che, solo dieci anni or sono, erano frutto delle fantasie degli scrittori più audaci.

L’evoluzione causata da questa nuova tecnologia dell’informazione, apre le porte del nostro futuro verso una nuova era cosiddetta “telematica”. Con tale termine si definisce “il metodo tecnologico di trasmissione del pensiero a distanza mediante l’impiego di un linguaggio computerizzato che veicola informazioni automatizzate”; è un’epoca in cui, quindi, i tempi di trasmissione delle informazioni sono immediati.

L’avvento delle nuove tecnologie, le cosiddette autostrade dell’informazione, attestatane ed acclaratane l’utilità e necessità, ha tuttavia aperto la strada a nuove frontiere della criminalità. I diversi strumenti che la scienza pone nelle mani dell’uomo, infatti, possono essere canalizzati in settori spesso differenti da quelli per i quali erano stati progettati e gli stessi obbiettivi da raggiungere, divergono notevolmente dalle intenzioni originarie degli ideatori.

Da tempo ormai la comunità scientifica si sta occupando di quella branca della criminologia che studia e definisce le forme di reato legate alla tecnologia digitale, infatti, come tutti i cambiamenti che la collettività vive, anche le nuove tecnologie impongono ai criminali un processo di adattamento.

In sede di elaborazione di una disciplina normativa che fosse adatta ai nuovi comportamenti criminali, si crearono due correnti in dottrina.

La prima, più innovatrice, riteneva il doversi procedere attraverso la creazione di un capo autonomo del codice di diritto penale avente ad oggetto tutte le nuove disposizioni, costruite ex novo in base alle nuove esigenze, creando quindi una legge organica avente ad oggetto un nuovo bene giuridico, meglio identificato come “bene giuridico informatico”. L’altra corrente, definita conservatrice, sosteneva invece che i beni giuridici da tutelare fossero gli stessi identificati in precedenza e che pertanto fosse sufficiente modificare le fattispecie già esistenti, meglio specificando alcuni comportamenti che, in passato, non potevano essere previsti, dato il livello di cognizione scientifica.

In alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, si è preferita la strada della emanazione di una nuova legge organica; altri, tra i quali l’Italia, hanno invece optato per il metodo evolutivo, aggiornando, con una serie di interventi, la legislazione penale previgente.

La legge 547/93 che nel nostro paese ne è scaturita, costituisce un ibrido in cui parte delle norme sono innovative e parte sono una modificazione parziale di disposizioni già esistenti.

Il problema si pone anche per le fattispecie come quella prevista dall’art. 595 c.p., la diffamazione, oggetto di questo studio, poiché si tratta di norme del codice penale emanate prima dell’avvento della tecnologia informatica. Tali reati, che non hanno subito una modifica con l’ingresso della l. 547/93, possono trovare applicazione anche in relazione alle “nuove” condotte di aggressione, alle nuove forme di attacco al bene giuridico tutelato?

Occorrerà quindi verificare se e come sia possibile che si concretizzino le disposizioni normative già esistenti, cioè nel nostro caso se sia possibile perpetrare, attraverso i servizi messi a disposizione da internet, il reato di diffamazione e constatare, infine, se ed in che modi sia opportuno un intervento legislativo.

L’affascinante mondo della chat ha istituito un nuovo sistema di comunicazione fino a ieri sconosciuto. Il termine “chat” deriva dalla più lunga “Internet Relay Chat“, ovvero dal verbo anglofono “to chat”, che significa appunto “chiacchierare” e la sua traduzione letterale è: “conversazione attraverso Internet”.

Essa consente di coniugare il testo scritto, tipico delle lettere cartacee o della posta elettronica, con la simultaneità del dialogo, fino a poco tempo fa privilegio esclusivo delle comunicazioni telefoniche o radio-amatoriali.

E’ dunque una conversazione fra più utenti, condotta tramite Internet; è particolarmente conveniente in quanto ogni soggetto, collegandosi al proprio server attraverso appositi programmi gratuiti, ha la possibilità di introdursi in una o più aree tematiche di discussione aventi ad oggetto i più disparati argomenti; il tutto sostenendo esclusivamente i costi di una chiamata urbana, quella appunto al “nodo internet” più vicino, e ciò indipendentemente dalla collocazione geografia degli altri partecipanti. La comunicazione avviene in appositi canali o “stanze” che possono essere pubblici o privati, protetti eventualmente da una password, ai quali si può accedere solo dopo un invito esplicito da parte di uno dei cosiddetti operatori “op”.

Uno dei grandi vantaggi offerti dalla comunicazione via computer è la possibilità di entrare in contatto con persone lontane in tempo reale, attraverso il testo che, nello stesso momento in cui viene digitato, è letto dal destinatario o interlocutore.

La possibilità di comunicare in forma privata o pubblica, ha dei risvolti giuridici che non possono essere sottovalutati.

Infatti, in relazione alla comunicazione privata, è chiaro che essa consente il dialogo anche tra soggetti che si scambiano delle informazioni illegali, con l’unica diversità che, rispetto alle comunicazioni telefoniche, questo nuovo universo presenta delle difficoltà oggettive nella individuazione degli effettivi utenti: primo fra tutti il problema relativo alla identità personale degli interlocutori. In chat, infatti, ogni utente utilizza uno pseudonimo o nick – name; a ciò si aggiunge il fatto che, anche qualora si riuscisse a risalire all’IP (numero di protocollo assegnato dal server al momento del collegamento), non è detto che ad utilizzare il computer quel giorno, a quella data ora, fosse esattamente la persona titolare dell’abbonamento di fornitura di accesso ad internet. Potrebbe infatti trattarsi di un familiare, di un dipendente all’interno di una azienda o addirittura potrebbe essere una persona completamente estranea, ad esempio un hacker (o pirata informatico che dir si voglia) che sia riuscito ad interfacciarsi in forma illecita al computer di un altro utente, mascherando la propria identità.

La chat, nella sua minor parte, è pur sempre un ricettacolo di informazioni illecite. La possibilità di celare la propria identità, può senza dubbio avallare il comportamento criminale latente di alcuni individui altrimenti insospettabili.

E’ stato infatti riscontrato che, attraverso la comunicazione in chat, avviene uno scambio di appuntamenti o informazioni relative allo spaccio di sostanze stupefacenti, armi, immagini di pedo-pornografia.

Relativamente a questa analisi, la domanda da porsi è se, attraverso tale strumento, possa essere punita la condotta diffamante di chi divulga informazioni lesive del decoro, onore, o reputazione di un soggetto.

Una volta individuato il canale pubblico di discussione che si ritiene appropriato, vi si può accedere ed è come se ci si trovasse in una stanza o piazza virtuale, in cui ciascun utente è identificato dal proprio nick – name. Si può così dar luogo ad un dialogo, proprio come avverrebbe nella realtà, con l’unica differenza che le parti sono lontane, ciascuna comodamente seduta davanti al proprio personal computer.

