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Home Blog Page 321

Upomnę się u człowieka o życie człowieka

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Jedynie ten kto jest dawcą życia, ma prawo też je odebrać. W Księdze Rodzaju Stwórca wyraźnie przypomina tę prawdę każdemu, kto uzurpuje sobie władzę panowania nad życiem: „Upomnę się też u człowieka o życie człowieka i u każdego – o życie brata” (Rdz 9, 5).

„Prawo do życia jest fundamentalnym prawem człowieka, na którym wyrastają wszystkie jego pozostałe prawa”. Tymi słowami zaczyna się dokument, w którym biskupi polscy wypowiedzieli się na temat poszanowania życia ludzkiego i życia dziecka. Już sam tytuł – O wyzwaniach bioetycznych, przed którymi stoi współczesny człowiek – zdradza, jak trudna jest to kwestia dla dzisiejszego społeczeństwa, które często ma różne zdanie na ten temat. Jako bezpośrednią przyczynę tego dramatycznego podziału opinii podaje się „brak wrażliwości na wyjątkowość oraz wartość każdego ludzkiego życia”, czego następstwem jest relatywizm przejawiający się w mentalności „bezwzględnego panowania silniejszych nad słabszymi, dorosłych nad nienarodzonymi, zdrowych nad chorymi”.

Na głos hierarchów w kwestii obrony życia wierni długo czekali z nadzieją, a o ich wielkim zainteresowaniu świadczy fakt, że w miesiąc po ukazaniu się dokumentu, pojawił się on jako dodatek do jednego z najpoczytniejszych tygodników opinii w kraju. Tym samym dostał się pod dachy polskich domów, co stworzyło okazję, by wzrosła świadomość społeczeństwa na temat trudnych zagadnień takich jak aborcja, eugenika czy też metoda zapłodnienia in vitro.

Dotychczas rozmowy na temat zagadnień bioetycznych najgłośniej toczyły się w mediach, podlegając wielu uproszczeniom lub przekłamaniom. Obecnie, z wielką korzyścią dla treści merytorycznej, debata przenosi się na grunt naukowy. Tutaj właśnie prawda znajduje swe naturalne wytłumaczenie, które w prosty sposób przedstawił w dokumencie abp Henryk Hoser (lekarz medycyny) wraz z zespołem specjalistów. Pokrótce opisują oni źródła zagrożeń dla życia, akceptowanych obecnie przez szerokie koła wpływowych ludzi oraz polityków zasiadających w parlamencie. Jest to ważnym elementem całego dokumentu, gdyż naukowe argumenty przemawiające za życiem są podstawą porozumienia z osobami niewierzącymi. Biskupi, z apelem o aktywne wspieranie postaw pro-life, zwracają się w dokumencie bioetycznym wprost do chrześcijan, przypominając o tym, co jest napisane w przykazaniach. Prawdą jednak jest, że każdy człowiek jest wezwany do zaangażowania się w obronę życia ludzkiego, bez względu na wyznanie lub jego brak!

Treść dokumentu dostępna jest na stronie internetowej Episkopatu Polski:

http://episkopat.pl/dokumenty/pozostale/5066.1,O_wyzwaniach_bioetycznych_przed_ktorymi_stoi_wspolczesny_czlowiek.html

Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo

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Soltanto Colui che dà la vita ha il diritto di toglierla. Nel libro della Genesi il Creatore ricorda espressamente questa verità a tutti coloro che usurpano il potere di decidere sulla vita altrui: “Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello” (Libro della Genesi 9,5).

“Il diritto alla vita è il diritto fondamentale dell’uomo, dal quale provengono tutti gli altri suoi diritti”. Con queste parole inizia un documento in cui i vescovi polacchi hanno espresso la loro opinione sul rispetto per la vita umana e della vita dei bambini. Il titolo del documento, ovvero “Sulle sfide bioetiche poste all’uomo moderno”, ci fa pensare quanto è difficile quest’argomento per la società odierna che spesso ha sull’argomento opinioni diverse. Come causa diretta di questa drammatica divisione di pareri viene indicata “la mancanza di sensibilità verso l’unicità e il valore di ogni vita umana” da cui nasce il relativismo che si esprime nella mentalità “del dominio del più forte sul più debole, degli adulti sui nascituri, dei sani sui malati”.

