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Opole, la Sanremo polacca

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Festival di Opole nel 1976, fot. Roman Hlawacz, foto archivio del Museo della canzone polacca di Opole

Andare al festival e dopo dire: “siamo stati a Opole” suona molto bene, un po’ come se avessimo detto “siamo stati a Sanremo”, così scriveva nel 1971 nel suo libro di ricordi “Festiwale opolskie” Jerzy Grygolunas, uno degli inventori del Festival Nazionale della Canzone Polacca di Opole. E in effetti, se si guarda alla storia di entrambi i festival, l’enorme popolarità di cui godono da sempre in Polonia sia il Festival di Sanremo, sia la musica italiana, ma anche le tradizioni del festival ad Opole, non si può che approvare questa affermazione.

A separare Opole da Sanremo, sulla costa ligure, ci sono 1500 di chilometri, oltre alle differenze geografiche, linguistiche e culturali, ma ciò che le unisce è un legame invisibile, la cui essenza si trova nella canzone. Sanremo è diventata la capitale indiscussa della canzone italiana grazie al festival che viene organizzato dal 1952. Opole ha ricevuto lo stesso titolo, nel contesto della canzone polacca, da Jerzy Waldorff, un geniale critico della musica, dopo la prima edizione nel 1963 e così rimane fino ad oggi.

Ovviamente ci sono altre somiglianze tra i due festival. Nell’Italia del dopoguerra l’evento è stato un tentativo di mostrare agli italiani che il loro paese ha una sua musica, moderna, che non ha niente da invidiare alle hit provenienti dagli Stati Uniti e dai Paesi dell’Europa occidentale. A ideare il festival sono stati Piero Bussetti, proprietario del casinò a Sanremo e Giulio Razzi, conduttore della televisione italiana RAI. All’inizio il festival era organizzato nel Casinò e durante la prima edizione si sono esibiti soltanto tre artisti, i quali hanno presentato canzoni nuove, create apposta per il festival, poi anno dopo anno la popolarità dell’evento è cresciuta molto velocemente. Già durante la seconda edizione si sono esibiti molti più cantanti e il festival ha iniziato ad influenzare la musica italiana, sia nelle interpretazioni che nell’arrangiamento stimolando show radiofonici e televisivi. Ed anche se per vari anni il festival ha cambiato spesso formula e si è trasferito dal Casinò a l’iconico Teatro Ariston, è sempre rimasto legato all’idea del concorso. Sanremo è stato un trampolino di lancio per artisti come: Domenico Modugno che ha vinto il festival ben quattro volte, Adriano Celentano, Bobby Solo, Toto Cutugno, Al Bano e Romina Power. Ha poi rappresentato l’inizio della carriera per Andrea Bocelli, Laura Pausini, Eros Ramazzotti e l’anno scorso ha lanciato i Måneskin, un energetico gruppo rock.

Il Festival del 1976, fot. Ryszard Łabus, foto archivio del Museo della canzone polacca di Opole

Una cosa simile è successa ad Opole. Nel 1962 alle porte dello studio del leggendario sindaco della città di quel tempo Karol Musiał, chiamato anche “Babbo”, hanno bussato Jerzy Grygolunas e Mateusz Święcicki, due giornalisti di Varsavia. Sono venuti con l’idea di creare proprio ad Opole un festival rivolto ai giovani musicisti e agli autori polacchi. Il nuovo festival sarebbe dovuto essere il tentativo di mostrare ad un pubblico più grande le tendenze di quel tempo nella musica polacca di intrattenimento. Gli inizi, come in Italia, sono stati difficili, perché anche se i due fondatori hanno fatto un lavoro enorme nel ruolo di manager e di ricercatori di talenti, molti artisti e conduttori si rifiutavano di partecipare. Anche nella costruzione dell’anfiteatro all’aperto hanno dovuto fare una corsa contro il tempo. Per fortuna sia gli artisti che i responsabili degli allestimenti hanno fatto davvero un buon lavoro. L’anfiteatro è stato consegnato solennemente durante il giorno inaugurale del primo festival, il 19 giugno del 1963, e durante i 15 concerti si sono esibiti 102 artisti. Il Festival di Opole, similmente a quello di Sanremo, è diventato un evento rivoluzionario nella storia della musica d’intrattenimento polacca, che ha lanciato nuove star e nuove hit, e ovviamente è diventato anche un famosissimo spettacolo televisivo. La rivelazione del primo Festival è stata Ewa Demarczyk, e nelle edizioni seguenti hanno seguito l’esempio: Anna German, Czesław Niemen, Czerwone Gitary, Skaldowie, Maryla Rodowicz, Urszula Sipińska, Alicja Majewska, Ewa Bem, Maanam, Perfect. Il palcoscenico di Opole ha visto l’esordio di tanti famosi cantanti tra cui Hanna Banaszak, Justyna Steczkowska ed Edyta Górniak.

Teatro Ariston, dove ogni hanno si tiene il Festival di Sanremo, fot. Tracey Pettrone

Per tanti anni la musica italiana, con i suoi artisti e le famose canzoni, che andava in scena durante il Festival di Sanremo, ha avuto una influenza indiscutibile su molti artisti polacchi. Le trasmissioni di Sanremo, all’epoca della Cortina di ferro, tenevano incollati allo schermo milioni di polacchi. “È stata una sorta di modello per noi, il festival più antico d’Europa, ancora attivo, con i suoi alti e bassi”, ricordava Marek Sierocki, un noto giornalista polacco di musica, pluriennale direttore artistico dei festival di Sopot e di Opole. “E le trasmissioni televisive sono state una delle poche opportunità per vedere in azione delle vere star”.

Gli artisti italiani e le loro canzoni sono stati spesso fonte d’ispirazione per gli artisti polacchi. Già nel 1964 durante la seconda edizione del festival di Opole, Ewa Demarczyk si è esibita con una sua reinterpretazione di “24Mila Baci”, hit di Adriano Celentano, presentata a Sanremo tre anni prima. E a Sanremo hanno cantato anche due grandi artisti polacchi: Anna German e Czesław Niemen.

Non è possibile riassumere in poche parole la storia italiana di Anna German. La meravigliosa artista, bella e dotata di una magnifica voce, vincitrice di varie edizioni del festival di Opole è stata invitata in Italia dalla casa discografica CDI (Company Discografica Italiana). La sua carriera, nella solare Italia, ha iniziato a correre. La stampa italiana scriveva della talentuosa polacca chiamandola La Mina dalla Cortina di ferro (“Panorama Europeo”, “La Domenica del Corriere”, “Sorrisi e Canzoni”, fonte: Anna German “Wróć do Sorrento?… Moja Historia”). L’artista si è esibita durante il 17° Festival di Sanremo cantando una canzone intitolata “Gi” scritta da Fred Bongusto sfidando artisti leggendari come Domenico Modugno, Adriano Celentano, Dalida e Luigi Tenco (quest’ultimo morto suicida nella sua stanza dell’hotel poco dopo la sua esibizione). Ed anche se il Festival di Sanremo non è stato tenero né con Anna German, né con altri artisti polacchi, grazie alla sua esibizione ha ottenuto la simpatia degli spettatori e degli ascoltatori italiani. L’affetto del pubblico si è tradotto in molti inviti in programmi televisivi e proposte di partecipazione in altri festival italiani ed infine nella registrazione di quattro dischi (tre singoli e un long play). “Il primo premio a Sanremo è ovviamente una cosa fantastica. Ti permette di mantenerti per un paio di anni! (…) Ma la cosa più importante è: piacere al pubblico! No, non parlo degli snob seduti a teatro, ma di quelli che seguono davanti al televisore. Lo studio televisivo è stato bombardato dalle richieste di mostrare di nuovo la Sua esibizione. Congratulazioni! In Italia è certamente un onore riservato a poche persone”, ha detto Domenico Modugno ad Anna German in occasione della loro esibizione insieme durante il programma televisivo “Giochi in famiglia” (Aleksander Żygariow in “Tańcząca Eurydyka. Anna German we wspomnieniach”).

La storia di successo si è interrotta a causa di un tragico incidente stradale sull’autostrada vicino a Bologna, dopo il quale ci è voluto molto tempo per l’artista per riprendersi completamente. “Se non fosse stato per l’incidente Anna German sarebbe stata una famosa star in Italia per molti anni. Tutto faceva pensare che avrebbe fatto una grande carriera”, ammette Marek Sierocki.