Nel caso di affermazioni diffamatorie, quindi, nulla nega che vengano “pronunziate” in pubblico.

L’art. 595 c.p. recita: “Chiunque, comunicando con più persone …”. C’è da chiedersi se il requisito indispensabile della comunicazione possa considerarsi integrato anche quando lo strumento sia quello appunto della chat. Considerando che la comunicazione di cui stiamo parlando è di tipo telematico, cioè una comunicazione “che si giova delle tecnologie informatiche per le telecomunicazioni”, e considerando che con l’entrata in vigore della L. 547/93, le comunicazioni informatiche e telematiche hanno avuto il giusto riconoscimento da parte del legislatore, non sembra si possano muovere eccezioni sulla legittimità di una tutela esplicata anche nei confronti di ogni sorta di comunicazione, avvenuta proprio tramite una delle forme tipiche attraverso cui si esplica la comunicazione telematica, che è appunto la chat.

Possibilità, dunque, di configurare la fattispecie di cui all’art. 595 c.p., anche se le affermazioni avvengono sui canali IRC. Tuttavia, le problematiche verso cui si va incontro sono di tipo processuale, in particolare in sede probatoria. Dimostrare in sede processuale le dichiarazioni diffamatorie intervenute in una chat, causa agli operatori del diritto una serie di nuovi problemi con cui confrontarsi: innanzitutto occorrerebbe uno strumento certo che consenta la registrazione dei file di log della chat, avvenuta nel giorno e nell’ora in questione. Considerando l’ingente mole di lavoro a cui è sottoposto un server, già questa prima richiesta determina un primo oggettivo rallentamento dei lavori; in secondo luogo, occorrerebbe agire per tempo, poiché la denuncia per diffamazione deve avvenire entro novanta giorni dal fatto di reato o comunque dal momento in cui se ne è venuti a conoscenza. Si potrebbe fare una copia del file di log del proprio computer, che tuttavia, potendo essere facilmente modificato da chiunque, non può avere quella rilevanza probatoria che invece necessita. Questo documento potrebbe essere allegato alla denuncia presentata alla autorità giudiziaria, in attesa di ottenere l’autorizzazione ad estrarre copia del file di log direttamente dal service provider.

Altro problema è poi rappresentato dall’anonimato della chat, che, come già esposto in precedenza, renderebbe meno agevole l’individuazione dell’effettivo autore delle dichiarazioni infamanti.

Come si evince facilmente, le procedure diventano senza dubbio più farraginose e meno agevoli, specie qualora non si possegga una competenza ad hoc in materie delicate, come quella del diritto dell’informatica. Si incomincia a profilare la necessità di affiancare agli operatori del diritto, una serie di assistenti dotati di competenze tecniche e di cognizioni giuridiche specifiche nella materia in oggetto.

Conclusioni.

La rivoluzione che stiamo vivendo non è esente da problematiche e dai rischi ad essa connessi. La possibilità, in fieri, data ad ognuno di comunicare con tutti, può trasformare ogni individuo in un veicolo consapevole o meno di informazioni errate, fuorvianti o viziate che possono ricadere su Stati, gruppi o altri singoli.

Ecco perché probabilmente occorrerà tenere sempre ben demarcato il confine tra l’informazione che proviene dal privato, rispetto a quella che scaturisce da un professionista, quale è il giornalista; né si può pretendere che chi esercita tale professione sia sottoposto agli stessi vincoli o doveri, in una parola alle stesse responsabilità, rispetto ad un privato. Appare evidente come le problematiche che internet pone, non sono certamente limitate ai possibili usi illeciti di queste nuove forme di comunicazione. L’attenzione del legislatore andrebbe, in questa fase, rivolta anche ad alcuni importanti aspetti di tipo procedurale, come l’accertamento del fatto di reato, l’individuazione dell’effettivo responsabile e del locus commissi delicti e della possibilità di un concreto intervento, nel caso in cui il sito o l’autore si trovino all’estero.

Il criterio di responsabilità penale personale, la necessità di rispettare il principio di colpevolezza, non possono essere travalicati attraverso una generica e onnicomprensiva ascrizione di responsabilità a tutti i soggetti, che entrano all’interno del processo divulgativo delle informazioni per via telematica. A ciascun partecipe va addotta la responsabilità relativa alla propria condotta, alle proprie competenze, qualifiche ed operato. Ecco perché non possono essere penalmente parificate, sotto il profilo della punibilità, le differenti e variegate forme di responsabilità, relative all’operato del direttore di una rivista, di un service provider, di un utente privato che gestisce in forma personale la propria pagina web.

In conclusione si può affermare che “il progresso non è mai buono o cattivo in sé. E’ l’utilizzo che ne fa l’uomo che può renderlo cattivo”. L’uomo può essere soggetto attivo di un reato, la Rete soltanto uno fra i possibili mezzi.

“MIDWAY – TRA LA VITA E LA MORTE”. IL NUOVO THRILLER DIRETTO DA ITALIANO JOHN REAL, IL MIGLIOR REGISTA RIVELAZIONE 2012, DALL’11 APRILE AL CINEMA

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Il thriller sui fenomeni paranormali “Midway. Tra la vita e la morte” è una produzione italiana di Cinemaset e Real Dreams, co produzioni Romano Film Production & Naide Film. Sicuramente è il genere del film italiano che non avete ancora visto nei cinema. Il suo lato forte sono un ottimo cast dei giovani: Elisabetta Pellini, Salvatore Lazzaro, Riccardo Flammini, Antonella Salvucci, Lara Brucci, Matteo Tosi, Elaine Bonsangue, Tania Bambaci, Elisa Franco e la regia di John Real (Giovanni Marzagalli), come lo descrivono i giornali, “un regista promettente dalla teatralità hollywoodiana”. “Midway” – dall’11 aprile al cinema – tratta dei fenomeni E.V.P. ed è ambientato in un’atmosfera tetra tra nebbia e boschi inquietanti. Non ci mancherà la misteriosità e gli effetti paranormali accompagnati con la musica di un altro talento giovanissimo, Luca Balboni. Uno dei attori romani, Riccardo Flammini, qui nei panni di Mattia, famoso in Italia sia all’estero grazie ai ruoli in “Et in terra pax”, “Tutti i santi giorni”, sitcom francese “La source”, “Falco”e in “My Lair four” così spiega la trama: “Midway” e’ un film che parla di Electronic Voice Phenomena o Fenomeno delle Voci Elettroniche. E’ un Fenomeno Paranormale che riguarda la registrazione su nastro magnetico o su supporti digitali di voci attribuite agli spiriti. Nel particolare e’ la storia di un gruppo di amici che decide di trascorrere un fine settimana in montagna lontano dalla routine urbana. Ma ben presto capiranno che in quel posto c’e’ qualcosa a Meta’ Strada tra il Nostro Mondo e  Aldilà…”.