I fedeli polacchi hanno atteso a lungo nella speranza di sentire la voce delle autorità cattoliche in difesa della vita umana. Sul loro grande interesse verso il documento può testimoniare il fatto che appena un mese dopo la sua pubblicazione ufficiale, il documento è apparso come supplemento a uno dei settimanali d’opinione più letti nel Paese. È stato quindi così che il documento è entrato in molte case polacche per dare l’occasione di aumentare la consapevolezza della società su temi delicati come l’aborto, l’eugenetica o la fecondazione in vitro.

Finora le discussioni sui temi legati alla bioetica, che si svolgevano in maniera più diffusa sui media, erano oggetto di varie semplificazioni o distorsioni. Attualmente, invece, il dibattito inizia a spostarsi in ambito scientifico, con un grande vantaggio per la sua parte sostanziale. È proprio qui che la verità trova la sua naturale spiegazione, come è presentata in maniera semplice all’interno del documento dall’arcivescovo Henryk Hoser (medico) assieme a un team di esperti. Loro descrivono brevemente le fonti del pericolo per la vita, che vengono attualmente accettate dalla gente potente e dai politici del Parlamento. Questo è un elemento importante dell’intero documento, visto che  le motivazioni scientifiche a favore della vita sono alla base di accordi con persone non credenti. In questo documento bioetico, i vescovi si rivolgono direttamente ai cristiani con l’appello a sostenere attivamente le posizioni a favore della vita, ricordando loro di quello che c’è scritto nei Dieci Comandamenti. Ma la verità è che ogni uomo è chiamato a impegnarsi in difesa della vita umana, a prescindere dalla sua religione o dal suo scetticismo verso la fede!

Il documento è disponibile sul sito internet dell’Episcopato polacco: http://episkopat.pl/dokumenty/pozostale/5066.1,O_wyzwaniach_bioetycznych_przed_ktorymi_stoi_wspolczesny_czlowiek.html

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Civis Polska

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Mercoledì 15 maggio si è svolta nella splendida sede dell’ambasciata italiana a Varsavia la presentazione delle attività diCivis Polska. La storica azienda italiana di sicurezza Cittadini dell’Ordine, proprietaria del marchio Civis, da anni si sta espandendo sui mercati esteri tra cui Ungheria, Romania e da qualche anno Polonia dove Civis Polska ha tre sedi ed è in grado di garantire i suoi servizi nell’intero paese. All’evento di presentazione di Civis Polska ha partecipato l’ambasciatore italiano in Polonia Riccardo Guariglia e un’ampio spaccato dell’imprenditoria italiana e polacca, oltre a numerosi giornalisti. Maggio informazioni www.civispolska.pl

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L’arte polacca alla 55. Biennale di Venezia

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Autore: Michal Fopp

Alla 55. Biennale di Venezia parteciperà un numero record di artisti polacchi. Oltre al Padiglione Polonia, in cui si potrà vedere la monumentale installazione di Konrad Smole?ski “Everything Was Forever, Until IT Was No More”, artisti e curatori polacchi saranno protagonisti anche di altre esposizioni.

Massimiliano Gioni, il curatore generale della Biennale, ha invitato quattro artisti polacchi all’esposizione centrale “Palazzo Enciclopedico”. Il “Palazzo Enciclopedico”, brevettato a metà degli anni Cinquanta dall’artista auto-didatta Marino Auriti, è un concetto del museo di tutto il sapere dell’umanità; il museo che espone le maggiori conquiste dell’umanità. Gioni vuole creare creare uno spazio in cui opere d’arte contemporanea interagiranno con manufatti storici ed object trouves. Ha invitato alla collaborazione, tra l’altro Pawe? Althamer, Miros?aw Ba?ka, Jakub Julian Zió?kowski ed Artur ?mijewski, il curatore generale dell’ultima Biennale di Berlino.

Nel Padiglione della Romania all’esposizione collettiva verranno presentate opere di Karolina Bregu?a ed invece nel Padiglione 0, organizzato da Tomasz Wendland alla Fondazione Signum, si presenteranno opere di altri artisti polacchi.

Ad essere scelta come curatore del Padiglione georgiano è stata la curatrice indipendente, Joanna Warsza, e il curatore del Padiglione estonese è Adam Budak dell’Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington.

