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Home Blog Page 43

Ritorno degli investitori sul mercato polacco e aumento della fiducia in Borsa e sullo zloty

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Ieri sono stati pubblicati gli ultimi dati sull’economia polacca. Il PIL è cresciuto dell’8,5%, confermando i solidi fondamentali. Questa notizia, unita a molte altre informazioni positive degli ultimi giorni, si traduce in un ritorno degli investitori sul mercato, che comporta un significativo rafforzamento dello zloty e rialzi alla Borsa di Varsavia, fatto che sarà particolarmente di sollievo per i titolari di azioni in società quotate. L’euro è sceso al di sotto di 4,65 zloty e il dollaro a 4,42 zloty. Il calo del dollaro può comportare prezzi del carburante leggermente inferiori. Grazie ai rialzi, la Borsa di Varsavia è ora la numero uno in Europa. L’agenzia Reuters ha osservato che le azioni globali sono rimbalzate da negative a positive ieri, grazie all’ottimismo sull’allentamento delle restrizioni sul coronavirus da parte della Cina, ma gli esperti avvertono comunque di non essere eccessivamente ottimisti.

https://www.money.pl/gielda/inwestorzy-wracaja-na-polski-rynek-zloty-i-akcje-wyraznie-zyskuja-na-wartosci-6769799210818528a.html

Il vigneto della Polonia

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La rinascita dell’enologia polacca ha permesso al Paese di passare da consumi e da produzioni esigue a quote significative. L’esplosione della wine mania è senza dubbio un fenomeno ormai rilevante e basta passeggiare per le vie di Varsavia e di Cracovia, ma anche in molti centri minori, per imbattersi in enoteche, wine bar, ristoranti che offrono, anche al calice, vini di qualità di tutto il mondo.

L’offerta si fa anche più particolare per quanto riguarda la produzione locale, di livello spesso molto interessante. In Polonia quindi bere vino è di gran moda e l’importazione è un importante canale economico di cui l’Italia è il primo fornitore, con circa il 20% del mercato. Anche produrre vino sta diventando un’attività di tendenza, nonostante le difficoltà operative che produttori, distributori e commercianti incontrano. Per molto tempo il clima è stato considerato troppo rigido per la viticoltura sebbene fino alla fine del Settecento ci fossero nelle regioni orientali aree con una discreta produzione. Per il successivo irrigidimento del clima, l’influenza dei fattori politici e culturali e, dopo il 1945, per il disinteresse alla coltivazione della vite, questa era sostanzialmente scomparsa dalla Polonia, sebbene lo spostamento postbellico dei confini a ovest avesse comportato l’annessione del Grünberg, Zielona Góra in polacco, il comprensorio a sud-est di Berlino che era stata una delle più ampie zone vinicole della Germania.

La rinascita a cui assistiamo ora comincia solo dopo il 1989, grazie all’impegno di alcuni piccoli viticoltori al confine con la Slovacchia. Il vigneto Polacco è costituito da un migliaio di ettari in tutto, sparsi in ognuna delle 16 provincie amministrative, con netta prevalenza di quelle meridionali. Va considerato che non c’è un sistema di denominazioni di origine e al momento sarebbe difficile individuare stili o caratterizzazioni dei vini in base alla loro provenienza geografica. Tutto quindi è ancora in fase di assestamento ed evoluzione e il prodotto finale dipende molto dalla mano del singolo viticoltore, dei vitigni che ha impiantato e del metodo utilizzato nella vinificazione.

Cercando di circoscrivere le aree a maggiore vocazione o produzione, la Polonia si può suddividere in sei distretti: la Subcarpathia (a sud-est, al confine con Slovacchia e Ucraina), con un clima continentale e vitigni prevalentemente ibridi, in cui la produzione di vino è piuttosto sviluppata e sostenuta anche a livello governativo; la Piccola Polonia (Małopolska, intorno a Cracovia), con terreni calcarei molto vocati; la più settentrionale Piccola Polonia sulla Vistola (Małopolski Przełom Wisły) e il comprensorio di Sandomierz, lungo il corso del fiume, che grazie a questo beneficiano di un microclima migliore e di una buona esposizione. La Slesia Inferiore, attorno a Wrocław, nella Polonia sud-occidentale, la regione più temperata del Paese e che quindi si pone come la più promettente per vitigni europei classici come il Pinot nero e il Pinot grigio; la già citata zona di Zielona Góra, nella Polonia occidentale, un tempo in territorio tedesco e ricca quindi di una forte tradizione, con tante piccole aziende che coltivano Riesling, Sylvaner e Traminer.

Quella delle cultivar è un’altra delle caratteristiche distintive, nonché uno dei punti critici, della nascente viticoltura polacca. Come accennato, qui i rigori del clima hanno sempre condizionato la coltivazione della vite, che in grandissima percentuale ricorre ancora a ibridi, ricavati dall’incrocio con la vite selvatica, più resistenti al freddo e alle malattie. Solo l’elevazione delle temperature medie e la progressiva individuazione di terreni, esposizioni, sesti di impianto e tecniche di coltivazione adeguati ha di recente consentito la messa a dimora, con successo, di vitigni nobili, la cui presenza sta crescendo rapidamente e ovunque nel Paese: Riesling, Pinot grigio, Traminer, Chardonnay, Müller-Thurgau, Auxerrois, Pinot bianco, Bouvier, Kernling tra i bianchi, Pinot nero, Zweigelt, Dornfelder, Frühburgunder e Merlot, tra i rossi.

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Più articoli sull’enologia troverete nella nostra rubbrica “In vino veritas”.
Puoi approfondire il tema dello sviluppo nell’economia polacca, cliccando qui.

I giovani e l’uso problematico dello smartphone

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Gli insegnanti dell’Istituto di Pedagogia dell’dell’Università Jagellonica spiegano che parlare di dipendenza da internet non è più una terminologia corretta. Dovremmo invece parlare di uso problematico di internet. Nell’uso problematico della connessione si distinguono due fenomeni, la nomofobia ed il phubbing. La nomofobia (dall’inglese no-mobile-phone-phobia) si manifesta in stati di ansia e nervosismo in una persona che non ha la possibilità di usare lo smartphone. Il phubbing (dall’inglese phone+snubbing) consiste invece nell’uso così intensivo dello smartphone e della connessione da ignorare la persona della quale siamo in compagnia. I termini sono per ora proposte di classificazione di questi fenomeni come disturbi. Un disturbo invece classificato come tale è il fomo (dall’inglese fear of missing out), la paura che quando non siamo online, potremmo perderci qualcosa di importante. In un sondaggio del 2021 il dott. Łukasz Tomczyk e la prof. Elma Selmanagic hanno studiato i fenomeni della nomofobia e del phubbing tra mille giovani tra i 12 e i 18 anni. Un terzo degli intervistati dichiara di avere sintomi della nomofobia, un quarto dichiara di ricevere spesso ammonizioni da parte dei cari riguardanti un uso troppo intensivo dello smartphone ma il phubbing è risultato solo nel 10% degli intervistati. Dal sondaggio risulta inoltre che i genitori del 60% degli intervistati non prendono nessuna iniziativa per limitare l’uso di internet da parte dei loro figli. Il dott. Tomasz spiega che il genitore di un bambino in età scolare deve prima di tutto considerare che le proprie azioni vengono imitate dai figli, e quindi, oltre all’uso di mezzi che limitano il tempo trascorso online, deve anche dare un buon esempio. Nell’approccio con gli adolescenti invece, si consiglia il dialogo e l’esercitazione dell’autocontrollo. Importante è anche una vita attiva offline, più hobby e interessi si ha, più è facile evitare problematiche legate ad un uno eccessivo di internet.

https://www.pap.pl/aktualnosci/news%2C1210049%2Cnaukowiec-z-krakowa-zbadal-skale-problematycznego-uzywania-smartfona-wsrod

Il contributo di Leonardo nella sicurezza e difesa della Polonia

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Intervista a Marco Lupo, presidente Leonardo Poland, pubblicata in agosto 2021.