Palermo sospesa nella storia, tra arte, gastronomia, natura e letteratura

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Quando nella primavera del 2011, appena dopo essermi laureata in Italianistica, mi trovavo per la prima volta in volo verso la città di Palermo, in Sicilia, cercavo con la mia immaginazione di dar forma e colore alle descrizioni che di questo luogo mi avevano fatto alcune persone a me vicine. A pochi minuti dall’atterraggio all’aeroporto di Punta Raisi, intitolato alla memoria dei magistrati antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la mia curiosità diventava incontenibile, e vedere avvicinarsi dall’oblò dell’aereo quel mare meraviglioso, luccicante di riflessi luminosi, accresceva queste mie emozioni. L’aeroporto di Palermo, distante circa 25 minuti di macchina dal centro della città, è delimitato dalle montagne e dal mare, un elemento che nel contempo incanta e dà un brivido ai passeggeri che, fino all’ultimo, temono che l’aereo possa finire in acqua.

Sono arrivata in un giorno di sole, un sole che a queste latitudini è forte e caldo anche in primavera; il clima e la luce presenti al mio arrivo erano molto diverse da quelli che avevo lasciato in Polonia. Da quel momento ho visitato questa città altre tre volte, perché ogni volta che la lascio inizio immediatamente a sentirne la mancanza. Palermo è il luogo perfetto per chi ama l’arte senza tempo e l’architettura più spettacolare, il mare cristallino e le spiagge caraibiche, la gastronomia più gustosa e il calore senza eguali di una metropoli millenaria,  simbolo di una terra che è ancora oggi, a tutti gli effetti, il melting pot delle culture mediterranee: l’isola di Sicilia.

Il modo migliore per godere delle meraviglie che offre questa città è immergersi in essa, lasciandosi alle spalle ogni spiacevole pregiudizio che riguarda la sua storia recente e avendo sempre presente che il cuore di questa metropoli affonda le sue origini nella storia e pulsa da epoche remote.

Palermo fu infatti fondata dai Fenici nel 734 a.C., che la chiamarono “zyz”, il cui significato indicava un “fiore”, probabilmente per via della conformazione del territorio che, delimitato dai fiumi Papireto e Kemonia, assumeva proprio una forma assomigliante a quella floreale. Il suo nome attuale però ha origini greche, Panormos, ovvero “tutto porto”. Palermo forma, infatti, un anfiteatro naturale che ha favorito fin dall’antichità i traffici commerciali non solo dei Fenici, ma anche dei commercianti provenienti dalla Grecia, Cipro e Creta, che affollavano la città. Un simile luogo, così strategico dal punto di vista commerciale, entrò nelle mire espansionistiche di Siracusa e di Cartagine, fino all’arrivo dell’Impero Romano, sotto il cui dominio modificò leggermente il nome, latinizzandolo in Panormus. Dopo la caduta dell’Impero Romano e tre secoli di dominazioni che videro avvicendarsi Vandali, Ostrogoti e Bizantini, la città fu conquistata dagli Arabi nel 831 d.C., tornando a vivere momenti di grande splendore non solo dal punto di vista politico, ma anche artistico. Gli Arabi, che rinominarono Panormus in Balarm, lasciarono in eredità ai palermitani non soltanto migliorie nella tecnica agricola, ma soprattutto un immenso patrimonio architettonico, costituito da oltre trecento moschee e dall’edificazione di interi quartieri. Nel 1072 la città fu conquistata dai Normanni, una popolazione proveniente dalla Scandinavia, sotto la cui dominazione Palermo assunse il suo nome attuale. Io ho avuto la fortuna di visitare il Palazzo Reale, oggi sede dell’Assemblea regionale siciliana, che i Normanni avevano adibito a centro nevralgico del loro potere, una reggia imponente e meravigliosa al cui interno è possibile ancora osservare testimonianze della loro illustre presenza. Una delle cose più incredibili che si possano osservare al mondo si trova proprio in questo castello: sto parlando della Cappella Palatina, una basilica fatta costruire dall’imperatore Ruggero II nel XII secolo, che mi ha lasciata a bocca aperta grazie ai suoi mosaici in oro e pietre preziose e al suo tetto a capriate lignee.

Grazie alla successiva presenza dell’illuminato imperatore degli Svevi, Federico II, la città diventò il centro della cultura e dell’arte mediterranea. Agli Svevi succedettero dapprima gli Angioini e poi i Borboni, mentre nel periodo più recente, Palermo fu teatro di vicende cruciali per l’Unità d’Italia, avvenuta nel 1861 e legate allo sbarco in Sicilia da parte di Garibaldi.

Si potrebbe parlare per ore, forse giorni interi, della storia e delle incredibili ricchezze, tradizioni, record e aneddoti legati a Palermo; la città del “teatro del sole”, delle regge e dei mercati, degli imperatori e degli inquisitori, dei maghi e degli scienziati, dei collezionisti e dei musei, dei giudici e degli assassini; una città d’oro, marmo e polvere, che innumerevoli popoli hanno bramato, conquistato e poi dimenticato. Palermo è questo e mille altre cose ancora, è la città dei pupi e dei cani dormienti, delle chiese bizantine, normanne e barocche, delle strade e dei palazzi in stile Liberty con i loro fornitissimi bar, i cui deliziosi cannoli e i dolci di marzapane hanno stregato visitatori illustri come Wagner e Verdi, Goethe e Maupassant, Nelson e Garibaldi, Van Dyck e Renoir, Coppola e Visconti. Palermo, dalle acque cristalline, è una delle più belle e suggestive città d’Italia, forse quella con più anime al suo interno data la sua natura tradizionalmente cosmopolita, dove è possibile trovare tutto il mondo in una strada e molte lingue in un unico vociare, dove ogni piazza diventa un teatro e ogni vicolo, talvolta, è una casa.

In questo articolo ho provato a descrivervi molto sommariamente non solo com’è Palermo, ma anche cosa è Palermo, partendo dalle origini del suo nome e facendo un elenco delle dominazioni che si sono succedute. Il nostro viaggio in questa città senza tempo proseguirà nel prossimo numero.

Un ricorso storico tirato per i capelli

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Lino Bortolini

“Il Presidente Napolitano ha richiamato in questi giorni i partiti italiani alla necessità di costituire un governo perché la situazione economico-finanziaria dell’Italia è sull’orlo del baratro…

Ha ricordato un simile frangente storico in cui l’Italia si trovò nel 1976 e che, secondo il suo parere, fu superato, per il bene della patria, con un accordo tra democristiani e comunisti, cioè il famoso “compromesso storico” e tra due ideologie che fino a quel momento erano sembrate inconcilibili.

A prima vista la situazione istituzionale attuale sembrerebbe confrontabile con quella del 1976.

In realtà, per chi conosce la storia, il richiamo del Presidente Napolitano non risulta proponibile e anzi, direi, chiaramente mimetizza una valutazione dei fatti di allora che, da parte del Presidente, non ha ancora evidentemente superato un residuo di ideologia e ancora non sembra voler tenere conto delle gravi conseguenze finanziarie, politiche e sociali che comporto’  quel “compromesso storico”.