La presenza eccezionalmente numerosa dei polacchi alla 55. Biennale di Venezia dimostra come l’interesse verso l’arte polacca nell’ambiente internazionale sia sempre più vivo ed il suo prestigio stia crescendo. In questa maniera si evidenzia anche un chiaro cambio nella struttura del mondo internazionale d’arte in cui non emerge un nuovo centro simile a Parigi, New York o Berlino ma piuttosto si ha a che fare con una sempre più forte dominazione delle periferie che alimentano il centro. In questo contesto va sottolineata l’inaugurazione, durante la Biennale, dell’iniziativa “Le periferie d’Europa, l’Europa delle periferie” sotto il nome dell’Ambasciata delle Periferie. Il progetto ha due scopi: un’analisi approfondita della situazione e dei meccanismi del sistema attuale d’arte e la creazione di un nuovo ambiente, meno ermetico e gerarchico. Come punto di partenza gli organizzatori, la Fondazione per la Propaganda, hanno preso una visibile tendenza alla prevalenza delle periferie sopra il centro. L’effetto dovrebbe essere una rete decentralizzata degli attivisti e delle istituzioni che serve allo scambio di idee, strumenti e strategie. Ancora più rilevante è il fatto che ogni persona interessata alla trasformazione della forma attuale del mondo d’arte sia invitata a parteciparvi. La struttura estremamente aperta e svariata dell’iniziativa rende possibile l’accesso su diversi livelli. Basta registrarsi sul sito web del progetto che raccoglie i suoi partner e simpatizzanti.

La necessità di cambiare paradigma viene suggerita anche dall’opera di Konrad Smole?ski, presentata nel Padiglione Polonia, “Everything Was Forever, Until IT Was No More”. La giuria che qualificava il progetto ha accentuato la sua equivocità profonda: le enormi costruzioni sonore riempiranno in maniera quasi claustrofibica l’intero spazio del Padiglione Polonia, concentrando l’energia e provocando una risonanza quasi corporea in spettatori ed ascoltatori. L’installazione composta da due grandiosi campane provenienti dall’officina dei fratelli Kruszewski a W?grów e da pannelli in metallo dovrebbe evocare un senso di sconcerto e di tensione emotiva, esaminando le questioni di accumulamento, classificazione ed ordinamento del sapere, ponendo il problema di mancanza e di sovrabbondanza delle informazioni, e, come scrivono i curatori,  di “rallentamento della storia, sospensione del suo fluire”. Il progetto è una continuazione delle attuali ricerche di Konrad Smole?ski che al centro dei propri interessi pone proprio il suono. Le sue realizzazioni uniscono un’estetica punk rock alla precisione e all’eleganza tipiche per il minimalismo. Fruendo sia degli oggetti sonori esistenti nell’area della cultura sia di quelli costruiti autonomamente, esamina attraverso essi il fluire e le funzioni dell’energia. Esplora il funzionamento di corrente elettrica, onde sonore e sistemi acustici, manipolando il significato degli oggetti che solitamente vengono associati alla cultura della musica rock. Il titolo dell’esposizione è stato prestato dal titolo del libro di Alexei Yurchak, “Everything Was Forever, Until It Was No More. The Last Soviet Generation”.

Il duo di curatori, Daniel Muzyczuk e Agnieszka Pindera, collega l’istallazione sonora di Konrad Smole?ski al principale tema enciclopedico della costruzione di una narrazione totale in maniera fortemente critica: “Dobbiamo ammettere di aver pensato a questo tema simultaneamente mentre pensavamo al nostro progetto e alla sua dimensione concettuale. Abbiamo invece posto l’accento su un momento preciso, su diversi aspetti delle opere di Konrad che manipolano non tanto la nozione del tempo quanto il ritardare. Per questo il coinvolgimento del fisico Julian Barbour, che si occupa di un concetto che si può definire, in poche parole e semplificando un poco, come concetto secondo cui il tempo in realtà non esiste. È la psiche dell’uomo ad essere costruita in maniera tale da avere bisogno di causa, e quindi la sequenza dei momenti che sono paralleli. Per questo motivo per noi sono stati cruciali l’utilizzo di una campana, di uno strumento o di idiofoni, che tradizionalmente delimitano il tempo, e manipolazioni e deformazioni perverse a cui questo suono sarà sottoposto e attraverso cui sarà rallentato. Presupponendo che la narrazione o la causa, il principio di causa ed effetto non esistano dobbiamo altrettanto presumere che non esita la narrazione. E dunque i tentativi massimalistici di Massimiliano Gioni di creare il Palazzo Enciclopedico sono, per usare una parola corretta, troppo massimalistici.