Czesław Niemen al Festival di Opole, fot. Ryszard Łabus, foto archivio del Museo della canzone polacca di Opole

Ad esibirsi a Sanremo ci è quasi riuscito anche un altro artista polacco, cantante, compositore, polistrumentista Czesław Niemen, autore di una delle canzoni di protesta più conosciute intitolata “Dziwny jest ten świat”, per la quale ha ricevuto il premio nel 1967 durante il quinto Festival di Opole. La sua avventura italiana ha avuto inizio a Bologna, grazie alla conoscenza con Antonio Foresti, l’organizzatore di vari festival di jazz internazionali. Nel 1970 Niemen ha registrato una canzone di Nicola di Bari: “La Prima Cosa Bella”. Purtroppo è stato vittima delle proteste da parte dei sindacati di musicisti turchi che non hanno accettato il ritiro del rappresentante del loro paese in cambio di un polacco. La protesta è stata sostenuta dai sindacati dei musicisti italiani per paura di perdere la possibilità di fare ben retribuiti concerti in Turchia. Così la canzone è stata presentata dal suo compositore Nicola Di Bari e Gianni Morandi (la formula dell’epoca prevedeva che ogni canzone dovesse essere cantata da due artisti separatamente) ed ha ottenuto il secondo premio. È diventata un grande hit cantata da generazioni di artisti, la versione più bella è stata forse quella lirica e contemporanea di Malika Ayane. La versione di Czesław Niemen è stata pubblicata sul disco che ha celebrato la 20^ edizione del Festival di Sanremo.

Ad Opole sia German che Niemen sono stati onorati con delle stelle messe lungo la Aleja Gwiazd Polskiej Piosenki (una “Walk of Fame” della Canzone Polacca) che si trova nella piazza della città. La Aleja ricorda molti cantanti, gruppi, compositori e autori di testi. Ogni anno, durante il Festival di Opole, grazie alle autorità cittadine e alla fondazione Stolica Polskiej Piosenki vengono aggiunte delle nuove stelle. Il rituale è diventato una parte importante del Festival. Anche a Sanremo c’è una tradizione simile. La “Walk of Fame” è una strada in cui ci sono le targhe dei vincitori di Sanremo, i titoli delle canzoni che hanno vinto con i nomi degli interpreti. Le targhe si trovano nella principale strada pedonale in via Matteotti, accanto al Teatro Ariston. Ogni anno, un paio di giorni prima dell’inizio del Festival, la città rende omaggio al vincitore dell’anno precedente aggiungendo una nuova targa celebrativa. Accanto alla “Walk of Fame” c’è una statua di bronzo del famoso conduttore italiano Mike Bongiorno il quale ha presentato il Festival per undici anni. Ad Opole invece le statue degli artisti polacchi si possono vedere lungo la Wzgórze Uniwersyteckie, dove sono state messe su iniziativa del professore Stanislaw Nicea, pluriennale rettore dell’Università di Opole, esperto conoscitore della musica polacca di intrattenimento. Fra le statue ce n’è anche una di Czesław Niemen, scolpita da Marian Molenda, un artista di Opole.

Tanti racconti interessanti, resoconti di concerti, ma anche i vestiti ed altri oggetti che hanno a che fare col Festival sono esposti nel Museo della Canzone Polacca creato cinque anni fa, la cui sede si trova nel mitico teatro. Ogni anno il museo attira migliaia di turisti, tra cui anche italiani. Anche Sanremo viene visitato da molti polacchi e ciò succede sicuramente sia per la nostalgia che i polacchi provano verso il famoso Festival, sia per l’amore per la musica italiana. Gli artisti polacchi continuano ad ispirarsi alle canzoni italiane, prova ne è l’ultimo disco di Michał Bajor, un grande cantante polacco di Opole, ambasciatore della capitale della canzone polacca, la cui stella splende da tanti anni nella Aleja Gwiazd Polskiej Piosenki. Sul disco intitolato “Color Cafe” ci sono le canzoni francesi ed italiane più famose, tra cui “Ciao cara, come stai” la premiata canzone di Iva Zanicchi, presentata a Sanremo nel 1974.

La magia dei due festival è iniziata fin dalle prime edizioni ed anche se entrambi gli eventi hanno vissuto una storia di alti e bassi rimangono sempre l’appuntamento musicale più importante nei loro rispettivi Paesi. Festival che è importante seguire almeno per poter poi dire, o addirittura criticare “perché Sanremo è Sanremo” e parafrasando “perché Opole è Opole”.

Bibliografia
  • Dariusz Michalski „Z piosenką dookoła świata”, Warszawa 1990
  • Festiwalowe 1001 Drobiazgów, Muzeum Polskiej Piosenki w Opolu, 2015, 2016
  • „Tańcząca Eurydyka. Anna German we wspomnieniach”, Mariola Pryzwan, Warszawa 2013
  • Dariusz Michalski „Czesław Niemen. Czy go jeszcze pamiętasz?”, Warszawa 2009
  • Anna German „Wróć do Sorrento?… Moja historia”, Warszawa 2012
  • Roman Radoszewski „Czesław Niemen. Kiedy się dziwić przestanę. Monografia artystyczna”, Warszawa 2004
  • Jarosław Wasik, „Moje festiwale opolskie” w: „Opole, dzieje i tradycja”, red. B. Linek, K. Tarka, U. Zajączkowska, Opole 2011

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traduzione it: Antonina Kudasik

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La musica ci permette di superare i nostri limiti. Re.corder, uno strumento rivoluzionario lo rende possibile per tutti. Clicca qui per leggere l’articolo.

Conferenza FAO a Lodz

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Durante la conferenza FAO (food and agricolture organization) che durerà fino al 13 maggio è stata programmata una discussione sulle conseguenze che l’invasione russa dell’Ucraina avrà sull’agricoltura mondiale. La FAO, nata nel 1945, con sede a Roma, si occupa della lotta contro la fame e contro la povertà ma anche di rafforzare la prosperità attraverso la ridistribuzione alimentare e lo sviluppo agricolo. Aprendo la 33^ sessione della conferenza regionale FAO, a Łódź, il direttore dell’organizzazione Qu Dongyu ha sottolineato la crescente importanza della Polonia per quanto riguarda la produzione alimentare. “La Polonia è uno dei paesi più competitivi nell’ambito dell’agricoltura e della produzione alimentare in Europa” ha dichiarato Qu Dongyu. Il ministro degli esteri Zbigniew Rau durante la conferenza ha dichiarato che in Polonia l’agricoltura è parte significativa dell’economia. “L’aggressione russa contro l’Ucraina ha destabilizzato la sicurezza alimentare globale, dobbiamo rafforzare il sistema in questo settore” ha detto Rau che ha aggiunto che la sicurezza alimentare è una priorità per i prossimi anni e una crisi in questo campo può influenzare la migrazione e fermare lo sviluppo delle economie. Il ministro ha inoltre sottolineato l’importanza del ruolo che svolge la FAO per la sicurezza globale. Il vice primo ministro e ministro dell’agricoltura Kowalczyk durante l’inaugurazione della conferenza nel suo discorso ha richiamato l’attenzione sull’importanza dei problemi che verranno discussi durante la sessione tra cui la situazione economica e politica difficile e l’impatto che la pandemia ha avuto sulle prospettive di uno sviluppo sostenibile. Un’altra minaccia per l’agricoltura e la sicurezza alimentare è l’invasione russa dell’Ucraina. Il paese invaso è infatti un importante produttore alimentare nel mondo.

https://www.pap.pl/aktualnosci/news%2C1206938%2Crau-rosyjska-agresja-przeciw-ukrainie-zdestabilizowala-globalne

Straordinario successo di pubblico alle celebrazioni dell’anniversario del principe Jozef Poniatowski

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Lo scorso weekend 6-7 maggio al Castello Reale di Varsavia si sono svolte le celebrazioni in memoria del compleanno del principe Jozef Poniatowski. Un ricco programma e il bel tempo hanno attirato migliaia di persone al picnic culturale. Le celebrazioni sono iniziate venerdì scorso con una conferenza scientifica, sempre venerdì nell’ufficio maggiore dell’appartamento del principe Józef Poniatowski a Pałac pod Blachą, è stata aperta anche la mostra su 22 documenti originali sconosciuti con la firma di Napoleone Bonaparte, provenienti da diversi periodi: lettere, ordini, rapporti e richieste, tra cui le prime firme del capo dei francesi, come primo console. Un elemento interessante della mostra è la corrispondenza riguardante sia il principe Józef Poniatowski sia altri importanti personaggi storici e i frequentatori abituali del Pałac pod Blachą. La mostra durerà fino al 31 luglio 2022. Ma è stato soprattutto il ricco programma del picnic di sabato ha attirato una grande folla tra cui tantissime famiglie con i bambini che hanno assistito a rievocazioni storiche di duelli, esercitazioni e il cambio della guardia eseguito dai gruppi di ricostruzione storica: Quarto e Dodicesimo reggimento di fanteria del Ducato di Varsavia, e poi ancora c’è stata la sfilata di moda stile impero e molti workshop. Non sono mancate le attrazioni per i più piccoli, che hanno potuto scoprire i segreti del Pałac pod Blachą e hanno partecipato ad una caccia al tesoro. Grande interesse anche per lo spettacolo Colori di Parigi. La storia del trucco e dei cosmetici colorati cento anni prima l’invenzione del mascara rivelando la composizione di vecchi cosmetici di colore e i segreti dell’abbellimento delle donne all’epoca. I cosmetici sono stati creati sulla base di ricette del XVIII e XIX secolo. Un’ottima e professionale organizzazione ha fatto provare a tutti l’atmosfera dell’epoca.  