In pratica Napolitano auspica oggi un accordo, sia pure temporaneo, tra il PD cioè l’ex partito comunista che anche se non è più comunista ha sempre la sua base fondamentale nella Sinistra, comprendente pure qualche frangia estrema, ed il PDL di Berlusconi che è partito di Destra, perché si possa superare la grave crisi economica che attanaglia il paese ed è accentuata come nel 1976 da una situazione di stallo nella lotta tra partiti che tutti dichiarano di aver vinto le ultime elezioni ed in realtà non riescono a fare un governo e dare al paese quelle decisioni urgenti che servono.

La storia che portò al compromesso storico è questa: dal 1969 al 1974 si susseguirono in Italia cinque governi guidati sempre dal democristiano Mariano Rumor e sostenuti da tanti piccolo partiti ad esclusione dei comunisti e degli ex-fascisti. Ogni nuovo governo era stato intramezzato da una quasi paranoica campagna elettorale della durata di 6 mesi in cui lo stesso governo non poteva governare.

La lira era intanto precipitata in una inflazione spaventosa ed il debito pubblico schizzato alle stelle perché dopo la Guerra israelo-araba del 1973 il petrolio era raddoppiato di prezzo e le nostre industrie manifatturiere, come tutto il mondo, ne erano uscite fortemente penalizzate.

I partiti discutevano di spartizioni macchiavelliche di potere negli apparati burocratici, nelle grandi aziende di Stato, nella Sanità, nelle Ferrovie, Poste, di appalti e della legge sul divorzio, ma non affrontavano mai i problemi della gente, dei salari degli operai, delle riforme della scuola, delle tasse.

Nel novembre del 1974 Moro riuscì a mettere insieme un governo cosiddetto monocolore DC perché formato esclusivamente da ministri democristiani, sostenuto in precario equilibrio da tutti i partiti esclusi sempre quello comunista ed ex-fascisti. Durerà un anno senza poter concludere riforme.

Nel febbraio del 1976 nasce un altro governo Moro che si dimette ad aprile dello stesso anno.

In luglio Andreotti realizza il compromesso e forma un governo con l’appoggio dei comunisti.

Ha avuto l’assenso del Vaticano, la promessa di Berlinguer, segretario del partito comunista, che anche quel partito aderiva al Patto Atlantico e non più a quello di Varsavia, ha concesso tutta una serie di aumenti ai funzionari statali, soprattuto incistiti nei Ministeri Romani, per garantirsi voti futuri.

Avvia l’emissione di buoni del Tesoro che saranno accaparrati subito principalmente dalle banche e dagli stessi partiti con i soldi provenienti dale tangenti e dallo scandalo petroli che si sviluppa in maniera parossistica proprio dal 1976 al 1979 con una perdita per il fisco di circa 2.000 miliardi in tasse sottratte allo Stato.

Per contro i partiti si attribuiscono finanziamenti pubblici enormi con i quali acquisteranno mediante prestanomi molti immobili e si approprieranno di attività imprenditoriali sottraendone i profitti ai privati fino alla paradossale situazione attuale in cui molti veri imprenditori non riescono più a fare impresa se non sono legati a qualche partito. Molti, troppi hanno dovuto farsi raccomandare e pagare tangenti per avere autorizzazioni amministrative, appalti, commesse…

Pur nella disastrosa situazione economica, che peraltro si ripete come nel 1976 solo per la gente comune e non per chi sta nella stanza dei bottoni, si notano oggi tra i due principali schieramenti, attualmente opposti, notevoli differenze rispetto a quelle verificatesi all’epoca del compromesso:

– Il partito comunista di allora era alla fame, mentre Il PD di oggi è il più ricco partito d’Italia.

– la Democrazia Cristiana di allora dominava l’economia ed era egemone nella burocrazia statale.

– il partito comunista di allora cercava ossigeno attraverso i sindacati mentre oggi ha in mano tutti i consigli di amministrazione delle più grandi banche, degli Enti di Stato, della Sanità. Gestisce le lotterie e le sale giochi, nonché tutto il mondo-sistema delle cooperative cosiddette rosse…

– il PDL di Berlusconi, pur vantando l’esigenza di creare lavoro attraverso nuove importanti opere pubbliche, come tutti i cosiddetti partiti liberali persegue più interessi di natura privatistica pperché intravede, e spesso giustamente, nella burocrazia statale un intralcio alle iniziative delle imprese gravate da un crescendo incomprensibile di adempimenti obbligati e di tasse, nonché ostacolate da un mal funzionamento della Giustizia che trascura del tutto le cause civili e non riesce a erogare sentenze contro i criminali che ormai hanno reso ovunque insicura la vita dei cittadini.

In sostanza nel 1976 Andreotti realizzò il compromesso storico aprendo la borsa ai comunisti che, avendo vinto le elezioni amministrative in molti comuni, avevano bisogno di finanziamenti, dando il definitivo benestare nella gestione delle cooperative rosse, chiudendo un occhio sulle provvigioni che il partito incassava nelle importazioni di bestiame e di petrolio dai paesi dell’Est:

Ottenne in cambio una tregua sindacale nelle fabbriche e una tregua dalla cosiddetta “magistratura rossa”, almeno come condizionamento psicologico, nelle inchieste sui numerosi scandali che lo vedevano all’epoca già coinvolto, cioè l’Italcasse, Sindona, lo Scandalo Petroli, la P2 ecc.

Nel 1976 l’Italia era un paese comunque in espansione, godeva di larga fiducia o almeno interesse politico all’estero, trovava investitori stranieri, dava scienziati, tecnici specializzati, inventori.

Oggi abbiamo un’Italia con debito pubblico difficilmente superabile, un’Italia sfiduciata dalla politica, senza soldi e senza prospettive sicure a causa sì di un mondo che è cambiato, ma soprattutto della devastazione provocata negli ultimi decenni nel tessuto sociale dall’inerzia dei partiti.

Altro che compromesso tra due partiti superati. Ora ci vuole un ricambio generazionale nella gestione del tessuto pubblico. Abbiamo migliaia di giovani laureate da inserire con idee creative con capacità di analisi e di programmazione…largo ai giovani.

Invece in questi giorni vediamo un Bersani incerto che evidentemente dice che vuole fare solo il bene dell’Italia e invece nasconde la evidente preoccupazione di una parte dei suoi alla domanda su come e dove andranno a finire i proventi delle cooperative rosse quando dovesse vincere Renzi.

Abbiamo un Berlusconi che dice di voler tornare a casa, ma non molla la possibilità di gestire direttamente il suo partito perché non riesce a pensare come andrà a finire il suo impero televisivo e come andranno a finire i processi intentati contro di lui se dovesse lasciare la politica.