Alla ricerca del tempo perduto

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Chi vive oggi a Varsavia, ma possiamo dire in Polonia in generale, avverte una palpabile tensione sociale sintetizzabile come una “ricerca del tempo perduto”, per dirla con Marcel Proust. Una spasmodica rincorsa a recuperare quel ritardo, o meglio sanare quella frattura, che la seconda guerra mondiale e in seguito la lunga parentesi del comunismo hanno creato tra la Polonia e la cultura europea di cui il paese di Chopin è stato da sempre tra i fondatori e protagonisti. Una ricerca del tempo perduto oggi perseguita quasi “muscolarmente” attraverso una rampante economia di cui i grattacieli stile Manhattan, disseminati nel centro di Varsavia, sono l’evidente rappresentazione. Ma per riallacciarsi pienamente al treno culturale della vecchia Europa che, nonostante i balbettamenti delle istituzioni comunitarie è tuttora il più articolato e interessante del pianeta, non bastano i muscoli. Per recuperare il tempo perduto bisogna ritornare alla frattura del 1939, bisogna prendere culturalmente la rincorsa da una Polonia cosmopolita e orgogliosa che guardava al mondo con coraggio. Il recupero con la cultura e la presenza ebraica è in questo senso un elemento fondamentale per completare la rincorsa sociale all’Europa. L’apertura lo scorso 19 aprile del Museo della Storia degli Ebrei Polacchi, nel giorno del 70° anniversario della Rivolta del Ghetto di Varsavia, riveste un valore importante in quanto si pone come tassello formale di un percorso di ricucitura della memoria. Quando l’esercito nazista iniziò l’occupazione della Polonia nel paese vivevano tre milioni di ebrei. A Varsavia gli ebrei costituivano il 30% della popolazione ed erano per dimensione il secondo nucleo in Europa. Nella capitale la presenza ebraica era sedimentata grazie a centinaia di scuole e biblioteche, 130 giornali oltre a innumerevoli circoli sportivi e teatri. Tra gli ebrei della Varsavia anni Trenta c’erano personaggi come lo scrittore Izaak Bashevis Singer, vincitore del Premio Nobel nel 1978, che a Varsavia prima della fuga negli Stati Uniti fece in tempo a tradurre in yiddish il romanzo Il Piacere di Gabriele D’Annunzio. E poi il pianista e compositore Wladislaw Szpilman e la grande attrice Ida Kaminska. Personaggi importanti che sono solo l’epitome di una millenaria presenza ebraica in Polonia, Stato che in passato si dimostrò spesso più aperto e tollerante di altri paesi europei. Ed è partendo da questa rincorsa culturale che ci piace immaginare un nuovo futuro cosmopolita della Polonia la cui ritrovata grandezza economica da sola, se non suffragata dal recupero della memoria e della cultura in senso lato, non sarebbe sufficiente a calmare la tensione della ricerca del tempo perduto.

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W poszukiwaniu straconego czasu