Gazzetta Italia: Da quando è in Polonia? Prima di diventare presidente di Leonardo Poland conosceva il mercato della difesa e sicurezza in Polonia?

Marco Lupo, presidente Leonardo Poland: sono in Polonia dall’inizio del 2019, da quando è stata fondata Leonardo Poland tramite la quale sosteniamo lo sviluppo delle relazioni con i portatori d’interesse polacchi: governo, esercito e industria. Con Leonardo sono legato da oltre tre decenni e da tanti anni sono vicino al mercato polacco. In questi anni ho osservato un fantastico sviluppo economico e industriale della Polonia, nonché la crescente importanza del gruppo Leonardo in questo Paese. In tale contesto bisogna sottolineare il fatto che l’industria della difesa è una delle forze motrici dell’economia e dell’innovazione tecnologica di ogni paese. La Polonia già percorre questa strada, anche se, a mio avviso, c’è ancora tanto da fare per arrivare a un valore economico ancora maggiore derivante dal settore aeronautico, della difesa e della sicurezza. E la società Leonardo è qui proprio per promuovere questo trend.

Qual è il volume dell’attività di Leonardo?

Leonardo è una società globale nel settore aerospaziale, della difesa e della sicurezza che offre delle soluzioni tecnologie avanzate e anche soluzioni dual use, cioè che possono avere impieghi sia civili che militari. Grazie alla sua presenza in quattro mercati nazionali: Italia, Polonia, Gran Bretagna e USA, il gruppo Leonardo ha creato diverse filiali e uffici regionali per servire al meglio i mercati locali. Per far capire la nostra posizione sul mercato globale dell’aeronautica e della difesa, basta dire che Leonardo è una delle maggiori aziende dell’industria aeronautica, spaziale e della difesa al mondo e la terza in Europa.

In questa organizzazione qual è il ruolo di Leonardo Poland?

Leonardo Poland è la società controllata di Leonardo International, fondata, come menzionato prima, in Polonia a gennaio del 2019. Il ruolo della società è quello di sostenere il sempre crescente impegno di Leonardo in Polonia, sviluppando relazioni con tutti principali portatori d’interesse, e di supportare le Divisioni di Leonardo e delle società controllate nel consolidare la loro presenza sul mercato polacco, nonché partecipare in modo attivo in questo mercato della difesa e della sicurezza in collaborazione con gli operatori economici locali.

Ad ottobre del 2019 la società ha ottenuto la concessione del Ministero degli Interni polacco per il commercio nel settore militare sul territorio della Repubblica Polacca, diventando al contempo un operatore a tutti gli effetti nel processo di approvvigionamento militare per la Polonia.

Il nostro approccio al consolidamento di Leonardo in Polonia, tramite una partecipazione attiva sul mercato, si applica soprattutto nel già verificato settore logistico legato ai prodotti di Leonardo, nonché nei settori della sicurezza cibernetica, servizi spaziali e protezione delle infrastrutture critiche.

Quante persone lavorano in Leonardo Poland?

Nel 2020 il gruppo Leonardo assumeva in Polonia oltre 2500 dipendenti. La maggior parte di loro lavora negli stabilimenti elicotteristici di Świdnik nella Polonia dell’est. Tante persone lavorano anche a Varsavia. Questo numero comprende ingegneri, i migliori esperti di diversi settori e anche il personale di supporto. Inoltre, bisogna notare che l’attività di PZL-Świdnik fornisce lavoro ad altre migliaia di persone in centinaia di aziende della nostra catena di fornitura in Polonia.

Quali sono i principali obiettivi e aree di interesse del gruppo Leonardo in Polonia?

Considerando che la Polonia è uno dei paesi di principale presenza di Leonardo, il nostro obiettivo è fornire ai clienti polacchi i prodotti più moderni possibili, ma allo stesso tempo vogliamo sviluppare la nostra presenza in Polonia e continuare la realizzazione degli investimenti locali. Tali obiettivi si possono raggiungere grazie alla collaborazione con le aziende locali, i centri di ricerca e sviluppo e gli istituti di istruzione superiore nell’ambito dello sviluppo delle nuove tecnologie e all’ampliamento delle capacità produttive del paese. L’obiettivo non sta nel vendere i prodotti finiti, ma piuttosto impegnare i nostri partner polacchi nello sviluppo e nella produzione con benefici per entrambi i paesi. Questo tipo di approccio, basato sulla collaborazione, fa parte del DNA di Leonardo ed è la fonte del nostro successo globale.

Visto che Leonardo fornisce le soluzioni in diversi settori, cerchiamo di presentare in Polonia i nostri prodotti e le capacità in diversi ambiti. Elicotteri, aerei, veicoli aerei senza equipaggio, componenti elettronici per uso terrestre, navale ed aereo, sistemi subacquei, sicurezza cibernetica e soluzioni spaziali, questi sono solo alcuni esempi dei settori nei quali Leonardo vede il potenziale in Polonia.

Quali sono i successi più recenti di Leonardo sul mercato polacco?

Leonardo è presente sul mercato polacco da circa 30 anni. In questi decenni siamo riusciti ad ottenere risultati formidabili, quali l’acquisto di PZL-Świdnik, l’unico produttore di Elicotteri in Polonia, nonché la creazione di Leonardo Poland per poter sostenere lo sviluppo del business in Polonia.

Negli ultimi anni siamo riusciti a concludere il contratto per la vendita degli addestratori avanzati M-346 per il sistema integrato di addestramento dei piloti militari polacchi. Il contratto iniziale per 8 velivoli è stato ampliato per un totale di 16, di cui 12 sono stati già consegnati. Merita menzionare che la Polonia è il secondo mercato di esportazione al quale è stato fornito questo tipo di velivolo avanzato per l’addestramento.

Un altro esempio del successo negli ultimi anni è il contratto per la fornitura di 4 elicotteri AW101 per la Marina Militare della Repubblica Polacca. Questi elicotteri, parzialmente realizzati negli stabilimenti di PZL-Świdnik che svolge anche il ruolo chiave di contraente principale, verranno utilizzati per le varie missioni di supporto e salvataggio sul Mar Baltico e sulla costa. Visto che il fabbisogno polacco in questo ambito è maggiore, crediamo che ci sia spazio per ulteriori ordini degli elicotteri AW101 da parte polacca.

In quanto ai successi di Leonardo Poland, a luglio del 2020 (nel consorzio con i partner locali) abbiamo vinto l’appalto per fornitura di parti di ricambio per il supporto logistico degli aerei M- 346 utilizzati dall’Aeronautica Militare Polacca. È il primo passo del programma di Leonardo Poland il quale, utilizzando le risorse locali e collaborando con le aziende locali, sostiene in modo attivo l’attività commerciale di Leonardo in Polonia nell’ambito logistico.

Leonardo AW101

Ha detto che il mercato polacco è uno dei mercati domestici nei quali investe Leonardo. Quali investimenti diretti promuove Leonardo in Polonia e quale è la strategia generale in questo ambito?

Dal momento dell’acquisto di PZL-Świdnik nel 2010, Leonardo vi ha investito circa 1 miliardo di złoty (circa 250 milioni euro). Leonardo, in quanto investitore chiave e gruppo globale leader nel settore della difesa, aerospaziale e sicurezza dispone delle capacità di sviluppo e di possibilità di rafforzare la sicurezza della Polonia. Tutto questo fornendo una serie di tecnologie strategiche per questo paese, nonché offrendo alle imprese locali e ai clienti istituzionali la partecipazione in programmi comuni che possono garantire alti ritorni sugli investimenti e che riguardano tecnologie, know-how, industria e catena di distribuzione, ma si caratterizzano anche per l’aspetto prettamente finanziario poiché sono investimenti ad alto tasso di rendimento.