Polonia Oggi

Matuszyński: fare cinema è porre domande

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La Biennale di Venezia / Foto ASAC ph G. Zucchiatti

“Non lasciare tracce” di Jan P. Matuszyński ha avuto la sua prima alla 78^ edizione della Mostra del Cinema di Venezia dove è stato accolto con entusiasmo dal pubblico internazionale. In Polonia, al Festival dei Film Polacchi a Gdynia conclusosi il 25 settembre 2021, il film ha ricevuto i Leoni d’argento e il premio per la scenografia.

Il 12 maggio 1983, nel centro storico di Varsavia, una pattuglia della milizia fermò Grzegorz Przemyk, che in quel giorno celebrava con gli amici il passaggio dell’esame di maturità. Secondo gli agenti della milizia il ragazzo era troppo sfacciato e meritava una lezione, così lo portarono al commissariato e poi lo colpirono con una serie di colpi allo stomaco, per non lasciare tracce. Le tracce non c’erano ma le numerose lesioni interne si rivelarono fatali. L’evento scosse l’opinione pubblica in Polonia e all’estero.

Il film è basato su eventi reali ed è ispirato all’omonimo libro reportage di Cezary Łazarewicz, perché hai voluto portare sul grande schermo questa vicenda?

Jan P. Matuszyński: Dopo il mio primo film, “L’ultima famiglia”, stavo cercando una nuova storia da raccontare. Quando ho ricevuto il libro di Łazarewicz dal mio produttore, ho capito subito che mi sarebbe piaciuto girare questa storia.

Quali sono secondo te gli aspetti più importanti del film?

Ad un certo punto ho iniziato a chiedermi cos’è più interessante, cosa significa dire tutta la verità, cosa vuol dire che qualcuno ha visto tutto. Ho pensato che sarebbe stato interessante raccontare la storia dal punto di vista del testimone oculare. Era una persona che aveva visto molto, ma non tutto, e questo lascia un certo mistero. Guardando il film iniziamo a chiederci se la versione del protagonista sia quella reale, o se forse alcuni dettagli siano stati omessi. Chi è il vero colpevole, chi ha sferrato il colpo fatale? Non esiste una chiara risposta a queste domande, però l’amico di Grzegorz, Jurek Popiel, era sicuramente quello più vicino a dare le risposte.

Sei nato un anno dopo gli avvenimenti che descrivi nel tuo film, come sei riuscito a rendere così bene l’atmosfera sociale ed estetica dell’epoca?

Ricordo di aver chiesto spesso ai miei genitori com’era la vita in quel periodo. Mentre lavoravo al film le mie ricerche sono andate oltre la vicenda, ho iniziato a pormi altre domande perché dovevo capire che cosa significa per me questo periodo storico e come volevo rappresentarlo nel film. Penso che per la mia generazione parlarne sia stato naturale. Ricreare il mondo degli anni Ottanta, anche se non sembra un passato lontano, ha richiesto un grande sforzo da parte della troupe. Molte scene sono girate all’interno, ma la chiave per me era mostrare la Varsavia di quel periodo perché Jurek Popiel e la madre di Grzegorz, Barbara Sadowska, vivevano nel centro di Varsavia. Insieme al direttore della fotografia Kacper Fertacz e a tutto il team abbiamo lavorato a lungo per trovare gli scenari caratteristici che ci aiutassero a raccontare questa storia senza fare della città una cartolina. Ho lavorato molto in fase di pre-produzione, abbiamo parlato a lungo con Kacper e Paweł Jarzębski, l’autore della scenografia, di come il film dovrebbe essere visivamente e quali effetti potevamo ottenere. Ogni dettaglio sullo schermo è estremamente importante per questo ho cercato di pensare a tutto prima.

Il film è un complesso mosaico di generi: ci sono gli elementi di un dramma politico, di un thriller e infine di una cronaca giudiziaria. Come hai gestito la scelta rispetto ai codici di genere nel raccontare questa storia così complessa?

Fin dall’inizio mi è sembrato che l’oppressione fosse l’argomento dominante a tutti i livelli e ho iniziato a guardarmi intorno per trovare qualcosa che assomigliasse a questa oppressione nel cinema. L’ispirazione più importante è stata il cinema hollywoodiano degli anni Settanta, ad esempio ”La conversazione” di Coppola, oltre ai film di Polański, e in un certo senso anche ”Blow-Up” di Antonioni. Questi film sono stati un punto di partenza. Per quanto riguarda il genere, ci sono elementi di thriller, film di spionaggio e crime fiction. L’effetto finale è in realtà un mosaico. Penso che molteplicità di temi e di generi siano la forza di questo film. Mi sembra che al giorno d’oggi il cinema sia interessante se è composto da molti elementi e ogni spettatore può trovare qualcosa di suo gusto.

È interessante che tu abbia presentato a Venezia un film su un giovane ragazzo morto durante il comunismo in Polonia quando una simile morte tragicamente inutile, quella di George Floyd, è successa recentemente negli Stati Uniti. È una specie di eco della storia che stai raccontando?

Penso di aver contato sette casi simili durante i quattro anni di produzione del film. In questo periodo ognuno di noi ha sentito parlare di qualche storia simile accaduta vicino o lontano da dove viviamo, l’omicidio di Floyd è solo il caso più famoso. A un certo punto ho pensato che stavo facendo un film rivoluzionario, ora non ne sono così sicuro. È stato un grande onore mostrare il film nel concorso principale alla Mostra del Cinema di Venezia. Non temo che il pubblico italiano non lo capisca. Penso che la chiave di lettura siano i piccoli dettagli che si riferiscono, come abbiamo detto, a molti altri eventi simili accaduti nel mondo. Se nessuno capisse questo film, significherebbe che tali storie non succedono più ed è esattamente il contrario. Forse ho fatto questo film per la paura che questa sia purtroppo ancora una storia attuale.

Nel film tocchi temi fondamentali come la libertà di stampa e l’indipendenza della magistratura. Quanto è importante oggi sottolineare questi aspetti?

Uno dei momenti chiave del film per me è il momento in cui Grzegorz Przemyk si è rifiutato di mostrare i documenti. Non si tratta qui di libertà della parola, ma certamente di diritti civili. Durante le riprese non ci avevo pensato molto ma ora mi sembra che questo aspetto sia uno degli elementi più importanti e universali toccati nel film. E naturalmente questo è direttamente correlato alla libertà della parola, che è valore fondamentale per la democrazia. Credo inoltre nella libertà dello spettatore perciò quando faccio i film cerco di non imporre una sola interpretazione. È lo spettatore che deve pensare al film e porsi delle domande, è una sorta di riflessione, meditazione, su ciò che ha visto e su ciò che significa per lui. La stessa scena, lo stesso personaggio, la stessa inquadratura può avere tante interpretazioni e questa è la cosa più interessante. I film dovrebbero porre domande aperte.

fot. Łukasz Bąk

Non pensi che l’eredità del comunismo influenzi ancora il modo in cui la gente si comporta, parla e si approccia a molte cose?

Nessun paese può dimenticare il suo passato. Le persone che vogliono sostituire la storia del proprio paese con una narrazione artefatta, fingendo di essere qualcun altro, vanno nella direzione sbagliata. Lavorando al film ho pensato a tanti aspetti, in particolare al fatto che la storia è scritta dai vincitori e penso che sia una dichiarazione molto attuale e coerente con ciò che sto raccontando. Mi sembra che sia necessario parlare del passato, anche se si tratta di argomenti molto dolorosi. Io ad esempio voglio conoscere il passato e parlarne per capire cosa sta succedendo ora in Polonia e nel mondo.

Sul tema si è espresso così Jacek Braciak, l’attore che interpreta il ruolo del padre di Jurek: ricordo quei tempi in cui l’allusione e la metafora erano l’unico modo accettabile ed efficace per combattere il comunismo, il sistema, la mediocrità, la schiavitù, i limiti. Queste erano le uniche ondate di leggerezza. Dopo l’ottantanove si è scoperto che possiamo dire quello che vogliamo. Ad esempio “il presidente è stupido”, solo che questo non funziona. La mancanza di allusione non stimola gli artisti, se così possiamo chiamare lo show business cinematografico polacco, a fare uno sforzo. Penso che il linguaggio diretto sia semplice, colloquiale, non molto sofisticato. Quindi, se arriva qualcos’altro che ha la possibilità di essere velato, più nobile e non diretto, secondo me è meglio. E ogni storia su, ad esempio, quei temi che abbiamo menzionato ha gli stessi riferimenti, indipendentemente dal fatto che si tratti di una tragedia greca o di un film realizzato nel 2020.

Che senso ha fare film così complessi in un mondo dominato da social media e persone perennemente distratte?