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Ten kto dziś żyje w Warszawie, lub generalnie w Polsce, odczuwa pewne namacalne napięcie społeczne, które można by podsumować, cytując Marcela Prousta, jako „poszukiwanie straconego czasu”. Jest to szalony pęd do nadrobienia opóźnienia lub może lepiej do zniwelowania podziału, który druga wojna światowa a następnie długi okres komunizmu stworzyły między Polską a kulturą europejską, której kraj Chopina od zawsze stanowił część. Poszukiwanie straconego czasu przebiega dziś prawie „mechanicznie” poprzez rosnącą gospodarkę, której ewidentnym symbolem są wieżowce, w stylu tych na Manhattanie, którymi usiane jest centrum Warszawy. Jednak, aby móc całkowicie wsiąść do tego „pociągu kulturowego” starej Europy, który pomimo niskoordynowanych działań instytucji europejskich jest nadal najbardziej złożonym i interesującym na ziemi, nie wystarczy mieć jedynie sprawnych mechanizmów. Aby nadrobić stracony czas należy wrócić do momentu podziału z 1939 r., należy wziąć kulturowy przykład z kosmopolitycznej i dumnej Polski, która z odwagą patrzyła na świat. Odzyskanie czasu poprzez kulturę i obecność żydowską jest w tym sensie zasadniczym elementem, pozwalającym osiągnąć poziom społeczny reszty Europy. Otwarcie Muzeum Historii Żydów w Polsce, które nastąpiło 16 kwietnia, w 70. rocznicę wybuchu powstania w warszawskim getcie, ma ogromne znaczenie jako formalny krok w procesie uzupełniania pamięci. Kiedy wojska nazistowskie rozpoczęły okupację Polski, w kraju żyły trzy miliony Żydów. W Warszawie Żydzi stanowili 30% populacji miasta i pod względem liczebności stanowili drugą grupę w Europie. W stolicy obecność żydowska była ugruntowana dzięki setkom żydowskich szkół i bibliotek, 130 dziennikom a także niezliczonej liczbie kółek sportowych i teatralnych. Wśród warszawskich Żydów z lat 30. możemy wymienić takie znane postacie jak Izaak Bashevis Singer, zdobywca Nagrody Nobla w 1978 r., który będąc jeszcze w Warszawie przed ucieczką do Stanów Zjednoczonych przetłumaczył na język jidysz powieść „Rozkosz” Gabriela d’Annunzio, jak również kompozytor Władysław Szpilman i wielka aktorka Ida Kamińska. Są to ważne postacie, które stanowią jedynie niewielki ułamek w tysiącletniej obecności żydowskiej w Polsce, w państwie które w przeszłości było bardziej otwarte i tolerancyjne niż inne państwa europejskie. To właśnie przez pryzmat tej utraconej kultury chcielibyśmy wyobrażać sobie nową kosmopolityczną przyszłość Polski. Jej odnaleziona potęga gospodarcza, jeśli nie byłaby wspomagana przez odzyskiwanie pamięci i kultury w najszerszym tego słowa znaczeniu, nie wystarczyłaby do rozładowania napięcia poszukiwania straconego czasu.

Palermo città da gustare

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Esplorare Palermo e la sua provincia mi hanno confermato che in questi luoghi c’è un tesoro inestimabile di arte, natura e gastronomia. Sono rimasta incantata da Monreale e dal suo famosissimo Duomo, da Cefalù che è una meta turistica di fama internazionale nonché un magico set cinematografico, da Bagheria, meta prediletta dai nobili per la villeggiatura, dall’area archeologica di Solunto dove si può fare una passeggiata nella storia, dal paese di Corleone, che ha dato il cognome al famoso protagonista de “Il padrino” ed è oggi un centro simbolo dell’antimafia. Ma il fulcro attorno al quale tutto gravita è proprio Palermo, un colorato mosaico di storia e folklore di derivazione greca, romana, araba, normanna, spagnola e francese.

foto: Heidi Polizzy Carbonelli
foto: Heidi Polizzy Carbonelli

Uno dei piaceri più grandi che offre la città si trova nella sua straordinaria gastronomia: i sapori e i profumi della tradizione culinaria palermitana racchiudono infatti il suo ricco passato, rendendola una città da gustare. Passeggiando per le vie del centro storico si possono percepire profumi invitanti, a volte forti altre delicati; onnipresenti come il vociare della gente e dei turisti. In tutta la Sicilia ma soprattutto a Palermo la cucina di strada è parte del patrimonio culturale, rappresenta una tradizione antica, che appare invincibile con buona pace delle famose catene di ristorazione americana, che qui non hanno vita facile. A proposito: tutti noi sappiamo bene cosa sia un “fast food”, ma una cosa che forse non sappiamo è che i primi “fast food” della storia sono nati tra le vie millenarie di questa città. Il clima mite dell’isola ha portato infatti, nell’arco dei secoli, ad una naturale condivisione dei cibi all’aria aperta; così nacquero i baracchini ambulanti che vendevano quello che oggi viene chiamato “street food”, ossia il cibo da strada per tutte le tasche. Tra i prodotti venduti abitualmente troviamo le arancine, famosissime polpette di riso fritte ripiene di ragù o formaggio; le verdure fritte in pastella; lo sfincione, una pizza alta e soffice; infine troviamo il panino con panelle e crocchè: le prime sono sottili sfoglie fritte realizzate con farina di ceci e prezzemolo, le seconde sono invece semplici crocchette di patate.