Nel 1976 la crisi economia veniva malcelata dai partiti dietro le notizie relative ai crimini delle BR e dietro le discussioni sul divorzio e le tensioni ideologiche.

Oggi non c’è più nulla da discutere, siamo immersi nei debiti e ne avremo…per sempre!

Il compromesso invocato da Napolitano per salvare le Istituzioni, purtroppo, agli occhi della gente, oggi ha un solo significato: i vecchi politici vogliono garantirsi le poltrone ed i privilegi e, peggio, vogliono garantire un posto ben remunerato ed una pensione d’oro anche ai loro vecchi amici defenestrati che occupano spesso senza averne competenza poltrone di prestigio o inventate.

Un unico pensiero nessuno può dimenticare, riferito all’anno 1976: “[…] il “compromesso storico” provocò la deviazione dei Servizi Segreti e scatenò le BR”.

Anche stavolta un accordo di governo, sia pure solo programmatico e a breve scadenza,

se fallisse in economia potrebbe scatenare una nuova guerriglia, stavolta non ideologica e nemmeno dichiarata, ma altrettanto sanguinosa. Forse non tanto sanguinosa in termini di vittime delle armi, sicuramente in termini di povertà. Abbiamo già visto quanti suicidi.

Molti potrebbero avviarsi a proteste di piazza e chissà in cos’altro, visto che la protesta si è affacciata ormai anche in Parlamento.

Intreccio di amicizia e amore (Parte 1)

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Joanna Ewa Janusz

Mi trovavo quell’estate, come tutti gli anni, in vacanze in un posto al sud della Polonia sul lago Ro?nowskie vicino a Nowy S?cz, nome difficile da pronunciare “Zbyszyce”, un posto però che ha segnato il percorso di tutta la mia vita. Com’è abitudine nella mia famiglia, allora ancora composta di tre figli adolescenti, due fratelli ed io, stavamo prendendo il caffè quando dalle finestre vediamo entrare nel cortile della parrocchia 4 persone, di cui tre erano vestiti da “stranieri” con un prete polacco che avevamo conosciuto anni or sono. Mio papà entusiasta alla vista degli ospiti, si affaccia dalla finestra della casa parrocchiale e guardando le scarpe degli arrivati, indovina immediatamente la loro provenienza, salutandoli con un italiano perfetto: “Benvenuti Italiani”. Tutti quanti rimangono sorpresi dalla accoglienza fatta in italiano e si fermano sbalorditi. Ci affrettiamo per capire il motivo della visita e il prete ci fa capire che i suoi amici si trovano in Polonia per cercare le orme del lontano antenato della signora Mariadele. La conversazione si fa sempre più animata tra mio papà e Aroldo, il marito della signora, come se i due si conoscessero da sempre. Tutti quanti per fortuna parliamo qualche lingua straniera e cerchiamo di fornire più informazioni possibili sul posto dove ci troviamo. Non posso dimenticare e non ricordare il caro prete Jan che a tutti costi voleva dare le spiegazioni sulla chiesa sia in italiano che in latino con qualche parola in inglese. Pian piano ci incamminavamo verso la chiesetta antica di stile barocco e non smettevamo di chiacchierare con delle persone meravigliose con una grande conoscenza della storia del mio paese. Essendo anche mio papà appassionato di storia, la scintilla di reciproca intesa tra i due scatta a tal punto da scambiarsi gli indirizzi per poi far evolvere il nostro incontro casuale di Zbyszyce in un qualcosa che durerà nei tempi. Il tempo scorre come in una favola con un lieto fine ma più che fine l’inizio di una amicizia profonda. Meno male che ho il papà che ama tenere la corrispondenza, un romantico polacco, oserei dire. Non solo un medico ma un poeta di passione con un grande amore per la storia del suo paese. Così dopo un anno di scambio regolare di corrispondenza con Aroldo che ci lasciava senza parole ogni volta che ci scriveva le sue lettere (poi scopriremo che Aroldo a parte essere un professore, è anche uno scrittore), progettiamo il primo viaggio a Lecco da un invito così caloroso dei nostri amici italiani.

Preparativi su preparativi e l’emozione di conoscere tutta la famiglia degli amici di Lecco. Erano ancora tempi bui in Polonia dopo il crollo del muro di Berlino ma siamo ottimisti nell’attraversare le frontiere. Intanto i mesi passano e arriva il fatidico giorno di agosto in cui saliamo in una macchina piena di bagagli e partiamo. La strada è stata tracciata da mia mamma molti mesi prima che pensava sarebbe stata la via più breve e più sicura per arrivare a Lecco, compresa la consulenza addirittura di un ex soldato che aveva fatto nel passato tanti viaggi.

Le prime ore di viaggio scorrono come niente fosse senza troppi problemi alle frontiere, tranne qualche controllo di routine, ahimè, e pensiamo di pernottare in un paesino austriaco non lontano dalla frontiera con l’Italia, ormai vicina. Tutto ci sembra irreale sia a noi adolescenti, usciti per la prima volta dai confini della Polonia, che ai miei genitori con mia mamma super autista e mio padre preoccupato. Arrivati sul posto, verso le ore serali, troviamo un motel dotato di tutti comfort e piscina con un splendido paesaggio montuoso in campagna in stile “bavarese”. Dormiamo esausti dopo la prima tappa del viaggio e emozionati  al pensiero di rivedere il giorno dopo tutta la famiglia di Mariadele e Aroldo.

Al mattino seguente, dopo una buonissima colazione, ripartiamo ormai fiduciosi nella fine imminente del viaggio. Purtroppo all’arrivare ai piedi del Passo dello Stelvio, il buon umore all’improvviso svanisce e tanta paura ci assale a vedere la cima e la strada montuosa che si snoda fino alla fine della cima lontana e irraggiungibile. Mio papà ci impauriamo e vogliamo rinunciare, mentre mia mamma ottimista di natura con i miei fratelli non si arrendono e andiamo avanti. Guardiamo in alto ma la strada sembra non avere fine. Vediamo gli altri autisti tranquilli. Con la nostra Audi grande viaggiamo sulle curve piccole di un passo, uno dei più alti in Europa. Ci stiamo rendendo conto che la via scelta con grande cura sulla cartina analizzata da tante persone sembra non sia stata interepretata correttamente. A fatica arriviamo in cima ma non è finita. Sentiamo il fresco della montagna con l’immagine indimenticabile del posto infernale ma bello. Iniziamo a scendere poco alla volta, sollevati, quando all’improvviso i freni della nostra Audi smettono di reggere. Sento la brusca frenata di mia madre e il suo rifiuto, per la prima volta, di procedere. La Provvidenza che ci guidava nel corso di tutto il nostro viaggio non ci fa rimanere a piedi, neanche ci accorgiamo e c’è una famiglia italiana che prende l’iniziativa. Il marito determinato sale sulla nostra macchina ed accompagna mio padre e i miei fratelli quasi fino a Bormio, mentre io e mia madre saliamo sulla macchina dei nostri soccorritori guidata da una coraggiosa signora. La signora ci fa capire che la tecnica per scendere dalla montagna esiste e non bisogna lasciarsi prendere dal panico.