Mio padre era un giornalista nella Polonia degli anni Ottanta e Novanta, motivo per cui sono un grande fan delle interviste lunghe, degli articoli e dei libri. Amo la carta. Vi ricordate ancora che cos’è? Oggi, invece, si leggono frasi su Twitter e hashtag e io non voglio seguire questa strada. Fare film è un modo per impegnarsi in un dialogo più profondo e far riflettere le persone. Non voglio giudicare nessuno, dividere il mondo in buoni e cattivi. L’unica cosa che posso fare come regista, e ci credo fortemente, è stimolare lo spettatore durante queste due ore del film a riflettere sull’argomento trattato, su cui poi è libero di dare il suo giudizio. Arte, articoli o letteratura sono una sorta di specchio da cui puoi prendere qualcosa per te stesso e, sarò pure ottimista, ma credo che possano rendere il mondo un posto migliore. Leggere libri, articoli, guardare film, concentrarsi sulla conversazione durante un’intervista che non dura cinque minuti, sono comportamenti saggi cui è necessario ispirarsi.

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Se amate il cinema, date un’occhiata alla nostra serie “Finché c’è cinema, c’è speranza”.
Volete scoprire la storia della Mostra del Cinema di Venezia? Cliccate qui per saperne di più.

Vasocottura: semplice, veloce, ecologica!

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Avete mai sentito parlare di vasocottura? È una tecnica di origini piuttosto antiche, che consiste nel cucinare direttamente in vasi di vetro. Semplice, così semplice da destare molta curiosità. Una tecnica recentemente riscoperta da chef e food blogger perché, oltre alla semplicità, presenta numerosi altri vantaggi.

Innanzitutto con la cottura in vaso non vi è dispersione di sostanze nutritive: questo significa che il risultato finale sarà un cibo non solo più sano, ma anche più saporito. Di conseguenza la preparazione necessita di poco sale e olio: si tratta quindi di un metodo di cottura anche dietetico. Inoltre gli ingredienti vengono messi tutti all’interno di un unico vasetto che durante la cottura crea il sottovuoto: si sporca pochissimo e se non si consuma subito si può conservare a lungo! Senza contare che la preparazione in vasetti separati consente sia di personalizzare la ricetta in base ai gusti, che di evitare contaminazioni in caso di allergie.

L’aspetto più interessante comunque sono i tempi di cottura: velocissimi, perché il vaso una volta chiuso funziona di fatto come una piccola pentola a pressione.

Ma come si fa a cucinare in un vasetto, vi starete chiedendo? Il vaso ha la doppia funzione di contenere e rendere più veloce la cottura, ma ovviamente serve una fonte di calore, e la vasocottura si presta a diversi metodi. Il più utilizzato è il microonde, ma vanno bene anche il forno tradizionale, i normali fuochi a gas oppure, e qui viene il bello, la lavastoviglie!

Cominciamo dai vasi: vanno bene tutti i vasi di vetro, l’importante è controllare che i tappi e le guarnizioni in gomma siano integri e funzionanti, altrimenti non saranno in grado di mantenere il sottovuoto. Se si utilizza il microonde, bisogna scegliere dei contenitori unicamente in vetro, senza parti di metallo che altrimenti diventano pericolose. I migliori allo scopo sono sicuramente i vasi Weck, ma per cominciare vanno bene anche i vasi riciclati da conserve e marmellate.

Per la preparazione della ricetta, è presto detto: si inseriscono tutti gli ingredienti all’interno del vaso e si comincia la cottura. Solo se gli ingredienti hanno tempi di cottura molto diversi, oppure se c’è bisogno di un soffritto, allora si divide la preparazione in diverse fasi, ma sempre all’interno dello stesso vaso.

La cottura in microonde prevede tempi davvero molto rapidi (mediamente 6-8 minuti a 800W) e un tempo di riposo in cui la pietanza continua a cuocere all’interno del vaso. Se invece utilizzate il forno tradizionale, sistemate i vasi in una pirofila immersi in 2 cm d’acqua, e poi fate cuocere per 20 minuti a 60-80°: rispetto al microonde i tempi sono un po’ più lunghi, ma comunque più brevi rispetto alla cottura tradizionale, e il risparmio energetico è notevole.

Se preferite la tecnica a bagnomaria, sistemate i vasi all’interno di una casseruola, separandoli con uno strofinaccio in modo che non urtino tra loro, e aggiungete acqua fino a 2/3 dei vasi; cuocete per circa 15 minuti, poi estraete i vasi e posizionateli capovolti. Fate attenzione perché il contenuto sarà bollente, è necessario aspettare sempre qualche minuto prima di aprire!

E per i più “green”, la cottura può essere effettuata anche in lavastoviglie: la cottura avviene grazie al calore elevato prodotto durante la fase di asciugatura, e sfruttando l’energia che verrebbe comunque consumata dall’elettrodomestico in funzione! I vasi in questo caso vanno chiusi in sacchetti riutilizzabili e resistenti alle alte temperature.

Con la tecnica di vasocottura si può realizzare un intero menù: dal risotto al dolce, passando per carne, pesce e ovviamente frutta e verdura. Gli unici alimenti che è meglio evitare sono i funghi: la cottura libera delle tossine di cui il vaso chiuso non permette l’evaporazione.

Se ancora siete scettici su questa tecnica di cottura, vi invito a curiosare fra librerie e siti internet: troverete tantissimi spunti di ricette, alcune semplici, altre elaborate, ma sempre invitanti!

Vi lascio con la ricetta di un ingrediente di stagione: i carciofi, che potrete servire come contorno oppure utilizzare come base per un risotto! Pulite i carciofi eliminando le foglie più dure e metteteli in acqua acidulata con il limone (in questo modo si evita di farli annerire). Quando tutti i carciofi saranno puliti, trasferiteli nei vasi sistemandoli con la base (il lato del manico) verso il basso. Condite con aglio e prezzemolo tritati, sale, pepe e olio d’oliva. Chiudete il vasetto e cucinate in microonde per 6 minuti a 800 W. Terminato il tempo di cottura estraete il vaso (attenzione, sarà bollente!) e lasciate riposare per almeno 10 minuti prima di servire.

Non vi rimane che sperimentare con altri ingredienti e, se lo desiderate, inviatemi le foto delle vostre ricette!

Domande o curiosità inerenti l’alimentazione? Scrivete a info@tizianacremesini.it e cercherò di rispondere attraverso questa rubrica!

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Tiziana Cremesini, diplomata in Naturopatia presso l’Istituto di Medicina Globale di Padova. Ha frequentato la Scuola di Interazione Uomo-Animale ottenendo la qualifica di Referente per intervento di Zooantropologia Assistenziale (Pet-Therapy), attività in cui si sposano i suoi interessi: supporto terapeutico e miglioramento della relazione fra essere umano e ambiente circostante. Nel 2011 ha vinto il premio letterario Firenze per le culture di pace in memoria di Tiziano Terzani. Attualmente è iscritta al corso di Scienze e Tecnologie per Ambiente e Natura presso l’Università degli Studi di Trieste. Ha pubblicato due libri  “Emozioni animali e fiori di Bach” (2013), “Ricette vegan per negati” (2020). Con Gazzetta Italia collabora dal 2015 curando la rubrica Siamo ciò che mangiamo. Per più informazioni visitate il sito www.tizianacremesini.it

Gli antichi eroi sulla facciata della Palazzina d’Oro

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Sapete che cos’è l’iconografia? Secondo il Dizionario della Lingua Polacca è una categoria che si occupa di descrizione e di interpretazione delle opere d’arte. Comunque, che cosa significa? Immaginatevi di guardare un film giapponese e di non sapere alcuna parola di questa lingua. Siete interessati all’immagine e al suono. Capite parzialmente la trama perché osservate la gente che si diverte ad una festa, urla oppure alla stazione si dice addio. Ritenete che sia stato un film interessante, con una bella musica e il movimento particolare della fotocamera. Vi sono piaciuti i costumi, le pettinature, l’architettura… E ora immaginatevi di guardare lo stesso film, ma con i sottotitoli.

Salta fuori che la festa costituiva un dovere professionale, la gente che urlava non litigava e la separazione alla stazione era un sollievo per entrambi. I sottotitoli hanno facilitato la comprensione del film. Ecco cos’è l’iconografia: comprendere non solo l’aspetto estetico e la tecnica di esecuzione. Grazie all’iconografia un’opera arriva ancora più a fondo. Succede spesso che decifrare i simboli di un capolavoro richieda anni o addirittura secoli. Tale è il caso della Palazzina d’Oro a Danzica, la cui particolarmente ricca decorazione scultorea costituisce un tratto erudito che si riferisce all’antica Grecia, alla Roma repubblicana, alla politica delle città italiane del Rinascimento e alla moralità protestante.

La Palazzina d’Oro, chiamata anche Casa di Speymann (Speymannhaus) o Casa di Steffens, è ubicata in piazza Długi Targ a Danzica, vicino alla famosa Fontana di Nettuno e alla Corte di Artù. La sottile facciata che si mostra verso sud si distingue tra le pareti multicolori degli edifici vicini per il suo bianco puro e gli elementi dorati della decorazione. Nonostante il fatto che costituisca una delle realizzazioni più importanti del XVII secolo a Danzica, nessuno si è impegnato ad analizzare tutti gli elementi iconografici presenti sulla facciata. Non si tratta però di una svista ma di un segno di umiltà verso lo studio di un messaggio così complicato. Gli studiosi riflettono sull’ordine interno della rappresentazione, che consentirebbe la decifrazione dell’intero messaggio, ma indagano anche i criteri della selezione di presentazione e di correlazioni tra gli elementi esposti.