Due altre specialità famose ma che non ho potuto assaggiare sono le “stigghiola”, spiedini di carne cotti alla brace, e il panino con la milza di vitello, chiamato in dialetto palermitano ‘pane ca’ meusa’. Il pane è così buono che può essere mangiato anche senza alcun condimento. Io ho apprezzato molto le morbidissime brioches, che si possono gustare dolci, salate oppure col gelato: personalmente le preferisco semplici oppure farcite con la nutella o con la crema di pistacchi. Tra i primi piatti ho adorato il timballo di anelletti al forno, il risotto di mare fatto con del pesce freschissimo, la pasta con i broccoli (cavolfiori soffritti in olio e cipolla, con l’aggiunta di pinoli e uva passa) e infine la pasta con le sarde (una gustosissima ricetta a base di sarde e finocchio selvatico). Tutte queste irresistibili specialità gastronomiche hanno consentito al capoluogo siciliano di essere proclamato la capitale europea dello “Street food”, ossia del “cibo da strada”, secondo una classifica mondiale stilata da VirtualTourist e pubblicata da Forbes.

Gli italiani amano spesso dire con ironia: “dulcis in fundo”, ed è proprio parlando dei dolci e della straordinaria pasticceria palermitana che vorrei concludere questo articolo. Nel capoluogo siciliano l’arte della produzione dei dolci è nata all’interno delle regge degli Emiri per poi svilupparsi successivamente nelle case dei nobili e nei monasteri. Quella palermitana è senza dubbio una delle più ricche e fantasiose pasticcerie del mondo: basta entrare in un qualsiasi bar per trovarsi davanti a una varietà incredibile di dolci, uno per ogni stagione: durante l’inverno, ad esempio, i palermitani amano consumare dolci a base di ricotta come la cassata e il cannolo oppure i dolci di pasta di mandorle come la frutta martorana. In primavera si possono mangiare le “sfinci di San Giuseppe”, morbide frittelle ricoperte di crema di ricotta, oppure le “pecorelle pasquali”, piccole sculture in pasta di mandorle.

D’estate invece i bar offrono una incredibile varietà di dissetanti granite e buonissimi gelati freschi, che vengono serviti in abbondanti porzioni; devo ammettere che la prima volta che ho comprato un gelato a Palermo sono rimasta spiazzata, dato che ero abituata alle piccole porzioni servite qui a Varsavia. In autunno invece i pasticceri preparano delle piccole sculture fatte interamente in zucchero che si regalano solitamente ai bambini per la festività di Ognissanti. Ho visto con i miei occhi quanto siano golosi i palermitani: vivendo in mezzo a tutte queste squisitezze credo che sia impossibile resistere! Io consiglio a tutti di provare una torta speciale inventata qualche anno fa tra i vicoli del centro storico della città, chiamata “torta sette veli”, composta da sette strati di cioccolato diversi: questa torta è così buona che ha vinto anche numerosi premi internazionali, e oggi può essere gustata nelle sue varianti di gusto, ovvero al pistacchio, al caffè e alla frutta fresca. È molto difficile descrivere la vivacità delle strade del capoluogo della Sicilia e spero che la vostra immaginazione abbia vagato con me per i suoi vicoli, per le sue piazze assolate, per i banchi vocianti dei mercati della Vucciria, del Capo e di Ballarò, attratti dai profumi del cibo che viene preparato per strada e che passeggiando per strada va mangiato.

Mapei cresce in Polonia

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Giorgio Squinzi, PoloniaLo scorso maggio 2013 è stato inaugurato il secondo stabilimento di produzione di Mapei Polonia a Barcin.

“La Polonia è sempre stata un importante mercato per il Gruppo Mapei oltre che per le sue dimensioni anche per il potenziale di crescita e l’apertura del mercato a prodotti di alta qualità e tecnologicamente avanzati. Il nuovo stabilimento è in realtà la quarta fabbrica polacca del Gruppo che si aggiunge a quelle di Mapei Polonia a Gliwice e a quelle della consociata Sopro Polonia a Nowiny e della cementeria Górka Cement a Trzebinia, che ha recentemente festeggiato il centesimo anniversario”, dichiara Giorgio Squinzi, CEO del Gruppo Mapei e Presidente di Confindustria Italia.

