Sei gradi di separazione

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Marion Arras

Nel 1929 uno scrittore ungherese scrisse un racconto, intitolato “Catene”, con il quale voleva dimostrare che ogni individuo è collegato ad una qualsiasi altra persona da una catena di sei persone. In pratica, per arrivare a conoscere personalmente il Papa mi basterebbe, secondo Frigyes Karinthy, trovare le 5 persone giuste che mi portino sino a lui. Se non vi piace l’idea di dover ricorrere a 5 intermediari per arrivare sino a Papa Bergoglio forse sarete più motivati pensando ad una star hollywoodiana o l’ultima cover girl di Sport Illustrated. Detto questo, dalla fine degli anni ’20 sino alla fine degli anni ‘60 questa teoria ha continuato ad affascinare scienziati, matematici, scrittori, sceneggiatori. Si voleva la prova tangibile che i 6 gradi di separazione fossero realmente “solo” sei.

Nel 1967, il sociologo americano Stanley Milgram cercò un sistema empirico per accreditare questa teoria.  Milgram chiamò questo esperimento “teoria del mondo piccolo”.  Già, proprio come la nostra espressione più usata quando sentiamo nominare qualcuno che conosciamo da un improbabile interlocutore “ma quanto è piccolo il mondo!”. Forse Stanley pensava proprio a questo quando creò il nome della sua teoria e possiamo dire che in questo non peccò certo di eccessiva originalità.

Ma torniamo all’esperimento. Egli chiese a un numero “N” di abitanti del Midwest di inviare un pacchetto ad un estraneo abitante del Massacchussetts. Cosa contenessero i pacchetti è ancora un mistero sul quale non ci soffermeremo in questa sede.  Praticamente i partecipanti all’esperimento avevano solo il nome del destinatario ma non l’indirizzo e fu quindi chiesto loro di inviare il plico ad una persona di loro conoscenza che, secondo le “cavie umane”, aveva più possibilità di rintracciare il destinatario finale del pacco e così via. Il sociologo pensava che ci sarebbero voluti centinaia di intermediari per raggiungere i destinatari, ma non fu così. I pacchetti arrivarono alla loro meta non superando una media che oscillava tra i 5 e i 7 passaggi. Questo ovviamente perché all’epoca l’esperimento fu condotto negli Stati Uniti e non fu affidato alle Poste Italiane. In tal caso l’esperimento si sarebbe interrotto da qualche parte tra Bari e Napoli e il povero Stanley non avrebbe potuto pubblicare i risultati delle sue ricerche su Psychology Today come invece ebbe la possibilità di fare. La “teoria del piccolo mondo” andava dunque ad avvalorare la tesi di Karinthy.

Come mai questo interessamento sulla distanza che ci divide da qualsiasi altro essere? Furono esperimenti frutto della solitudine? Milgram e Karinthy prima di lui volevano sentirsi più in connessione con il resto del mondo? Essi volevano, a loro modo, annientare le distanze. Pensare che la catena che ci lega tutti fosse formata solamente da 6 persone era forse per loro una notizia a suo modo rincuorante. Durante anni in cui gli scambi culturali non erano scontati come oggi, sentirsi più vicini gli uni agli altri, poteva annullare la sensazione di abbandono, di isolamento. Considerare di essere connessi a chiunque da appena 5 persone fu forse una notizia rinfrancante, rasserenante.  Io e la Regina Madre? Ma certo, siamo quasi amiche. Mi mancano solo quelle giuste 5 persone…

Fu forse per questo che il modo di dire “ sei gradi di separazione” ebbe negli anni passati tale successo tanto da essere portato a Broadway con una commedia che rimase in scena per quasi 500 repliche.

Qualche anno dopo anche l’industria cinematografica sfruttò questo soggetto e nel 1993 un giovanissimo Will Smith fu protagonista del film diretto da Fred Schepisi che si intitolava appunto “Sei gradi di separazione”.

Ma dall’anno dell’uscita del film a oggi, i gradi di separazione sono rimasti gli stessi? Cosa è cambiato dagli inizi degli anni ’90 al 2013? Certamente è cambiato il nostro modo di comunicare, di scambiarci informazioni.  Attraverso l’informatizzazione i rapporti interpersonali tra noi e gli altri abitanti del globo terrestre sono divenuti molto più rapidi. Spesso basta quel piccolo rumore per connettersi con qualcuno. Basta quel familiare “click” di uno dei nostri devices e in un attimo siamo connessi, siamo affacciati sul mondo e in alcuni casi siamo semplicemente affacciati in casa di qualcuno.

Sto pensando in questo momento ai social networks che in un certo senso annientano definitivamente la catena delle sei persone. Cosa ci separa da un abitante dello Sri Lanka? Un click del nostro mouse…o forse 6 click? “I sei click della separazione” potrebbe essere la nuova definizione oggi di questo fenomeno in quanto gran parte della popolazione ha un profilo su un social network.

“Non sei su Twitter? Sarai su Facebook, allora. Neanche?” Ecco che ci troviamo di fronte ad un alieno moderno.

Le relazioni personali, quelle fatte di strette di mani, di occhi negli occhi, di frasi dette a voce e non scritte, di parole mai abbreviate, di stati d’animo espressi senza emoticons sono certamente un’altra cosa, ma se si parla di una mera conoscenza allora il povero Karinthy si troverebbe spiazzato davanti ad un pc che ci permette di dialogare praticamente con tutto il mondo in pochi secondi.

Certo, mia zia non è su Facebook, quindi se voleste fare la sua conoscenza dovreste affrontare i 5 intermediari proprio come nel passato, ma vi do un consiglio spassionato: lasciate stare, mia zia vi farebbe desiderare che gli intermediari fossero stati molti molti di più.