Arriviamo a Bormio di notte, non manca molto a Lecco. Avvisati della nostra avventura i nostri amici lecchesi, ripartiamo. Tante gallerie ci accompagnano fino a Lecco. L’aria tiepida ci fa capire che siamo di nuovo in pianura. Arriviamo a Lecco alle 2 di notte ed i nostri amici, nonostante l’ora, ci attendono svegli a braccia aperte. Che bello vedere Lecco alla luce dei lampioni e la gente serena che cammina sul lungo lago che a vederci, gridano amichevolmente: Ciao Polacchi, Papa Wojty?a, “Solidarno?? evviva”. Che accoglienza dopo le vicissitudini sullo Stelvio. Ancora un momento e siamo in via Roma dai nostri cari che svegli nella notte vogliono darci un benvenuto caloroso. Mariadele con la cena pronta ma io emozionata non riesco mangiare, tutto sembra incredibile. Di notte non chiudo occhio. L’afa per noi sconosciuta ci impedisce a dormire. Un caldo che non abbiamo mai provato. La mattina seguente sentiamo il fruscìo piacevole di casa e lo squillare del telefono ininterrottamente . Ci svegliamo sereni con Mariadele che si assenta dal lavoro per stare un po’ con noi. Si sente l’odore del buon caffè italiano e la lingua italiana che mi fa nascere il desiderio di apprenderla il prima possibile almeno così come lo sa mia nonna paterna. Nella mia famiglia da parte di mio papà, tutti quanti parlano italiano per merito della nonna Krystyna. La nonna che nel passato ostacolata da varie difficoltà politiche e tecniche è riuscita nonostante tutto a trascorre un po’ di tempo in Toscana ed Umbria e studiare italiano presso l’Università di Perugia per Stranieri. Il mio desiderio viene captato da Aroldo che mi fa conoscere l’Università di Bergamo con la facoltà di Lingue e Letterature Straniere. Allora mi mancavano ancora due anni all’esame di maturità ma il pensiero di poter studiare e laurearmi a Bergamo mi aiuta nell’apprendimento dell’italiano. Dopo due settimane trascorse con i nostri amici sul lago, uno dei più belli che si possa immaginare, e con il carico di nozioni sulla storia di Lecco e dei dintorni, ritorniamo in Polonia. So già cosa scegliere dopo il liceo. Poco tempo prima ero ancora indecisa tra medicina e musica ma ora so che voglio studiare le lingue in Italia, a Bergamo. Inizia un duro lavoro quotidiano in cui affronto inizialmente con l’aiuto di papà, la grammatica italiana. Ho solamente due anni per preparami all’esame di ammissione all’università ma l’idea di poter compiere gli studi a Bergamo con l’aiuto dei nostri cari amici, mi dà le ali. Non mi arrendo neanche di fronte al congiuntivo che mi spiazza un po’ ma vengo aiutata dalla nonna. Purtroppo le difficoltà per poter sbrigare i documenti per fare la domanda di ammissione all’università, ci scoraggiano ma Aroldo ci aiuta con il suo intervento presso l’ambasciata. A quei tempi era fondamentale l’invito dei cittadini italiani per poter andare in Italia. Così iniziamo le pratiche ufficiali e il mio sogno si sta avvicinando ma forse neanche mi sto rendendo conto di cosa sto per fare. Studiare all’università italiana con la mia conoscenza vaga dell’italiano studiato da sola. Un altro momento di difficoltà a livello burocratico ma entra in scena mamma, allora appena dopo aver partorito il mio terzo fratellino. Chiama l’ambasciata di Warszawa di persona. Posso fare l’ultimo viaggio a Warszawa e questa volta è l’ultimo il viaggio per ritirare il documento mancante  necessario per l’università di Bergamo. Nel frattempo siamo sempre in contatto amichevole con i nostri amici. Certo nella mia mente sorgono dei dubbi se me la caverò e naturalmente subentra la paura della lontananza ma io non mollo il mio sogno. Voglio studiare a Bergamo. Poter formarmi in Italia come una volta lo facevano i miei compatrioti durante il periodo di Rinascimento mi rende predisposta a sopportare tutto. Arrivo presto all’esame di maturità e poi il fatidico settembre. Partiamo per Bergamo io, papà e Aroldo ed io e fra poco potrò sostenere l’esame. Ho studiato tanto, ogni giorno ripassavo tutto quanto ma sento altri candidati stranieri davanti alla porta che parlano italiano in maniera libera e disinvolta. “Cosa ci faccio qui, mi domando tremante”. Danno meno di  dieci posti per i candidati dall’estero. Invece al momento dell’esame, l’emozione cala e sento che rispondo a tutte le domande del professore. Inizio sentire più sicurezza e convinzione. Finito l’esame sento le parole: “Vada in segreteria per informarsi cosa occorre per fare l’iscrizione”. Non mi sembra ancora vero il buon Aroldo è sorridente e fiducioso. Così, dopo due mesi circa, arrivo da sola con un pullman dalla Polonia per iniziare una sfida grandissima che mi sono scelta io. Aroldo mi attende alla stazione e poi ci rechiamo a casa con il treno. (prima parte – continua nel prossimo numero)

 

Tricologia- la scoperta della cosmetologica industria italiana

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Magdalena Radziszewska

L’Italia senza dubbi può essere chiamata la culla di bellezza. E questa volta non dico di bellezza dei paesaggi , dell’architettura oppure di marchi italiani di fama mondiale o di design italiano, apprezzato in tutto il mondo. L’Italia è  il posto, in cui si è diffuso molto il campo di cosmetologia, cioè il settore di dermatologia che si occupa del trattamento e della cura di pelle.  Proprio lì, in Italia,  è nato sempre poco conosciuto, ma estremamente interessante, un nuovo ramo della scienza – Tricologia, la cui essenza  vorrei presentarVi.

E’ un nuovo campo della scienza in via di sviluppo ,dal confine tra medicina estetica e dermatologia. Si occupa di tutti i casi di caduta di capelli, il che si rivela un disturbo sempre più frequnte in tutto il mondo. La fonte di un problema del genere si dovrebbe rintracciare sia nel tessuto di salute che in condizioni nocivi in cui viviamo. Al gruppo di fattori più frequenti che causano dei problemi con la cute  e la caduta di capelli appartengono l’ambiente inquinato, lo stress ed anche la radiazione trasmessa dai PC e cellulari. A chi è alle prese con i problemi “sulla testa”  si raccomanda una dieta speciale, ricca di pesci di mare, noci, mandorle, I noccioli delle zucche, carne rossa e latticini ed uova.

Tutti i fattori dannosi, sia della salute che quelli ambientali, fanno sì che il sangue nella cute  circola più lentamente e nel conseguenza i pori piliferi diventano “ addormentati” . Li si può svegliare solamente fornirli con adeguate sostanze nutrive .