La filiale polacca del Gruppo Mapei è nata nel 2000. Nel 2003 è stato aperto il primo stabilimento produttivo a Gliwice nella Zona Economica Speciale di Katowice, che nei quattro anni successivi ha raddoppiato la propria capacità produttiva e il proprio deposito prodotti. Nel 2010 si è deciso di aprire un nuovo sito produttivo, scegliendo come area la Zona Economica Speciale della Pomerania. La collocazione in Barcin, situata nel centro-nord della Polonia, è strategica in quanto permette di migliorare il servizio logistico ai clienti. Gli uffici direzionali continuano ad essere a Varsavia.

Con due stabilimenti, la capacità produttiva totale di prodotti in polvere di Mapei Polonia raggiunge le 420.000 tonnellate all’anno, alle quali si aggiunge la linea di produzione di additivi liquidi per calcestruzzo e di macinazione del cemento, recentemente realizzata a Gliwice.

Vale la pena di sottolineare che lo stabilimento di produzione di Barcin è tra i 17 esclusivi progetti polacchi che hanno ricevuto la certificazione LEED dall’U.S. Green Building Council, come i più recenti stabilimenti del Gruppo nel mondo.

La costante introduzione di nuove linee di prodotti ha permesso a Mapei Polonia di essere conosciuta non solo come leader nel mercato degli adesivi e fugature per ceramica, ma anche di giocare un ruolo importante nel mercato dell’edilizia con prodotti per la posa di resilienti, tessili e pavimenti in legno, pavimenti in resina e cementizi, sistemi per l’isolamento termico, pitture protettive e decorative, additivi per calcestruzzo, impermeabilizzanti così come soluzioni specifiche per la protezione e il rinforzo del calcestruzzo e delle strutture in muratura, sia moderne sia storiche.

Da notare inoltre che il 96,3% dei prodotti Mapei venduti sul mercato polacco è prodotto localmente (a Gliwice e a Barcin) e il restante 3,7 % viene importato dall’Italia, in particolare dallo stabilimento di Robbiano di Mediglia, trattandosi di specialità del settore della chimica per edilizia. Il team di Mapei Polonia è cresciuto significativamente nel corso degli anni, sia in esperienza sia in numero: dai 48 dipendenti al momento dell’apertura dello stabilimento di Gliwice nel 2003 siamo arrivati agli attuali 290 impiegati.

Hanno presenziato alla cerimonia di inaugurazione Giorgio Squinzi, Veronica Squinzi, Marco Squinzi e le maestranze che hanno seguito la nascita del nuovo stabilimento; erano inoltre presenti 150 ospiti tra i quali Riccardo Guariglia, Ambasciatore d’Italia, Giuseppe Federico, nuovo Direttore ICE per la Polonia, Donato Di Gilio , Presidente della Camera di Commercio e dell’Industria italiana in Polonia, Teresa Kamińska, Presidente della Zona Economica Speciale della Pomerania e autorità locali come Michał Pęziak, Sindaco del Distretto di Barcin, Edward Hartwich, Vicemaresciallo a Kujasko-Pomorskie Voivodship e Zbigniew Jaszczuck, del Distretto di Znin.

“La presenza di Mapei e del capitale investito nella nostra regione significano per noi nuove tecnologie, creazione di posti di lavoro. Mapei è un partner affidabile e siamo particolarmente felici di averlo tra i nostri partners” ha commentato Michał Pęziak, Sindaco del Distretto di Barcin.

Grupa Mapei rośnie w Polsce

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W maju tego roku został oficjalnie otwarty w Barcinie drugi zakład produkcyjny spółki Mapei Polska.

„Polska od zawsze stanowiła ważny rynek dla Grupy Mapei zarówno ze względu na jej wielkość jak i przez wzgląd na potencjał wzrostu i otwarcie rynku na zaawansowane technologicznie produkty o wysokiej jakości. Zakład, który dziś otwieramy, jest w rzeczywistości drugim mogącym spełnić zapotrzebowanie klientów Mapei w Polsce i czwartym polskim zakładem Grupy, poza Mapei Polska w Gliwicach, spółką partnerską Sopro Polska w Nowinach oraz cementownią Górka Cement w Trzebinie, która ostatnio świętowała setną rocznicę założenia” – powiedział Giorgio Squinzi, dyrektor generalny Grupy Mapei i prezes włoskiej organizacji pracodawców i przemysłowców Confindustria.