Inoltre, in merito al fatto che vogliamo continuare gli investimenti in PZL-Świdnik tramite nuove tecnologie e competenze organizzative al fine di mantenere la posizione concorrenziale sul mercato globale, merita aggiungere che gli stabilimenti PZL-Świdnik sono diventati nell’ambito di Leonardo il centro d’eccellenza internazionale per le strutture aeronautiche per elicotteri.

Nell’ambito degli appalti pubblici quali programmi e progetti attirano l’attenzione di Leonardo?

Come già menzionato prima, ci concentriamo su diversi settori. La Polonia è un paese in fase di forte sviluppo caratterizzato da forte economia e bisogni significativi nell’ambito delle soluzioni di alte tecnologie. E anche uno dei pochi paesi della NATO che spende oltre 2% del proprio PIL per la difesa, il che fa chiaramente vedere che le questioni di sicurezza costituiscono una delle maggiori priorità. L’attuale piano di modernizzazione dell’esercito, la cui realizzazione è prevista entro il 2035, è un’impresa ambiziosa che porterà l’esercito polacco al livello più alto degli standard NATO. Il gruppo Leonardo è convinto che grazie alla propria presenza possa contribuire alla modernizzazione delle Forze Armate della Repubblica Polacca e perciò all’ulteriore sviluppo dell’economia nazionale.

Oltre alle spese prettamente militari, la Polonia prevede pure grossi investimenti nell’ambito delle tecnologie avanzate, quali cybersicurezza e spazio. Diversi progetti in questi ambiti programmati per i prossimi anni ci fanno credere che possiamo diventare un fornitore importante di servizi, prodotti e tecnologie riguardanti spazio e cybersicurezza. Monitoriamo attentamente queste opportunità.

In generale seguiamo con attenzione diversi potenziali programmi relativi agli acquisti in alcuni ambiti, quali elicotteri multiruolo, aerei militari, sistemi per uso navale, subacqueo, aereo e terrestre, sistemi senza equipaggio e tanti altri.

Riassumendo, siamo aperti ad un’ampia collaborazione con il Ministero della difesa nazionale e dell’industria in tutti gli aspetti della difesa e sicurezza. Non offriamo soltanto prodotti, ma anche investimenti, produzione locale e assemblaggio di questi prodotti, nonché partecipazione ai programmi internazionali, posizionando la Polonia e la sua industria tra i maggiori partecipanti allo sviluppo tecnologico. Questa è la nostra proposta di valori e attenzione verso la Polonia.

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Opole, la Sanremo polacca

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Festival di Opole nel 1976, fot. Roman Hlawacz, foto archivio del Museo della canzone polacca di Opole

Andare al festival e dopo dire: “siamo stati a Opole” suona molto bene, un po’ come se avessimo detto “siamo stati a Sanremo”, così scriveva nel 1971 nel suo libro di ricordi “Festiwale opolskie” Jerzy Grygolunas, uno degli inventori del Festival Nazionale della Canzone Polacca di Opole. E in effetti, se si guarda alla storia di entrambi i festival, l’enorme popolarità di cui godono da sempre in Polonia sia il Festival di Sanremo, sia la musica italiana, ma anche le tradizioni del festival ad Opole, non si può che approvare questa affermazione.

A separare Opole da Sanremo, sulla costa ligure, ci sono 1500 di chilometri, oltre alle differenze geografiche, linguistiche e culturali, ma ciò che le unisce è un legame invisibile, la cui essenza si trova nella canzone. Sanremo è diventata la capitale indiscussa della canzone italiana grazie al festival che viene organizzato dal 1952. Opole ha ricevuto lo stesso titolo, nel contesto della canzone polacca, da Jerzy Waldorff, un geniale critico della musica, dopo la prima edizione nel 1963 e così rimane fino ad oggi.

Ovviamente ci sono altre somiglianze tra i due festival. Nell’Italia del dopoguerra l’evento è stato un tentativo di mostrare agli italiani che il loro paese ha una sua musica, moderna, che non ha niente da invidiare alle hit provenienti dagli Stati Uniti e dai Paesi dell’Europa occidentale. A ideare il festival sono stati Piero Bussetti, proprietario del casinò a Sanremo e Giulio Razzi, conduttore della televisione italiana RAI. All’inizio il festival era organizzato nel Casinò e durante la prima edizione si sono esibiti soltanto tre artisti, i quali hanno presentato canzoni nuove, create apposta per il festival, poi anno dopo anno la popolarità dell’evento è cresciuta molto velocemente. Già durante la seconda edizione si sono esibiti molti più cantanti e il festival ha iniziato ad influenzare la musica italiana, sia nelle interpretazioni che nell’arrangiamento stimolando show radiofonici e televisivi. Ed anche se per vari anni il festival ha cambiato spesso formula e si è trasferito dal Casinò a l’iconico Teatro Ariston, è sempre rimasto legato all’idea del concorso. Sanremo è stato un trampolino di lancio per artisti come: Domenico Modugno che ha vinto il festival ben quattro volte, Adriano Celentano, Bobby Solo, Toto Cutugno, Al Bano e Romina Power. Ha poi rappresentato l’inizio della carriera per Andrea Bocelli, Laura Pausini, Eros Ramazzotti e l’anno scorso ha lanciato i Måneskin, un energetico gruppo rock.

Il Festival del 1976, fot. Ryszard Łabus, foto archivio del Museo della canzone polacca di Opole

Una cosa simile è successa ad Opole. Nel 1962 alle porte dello studio del leggendario sindaco della città di quel tempo Karol Musiał, chiamato anche “Babbo”, hanno bussato Jerzy Grygolunas e Mateusz Święcicki, due giornalisti di Varsavia. Sono venuti con l’idea di creare proprio ad Opole un festival rivolto ai giovani musicisti e agli autori polacchi. Il nuovo festival sarebbe dovuto essere il tentativo di mostrare ad un pubblico più grande le tendenze di quel tempo nella musica polacca di intrattenimento. Gli inizi, come in Italia, sono stati difficili, perché anche se i due fondatori hanno fatto un lavoro enorme nel ruolo di manager e di ricercatori di talenti, molti artisti e conduttori si rifiutavano di partecipare. Anche nella costruzione dell’anfiteatro all’aperto hanno dovuto fare una corsa contro il tempo. Per fortuna sia gli artisti che i responsabili degli allestimenti hanno fatto davvero un buon lavoro. L’anfiteatro è stato consegnato solennemente durante il giorno inaugurale del primo festival, il 19 giugno del 1963, e durante i 15 concerti si sono esibiti 102 artisti. Il Festival di Opole, similmente a quello di Sanremo, è diventato un evento rivoluzionario nella storia della musica d’intrattenimento polacca, che ha lanciato nuove star e nuove hit, e ovviamente è diventato anche un famosissimo spettacolo televisivo. La rivelazione del primo Festival è stata Ewa Demarczyk, e nelle edizioni seguenti hanno seguito l’esempio: Anna German, Czesław Niemen, Czerwone Gitary, Skaldowie, Maryla Rodowicz, Urszula Sipińska, Alicja Majewska, Ewa Bem, Maanam, Perfect. Il palcoscenico di Opole ha visto l’esordio di tanti famosi cantanti tra cui Hanna Banaszak, Justyna Steczkowska ed Edyta Górniak.

Teatro Ariston, dove ogni hanno si tiene il Festival di Sanremo, fot. Tracey Pettrone

Per tanti anni la musica italiana, con i suoi artisti e le famose canzoni, che andava in scena durante il Festival di Sanremo, ha avuto una influenza indiscutibile su molti artisti polacchi. Le trasmissioni di Sanremo, all’epoca della Cortina di ferro, tenevano incollati allo schermo milioni di polacchi. “È stata una sorta di modello per noi, il festival più antico d’Europa, ancora attivo, con i suoi alti e bassi”, ricordava Marek Sierocki, un noto giornalista polacco di musica, pluriennale direttore artistico dei festival di Sopot e di Opole. “E le trasmissioni televisive sono state una delle poche opportunità per vedere in azione delle vere star”.