Gli elementi simbolici e allegorici, che appaiono nella ricca decorazione architettonica di tanti edifici rappresentativi di Danzica, si riferiscono all’antichità interpretata in conformità con la moralità protestante. Intorno al 1600 l’arte è diventata una forma di trasmissione delle idee repubblicano-stoiche da parte dei patrizi di Danzica. A questo scopo servivano gli antichi testi di Ovidio, Livio, Cicerone, Valerio Massimo e Plutarco. Nelle decorazioni architettoniche, nella pittura e nella scultura Danzica era presentata come una repubblica, una Nuova Roma con la sua storia e con i suoi miti, che sono stati utilizzati per la glorificazione della storia locale.

Gli abitanti di Danzica hanno successivamente sviluppato la loro distinzione, sia culturale, sia politica. La referenza alla Nuova Roma riguarda il mito della fondazione della Città Eterna, che a Danzica hanno legato al trionfante assedio di Malbork e alla sconfitta dell’Ordine Teutonico. Nella cultura si sono riferiti a questi eventi tanto quanto a quelli dell’antichità, collegando le idee e ispirandosi ai comuni italiani.

La Palazzina d’Oro è stata costruita nel 1609 in uno dei luoghi più rappresentativi di Danzica: in piazza Długi Targ 41. Johann Speymann ha commissionato ad Abraham van den Block il progetto di un edificio con la facciata in pietra in stile manierista. L’esecuzione parziale di sculture si attribuisce a Hans Voigt di Rostock. L’edificio è stato terminato nel 1618 e da questo momento la palazzina, oltre alla funzione residenziale, ha svolto anche la funzione di museo di oggetti originali. Speymann vi ha raccolto una collezione di sculture, oggetti di artigianato, ha dotato la biblioteca di molti libri e ha creato una piccola armeria con le armature milanesi. Ha assunto un custode che una volta alla settimana mostrava gli interni agli ospiti. Dopo la morte di Speymann l’edificio è passato nelle mani dei generi e poi della famiglia Krause. Carl Gottlieb Steffens ne è diventato il proprietario nel 1768 e l’edificio è appartenuto alla sua famiglia fino al 1918 quando è divenuto proprietà della città. La collezione è stata trasferita al Museo Nazionale di Scienze Naturali e alla fine della Seconda guerra mondiale è scomparsa. La Palazzina è stata per la maggior parte distrutta durante gli attacchi aerei tedeschi. In seguito è stata ricostruita secondo il progetto di Marian Bajdo.

La Palazzina d’Oro ha la facciata simmetrica e triassiale, divisa da pilastri e sormontata da una terrazza con ringhiera, dietro la quale si trova uno sfuggente tetto triangolare. Nell’asse centrale è situato un portale con la cornice semicircolare e con dei pilastri laterali toscani decorati con panoplie. Nei piani superiori i pilastri sono decorati con rilievi vegetali (grappoli, frutta e fiori di granata) e con un capitello ionico. La facciata è coronata da quattro statue, allegorie degli antichi valori platonici, che in seguito il cristianesimo ha adattato nelle virtù cardinali. Sopra il portale, invece, sono presentate le allegorie delle virtù teologiche, subordinate a quelle cardinali. L’accentuazione delle virtù nell’iconografia della facciata è un messaggio di Speymann che indica la sua identificazione con l’ideale stoico del saggio perfetto.

Tra gli innumerevoli ornamenti, gli antichi eroi costituiscono il gruppo più numeroso. Le rappresentazioni di Solone e di Temistocle patrocinano in un certo senso ideologicamente l’intero programma iconografico. Solone, come legislatore e corifeo ateniese, credeva che il benessere della città (in greco polis) dipendesse dalla moralità del popolo e dalla pace interiore. Nel 594 a.C. introdusse le riforme che avrebbero migliorato la situazione politica e parzialmente anche sociale di Atene. A Danzica fu un modello delle virtù civili. La sua rappresentazione si trova sopra il capitello del pilastro del terzo piano e affianca, insieme al ritratto di Catone situato sul lato opposto, una scena di combattimento di Temistocle, rappresentata come rilievo nel campo rettangolare. Temistocle, in relazione alla situazione politica di Danzica, diventa un esempio di capo intelligente e astuto. Nel V secolo Temistocle, politico straordinario, creò una flotta che sarebbe diventata potenza marittima. Per Atene questo significò il governo della Lega delle isole e delle coste del Mar Egeo che avevano il loro centro a Delo. Permisero a Temistocle di realizzare il suo piano, parzialmente ingiusto, però favorevole ad Atene. Occorre quindi collegare il rilievo della battaglia di Temistocle direttamente con la storia di Danzica che a quel tempo, a causa dei suoi interessi commerciali era contraria alla guerra polacco-svedese e di conseguenza alla costruzione della flotta regale? Gli studiosi affermano che non ci sono le prove per dire che Speymann non era d’accordo con il Consiglio Comunale per quanto riguarda questa costruzione. Nella decorazione della palazzina gli studiosi indicano quindi un piano d’azione favorevole alla città che consenta il controllo e faciliti lo sviluppo del commercio, della politica e della cultura anche se questo richiederà dei sacrifici. Nel caso della classe dei Patrizi, a cui apparteneva Speymann, l’interesse della città costituì sempre la priorità. Questo viene maggiormente sottolineato grazie alle rappresentazioni degli eroi romani e della loro storia. Rileggendo l’iconografia delle illustrazioni di quello che successe nella Roma repubblicana, vale la pena prestare un po’ di attenzione alla questione della libertà di Danzica e dell’ammonimento per la Repubblica di Polonia per quanto riguarda i suoi sforzi per limitare i privilegi della città. Tra gli eroi romani si trovano, prima di tutto, Lucrezia e Lucio Giunio Bruto. Il rilievo che rappresenta una scena tra Lucrezia e Bruto è situato nel campo rettangolare tra il secondo e il terzo piano. È affiancato dalle rappresentazioni di Marco Porcio Catone Uticense, uno stoico famoso per la sua onestà e un predicatore dell’idea repubblicana, e di Ottone III di Sassonia, un imperatore chiamato “nobile”, sostenitore del rinnovamento dell’Impero Romano. Lucrezia, un personaggio quasi mitico del tramonto dell’età regia di Roma, e il suo parente, Lucio Giunio Bruto, sono legati agli inizi della Roma repubblicana. Nel 509 a.C. Lucrezia, stuprata dal principe Sesto Tarquinio, preferì suicidarsi invece che vivere nella vergogna. Questo evento la rese un modello delle virtù delle donne e Valerio Massimo la descrisse nel primo capitolo di Factorum et dictorum memorabilium libri IX. La sua morte diventò l’inizio della ribellione e del rovesciamento della monarchia. Lucio Giunio Bruto, guardiano di Lucrezia, svolse un ruolo importante all’inizio della Repubblica perché come capo della rivolta contro Tarquinio, portò all’espulsione del re e al passaggio dei poteri al Senato. Diventò anche il primo console.

Non è possibile elencare tutte le figure storiche, bibliche, allegoriche e mitiche, le cui rappresentazioni sono situate nella facciata della palazzina. Ognuna di loro motiva l’attività delle autorità di Danzica che, sottolineando i loro ideali repubblicani, hanno utilizzato le categorie delle virtù romane, delle azioni dei difensori della democrazia ateniese o degli eventi biblici per promuovere e giustificare le proprie azioni a favore della città. Non si può omettere la religione di cui questo articolo non tratta. Sebbene dominino la storia e i modelli greco-romani, tutto il progetto è patrocinato da Dio stesso e i riferimenti alla Bibbia e alla religione sono altrettanto numerosi. Nel XVII secolo l’interesse di Danzica valeva più di ogni altra cosa. La città, già prospera, continuava ad arricchirsi e la modalità erudita nella decorazione degli edifici pubblici e privati costituiva una testimonianza di conoscenza, fede, istruzione e consapevolezza dei cittadini.

Bibliografia:

  • Jacek Bielak, Ikonografia Złotej Kamienicy na nowo odczytana, [w:] Mieszczaństwo gdańskie, Gdańsk 1997
  • Marcin Kaleciński, Mity Gdańska. Antyk w publicznej sztuce protestanckiej res publiki, Gdańsk 2011
  • Tadeusz Zieliński, Grecja niepodległa, Katowice 1988

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Guido Fuga, efetti speciali per il maestro Pratt

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Guido Fuga, arch. Guido Fuga

Guido Fuga, architetto e disegnatore, è nato a Venezia nel 1947. A partire dal 1968 ha collaborato con Hugo Pratt alla creazione di celebri serie come “Corto Malteseˮ o “Gli scorpioni del desertoˮ, disegnando molti elementi e dettagli di vignette e strisce. Insieme allʼaltro fondamentale assistente di Pratt, Raffaele “Leleˮ Vianello, è autore del libro illustrato “Corto Scontoˮ, dedicato ai misteri e alle curiosità di Venezia, nonché di diverse opere a fumetti create dopo la morte di Pratt. Il fumetto è comunque solo uno dei tanti interessi e attività di Fuga, che ha lavorato nei più diversi campi dellʼarte.