Lo precursore della tricologia era Enzo Formentini, un professore dell’Università di Bologna che durante la ricercha di metodi alternativi della cura di malattie della cute ha scoperto metodi efficaci nel trattamento di questi disturbi.

Professore Formentini, basandosi ad ingredienti naturali, ha creato dei prodotti comprendenti, fra l’altro, acidi di frutta, proteine, minerali ed essenza d’erbe che creano assortimenti di sostanze attive, scelte individualmente per ogni tipo della malattia.

Il fine di Tricologia è il riconoscimento di causa e di tipo di malattia che si identifica con l’aiuto di una microcamera. La cute ed i pori piliferi vengono osservati  due cento volte maggiori. Nel caso di asserzione anche dei più piccoli sintomi della malattia nei pori piliferi, viene applicata una cura che è un’unione di interventi di Tricologia ed un trattamento medico.

Fondata dal professore Formentini, Tricologia pian piano si diffonde anche In Polonia. In città maggiori, come Varsavia, Cracovia o Poznan, è stata creata già qualche clinica di Tricologia e l’interessamento di questo nuovo ramo della scienza aumenta sempre. Tricologia è un metodo estremamente efficace  nella battaglia con malattie della cute e con la caduta di capelli. Succede spesso che una cura riuscita permette a un paziente evitare l’uso dei metodi più radicali, come per esempio un trapianto di capelli.

Per quanto riguarda farmaci e cosmetici usati durante cure di Tricologia, primeggiano prodotti spagnoli ed italiani. In generale, l’industria estetica in Polonia prende gusto soprattutto a  ben conosicute ed apprezzate da consumenti marche italiane, come per esempio Sweet Skin System, Sculptura o Sweet Skin Solar. Esistono anche delle aziende, come fondata nel 1997 ‘Italian Beauty’, che si occupano esclusivamente d’importazione di prodotti delle migliori aziende italiane nel mercato cosmetico in Polonia.

Devo ammettere che la frase “Bella Italia” adesso mi sembra  giusta come mai prima!

Moje wspomnienie maestra Franco Califano

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Matteo Mazzucca

Poznaliśmy się w jednej z rzymskich restauracji, kiedy miałem 20 lat. Moi przyjaciele zaprosili mnie na kolację i w ten sposób usiadłem przy stole ze słynnym piosenkarzem i autorem teksów – Franco Califano.

Franco od razu zrobił na mnie wrażenie swoją prostotą i szczerością. Sympatyczny, o zawadiackim spojrzeniu, ale bardzo szczery. Kiedy go poznałem miał 60 lat, ale wydawało się jakby przeżył ich co najmniej 120. Właśnie dlatego był nazywany „Maestro”. Oprócz tego, że był wielkim artystą, Franco był także człowiekiem o ogromnym doświadczeniu życiowym.

Tego wieczoru, w trakcie kolacji, miałem możliwość długo rozmawiać z Franco. Uwielbiał zawierać przyjaźnie z młodymi ludźmi. Był otwarty. Ja wtedy byłem jeszcze studentem i niewiele wiedziałem o życiu. Spotkanie z Franco Califano z pewnością było dla mnie decydujące. Jego muzyka od zawsze mnie inspirowała i to właśnie dzięki niemu i jego radom postanowiłem zostać piosenkarzem.

Franco Califano był nie tylko wielkim artystą i autorem piosenek, ale także znanym playboyem rzymskiego Dolce Vita. Był autorem tekstów pięknych piosenek, napisał takie hity, jak: „Un grande amore e niente più”,dzięki któremu Peppino Di Capri wygrał festiwal Sanremo, „Minuetto” dla Mii Martini, „Un’estate fa” dla Miny, „La musica è finita” dla Ornelli Vanoni oraz „E la chiamano estate” dla Bruna Martino. Ostatnio współpracował także z Negramaro i z Federico Zampaglione (Tiromancino).

Franco Califano zmarł 30 marca 2013, mając 74 lata.

Tak, jak mówi tekst jednego z jego utworów „Un tempo piccolo”, Franco przyszedł na świat „pod gwiazdami”. Tak to właśnie mamie Franco, będącej na pokładzie samolotu, który przelatywał nad niebem Tripoli, odeszły wody i samolot musiał nagle wylądować, aby pozwolić przyjść na świat małemu Franco.

Lubię myśleć, że odszedł w takim sam sposób, jak przyszedł na świat: z nieba.

W jednym z ostatnich wywiadów zapytano go: „Jeśli twoje życie skończyłoby się teraz, co byś powiedział?”. Franco w odpowiedzi zacytował tytuł jednej z swoich piosenek: „Non escludo il ritorno” (Nie wykluczam powrotu).

Ciao Franco!

Il seminario “GREEN ENERGY FOR AERONAUTIC AND AUTOMOTIVE APPLICATIONS”

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Il 17 aprile 2013, l’Istituto di Aviazione di Varsavia

 L’importanza dello sviluppo sostenibile, in particolare dell’uso di fonti energetiche alternative a basso impatto ambientale, è stato uno dei temi principali di un seminario italo-polacco, tenutosi il 17 aprile 2013 all’Istituto di Aviazione ed organizzato dall’Ambasciata della Repubblica Italiana, dall’Istituto Italiano di Cultura e dall’ICE.

 Sono stati presentati i risultati delle recenti ricerche effettuate dagli scienziati italiani e polacchi relative alla varietà delle fonti di energia e al suo possibile utilizzo in vari veicoli. Si tratta soprattutto di soluzioni tecnologioche che utilizzano l’idrogeno, l’energia solare, i biocarburanti, i motori elettirci o di ultima generazione, alimentati da gas naturale.

 Il seminario è stato inaugurato da sua eccellenza l’Ambasciatore d’Italia in Polonia, Riccardo Guariglia; dopo i discorsi di apertura del direttore dell’Istituto di Aviazione, ing. Witold Wi?niowski e del direttore dell’ICE a Varsavia, Giuseppe Federico, sono state presentate le tecnologie per le diverse soluzioni di alimentazione del motore. Quest’argomento è stato sviluppato dal professore Giulio Romeo del Politecnico di Torino, dall’ing. Krzysztof Drabark del Politecnico di Varsavia e dall’ing. Zbigniew P?gowski dell’Istituto di Aviazione.

 La sessione è terminata con il discorso del direttore IVECO Polska, ing. Piotr Wójcik, che ha dato testimonianza all’impegno dell’IVECO, grande gruppo industriale europeo nel settore automobilistico, nell’ambito del duetto “Ambiente e Economia”, del gruppo che offre una vasta gamma di veicoli alimentati a gas naturale.