Gli artisti italiani e le loro canzoni sono stati spesso fonte d’ispirazione per gli artisti polacchi. Già nel 1964 durante la seconda edizione del festival di Opole, Ewa Demarczyk si è esibita con una sua reinterpretazione di “24Mila Baci”, hit di Adriano Celentano, presentata a Sanremo tre anni prima. E a Sanremo hanno cantato anche due grandi artisti polacchi: Anna German e Czesław Niemen.

Non è possibile riassumere in poche parole la storia italiana di Anna German. La meravigliosa artista, bella e dotata di una magnifica voce, vincitrice di varie edizioni del festival di Opole è stata invitata in Italia dalla casa discografica CDI (Company Discografica Italiana). La sua carriera, nella solare Italia, ha iniziato a correre. La stampa italiana scriveva della talentuosa polacca chiamandola La Mina dalla Cortina di ferro (“Panorama Europeo”, “La Domenica del Corriere”, “Sorrisi e Canzoni”, fonte: Anna German “Wróć do Sorrento?… Moja Historia”). L’artista si è esibita durante il 17° Festival di Sanremo cantando una canzone intitolata “Gi” scritta da Fred Bongusto sfidando artisti leggendari come Domenico Modugno, Adriano Celentano, Dalida e Luigi Tenco (quest’ultimo morto suicida nella sua stanza dell’hotel poco dopo la sua esibizione). Ed anche se il Festival di Sanremo non è stato tenero né con Anna German, né con altri artisti polacchi, grazie alla sua esibizione ha ottenuto la simpatia degli spettatori e degli ascoltatori italiani. L’affetto del pubblico si è tradotto in molti inviti in programmi televisivi e proposte di partecipazione in altri festival italiani ed infine nella registrazione di quattro dischi (tre singoli e un long play). “Il primo premio a Sanremo è ovviamente una cosa fantastica. Ti permette di mantenerti per un paio di anni! (…) Ma la cosa più importante è: piacere al pubblico! No, non parlo degli snob seduti a teatro, ma di quelli che seguono davanti al televisore. Lo studio televisivo è stato bombardato dalle richieste di mostrare di nuovo la Sua esibizione. Congratulazioni! In Italia è certamente un onore riservato a poche persone”, ha detto Domenico Modugno ad Anna German in occasione della loro esibizione insieme durante il programma televisivo “Giochi in famiglia” (Aleksander Żygariow in “Tańcząca Eurydyka. Anna German we wspomnieniach”).

La storia di successo si è interrotta a causa di un tragico incidente stradale sull’autostrada vicino a Bologna, dopo il quale ci è voluto molto tempo per l’artista per riprendersi completamente. “Se non fosse stato per l’incidente Anna German sarebbe stata una famosa star in Italia per molti anni. Tutto faceva pensare che avrebbe fatto una grande carriera”, ammette Marek Sierocki.

Czesław Niemen al Festival di Opole, fot. Ryszard Łabus, foto archivio del Museo della canzone polacca di Opole

Ad esibirsi a Sanremo ci è quasi riuscito anche un altro artista polacco, cantante, compositore, polistrumentista Czesław Niemen, autore di una delle canzoni di protesta più conosciute intitolata “Dziwny jest ten świat”, per la quale ha ricevuto il premio nel 1967 durante il quinto Festival di Opole. La sua avventura italiana ha avuto inizio a Bologna, grazie alla conoscenza con Antonio Foresti, l’organizzatore di vari festival di jazz internazionali. Nel 1970 Niemen ha registrato una canzone di Nicola di Bari: “La Prima Cosa Bella”. Purtroppo è stato vittima delle proteste da parte dei sindacati di musicisti turchi che non hanno accettato il ritiro del rappresentante del loro paese in cambio di un polacco. La protesta è stata sostenuta dai sindacati dei musicisti italiani per paura di perdere la possibilità di fare ben retribuiti concerti in Turchia. Così la canzone è stata presentata dal suo compositore Nicola Di Bari e Gianni Morandi (la formula dell’epoca prevedeva che ogni canzone dovesse essere cantata da due artisti separatamente) ed ha ottenuto il secondo premio. È diventata un grande hit cantata da generazioni di artisti, la versione più bella è stata forse quella lirica e contemporanea di Malika Ayane. La versione di Czesław Niemen è stata pubblicata sul disco che ha celebrato la 20^ edizione del Festival di Sanremo.

Ad Opole sia German che Niemen sono stati onorati con delle stelle messe lungo la Aleja Gwiazd Polskiej Piosenki (una “Walk of Fame” della Canzone Polacca) che si trova nella piazza della città. La Aleja ricorda molti cantanti, gruppi, compositori e autori di testi. Ogni anno, durante il Festival di Opole, grazie alle autorità cittadine e alla fondazione Stolica Polskiej Piosenki vengono aggiunte delle nuove stelle. Il rituale è diventato una parte importante del Festival. Anche a Sanremo c’è una tradizione simile. La “Walk of Fame” è una strada in cui ci sono le targhe dei vincitori di Sanremo, i titoli delle canzoni che hanno vinto con i nomi degli interpreti. Le targhe si trovano nella principale strada pedonale in via Matteotti, accanto al Teatro Ariston. Ogni anno, un paio di giorni prima dell’inizio del Festival, la città rende omaggio al vincitore dell’anno precedente aggiungendo una nuova targa celebrativa. Accanto alla “Walk of Fame” c’è una statua di bronzo del famoso conduttore italiano Mike Bongiorno il quale ha presentato il Festival per undici anni. Ad Opole invece le statue degli artisti polacchi si possono vedere lungo la Wzgórze Uniwersyteckie, dove sono state messe su iniziativa del professore Stanislaw Nicea, pluriennale rettore dell’Università di Opole, esperto conoscitore della musica polacca di intrattenimento. Fra le statue ce n’è anche una di Czesław Niemen, scolpita da Marian Molenda, un artista di Opole.

Tanti racconti interessanti, resoconti di concerti, ma anche i vestiti ed altri oggetti che hanno a che fare col Festival sono esposti nel Museo della Canzone Polacca creato cinque anni fa, la cui sede si trova nel mitico teatro. Ogni anno il museo attira migliaia di turisti, tra cui anche italiani. Anche Sanremo viene visitato da molti polacchi e ciò succede sicuramente sia per la nostalgia che i polacchi provano verso il famoso Festival, sia per l’amore per la musica italiana. Gli artisti polacchi continuano ad ispirarsi alle canzoni italiane, prova ne è l’ultimo disco di Michał Bajor, un grande cantante polacco di Opole, ambasciatore della capitale della canzone polacca, la cui stella splende da tanti anni nella Aleja Gwiazd Polskiej Piosenki. Sul disco intitolato “Color Cafe” ci sono le canzoni francesi ed italiane più famose, tra cui “Ciao cara, come stai” la premiata canzone di Iva Zanicchi, presentata a Sanremo nel 1974.

La magia dei due festival è iniziata fin dalle prime edizioni ed anche se entrambi gli eventi hanno vissuto una storia di alti e bassi rimangono sempre l’appuntamento musicale più importante nei loro rispettivi Paesi. Festival che è importante seguire almeno per poter poi dire, o addirittura criticare “perché Sanremo è Sanremo” e parafrasando “perché Opole è Opole”.