Nellʼintervista che segue avremo modo di scoprire molte curiosità e aneddoti sullʼorigine delle avventure di Corto Maltese, sul lavoro dei disegnatori e sulle persone reali che ispirarono alcuni dei personaggi di Pratt.

Come è avvenuto il suo ingresso nel mondo del fumetto? Come è nata la collaborazione con Hugo Pratt?

Tutto inizia nel ʼ68, mi ero da poco iscritto ad architettura. In compagnia della mia fidanzata Mariolina incontrammo Pratt nella libreria di una carissima amica, Nini Rosa (che avrebbe ispirato lʼEsmeralda di “Corto Malteseˮ). Il maestro, intrigato dalla mia morosa (minigonna e capelli cortissimi, insomma la Venexiana Stevenson delle avventure di Corto), ci invitò la sera stessa a casa sua a Malamocco a mangiare un’ottima pastasciutta bella speziata. Da quell’incontro nacque una lunga amicizia, con l’invito alla collaborazione per tutte le parti che Pratt non aveva voglia di disegnare e che voleva fossero fatte a regola d’arte: mezzi militari, treni, fondi architettonici… Io li chiamavo gli effetti speciali. Hugo aveva da poco firmato il contratto con “Pifˮ per delle storie da 20 pagine con il personaggio di Corto Maltese. In pratica era la vera nascita del personaggio, che nella “Ballata del mare salatoˮ era un comprimario come Rasputin, mentre i veri protagonisti erano i due ragazzini. La prima copertina della “Ballataˮ in Italia aveva Pandora e Cain in primo piano e sullo sfondo i due compari.

Cosa ci può raccontare della sua carriera di disegnatore? Quali opere tra quelle a cui ha lavorato ricorda con più piacere?

La mia storia col fumetto è stata episodica perché ho seguito tante cose: illustrazione, storyboard, disegni di tappeti, tavoli a tarsia marmorea, collaborazione con l’artista concettuale Alighiero Boetti per una quindicina di anni… Quando morì Pratt, con il collega Lele Vianello, anche lui collaboratore del maestro, realizzai la storia “L’ultimo voloˮ, poi “Le Ali del Leoneˮ, sulla storia dell’aviazione, e “Cubanaˮ. Insieme abbiamo anche realizzato la guida di Venezia “Corto Scontoˮ, libro che ha avuto un grande successo editoriale.

A partire dagli anni Sessanta il fumetto italiano ha conosciuto una grande evoluzione, diventando una forma dʼarte vera e propria. Quali artisti considera fondamentali ancora oggi?

Per quanto riguarda i grandi del fumetto italiano, a parte Pratt, direi Dino Battaglia, Guido Crepax, Sergio Toppi, poi Vittorio Giardino, Milo Manara e il bravissimo Andrea Pazienza, morto troppo presto.

Com’era lavorare con Hugo Pratt? Quali opere da voi realizzate ha trovato più interessanti e quali le sono rimaste più impresse?

Fra le opere realizzate con Pratt le più amate sono di sicuro “Corte Sconta detta Arcanaˮ e la “Favola di Veneziaˮ, che si è sviluppata giorno per giorno chiusi nello studio di Malamocco, con Mariolina che faceva i colori. Era un progetto nato da Alberto Ongaro che collaborava con il settimanale “L’Europeoˮ e doveva uscire settimanalmente con due pagine a colori. Poi, dopo un incontro a Londra dove all’epoca viveva Ongaro, Hugo ha trovato delle scuse per non lavorare con il vecchio amico e collaboratore perché, penso io, non voleva che un altro mettesse in bocca le parole ai suoi eroi, che poi erano i suoi alter ego. Da buon gemelli era doppio: da una parte Corto e dall’altra Rasputin… Se qualcun altro scriveva i suoi personaggi, era un po’ come se gli rubassero l’anima.

Guido Fuga, Milo Manara,Hugo Pratt e Fulvia Serra / arch. Guido Fuga

Come nascevano le singole storie, passando dai bozzetti alle tavole complete?

Per la realizzazione delle storie alle spalle c’era una grande ricerca bibliografica. Non c’erano computer, Hugo preparava una sorta di storyboard dove mi dava a grandi linee la disposizione dei miei aerei, blindati ecc. In seguito decideva dove voleva andare a fnire e la storia si sviluppava a braccio, come la “Favola di Veneziaˮ, improvvisata pagina dopo pagina con il litigio con Ongaro.

Venexiana, Hugo Pratt / arch. Guido Fuga

Lʼimportanza di Venezia per la storia del fumetto italiano è fondamentale: quali aspetti della città, della sua storia e dei suoi monumenti hanno ispirato maggiormente il vostro lavoro?

Venezia, come poi, dopo la morte di Pratt, abbiamo ben raccontato nella nostra guida della città “Corto Scontoˮ, è un palcoscenico speciale per l’immaginario del maestro e non solo. I due labirinti, urbano e acqueo, sono un enigma intrigante per i sognatori e ricercatori di simboli e arcani.

Quanto era importante lʼelemento fantastico ed esoterico nelle storie di Corto Maltese e in altre opere di Pratt?

Pratt si rifaceva spesso all’elemento esoterico come chiave per ricollegarsi al mito che per lui era la chiave per sciogliere ogni enigma e l’origine di tutte le storie. Corto ha un atteggiamento ambivalente verso credenze magiche e non; spesso assiste a riti iniziatici e voodoo che non comprende ma accetta. Il Maltese si traccia da solo la linea della fortuna della mano con un coltello, essendo nato senza: evidentemente pensa di modificare da sé
il corso delle cose.

Nelle opere di Pratt è molto presente il tema della lotta delle popolazioni indigene contro la dominazione bianca. Una simile ottica derivava soprattutto dalle sue vicende biografiche dellʼartista o rifletteva una particolare sensibilità politica?

Pratt è l’ultimo cantore della fine del colonialismo, con una ricerca dei dettagli, divise, mostrine, mezzi e così via. Sicuramente l’esperienza da ragazzino in Africa gli offrì paesaggi e divise militari che lo affascinarono. Poi c’era lo spirito dei tempi, con il risveglio della gioventù di tutto il mondo occidentale in quella rivolta che era dalla parte delle vittime del colonialismo. Pratt coglieva benissimo come stavano le cose, con in più la sua ironia: lo ricordo bene quando chiedeva delle proteste universitarie a me, studente sessantottino d’architettura, e si chiedeva perché non si cospargessero i docenti con il bitume e le piume come nella frontiera americana a lui tanto cara.

Autoritratto di Hugo Pratt

Comʼera Pratt nella quotidianità? Quanto di lui possiamo realmente ritrovare nel personaggio di Corto e in altri eroi da lui creati?

Pratt era un uomo orchestra, che se entrava in un locale diventava il centro d’attrazione di tutto l’ambiente e se aveva una chitarra cantava in modo magnifico il suo amato Burl Ives e le canzoni sudamericane con cui aveva avuto a che fare per più di dieci anni a Buenos Aires. Ricordo ancora riunioni alcoliche nella casa a Malamocco, con il maestro che cantava e arrivava la sera, con tutti gli amici al buio, incantati ed ebbri, persi in una dimensione atemporale. Pratt era magico e se voleva ti faceva morire dal ridere con il teatro immaginario che sapeva evocare. Ma adesso basta, perché sarei anche stanco di ricordare quei tempi meravigliosi. Spero di essere stato esaustivo, poi si può sempre inventare quello che si vuole come faceva Hugo, il grande affabulatore un poʼ bugiardo, ma geniale…

foto: Sławomir Skocki, Tomasz Skocki

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Forum Economico Polacco-Italiano

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Il 29 aprile si è concluso il Forum Economico Polacco-Italiano, organizzato dalla Camera di Commercio Polacco-Italiana, e il partner dell’evento era il Voivodato di Lublino.

L’evento principale del Forum è stata una conferenza, che ha avuto luogo il 27 aprile, con l’obiettivo di creare nuove, internazionali relazioni commerciali.

14 aziende di Lublino provenienti da una vasta gamma di settori come: l’agroalimentare, i mobili, l’edilizia e i servizi IT, bio-tecnologie, hanno potuto presentare i loro prodotti e servizi ad una platea di aziende e imprenditori italiani.

L’evento si è svolto con il patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica di Polonia a Roma, rappresentata da Justyna Stańczewska, Consigliere del Dipartimento di Politica ed Economia; del Comune di Palombara Sabina, rappresentato da Guido Trugli, Vice-Sindaco e Ilenia Franconi, Assessore ai Lavori Pubblici; e di GBSAPRI SpA, società privata, rappresentata da Carlo Maria Bassi, Amministratore Delegato.