 Ha avuto un’importanza rilevante la presentazione del prof. Giulio Romeo sulla realizzazione del primo aereo in Europa e nel mondo che, alimentato da idrogeno, in grado di non inquinare l’ambiente. Il progetto che è stato finanziato dalla Commissione Europea e coordinato dal prof. Giulio Romeo è terminato con dei test positivi per gli aerei di nuova costruzione.

 L’esperienza e le ricerche del Politecnico di Varsavia, rappresntate dall’ing. Krzysztof Drabark, hanno illustrato il successo di un motoaliante con un motore elettrico senza emissioni di CO2, che nel 2012 ha superato i test per gli aerei di nuova costruzione.

 Infine l’ing. Zbigniew P?gowski dell’Istituto di Aviazione ha elencato le conseguenze dell’uso della tecnologia dei biocarburanti nel settore automobilistico e aeronautico.

 Il seminario ha radunato ben 50 rappresentanti delle istituzioni e delle aziende del settore aeronautico e automobilistico, scienziati, ingegneri e i media degli entrambi i Paesi.

Il ghetto di Varsavia, 70 anni dopo

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Leonardo A. Losito

L’inaugurazione a metà aprile a Varsavia di quello che probabilmente sarà il più importante museo ebraico d’Europa, coincide con il 70° anniversario dello scoppio dell’insurrezione del ghetto di Varsavia (19 aprile 1943), che storicamente rappresentò il primo episodio europeo di resistenza armata alle forze armate naziste. Le polemiche sulla memoria non sono mai mancate: i negazionisti ancora si accaniscono (specie nell’Iran degli ayatollah, ma non solo lì) a smentire la stessa esistenza dell’Olocausto ed a considerare la sanguinosa repressione nazista della rivolta del ghetto (conclusasi un mese dopo con la distruzione del quartiere ebraico ordinata dal generale Stroop delle SS) come una semplice operazione di polizia.

In questi giorni, si discute a Varsavia sulla proposta del governo Tusk di erigere accanto al museo ebraico appena inaugurato, un memoriale per i giusti fra i non ebrei: quelli che anche a costo della propria vita tentarono, spesso riuscendoci, di salvare molti ebrei dalla Shoah. La stessa Comunità ebraica appare divisa su questo argomento. Alcuni autorevoli esponenti ritengono che non sia questo né il luogo né il momento più opportuno per ricordare il pur innegabile eroismo di circa seimila polacchi, accanto al museo della millenaria esistenza ebraica, nella ricorrenza della distruzione del ghetto. Altri invece sostengono che sia non solo lecito, ma addirittura opportuno riconoscere un monumento ai giusti polacchi: specie in un momento in cui un po’ dappertutto in Europa i nazionalismi e le tensioni antisemite riacquistano virulenza.

La questione è estremamente complessa, anche perché si tratta di accostare sensibilità ed esigenze di profonda diversità sia storica che concettuale, su cui è difficilissimo applicare dei criteri di condivisa ed oggettiva analisi valoriale. Non tutti i polacchi erano (e sono) ostili agli ebrei, e questo è un fatto. Altrettanto innegabile è però che frizioni, incomprensioni e pregiudizi a carico degli ebrei siano ancora diffusi nel tessuto sociale polacco. Nella sola Varsavia, una recente rilevazione a campione fatta effettuare dalla locale Comunità ebraica tra 1250 studenti di età liceale, mostra che ben oltre il 40% degli interpellati non vorrebbe avere compagni di classe o vicini di casa ebrei. La percentuale sale poi al 60% per coloro i quali non li vorrebbe avere come partner sentimentale. E ciò che preoccupa è che sono dei giovani ad esprimersi in tal senso.

E in Italia, per fare un altro esempio, cosa si legge sull’argomento? Non c’e’ dubbio che non manchino pubblicazioni serie e rigorose per onestà di contenuti. Case editrici come La Giuntina di Firenze, Sellerio ed altre hanno un catalogo fornitissimo e mirato sulla questione complessiva dell’ebraismo, con titoli di tutto rispetto. Accade però anche che una casa editrice genovese di dichiarato orientamento apologetico su fatti e figure del nazismo, pubblichi senza che nessuno ne abbia mai fatto un problema l’unica edizione acriticamente disponibile in italiano del rapporto del generale Stroop delle SS (quello che scrisse trionfalisticamente ad Himmler che A Varsavia non esiste più un quartiere ebraico), con un’altrettanto ignobile prefazione dell’ineffabile negazionista francese Robert Faurisson.

Lo stesso, per intenderci, ospite d’onore ed acclamato maitre a penser delle periodiche adunate antisemite ed anti-israeliane del Presidente iraniano Ahmadinejad, che puntualmente ne magnifica le teorie e gli scritti: in base ai quali le camere a gas e l’Olocausto sarebbero un’invenzione propagandistica della stampa filo-israeliana; o che non sarebbero mai stati sterminati dai nazisti 6 milioni di ebrei: ne morirono, sì, circa 500.000, ma per cause che andrebbero — stando a quanto farnetica monsieur Faurisson — dalla durezza dei campi di lavori forzato, alle epidemie di tifo o ai bombardamenti degli anglo-americani sui campi di concentramento.

In Italia, dove il tema dell’Olocausto è diventato un argomento piuttosto popolarizzato a mezzo blog dalle infauste dichiarazioni di un leader neoqualunquista come Beppe Grillo, ci tocca solo aspettare l’uscita di una versione critica che sia filologicamente ineccepibile del Rapporto Stroop. Come ad esempio è quella pubblicata in Polonia nel 2009 per conto dell’IPN (l’Istituto della Memoria Nazionale), con un solido apparato di note e di bibliografia, curata da un valoroso studioso come Andrzej Zbikowski dell’Istituto Storico Ebraico, oggi diretto da un ex parlamentare ed apprezzato opinionista quale il Prof. Pawel Spiewak.

In attesa che qualche germanista nostrano avverta l’esigenza di colmare questa inspiegabile lacuna, il lettore italiano che voglia informarsi su quanto avveniva esattamente 70 anni fa nel ghetto di Varsavia raso al suolo (Sinagoga grande compresa) ad opera dei nazisti, potrà comunque leggere la traduzione dal polacco di Il ghetto di Varsavia lotta pubblicata per la prima volta nel 1945 da Marek Edelman, il ventiseienne vice comandante della ZOB (l’organizzazione ebraica di combattimento di cui facevano parte 220 intrepidi ragazzi e ragazze: il più giovane, Jurek Blones, aveva appena 13 anni).

L’autore della traduzione del testo di Edelman, uscita a marzo dell’anno scorso a Firenze, è Wlodek Goldkorn che ha teneramente dedicato questa pubblicazione ai suoi giovani nipoti, Arturo e Pietro; è il caporedattore culturale dell’Espresso; sull’argomento ha al suo attivo diversi titoli ed articoli. E mi ha promesso che per questo anniversario verrà a Varsavia: per testimoniare a chi ne dubitasse che l’Italia che scrive e che legge non ha dimenticato questa tragica, ma al tempo stesso esaltante, pagina di storia.