Bibliografia
  • Dariusz Michalski „Z piosenką dookoła świata”, Warszawa 1990
  • Festiwalowe 1001 Drobiazgów, Muzeum Polskiej Piosenki w Opolu, 2015, 2016
  • „Tańcząca Eurydyka. Anna German we wspomnieniach”, Mariola Pryzwan, Warszawa 2013
  • Dariusz Michalski „Czesław Niemen. Czy go jeszcze pamiętasz?”, Warszawa 2009
  • Anna German „Wróć do Sorrento?… Moja historia”, Warszawa 2012
  • Roman Radoszewski „Czesław Niemen. Kiedy się dziwić przestanę. Monografia artystyczna”, Warszawa 2004
  • Jarosław Wasik, „Moje festiwale opolskie” w: „Opole, dzieje i tradycja”, red. B. Linek, K. Tarka, U. Zajączkowska, Opole 2011

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traduzione it: Antonina Kudasik

Ti interessa la storia del Festival di Sanremo? Per saperne di più, clicca qui.
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Conferenza FAO a Lodz

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Durante la conferenza FAO (food and agricolture organization) che durerà fino al 13 maggio è stata programmata una discussione sulle conseguenze che l’invasione russa dell’Ucraina avrà sull’agricoltura mondiale. La FAO, nata nel 1945, con sede a Roma, si occupa della lotta contro la fame e contro la povertà ma anche di rafforzare la prosperità attraverso la ridistribuzione alimentare e lo sviluppo agricolo. Aprendo la 33^ sessione della conferenza regionale FAO, a Łódź, il direttore dell’organizzazione Qu Dongyu ha sottolineato la crescente importanza della Polonia per quanto riguarda la produzione alimentare. “La Polonia è uno dei paesi più competitivi nell’ambito dell’agricoltura e della produzione alimentare in Europa” ha dichiarato Qu Dongyu. Il ministro degli esteri Zbigniew Rau durante la conferenza ha dichiarato che in Polonia l’agricoltura è parte significativa dell’economia. “L’aggressione russa contro l’Ucraina ha destabilizzato la sicurezza alimentare globale, dobbiamo rafforzare il sistema in questo settore” ha detto Rau che ha aggiunto che la sicurezza alimentare è una priorità per i prossimi anni e una crisi in questo campo può influenzare la migrazione e fermare lo sviluppo delle economie. Il ministro ha inoltre sottolineato l’importanza del ruolo che svolge la FAO per la sicurezza globale. Il vice primo ministro e ministro dell’agricoltura Kowalczyk durante l’inaugurazione della conferenza nel suo discorso ha richiamato l’attenzione sull’importanza dei problemi che verranno discussi durante la sessione tra cui la situazione economica e politica difficile e l’impatto che la pandemia ha avuto sulle prospettive di uno sviluppo sostenibile. Un’altra minaccia per l’agricoltura e la sicurezza alimentare è l’invasione russa dell’Ucraina. Il paese invaso è infatti un importante produttore alimentare nel mondo.

https://www.pap.pl/aktualnosci/news%2C1206938%2Crau-rosyjska-agresja-przeciw-ukrainie-zdestabilizowala-globalne

Straordinario successo di pubblico alle celebrazioni dell’anniversario del principe Jozef Poniatowski

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Lo scorso weekend 6-7 maggio al Castello Reale di Varsavia si sono svolte le celebrazioni in memoria del compleanno del principe Jozef Poniatowski. Un ricco programma e il bel tempo hanno attirato migliaia di persone al picnic culturale. Le celebrazioni sono iniziate venerdì scorso con una conferenza scientifica, sempre venerdì nell’ufficio maggiore dell’appartamento del principe Józef Poniatowski a Pałac pod Blachą, è stata aperta anche la mostra su 22 documenti originali sconosciuti con la firma di Napoleone Bonaparte, provenienti da diversi periodi: lettere, ordini, rapporti e richieste, tra cui le prime firme del capo dei francesi, come primo console. Un elemento interessante della mostra è la corrispondenza riguardante sia il principe Józef Poniatowski sia altri importanti personaggi storici e i frequentatori abituali del Pałac pod Blachą. La mostra durerà fino al 31 luglio 2022. Ma è stato soprattutto il ricco programma del picnic di sabato ha attirato una grande folla tra cui tantissime famiglie con i bambini che hanno assistito a rievocazioni storiche di duelli, esercitazioni e il cambio della guardia eseguito dai gruppi di ricostruzione storica: Quarto e Dodicesimo reggimento di fanteria del Ducato di Varsavia, e poi ancora c’è stata la sfilata di moda stile impero e molti workshop. Non sono mancate le attrazioni per i più piccoli, che hanno potuto scoprire i segreti del Pałac pod Blachą e hanno partecipato ad una caccia al tesoro. Grande interesse anche per lo spettacolo Colori di Parigi. La storia del trucco e dei cosmetici colorati cento anni prima l’invenzione del mascara rivelando la composizione di vecchi cosmetici di colore e i segreti dell’abbellimento delle donne all’epoca. I cosmetici sono stati creati sulla base di ricette del XVIII e XIX secolo. Un’ottima e professionale organizzazione ha fatto provare a tutti l’atmosfera dell’epoca.  

Polonia Oggi

Matuszyński: fare cinema è porre domande

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La Biennale di Venezia / Foto ASAC ph G. Zucchiatti

“Non lasciare tracce” di Jan P. Matuszyński ha avuto la sua prima alla 78^ edizione della Mostra del Cinema di Venezia dove è stato accolto con entusiasmo dal pubblico internazionale. In Polonia, al Festival dei Film Polacchi a Gdynia conclusosi il 25 settembre 2021, il film ha ricevuto i Leoni d’argento e il premio per la scenografia.

Il 12 maggio 1983, nel centro storico di Varsavia, una pattuglia della milizia fermò Grzegorz Przemyk, che in quel giorno celebrava con gli amici il passaggio dell’esame di maturità. Secondo gli agenti della milizia il ragazzo era troppo sfacciato e meritava una lezione, così lo portarono al commissariato e poi lo colpirono con una serie di colpi allo stomaco, per non lasciare tracce. Le tracce non c’erano ma le numerose lesioni interne si rivelarono fatali. L’evento scosse l’opinione pubblica in Polonia e all’estero.

Il film è basato su eventi reali ed è ispirato all’omonimo libro reportage di Cezary Łazarewicz, perché hai voluto portare sul grande schermo questa vicenda?

Jan P. Matuszyński: Dopo il mio primo film, “L’ultima famiglia”, stavo cercando una nuova storia da raccontare. Quando ho ricevuto il libro di Łazarewicz dal mio produttore, ho capito subito che mi sarebbe piaciuto girare questa storia.

Quali sono secondo te gli aspetti più importanti del film?

Ad un certo punto ho iniziato a chiedermi cos’è più interessante, cosa significa dire tutta la verità, cosa vuol dire che qualcuno ha visto tutto. Ho pensato che sarebbe stato interessante raccontare la storia dal punto di vista del testimone oculare. Era una persona che aveva visto molto, ma non tutto, e questo lascia un certo mistero. Guardando il film iniziamo a chiederci se la versione del protagonista sia quella reale, o se forse alcuni dettagli siano stati omessi. Chi è il vero colpevole, chi ha sferrato il colpo fatale? Non esiste una chiara risposta a queste domande, però l’amico di Grzegorz, Jurek Popiel, era sicuramente quello più vicino a dare le risposte.

Sei nato un anno dopo gli avvenimenti che descrivi nel tuo film, come sei riuscito a rendere così bene l’atmosfera sociale ed estetica dell’epoca?