Alla conferenza ha partecipato anche Aleksandra Leoncewicz dell’Agenzia Polacca per il Commercio e gli Investimenti (PAIH), che sostiene sia l’espansione all’estero delle aziende polacche sia l’afflusso di investimenti esteri diretti in Polonia. PAIH è il primo punto di contatto per esportatori e investitori.

L’obiettivo del Forum era di presentare il potenziale del Voivodato di Lubelskie, le sue risorse, il suo ruolo nell’economia nazionale e le opportunità di investimento. La presentazione della regione nei suoi molteplici aspetti è stata fatta dal vicemaresciallo Zbigniew Wojciechowski, che ha sottolineato l’importanza dei rapporti commerciali già esistenti tra le aziende italiane e quelle di Lublino e quante opportunità il Voivodato di Lublino ha da offrire a nuovi investitori e imprenditori.

L’intero evento è stato accompagnato da un’atmosfera di curiosità reciproca – sia da parte degli ospiti italiani, che erano curiosi di conoscere i prodotti polacchi, i servizi, e talvolta una prospettiva diversa su un determinato argomento, sia da parte degli imprenditori polacchi, che erano desiderosi di conoscere una nuova opinione sul loro prodotto o servizio e allo stesso tempo scoprire quali sono le esigenze del mercato italiano.

Tutto questo si è tradotto in molti incontri B2B nella seconda parte della conferenza. Alcuni di questi si sono già trasformati in prime viste e trattative commerciali con la prospettiva dei primi ordini entro il prossimo mese.

Durante il Forum c’è stato anche un incontro della Pubblica Amministrazione di Roma nella persona di Pierluigi Sanna, Vice Presidente della Provincia di Roma e avv. Alessandro Palombi, Consigliere. Entrambe le parti hanno dichiarato la loro volontà di cooperare strettamente e di firmare un accordo di gemellaggio tra i governatorati di Roma e Lublino.

Va sottolineata la partecipazione di una società privata -GBSAPRI SpA – uno dei più grandi broker assicurativi in Italia, che ha dato il suo patrocinio all’evento. L’Amministratore Delegato della società, presente all’evento, ha sottolineato i 70 anni di esperienza nella consulenza e gestione dei rischi e anticipato la massima disponibilità a supportare sia le aziende italiane che polacche coinvolte nello scambio commerciale, per tutte le necessità e protezioni assicurative, che sono una parte essenziale di ogni business.

Gli organizzatori sono sicuri che tale incontro si tradurrà rapidamente in risultati tangibili da entrambe le parti, e che questo è stato il primo ma non l’ultimo appuntamento tra imprenditori polacchi e italiani.

La fisica del vino

Chi avrebbe mai pensato che il vino può diventare… un oggetto d’interesse per i fisici. Sembra invece una storia davvero interessante.

Il vino può sembrare poco problematico dal punto di vista scientifico, essendo una sostanza costituita principalmente da acqua (75-90%), alcool (6-22%), zuccheri (meno di 4g/l) e composti naturali che gli danno il giusto sapore e colore. Può essere sorprendente, però, scoprire che il vino contiene oltre 1000 diversi composti chimici, non tutti ben conosciuti! Sembra incredibile che, più di 5000 anni dopo la scoperta del metodo di produzione del vino, il nostro sapere su di esso sia ancora incompleto e necessiti di ulteriori studi. Anche per questo il vino è una grande sfida per gli scienziati e, al tempo stesso, una sostanza complicata e incredibilmente interessante.

Gli studi scientifici sul vino diventano ancora più complessi se teniamo conto del fatto che il suo sapore è influenzato da numerosi fattori: il tipo di vitigno, le condizioni atmosferiche, il tipo di terreno e il modo in cui viene fertilizzato, infine la regione e il paese di coltivazione. Nella produzione del vino è assai importante anche il processo di ossidazione, che non può avvenire in modo troppo intenso perché ne risulterebbe un’alterazione sfavorevole delle proprietà fisico-chimiche del prodotto: il contatto del mosto con l’ossigeno porta alla formazione del perossido di idrogeno, fortemente reattivo, che fa ossidare l’alcool in acetaldeide, dando al vino un sapore amaro. Per questa ragione la reazione con l’ossigeno è un fattore chiave per il sapore del vino e il modo in cui essa avviene è influenzato, tra gli altri, dalle sostanze paramagnetiche, ovvero da tracce di ioni di ferro, rame o manganese naturalmente presenti nel vino. Questi supplementi paramagnetici in genere provengono dal suolo in cui cresce e matura il vitigno e costituiscono un importante catalizzatore della reazione di ossidazione dell’alcol durante la produzione del vino.

Questo puzzle, che è il vino, lo cercano di risolvere due centri di studio: l’Istituto di Fisica Molecolare dell’Accademia Polacca delle Scienze di Poznań (IFM PAN) e l’Istituto di Ricerca AgroSup Dijon dell’Università della Borgogna Franche-Comté in Francia che conducono una ricerca incentrata sui processi di vinificazione sfruttando la tecnica della rilassometria della risonanza magnetica nucleare (abbrev. rilassometria NMR); questo metodo si basa su un fenomeno fisico che ha già trovato un’applicazione inestimabile in medicina negli scanner della risonanza magnetica (MRI). L’inizio della cooperazione tra gli istituti di Poznań e Dijon è avvenuto con l’adesione al progetto EURELAX (CA15209), ovvero la Rete Europea di rilassometria NMR, che riunisce scienziati di vari settori e di vari paesi europei che utilizzano la rilassometria NMR nella ricerca di base e applicativa, tra gli altri, nella scienza dei materiali e nell’industria, nella diagnostica e terapia medica, nelle scienze e tecnologie agroalimentari e ambientali.

Solenoide, l’elemento chiave del rilassometro

Grazie ai contatti scientifici con i ricercatori dell’Università della Borgogna Franche-Comté, Agrosup Dijon, si è rivelato che il rilassometro NMR, di cui dispone l’Istituto di Fisica Molecolare dell’Accademia Polacca delle Scienze a Poznan può essere utilizzato anche al fine di analizzare la qualità del vino. “È da qualche anno che stava crescendo la nostra ambizione nell’intraprendere altre sfide nell’ambito dello studio dell’alimentazione in generale: Food Science; fino ad oggi, tra le altre cose, ci siamo occupati degli esami di oli naturali e del miele delle api. Gli scienziati dall’istituto francese hanno una conoscenza e un’esperienza fondamentale nello studio dei diversi processi fisici e chimici che determinano tra l’altro la qualità del cibo e dei modi in cui conservarlo. Il nostro contributo, invece, si avvale di anni di esperienza nell’utilizzo della rilassometria NMR e nell’analisi di dati sperimentali, per cui la collaborazione che abbiamo iniziato porta benefici ad entrambe le parti”, sottolinea il professor Rachocki, coordinatore degli esami svolti dall’Istituto di Fisica Molecolare dell’Accademia Polacca delle Scienze a Poznan.

In tutta questa storia non mancano elementi italiani. Il produttore dei rilassometri NMR è un’azienda italiana Stelar di Mede (provincia di Pavia) che opera sul mercato dal 1984. Fino ad oggi l’apparecchiatura della Stelar è stata usata tra l’altro per esaminare prodotti alimentari come pesci, uova, miele, mele, latte in polvere o dolci. Uno degli ambiti di ricerca molto promettenti riguarda i formaggi. Gli esperimenti condotti sul Parmigiano Reggiano e sul Fiore Sardo DOP suggeriscono tra l’altro la possibilità di applicare questa tecnica d’analisi per l’identificazione della mozzarella fatta con acidificanti invece del latte e del caglio della tradizione. In Polonia gli unici strumenti della Stear si possono trovare all’Istituto della Fisica Molecolare dell’Accademia Polacca delle Scienze (IFM PAN) a Poznań, all’Università della Warmia e Masuria e all’Università Adam Mickiewicz.

Prof. Adam Rachocki (a sinistra) e Prof. Bartłomiej Andrzejewski (a destra) durante la fiera WINO

Attualmente gli studiosi dell’Istituto di Fisica Molecolare della PAN con i risultati delle analisi vogliono suscitare l’interesse di produttori nazionali e degli appassionati di vino. Un’ottima occasione per farlo è stata creata durante la fiera WINO – la Fiera Polacca del Vino e dei Vigneti – che si è svolta dal 27 al 29 agosto a Poznań. Per gli studiosi dell’Istituto di Poznań era da un lato un’occasione per presentare i loro ultimi successi nella ricerca sui processi di vinificazione con tecniche della risonanza magnetica nucleare, dall’altro un modo per conoscere la specificità delle tecniche della produzione di vini e delle sfide che coinvolgono i produttori polacchi. L’offerta e le possibilità di ricerca IFM PAN hanno riscontrato molto interesse non solo da parte degli espositori, ma anche dei visitatori presenti alla fiera in particolare sia tra gli appassionati di vino che di fisica.

traduzione it: Anna Małgorzata Brysia, Małgorzata J. Lewandowska, Tomasz Skocki

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La storia del vino e i suoi rapporti complessi con diversi aspetti della vita umana sono un tema estremamente interessante. Più articoli su questo tema troverete qui.