 

Polska filia Grupy Mapei powstała w 2000 r. Następnie w 2003 r. w Gliwicach należących do Katowickiej Specjalnej Strefy Ekonomicznej został otwarty pierwszy zakład produkcyjny, który w następnych 4 latach podwoił swoją moc produkcyjną i depozyt produktów. Dzięki nieustannemu wzrostowi sprzedaży, w 2010 r. podjęto decyzję o otworzeniu kolejnego zakładu produkcyjnego, wybrawszy na miejsce inwestycji Pomorską Specjalną Strefę Ekonomiczną. Współpraca w Barcinach, położonych w środkowo-północnej części Polski, ma znaczenie strategiczne, ponieważ pozwala na poprawienie usług logistycznych oferowanych klientom. Warto zaznaczyć, że biuro handlowe grupy nadal znajduje się w Warszawie.

 

Moce produkcyjne dwóch zakładów wytwarzających produkty w proszku Mapei Polska wynoszą 420.000 ton rocznie. Należy do nich również dodać linię produkcyjną ciekłych dodatków do betonu i mielenia cementu, którą niedawno zrealizowano w Gliwicach.

 

Warto podkreślić, że zakład produkcyjny w Barcinie jest jednym z 17 wyjątkowych polskich projektów, które otrzymały certyfikat LEED od U.S. Green Building Council, podobnie jak inne najnowsze zakłady Grupy Mapei na świecie.

 

Nieustanne wprowadzanie nowych linii produktów pozwoliło Mapei Polska na bycie rozpoznawalną nie tylko jako lider na rynku klejów i fug do ceramiki, ale także na odgrywanie ważnej roli na rynku budowlanym. Firma ma w swojej ofercie produkty do kładzenia podłóg sprężystych, wykładzin, drewnianych parkietów oraz podłóg żywicznych i cementowych, systemy do izolacji termicznej, farby dekoracyjne i ochronne, dodatki do betonu, produkty do impregnacji, jak również konkretne rozwiązania do ochrony i wzmocnienia betonu oraz konstrukcji murowanych, zarówno nowoczesnych jak i historycznych.

 

Należy również zauważyć, iż pod względem wagowym, aż 96,3% produktów Mapei sprzedawanych na polskim rynku jest produkowanych lokalnie (w Gliwicach i w Barcinie), a tylko pozostałe 3,7% jest importowane z Włoch, w szczególności z zakładu w Robbiano di Medaglia. Chodzi tu o specjalne produkty chemiczne dla budownictwa. Zespół Mapei Polska znacznie rozwinął się w ciągu minionych lat zarówno pod względem zdobytego doświadczenia jak i liczbowym. Liczba 48 pracowników w momencie otwarcia zakładu w Gliwicach w 2003 r. wzrosła do 290 aktualnie zatrudnionych.

 

W uroczystości otwarcia uczestniczyli Giorgio Squinzi, Veronica Squinzi, Marco Squinzi i zespół pracowników, którzy brali udział w tworzeniu nowego zakładu, a także 150 zaproszonych gości wśród których znalazł się ambasador Włoch w Polsce Riccardo Guariglia, nowy dyrektor ICE w Polsce Giuseppe Federico, prezes Włoskiej Izby Handlowo-Przemysłowej w Polsce Donato Di Gilio, prezes Pomorskiej Specjalnej Strefy Ekonomicznej Teresa Kamińska oraz przedstawiciele władz lokalnych, tacy jak burmistrz Barcina Michał Pęziak, wicemarszałek województwa Kujawsko-pomorskiego Edward Hartwich i starosta Żnina Zbigniew Jaszczuk.

„Obecność Mapei i kapitału inwestycyjnego w naszym regionie oznaczają dla nas nowe technologie i stworzenie nowych miejsc pracy. Mapei jest wiarygodnym partnerem, dlatego jesteśmy szczególnie szczęśliwi, że jest wśród naszych partnerów” – powiedział Michał Pęziak burmistrz Barcina.