Ricordo di aver chiesto spesso ai miei genitori com’era la vita in quel periodo. Mentre lavoravo al film le mie ricerche sono andate oltre la vicenda, ho iniziato a pormi altre domande perché dovevo capire che cosa significa per me questo periodo storico e come volevo rappresentarlo nel film. Penso che per la mia generazione parlarne sia stato naturale. Ricreare il mondo degli anni Ottanta, anche se non sembra un passato lontano, ha richiesto un grande sforzo da parte della troupe. Molte scene sono girate all’interno, ma la chiave per me era mostrare la Varsavia di quel periodo perché Jurek Popiel e la madre di Grzegorz, Barbara Sadowska, vivevano nel centro di Varsavia. Insieme al direttore della fotografia Kacper Fertacz e a tutto il team abbiamo lavorato a lungo per trovare gli scenari caratteristici che ci aiutassero a raccontare questa storia senza fare della città una cartolina. Ho lavorato molto in fase di pre-produzione, abbiamo parlato a lungo con Kacper e Paweł Jarzębski, l’autore della scenografia, di come il film dovrebbe essere visivamente e quali effetti potevamo ottenere. Ogni dettaglio sullo schermo è estremamente importante per questo ho cercato di pensare a tutto prima.

Il film è un complesso mosaico di generi: ci sono gli elementi di un dramma politico, di un thriller e infine di una cronaca giudiziaria. Come hai gestito la scelta rispetto ai codici di genere nel raccontare questa storia così complessa?

Fin dall’inizio mi è sembrato che l’oppressione fosse l’argomento dominante a tutti i livelli e ho iniziato a guardarmi intorno per trovare qualcosa che assomigliasse a questa oppressione nel cinema. L’ispirazione più importante è stata il cinema hollywoodiano degli anni Settanta, ad esempio ”La conversazione” di Coppola, oltre ai film di Polański, e in un certo senso anche ”Blow-Up” di Antonioni. Questi film sono stati un punto di partenza. Per quanto riguarda il genere, ci sono elementi di thriller, film di spionaggio e crime fiction. L’effetto finale è in realtà un mosaico. Penso che molteplicità di temi e di generi siano la forza di questo film. Mi sembra che al giorno d’oggi il cinema sia interessante se è composto da molti elementi e ogni spettatore può trovare qualcosa di suo gusto.

È interessante che tu abbia presentato a Venezia un film su un giovane ragazzo morto durante il comunismo in Polonia quando una simile morte tragicamente inutile, quella di George Floyd, è successa recentemente negli Stati Uniti. È una specie di eco della storia che stai raccontando?

Penso di aver contato sette casi simili durante i quattro anni di produzione del film. In questo periodo ognuno di noi ha sentito parlare di qualche storia simile accaduta vicino o lontano da dove viviamo, l’omicidio di Floyd è solo il caso più famoso. A un certo punto ho pensato che stavo facendo un film rivoluzionario, ora non ne sono così sicuro. È stato un grande onore mostrare il film nel concorso principale alla Mostra del Cinema di Venezia. Non temo che il pubblico italiano non lo capisca. Penso che la chiave di lettura siano i piccoli dettagli che si riferiscono, come abbiamo detto, a molti altri eventi simili accaduti nel mondo. Se nessuno capisse questo film, significherebbe che tali storie non succedono più ed è esattamente il contrario. Forse ho fatto questo film per la paura che questa sia purtroppo ancora una storia attuale.

Nel film tocchi temi fondamentali come la libertà di stampa e l’indipendenza della magistratura. Quanto è importante oggi sottolineare questi aspetti?

Uno dei momenti chiave del film per me è il momento in cui Grzegorz Przemyk si è rifiutato di mostrare i documenti. Non si tratta qui di libertà della parola, ma certamente di diritti civili. Durante le riprese non ci avevo pensato molto ma ora mi sembra che questo aspetto sia uno degli elementi più importanti e universali toccati nel film. E naturalmente questo è direttamente correlato alla libertà della parola, che è valore fondamentale per la democrazia. Credo inoltre nella libertà dello spettatore perciò quando faccio i film cerco di non imporre una sola interpretazione. È lo spettatore che deve pensare al film e porsi delle domande, è una sorta di riflessione, meditazione, su ciò che ha visto e su ciò che significa per lui. La stessa scena, lo stesso personaggio, la stessa inquadratura può avere tante interpretazioni e questa è la cosa più interessante. I film dovrebbero porre domande aperte.

fot. Łukasz Bąk

Non pensi che l’eredità del comunismo influenzi ancora il modo in cui la gente si comporta, parla e si approccia a molte cose?

Nessun paese può dimenticare il suo passato. Le persone che vogliono sostituire la storia del proprio paese con una narrazione artefatta, fingendo di essere qualcun altro, vanno nella direzione sbagliata. Lavorando al film ho pensato a tanti aspetti, in particolare al fatto che la storia è scritta dai vincitori e penso che sia una dichiarazione molto attuale e coerente con ciò che sto raccontando. Mi sembra che sia necessario parlare del passato, anche se si tratta di argomenti molto dolorosi. Io ad esempio voglio conoscere il passato e parlarne per capire cosa sta succedendo ora in Polonia e nel mondo.

Sul tema si è espresso così Jacek Braciak, l’attore che interpreta il ruolo del padre di Jurek: ricordo quei tempi in cui l’allusione e la metafora erano l’unico modo accettabile ed efficace per combattere il comunismo, il sistema, la mediocrità, la schiavitù, i limiti. Queste erano le uniche ondate di leggerezza. Dopo l’ottantanove si è scoperto che possiamo dire quello che vogliamo. Ad esempio “il presidente è stupido”, solo che questo non funziona. La mancanza di allusione non stimola gli artisti, se così possiamo chiamare lo show business cinematografico polacco, a fare uno sforzo. Penso che il linguaggio diretto sia semplice, colloquiale, non molto sofisticato. Quindi, se arriva qualcos’altro che ha la possibilità di essere velato, più nobile e non diretto, secondo me è meglio. E ogni storia su, ad esempio, quei temi che abbiamo menzionato ha gli stessi riferimenti, indipendentemente dal fatto che si tratti di una tragedia greca o di un film realizzato nel 2020.

Che senso ha fare film così complessi in un mondo dominato da social media e persone perennemente distratte?

Mio padre era un giornalista nella Polonia degli anni Ottanta e Novanta, motivo per cui sono un grande fan delle interviste lunghe, degli articoli e dei libri. Amo la carta. Vi ricordate ancora che cos’è? Oggi, invece, si leggono frasi su Twitter e hashtag e io non voglio seguire questa strada. Fare film è un modo per impegnarsi in un dialogo più profondo e far riflettere le persone. Non voglio giudicare nessuno, dividere il mondo in buoni e cattivi. L’unica cosa che posso fare come regista, e ci credo fortemente, è stimolare lo spettatore durante queste due ore del film a riflettere sull’argomento trattato, su cui poi è libero di dare il suo giudizio. Arte, articoli o letteratura sono una sorta di specchio da cui puoi prendere qualcosa per te stesso e, sarò pure ottimista, ma credo che possano rendere il mondo un posto migliore. Leggere libri, articoli, guardare film, concentrarsi sulla conversazione durante un’intervista che non dura cinque minuti, sono comportamenti saggi cui è necessario ispirarsi.

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Vasocottura: semplice, veloce, ecologica!

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Avete mai sentito parlare di vasocottura? È una tecnica di origini piuttosto antiche, che consiste nel cucinare direttamente in vasi di vetro. Semplice, così semplice da destare molta curiosità. Una tecnica recentemente riscoperta da chef e food blogger perché, oltre alla semplicità, presenta numerosi altri vantaggi.

Innanzitutto con la cottura in vaso non vi è dispersione di sostanze nutritive: questo significa che il risultato finale sarà un cibo non solo più sano, ma anche più saporito. Di conseguenza la preparazione necessita di poco sale e olio: si tratta quindi di un metodo di cottura anche dietetico. Inoltre gli ingredienti vengono messi tutti all’interno di un unico vasetto che durante la cottura crea il sottovuoto: si sporca pochissimo e se non si consuma subito si può conservare a lungo! Senza contare che la preparazione in vasetti separati consente sia di personalizzare la ricetta in base ai gusti, che di evitare contaminazioni in caso di allergie.