“Tempo di vetro”, ovvero le passioni scientifiche del Premio Nobel Giorgio Parisi

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Giorgio Parisi con Sergio Mattarella, fot. Quirinale.it

In linea con una tradizione non scritta, il Comitato svedese per il Premio Nobel ha sempre notificato la sua decisione ai nuovi vincitori con quella genuina modestia scandinava: chiamandoli al mattino. I fortunati apprendono dell’assegnazione del Premio Nobel in varie circostanze, o comunque in orari diversi, perché le ore mattutine a Stoccolma generalmente non corrispondono alle stesse ore del giorno in altre parti del mondo. I nuovi vincitori vengono sorpresi, ad esempio, a bordo dell’aereo o mentre fanno il bucato. Vengono bruscamente svegliati dal vicino di casa che, dopo aver anche lui saputo d’aver vinto il prestigioso premio, grida: “Paul, sono Bob Wilson. […] Hai vinto il premio Nobel. Provano a contattarti ma non ci riescono. Sembra che non abbiano il tuo numero”1.

Una storia divertente è successa a due amici, entrambi vincitori del Premio Nobel per l’Economia nel 2020, Paul Milgrom e Robert Wilson (la si può guardare su YouTube).

Nel giorno dell’annuncio del Premio Nobel per la Fisica dell’anno scorso, il 5 ottobre, la famosa telefonata di Thomas Perlmann, il segretario del Comitato Nobel, è arrivata a Princeton, ad Amburgo, e a Roma. Hanno risposto tre scienziati che si occupano di questioni climatiche: il giapponese Syukuro Manabe, il tedesco Klaus Hasselmann, e il fisico teorico italiano Giorgio Parisi, il quale studia i sistemi complessi. Il premio gli è stato assegnato ”per un contributo innovativo alla comprensione dei sistemi fisici complessi”, così l’Accademia reale svedese ha motivato la sua decisione. A me, invece, interessano gli argomenti che trattano gli scienziati premiati, ovvero il clima, il tempo e i vetri di spin, nel gergo dei fisici chiamati semplicemente “i vetri”, che fanno venire in mente il titolo di un brano polacco di grande successo: ”Tempo di vetro” (pl. Szklana pogoda) di Małgorzata Ostrowska e il gruppo Lombard (1991).

Il clima ed i misteriosi ”vetri di spin”, la cui natura cercherò di spiegare tra poco, possono essere considerati sistemi complessi? Qual è poi il rapporto di questi sistemi con il vetro? In generale, i sistemi complessi comprendono una varietà estremamente ampia di fenomeni in cui tantissimi componenti interagiscono in modo disordinato. Questi componenti possono essere atomi, particelle, molecole, neuroni, proteine, ma anche specie di animali, uccelli in uno stormo, persone nella società e così via… Indubbiamente, lo stesso clima, i suoi cambiamenti, la loro previsione e l’impatto dell’attività umana su di esso sono cose molto complicate, e allo stesso tempo, difficili da descrivere. I sistemi complessi hanno addirittura molto in comune con il vetro, in cui la disposizione degli elementi base che lo compongono è disordinata e ricorda la disposizione delle molecole in un liquido o in un gas. Tutti i vetri tendono a cristallizzare, e a formare piccoli ”cristalli”, i quali però svaniscono molto velocemente. La competizione tra i processi di formazione e decomposizione di questi cristalli fa sì che molti vetri non saranno in grado di cristallizzare anche in un tempo incredibilmente lungo, paragonabile all’età dell’universo. Un buon esempio di stato vetroso è lo zucchero filato ottenuto con un rapido raffreddamento della massa di zucchero fuso, mentre con un raffreddamento molto lento della stessa massa di zucchero si produce zucchero cristallino.

Giorgio Parisi si è occupato delle proprietà di altri interessanti rappresentanti della famiglia dei sistemi complessi: i vetri di spin. In questo caso, il disordine e le aree ordinate sono associate a un numero enorme di spin che possiamo definire come ”magneti microscopici” situati all’interno di corpi magnetici. Le proprietà di tali corpi sono, ovviamente, molto complesse. Per capirle, Giorgio Parisi ha utilizzato uno speciale trucco delle repliche, una tecnica matematica basata sull’analisi simultanea di tante copie diverse del sistema. Ci sono voluti molti anni per dimostrare che la soluzione proposta da Parisi fosse corretta. Questo sforzo, intrapreso dal matematico francese Michel Talagrand, secondo Yan Fyodorov, fisico al King’s College di Londra, ”ha creato un intero campo di studio [sui fenomeni] nel campo della probabilità”². Un altro collaboratore del Premio Nobel, Juan Jesús Ruiz-Lorenzo dell’Università dell’Estremadura, ricorda che Parisi “è una persona che pensa molto velocemente. […] A volte non scrive la fine di un’equazione sulla lavagna. Non riesci a vederla [la fine], ma lui si.”².

Nato a Roma nel 1948, Parisi si laureò in fisica alla Sapienza nel 1970, unendosi a una scuola la cui tradizione risale a Enrico Fermi “Era un ambiente eccezionale, con una formazione non paragonabile con altre università straniere”², disse Parisi durante un incontro pubblico alla Sapienza il giorno in cui ha ricevuto il premio Nobel. Giorgio Parisi non aveva iniziato la sua carriera scientifica dallo studio sui sistemi complessi. Inizialmente si occupò di fisica delle alte energie, lavorando sotto la supervisione di Nicola Cabibbo, un eccezionale specialista di quel campo, che era “di gran lunga il più brillante teorico di Roma in quel momento”². In quel tempo, partecipò al progetto APE, relativo ai supercomputer utilizzati per eseguire i calcoli quantistici. Questa varietà di interessi rende Parisi uno scienziato molto versatile, e la sua ricerca copre aree come le particelle fondamentali, la materia condensata, la fisica statistica e i materiali disordinati. “Tendo a lavorare contemporaneamente su argomenti diversi perché ci vuole tempo per avere un’idea. Bisogna digerire i concetti”², così spiega la molteplicità delle sue passioni scientifiche lo stesso Parisi. La ricchezza dei temi da lui affrontati non è sfuggita al Comitato Nobel, che sottolinea il contributo alla “scoperta dell’interazione tra disordine e fl uttuazioni nei sistemi fisici, dalla scala atomica a quella planetaria”.

Negli ultimi anni Giorgio Parisi si è interessato al volo degli enormi stormi di storni, fino a un milione di individui (consiglio il video su YouTube). Per lo scienziato “gli storni sono interessanti perché si muovono molto velocemente nell’aria. Si muovono in modo molto semplice, molto veloce, e poi migliaia di loro lo fanno. […] Uno dei problemi è come comunicano affi nché questo movimento collettivo si svolga tutto insieme?”³. Gli “stormi” di uccelli possono sembrare non collegati affatto con i vetri di spin, e invece hanno qualcosa in comune. […] Quello che hanno in comune e che sembra molto interessante è come nascono i comportamenti complessi. È un argomento ricorrente in fisica e biologia, e la maggior parte delle ricerche che svolsi riguarda il modo in cui un comportamento collettivo complesso può derivare da elementi ciascuno dei quali ha un comportamento semplice”³. La spiegazione su come coordinare il volo degli storni in grandi stormi potrebbe essere un punto di svolta per il trasporto aereo. Basta rendersi conto dei grandi problemi che ci sono con il controllo degli aerei negli aeroporti affollati. A differenza di noi che abbiamo a disposizione i più moderni dispositivi elettronici, gli stormi di uccelli non hanno nessun problema con il coordinamento del volo.

Attualmente Giorgio Parisi è professore ordinario alla Sapienza di Roma, nonché il sesto scienziato italiano a vincere il Premio Nobel per la Fisica, dopo Guglielmo Marconi (1909), Enrico Fermi (1938), Emilio Segrè (1959), Carlo Rubbia (1984) e Riccardo Giacconi (2002).

Infine l’aneddoto sulla telefonata dal capo dello Stato: “Mi ha chiamato il presidente Mattarella e per caso ho risposto, ho visto il numero del centralino del Quirinale che conosco”.⁴ . È successo subito dopo che lo scienziato ha ricevuto il premio Nobel.

1 „Paul, it’s Bob Wilson,” Wilson says. „You’ve won the Nobel Prize. And so they’re trying to reach you, but they cannot. They don’t seem to have a number for you.”; LINK

² Nature Italy https://www.nature.com/articles/d43978-021-00122-6

³ PNAS 2006 103(21) 7945-7947; https://doi.org/10.1073/pnas.060311310

https://www.notizie.it/covid-il-nobel-parisi-fondamentale-finire-cicli-di-vaccinazione-io-ho-gia-prenotato-la-terza-dose/

traduzione it: Dorota Kozakiewicz-Kłosowska
foto: Quirinale.it

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