L’aspetto più interessante comunque sono i tempi di cottura: velocissimi, perché il vaso una volta chiuso funziona di fatto come una piccola pentola a pressione.

Ma come si fa a cucinare in un vasetto, vi starete chiedendo? Il vaso ha la doppia funzione di contenere e rendere più veloce la cottura, ma ovviamente serve una fonte di calore, e la vasocottura si presta a diversi metodi. Il più utilizzato è il microonde, ma vanno bene anche il forno tradizionale, i normali fuochi a gas oppure, e qui viene il bello, la lavastoviglie!

Cominciamo dai vasi: vanno bene tutti i vasi di vetro, l’importante è controllare che i tappi e le guarnizioni in gomma siano integri e funzionanti, altrimenti non saranno in grado di mantenere il sottovuoto. Se si utilizza il microonde, bisogna scegliere dei contenitori unicamente in vetro, senza parti di metallo che altrimenti diventano pericolose. I migliori allo scopo sono sicuramente i vasi Weck, ma per cominciare vanno bene anche i vasi riciclati da conserve e marmellate.

Per la preparazione della ricetta, è presto detto: si inseriscono tutti gli ingredienti all’interno del vaso e si comincia la cottura. Solo se gli ingredienti hanno tempi di cottura molto diversi, oppure se c’è bisogno di un soffritto, allora si divide la preparazione in diverse fasi, ma sempre all’interno dello stesso vaso.

La cottura in microonde prevede tempi davvero molto rapidi (mediamente 6-8 minuti a 800W) e un tempo di riposo in cui la pietanza continua a cuocere all’interno del vaso. Se invece utilizzate il forno tradizionale, sistemate i vasi in una pirofila immersi in 2 cm d’acqua, e poi fate cuocere per 20 minuti a 60-80°: rispetto al microonde i tempi sono un po’ più lunghi, ma comunque più brevi rispetto alla cottura tradizionale, e il risparmio energetico è notevole.

Se preferite la tecnica a bagnomaria, sistemate i vasi all’interno di una casseruola, separandoli con uno strofinaccio in modo che non urtino tra loro, e aggiungete acqua fino a 2/3 dei vasi; cuocete per circa 15 minuti, poi estraete i vasi e posizionateli capovolti. Fate attenzione perché il contenuto sarà bollente, è necessario aspettare sempre qualche minuto prima di aprire!

E per i più “green”, la cottura può essere effettuata anche in lavastoviglie: la cottura avviene grazie al calore elevato prodotto durante la fase di asciugatura, e sfruttando l’energia che verrebbe comunque consumata dall’elettrodomestico in funzione! I vasi in questo caso vanno chiusi in sacchetti riutilizzabili e resistenti alle alte temperature.

Con la tecnica di vasocottura si può realizzare un intero menù: dal risotto al dolce, passando per carne, pesce e ovviamente frutta e verdura. Gli unici alimenti che è meglio evitare sono i funghi: la cottura libera delle tossine di cui il vaso chiuso non permette l’evaporazione.

Se ancora siete scettici su questa tecnica di cottura, vi invito a curiosare fra librerie e siti internet: troverete tantissimi spunti di ricette, alcune semplici, altre elaborate, ma sempre invitanti!

Vi lascio con la ricetta di un ingrediente di stagione: i carciofi, che potrete servire come contorno oppure utilizzare come base per un risotto! Pulite i carciofi eliminando le foglie più dure e metteteli in acqua acidulata con il limone (in questo modo si evita di farli annerire). Quando tutti i carciofi saranno puliti, trasferiteli nei vasi sistemandoli con la base (il lato del manico) verso il basso. Condite con aglio e prezzemolo tritati, sale, pepe e olio d’oliva. Chiudete il vasetto e cucinate in microonde per 6 minuti a 800 W. Terminato il tempo di cottura estraete il vaso (attenzione, sarà bollente!) e lasciate riposare per almeno 10 minuti prima di servire.

Non vi rimane che sperimentare con altri ingredienti e, se lo desiderate, inviatemi le foto delle vostre ricette!

Domande o curiosità inerenti l’alimentazione? Scrivete a info@tizianacremesini.it e cercherò di rispondere attraverso questa rubrica!

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Tiziana Cremesini, diplomata in Naturopatia presso l’Istituto di Medicina Globale di Padova. Ha frequentato la Scuola di Interazione Uomo-Animale ottenendo la qualifica di Referente per intervento di Zooantropologia Assistenziale (Pet-Therapy), attività in cui si sposano i suoi interessi: supporto terapeutico e miglioramento della relazione fra essere umano e ambiente circostante. Nel 2011 ha vinto il premio letterario Firenze per le culture di pace in memoria di Tiziano Terzani. Attualmente è iscritta al corso di Scienze e Tecnologie per Ambiente e Natura presso l’Università degli Studi di Trieste. Ha pubblicato due libri  “Emozioni animali e fiori di Bach” (2013), “Ricette vegan per negati” (2020). Con Gazzetta Italia collabora dal 2015 curando la rubrica Siamo ciò che mangiamo. Per più informazioni visitate il sito www.tizianacremesini.it

Gli antichi eroi sulla facciata della Palazzina d’Oro

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Sapete che cos’è l’iconografia? Secondo il Dizionario della Lingua Polacca è una categoria che si occupa di descrizione e di interpretazione delle opere d’arte. Comunque, che cosa significa? Immaginatevi di guardare un film giapponese e di non sapere alcuna parola di questa lingua. Siete interessati all’immagine e al suono. Capite parzialmente la trama perché osservate la gente che si diverte ad una festa, urla oppure alla stazione si dice addio. Ritenete che sia stato un film interessante, con una bella musica e il movimento particolare della fotocamera. Vi sono piaciuti i costumi, le pettinature, l’architettura… E ora immaginatevi di guardare lo stesso film, ma con i sottotitoli.

Salta fuori che la festa costituiva un dovere professionale, la gente che urlava non litigava e la separazione alla stazione era un sollievo per entrambi. I sottotitoli hanno facilitato la comprensione del film. Ecco cos’è l’iconografia: comprendere non solo l’aspetto estetico e la tecnica di esecuzione. Grazie all’iconografia un’opera arriva ancora più a fondo. Succede spesso che decifrare i simboli di un capolavoro richieda anni o addirittura secoli. Tale è il caso della Palazzina d’Oro a Danzica, la cui particolarmente ricca decorazione scultorea costituisce un tratto erudito che si riferisce all’antica Grecia, alla Roma repubblicana, alla politica delle città italiane del Rinascimento e alla moralità protestante.

La Palazzina d’Oro, chiamata anche Casa di Speymann (Speymannhaus) o Casa di Steffens, è ubicata in piazza Długi Targ a Danzica, vicino alla famosa Fontana di Nettuno e alla Corte di Artù. La sottile facciata che si mostra verso sud si distingue tra le pareti multicolori degli edifici vicini per il suo bianco puro e gli elementi dorati della decorazione. Nonostante il fatto che costituisca una delle realizzazioni più importanti del XVII secolo a Danzica, nessuno si è impegnato ad analizzare tutti gli elementi iconografici presenti sulla facciata. Non si tratta però di una svista ma di un segno di umiltà verso lo studio di un messaggio così complicato. Gli studiosi riflettono sull’ordine interno della rappresentazione, che consentirebbe la decifrazione dell’intero messaggio, ma indagano anche i criteri della selezione di presentazione e di correlazioni tra gli elementi esposti.

Gli elementi simbolici e allegorici, che appaiono nella ricca decorazione architettonica di tanti edifici rappresentativi di Danzica, si riferiscono all’antichità interpretata in conformità con la moralità protestante. Intorno al 1600 l’arte è diventata una forma di trasmissione delle idee repubblicano-stoiche da parte dei patrizi di Danzica. A questo scopo servivano gli antichi testi di Ovidio, Livio, Cicerone, Valerio Massimo e Plutarco. Nelle decorazioni architettoniche, nella pittura e nella scultura Danzica era presentata come una repubblica, una Nuova Roma con la sua storia e con i suoi miti, che sono stati utilizzati per la glorificazione della storia locale.

Gli abitanti di Danzica hanno successivamente sviluppato la loro distinzione, sia culturale, sia politica. La referenza alla Nuova Roma riguarda il mito della fondazione della Città Eterna, che a Danzica hanno legato al trionfante assedio di Malbork e alla sconfitta dell’Ordine Teutonico. Nella cultura si sono riferiti a questi eventi tanto quanto a quelli dell’antichità, collegando le idee e ispirandosi ai comuni italiani.

La Palazzina d’Oro è stata costruita nel 1609 in uno dei luoghi più rappresentativi di Danzica: in piazza Długi Targ 41. Johann Speymann ha commissionato ad Abraham van den Block il progetto di un edificio con la facciata in pietra in stile manierista. L’esecuzione parziale di sculture si attribuisce a Hans Voigt di Rostock. L’edificio è stato terminato nel 1618 e da questo momento la palazzina, oltre alla funzione residenziale, ha svolto anche la funzione di museo di oggetti originali. Speymann vi ha raccolto una collezione di sculture, oggetti di artigianato, ha dotato la biblioteca di molti libri e ha creato una piccola armeria con le armature milanesi. Ha assunto un custode che una volta alla settimana mostrava gli interni agli ospiti. Dopo la morte di Speymann l’edificio è passato nelle mani dei generi e poi della famiglia Krause. Carl Gottlieb Steffens ne è diventato il proprietario nel 1768 e l’edificio è appartenuto alla sua famiglia fino al 1918 quando è divenuto proprietà della città. La collezione è stata trasferita al Museo Nazionale di Scienze Naturali e alla fine della Seconda guerra mondiale è scomparsa. La Palazzina è stata per la maggior parte distrutta durante gli attacchi aerei tedeschi. In seguito è stata ricostruita secondo il progetto di Marian Bajdo.

La Palazzina d’Oro ha la facciata simmetrica e triassiale, divisa da pilastri e sormontata da una terrazza con ringhiera, dietro la quale si trova uno sfuggente tetto triangolare. Nell’asse centrale è situato un portale con la cornice semicircolare e con dei pilastri laterali toscani decorati con panoplie. Nei piani superiori i pilastri sono decorati con rilievi vegetali (grappoli, frutta e fiori di granata) e con un capitello ionico. La facciata è coronata da quattro statue, allegorie degli antichi valori platonici, che in seguito il cristianesimo ha adattato nelle virtù cardinali. Sopra il portale, invece, sono presentate le allegorie delle virtù teologiche, subordinate a quelle cardinali. L’accentuazione delle virtù nell’iconografia della facciata è un messaggio di Speymann che indica la sua identificazione con l’ideale stoico del saggio perfetto.

Tra gli innumerevoli ornamenti, gli antichi eroi costituiscono il gruppo più numeroso. Le rappresentazioni di Solone e di Temistocle patrocinano in un certo senso ideologicamente l’intero programma iconografico. Solone, come legislatore e corifeo ateniese, credeva che il benessere della città (in greco polis) dipendesse dalla moralità del popolo e dalla pace interiore. Nel 594 a.C. introdusse le riforme che avrebbero migliorato la situazione politica e parzialmente anche sociale di Atene. A Danzica fu un modello delle virtù civili. La sua rappresentazione si trova sopra il capitello del pilastro del terzo piano e affianca, insieme al ritratto di Catone situato sul lato opposto, una scena di combattimento di Temistocle, rappresentata come rilievo nel campo rettangolare. Temistocle, in relazione alla situazione politica di Danzica, diventa un esempio di capo intelligente e astuto. Nel V secolo Temistocle, politico straordinario, creò una flotta che sarebbe diventata potenza marittima. Per Atene questo significò il governo della Lega delle isole e delle coste del Mar Egeo che avevano il loro centro a Delo. Permisero a Temistocle di realizzare il suo piano, parzialmente ingiusto, però favorevole ad Atene. Occorre quindi collegare il rilievo della battaglia di Temistocle direttamente con la storia di Danzica che a quel tempo, a causa dei suoi interessi commerciali era contraria alla guerra polacco-svedese e di conseguenza alla costruzione della flotta regale? Gli studiosi affermano che non ci sono le prove per dire che Speymann non era d’accordo con il Consiglio Comunale per quanto riguarda questa costruzione. Nella decorazione della palazzina gli studiosi indicano quindi un piano d’azione favorevole alla città che consenta il controllo e faciliti lo sviluppo del commercio, della politica e della cultura anche se questo richiederà dei sacrifici. Nel caso della classe dei Patrizi, a cui apparteneva Speymann, l’interesse della città costituì sempre la priorità. Questo viene maggiormente sottolineato grazie alle rappresentazioni degli eroi romani e della loro storia. Rileggendo l’iconografia delle illustrazioni di quello che successe nella Roma repubblicana, vale la pena prestare un po’ di attenzione alla questione della libertà di Danzica e dell’ammonimento per la Repubblica di Polonia per quanto riguarda i suoi sforzi per limitare i privilegi della città. Tra gli eroi romani si trovano, prima di tutto, Lucrezia e Lucio Giunio Bruto. Il rilievo che rappresenta una scena tra Lucrezia e Bruto è situato nel campo rettangolare tra il secondo e il terzo piano. È affiancato dalle rappresentazioni di Marco Porcio Catone Uticense, uno stoico famoso per la sua onestà e un predicatore dell’idea repubblicana, e di Ottone III di Sassonia, un imperatore chiamato “nobile”, sostenitore del rinnovamento dell’Impero Romano. Lucrezia, un personaggio quasi mitico del tramonto dell’età regia di Roma, e il suo parente, Lucio Giunio Bruto, sono legati agli inizi della Roma repubblicana. Nel 509 a.C. Lucrezia, stuprata dal principe Sesto Tarquinio, preferì suicidarsi invece che vivere nella vergogna. Questo evento la rese un modello delle virtù delle donne e Valerio Massimo la descrisse nel primo capitolo di Factorum et dictorum memorabilium libri IX. La sua morte diventò l’inizio della ribellione e del rovesciamento della monarchia. Lucio Giunio Bruto, guardiano di Lucrezia, svolse un ruolo importante all’inizio della Repubblica perché come capo della rivolta contro Tarquinio, portò all’espulsione del re e al passaggio dei poteri al Senato. Diventò anche il primo console.

Non è possibile elencare tutte le figure storiche, bibliche, allegoriche e mitiche, le cui rappresentazioni sono situate nella facciata della palazzina. Ognuna di loro motiva l’attività delle autorità di Danzica che, sottolineando i loro ideali repubblicani, hanno utilizzato le categorie delle virtù romane, delle azioni dei difensori della democrazia ateniese o degli eventi biblici per promuovere e giustificare le proprie azioni a favore della città. Non si può omettere la religione di cui questo articolo non tratta. Sebbene dominino la storia e i modelli greco-romani, tutto il progetto è patrocinato da Dio stesso e i riferimenti alla Bibbia e alla religione sono altrettanto numerosi. Nel XVII secolo l’interesse di Danzica valeva più di ogni altra cosa. La città, già prospera, continuava ad arricchirsi e la modalità erudita nella decorazione degli edifici pubblici e privati costituiva una testimonianza di conoscenza, fede, istruzione e consapevolezza dei cittadini.

Bibliografia:

  • Jacek Bielak, Ikonografia Złotej Kamienicy na nowo odczytana, [w:] Mieszczaństwo gdańskie, Gdańsk 1997
  • Marcin Kaleciński, Mity Gdańska. Antyk w publicznej sztuce protestanckiej res publiki, Gdańsk 2011
  • Tadeusz Zieliński, Grecja niepodległa, Katowice 1988

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